La notte sembrava
passare
tranquilla, erano le cinque del mattino, e quell’uomo che mi
tormentava tanto
non si era ancora fatta vedere. Emily dormiva tranquilla alla mia
destra,
alzando regolarmente l’addome; per il momento non mi sarei
dovuta preoccupare,
perché se fosse arrivato, lei si sarebbe agitata. Nicole e
Lynn russavano
beatamente dall’altra parte di Emily, ed Elizabeth si era
mossa ancora,
cercando una posizione comoda in quaranta centimetri di spazio. Anche
lei
riposava. L’unica sveglia ero io, pronta a scattare per
qualunque cosa. Avevo i
nervi a fior di pelle, tesa come una corda di violino.
Ero sveglia da
molto tempo, e
ormai il sonno prendeva il sopravvento sui miei sensi. Nicole si mosse,
spaventandomi, e si sedette, raccogliendosi come una palla.
“Cosa
ti succede, Mary?” mi
domandò, mettendosi una ciocca dei lunghi capelli
scarruffati, che la facevano
assomigliare ad un leone, dietro un orecchio. Io e lei ci conoscevamo
da
diciassette anni, e ormai sapevamo riconoscere quando una di noi due
aveva
qualcosa che non andava.
“Nulla,
Nicole” risposi,
affondando il volto tra le braccia. Anch’io mi ero messa
seduta, cercando il
più possibile di restare tranquilla. “Da un
po’ di tempo a questa parte mi
sento di impazzire; mamma dice che è solo una
fase”.
“Ho
capito, non ha voglia di
parlare” mormorò, e si rimise a dormire. Fui
felice che non volesse sapere
oltre, ma un po’ mi dispiacque, perché confidarmi
era la cosa migliore in quel
momento. Mi distesi a mia volta, e caddi in uno stato di dormiveglia in
cui
avvertii solo Lynn alzarsi e dirigersi verso il bagno.
Forse mi ero
addormentata
realmente, forse no. Ma di sicuro scattai in piedi non appena sentii
Lynn
gridare. I miei occhi si volsero immediatamente all’orologio
nella stanza. Era
bloccato alle cinque di notte. Strano, visto che era un orologio
digitale,
nuovo e funzionante. Elizabeth si era alzata lentamente, stordita, ma
Emily non
se l’era presa così comoda. Era schizzata verso il
bagno e aveva riportato Lynn
nella mia camera. Nicole era ancora seduta per terra, nel suo sacco a
pelo. La
luce era accesa e mandava riflessi gialli e arancioni.
“Presto,
ragazze!” ci disse
Emily. “Dobbiamo sbarrare la porta!”. Io e Nicole
ci dirigemmo a passo svelto
verso di lei, e in poco tempo anche Elizabeth ci aiutò a
spostare la mia
scrivania davanti all’entrata. Ci misi qualunque cosa potesse
bloccarla. Emily
era pallida, e Lynn lo era ancora di più, e perdeva sangue
da un profondo
taglio sul braccio. Cosa era successo? Più volte il mio
sguardo tornò verso l’orologio,
ma esso segnava sempre le cinque. Un colpo fece vibrare la porta, e
dopo altri
quattro, un’accetta sanguinante sfondò il legno.
Noi ci eravamo rincantucciate
in fondo alla stanza, e tremavamo come foglie al vento. Lynn era
svenuta, per
via della ferita che le sanguinava copiosamente. Lessi
sull’orologio che erano
le cinque e un minuto proprio mentre la porta si spalancava.
“Mary!
MaryElizabeth, apri la
porta tesoro!” la voce di mia madre, e i colpi che dava sulla
porta mi
svegliarono. Vidi le mie amiche già a sedere, stordite, che
continuavano a
guardarsi attorno. Lynn si tastò il braccio, dove avrebbe
dovuto avere una
ferita, mentre Emily, al mio fianco, cercava con lo sguardo le tracce
dell’accettata. Nicole deglutiva, passandosi una mano sul
collo, e Elizabeth
muoveva le mani e i piedi, come per assicurarsi che fossero ancora
là. Io
controllai il mio cellulare, per vedere l’ora, e poi guardai
l’orologio.
L’orario coincideva, erano le 8.47; ci guardammo tutte, come
se ci vedessimo
per la prima volta, poi io mi degnai di rispondere a mia madre.
“Sì,
ma’. Ti apro subito”
dissi. Mi alzai e girai la chiave. Mia madre entrò, e
vedendoci stralunate si
mise a ridere.
“Mi sa
che tutti i dolci di
ieri sera vi hanno fatto male, ragazze!” sorrise. La
guardammo come se stesse
dicendo qualcosa senza senso; beh, in realtà per noi non
aveva senso quello che
diceva.
“Dolci,
mamma?”
“Mary,
ieri sei andata a fare
dolcetto o scherzetto con loro, non ricordi?” mi
guardò come se anche io stessi
dicendo una cavolata. “Era Halloween, Mary”.
“Sì,
sì mamma. Ricordo, è che
sono un po’... stordita. Tutto qua”. Mia madre
uscì, convinta. Mi voltai verso
le mie amiche. “Halloween?” chiesi loro per
conferma, tornando a sedere per
terra accanto a loro. Non mi ricordavo niente della sera precedente.
“Beh,
il mio cellulare dice che
è il primo novembre, quindi direi che ieri sera era
Halloween” mormorò Emily.
Anche lei ci credeva poco che fosse stato Halloween, ma non potevamo
non
credere a mia madre e ai nostri stessi cellulari.
“L’unica
cosa che ricordo di
ieri sera, o meglio di stamani mattina, è che Nicole mi ha
chiesto cosa avessi,
e che io ho liquidato il discorso in mezzo secondo” dissi.
“Me lo
ricordo anche io”
confermò lei. Rimanemmo un altro po’ in silenzio,
in stato confusionale. Alla
fine Lynn parlò.
“Stanotte
ho fatto un incubo”
disse, raggomitolandosi. “Ero andata in bagno, e
poi...” si tastò il braccio.
Non c’erano macchie di sangue, e i mobili erano al loro
posto.
“Era
troppo vivido perché fosse
solo un incubo” disse Elizabeth; nessuno si stupì
di quell’affermazione.
Sapevamo tutte cosa aveva «sognato» Lynn, ma anche
ognuna di noi.
“Andiamo
a fare colazione”
dissi, cercando di scacciare quella cosa troppo vivida.
“Mary”
fece Emily. “Ognuna di
noi ha fatto lo stesso sogno, ma è continuato per tutte in
modo diverso”.
“Per
tutte Lynn è stata ferita
al braccio” continuò Nicole. “Nel sogno
l’uomo con l’accetta mi tagliava la
gola”
“A me
le mani e i piedi” disse
Elizabeth, rabbrividendo. Emily scosse le spalle, e mi resi conto che
lei
diventava polpette. Ma io ero l’unica a cui non successe
nulla. Lo dissi alle
mie amiche, e loro mi guardarono stupite. Non capivo neanche io il
perché; non
tornava coi tempi del sogno: il mio finiva prima. Mi alzai in piedi, e
respirai
a fondo.
“Stand
up, ragazze!” dissi. Mi
voltai, mentre le mie amiche si alzavano, e mi immobilizzai, vedendo
mia madre
arrivare. Aveva in mano un vassoio di tazze di cioccolata bollente, lo
sguardo
fisso davanti a sé, quasi ipnotizzata. Si fermò
prima della porta, e lasciò
cadere il vassoio. La cioccolata la colpì, ustionandola, ma
lei non batté
ciglio.
“Mamma”
mormorai. Lei rimase
impassibile, e feci per avvicinarmi, ma Emily mi fermò.
Tremava violentemente,
e aveva il dito puntato contro mia madre.
“E’...è
un morto vivente, Mary”
sussurrò, tremando ancora. Vidi allora la pozza di sangue
dietro di lei, la
scia che si portava dalla cucina, e caddi a terra, anch’io
fremente. Una figura
dall’aspetto bellissimo comparve in quel momento. Ci
guardava, sorridendo
sarcastico.
“Oh,
Mary!” disse, con voce
delicata. Le grandi ali da diavolo, nere come la pece si aprirono alle
sue
spalle, e i capelli dorati divennero mori, lunghi fino a terra.
Spalancai gli
occhi: era lui, l’uomo che mi perseguitava di notte, ne ero
certa. “Tua madre
credeva di poter portarti via da me; che sciocca”. Mia madre
crollò a terra,
alle sue spalle.
“Chi
sei?” gridai, allarmata
“Tua
madre non ti ha mai detto
cosa sei in realtà?” disse, avvicinando
pericolosamente il suo viso al mio.
Sorrise, mostrando i denti bianchi sfumati di rosso, e quei canini che
avrebbero perforato la carne come fosse burro. Ero pietrificata dalla
paura e
al tempo stesso incantata dal demone che avevo di fronte, provavo un
forte
senso di appartenenza a lui.
“Mary!”
gridò Lynn. Mi voltai,
e le vidi immobilizzate da grosse lingue di fuoco; si dibattevano,
divincolavano, ma invano: solo Emily era totalmente immobile, e mi
fissava, con
gli occhi azzurri. Poi quelle bellissime iridi divennero violette. Le
lingue di
fuoco che la bloccavano divennero ghiaccio, e si liberò come
niente fosse.
Anche le altre tre ci riuscirono e caddero in piedi. Non mi sembravano
più
loro. Il ragazzo mi si avvicinò e mi mormorò in
un orecchio.
“Vedi?”
sibilò. “Loro ti hanno
sempre preso in giro, ti vogliono solo uccidere per impossessarsi del
potere
del fuoco...”
“Taci,
Axel!” ringhiò Nicole.
“MaryElizabeth, tu sei la nostra amica, noi ti abbiamo
protetto per tutti
questi anni”
“Non
farti abbindolare, Mary”
il sussurro di Axel era caldo, dolce, quasi miele. Mi sentivo
sciogliere, quasi
riscaldata dall’amore che non avevo mai provato. Il demone
passò i suoi denti
freddi sul mio collo, facendomi rabbrividire.
“Non
vogliamo ucciderti, ma
vogliamo il tuo aiuto per scongelare i nostri compagni, e poter tornare
a
vivere al Nord, nei nostri paesi”
“No!”
gridò Axel. “Vogliono
solo la tua morte!”.
“Taci!”
alzai gli occhi,
vedendo William calarsi giù dal soffitto, e abbracciare
Emily. Lei lo baciò
delicata, e poi tornò a guardarmi. Sentii la rabbia montare.
“Tu!”
le gridai contro. “Tu!
Eravamo amiche e ci eravamo fatte una promessa!”. Ingoiai e
strinsi i pugni.
L’aria attorno a me si surriscaldava. “Ci eravamo
promesse che William sarebbe
stato campo minato per entrambe! Lo avevi promesso su te
stessa!”. Emily si
rese conto solo un quel momento del grosso sbaglio che aveva commesso.
I suoi
occhi tornarono azzurri, e dolci come al solito.
“Mary,
oddio mi... mi
dispiace”.
“Adesso
ti dispiace?” gridai
con quanto fiato avevo in corpo. “Adesso?”. Il
fuoco le circondò, una gabbia
incandescente.
“Avanti!”
mormorò il demone.
“Adesso uccidile”. Alzai la temperatura e poi la
riabbassai di colpo. Axel mi
guardò, ringhiando.
“Andiamo”
ordinai. Lui non si
mosse, e fui io a ringhiare. “Andiamo, ho detto!”.
“Mary,
no!” la voce di Emily si
spense nel boato che ci circondò.
***
Nicole
ormai mi guardava con occhi terrorizzati. L’avevo ridotta
male; fece per
alzarsi ma la fermai con un calcio. Da ormai sette anni li rincorrevo
tutti,
tutti quei ghiacciolini.
“Mary,
cosa vuoi fare?” mormorò, atterrita. Sorrisi;
sentivo il suo sangue scorrere,
mi piaceva troppo. Lei spalancò gli occhi, vedendo che
tiravo fuori la mia
spada. “Sei stata tu, non è vero?”
“A
fare che?”
“A
uccidere Elizabeth e Lynn”
“Sì,
ed è stato estremamente piacevole, sentirle gemere, vederle
soffrire” mi
avvicinai a lei. “Sai una cosa? È piacevole
uccidere”
“Mary,
eravamo amiche”
“No!”
le puntai la spanda al cuore. “Tu mi hai solo usata, per
diciassette anni”
gridai, piantando a fondo la lama. Lei urlò di dolore,
divincolandosi. Poi si
accasciò a terra, priva della sua misera vita. Avevo ucciso
tre delle mie
migliori amiche. Mi mancava solo lei, Emily e William.
“Così
l’hai uccisa, eh?” Emily era proprio lì,
alle mie spalle. La guardai di
scorcio, poi affondai la mia lama in lei. Sputò il sangue
come una fontana
sputa acqua dopo molta inattività.
“E
ho ucciso anche te” sussurrai mentre cadeva a terra, morta
anche lei.
Mi
sedetti ed attesi. Sapevo che William sarebbe arrivato. E sapevo che
avremmo
combattuto, ma non chi fosse che avrebbe vinto. Forse io, forse lui.
Ed
improvvisamente eccolo, in tutta quella sua bellezza immutata. Ci
guardammo,
entrambi pieni di odio. Sentii il suo corpo così vicino,
mentre la mia lama
lacerava il suo petto; e sentii anche il freddo della sua che entrava
in me,
nel mio addome.
“Morirò
certamente” disse. “Ma tu verrai con me”.
Sputai il sangue sul suo volto, e lo
lasciai cadere a terra.
“Brava”
sentii la voce di Axel alle mie spalle. Mi voltai e gli tagliai di
netto la
testa.
“Porco”,
mormorai mentre cadevo a terra. Merda, mi hanno ucciso davvero.