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Autore: Parmandil    09/10/2022    0 recensioni
Il pianeta Thalassa è un’isola di pace per gli avventurieri della Destiny, sperduti nel Multiverso senza le coordinate quantiche di ritorno. Ed è ancora più importante ora che l’esaurimento dei cristalli di dilitio minaccia di far restare la Destiny senza energia, il che equivale a morte certa. Ogni quarant’anni il pianeta appare nel Vuoto, rimanendovi un mese, per poi tornare nel nostro Universo. I suoi coloni appaiono pacifici e bendisposti. Per i nostri eroi è l’occasione perfetta per tornare a casa, o almeno per procurarsi il prezioso dilitio; ma gli abitanti si fideranno di loro? Non sarebbero più ospitali se li credessero veri ufficiali della Flotta Stellare? Intrappolati nella loro stessa rete di bugie e mezze verità, gli avventurieri dovranno decidere fin dove sono disposti a spingersi pur di ottenere ciò che vogliono.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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-Capitolo 4: Gli incidenti accadono
 
   Uscito sul balcone del palazzo governativo, per respirare qualche boccata d’aria fresca, Sirran osservò il tramonto infuocato sull’oceano. Di solito quella vista lo calmava, ma stavolta non fece che accrescere le sue preoccupazioni. Il disco solare svanì gradualmente dietro l’orizzonte, in un dilagare di nubi rossastre. Cadde la notte, l’ultima senza stelle. Il mattino successivo la Pausa sarebbe finita e Thalassa sarebbe tornato nella Via Lattea. Di solito l’evento era festeggiato sulla spiaggia con musiche, balli e fuochi d’artificio. Ma non stavolta. Questa volta la popolazione era tappata in casa e le forze dell’ordine pattugliavano le strade, perché Sirran aveva ordinato il coprifuoco. Questa, infatti, era l’ultima notte a disposizione dei fuorilegge della Destiny per derubarli del dilitio. Se non ci provavano stavolta, non avrebbero avuto altre occasioni.
   «Ci proveranno, me lo sento» si disse il Governatore, sentendo freddo nelle ossa, e non solo per la brezza marina. Lui al loro posto ci avrebbe provato. Fu tentato di abbassare le difese e dargli ciò che volevano, per evitare la battaglia e l’inevitabile spargimento di sangue. Ma non lo fece. Quand’era in gioco il loro orgoglio di Kriosani, che non tolleravano furti e menzogne, nessun prezzo era troppo alto. La stragrande maggioranza della popolazione la pensava così, di questo ne era certo; e il suo dovere era rispettare la volontà popolare. Così si frugò in tasca, impugnando un comunicatore, e inserì il codice di sicurezza che lo metteva in diretta comunicazione coi vertici militari.
   «Colonnello Oisin, elevate al massimo la vigilanza. Sono certo che attaccheranno stanotte» disse.
   «Concordo, Governatore» rispose il Colonnello. «Non vedo l’ora che comincino. Siamo pronti a riceverli e a insegnargli come ricompensiamo ladri e truffatori».
 
   In quel momento una flottiglia di navicelle uscì dalla cavitazione nei pressi di Thalassa, proseguendo l’avvicinamento a velocità impulso. Il Centurion era in testa, seguito da dieci navicelle di classe Gryphon e da venti di classe Hornet. Erano tutte occultate e in silenzio subspaziale, avendo concordato preventivamente il piano d’attacco. Nella cabina del Centurion, il Capitano Rivera osservò corrucciato lo splendido mondo azzurro. Era la terza volta che lo visitava, ma ora non giungeva più come ospite, bensì come predone. «Analisi delle difese» ordinò.
   «Rilevo cinquanta caccia Viper in orbita. Ci sono anche dieci navette, oltre alla chiatta da trasporto» rispose Talyn.
   «Frell» imprecò il Capitano, innervosito. Aveva sperato che i Kriosani rinunciassero ad armare le navette e la chiatta. Ripensò alla riunione tattica in cui avevano discusso il potenziale bellico nemico. I Viper erano dei caccia drone, ovvero senza pilota. Erano molto agili, dato che non dovevano proteggere alcun conducente, ma avevano limitata potenza di fuoco e scudi deboli. Fosse stato solo per quelli, gli avventurieri potevano sperare di oltrepassare le difese. Ma le navette e la chiatta complicavano le cose, anche perché quelle avevano un equipaggio e a Rivera ripugnava di provocare vittime. Ma non era arrivato fin lì per fare dietrofront e fuggire verso l’oblio.
   «C’è un altro problema» avvertì Talyn, proseguendo l’esame. «La città è difesa da uno scudo».
   «Come sarebbe?!» sobbalzò il Capitano. «Le analisi precedenti lo avevano escluso!».
   «Non è uno Scudo Cittadino nel senso tradizionale del termine» precisò l’El-Auriano. «È la centrale energetica a generarlo. Ricorda che in realtà è la loro astronave coloniale? Devono aver riattivato gli scudi e li hanno estesi tanto da proteggere l’intera città».
   «Idioti!» sbottò Rivera, all’indirizzo dei Kriosani. «Ora dovremo bombardare l’insediamento».
   «Forse sperano che questo ci dissuada» commentò Talyn a mezza voce.
   «Sperano male» disse il Capitano, truce. «Tenetevi pronti. Ci avvicineremo come previsto, salvo abbattere lo scudo con un attacco mirato prima di teletrasportarci».
   Il Centurion lasciò la formazione e girò parzialmente attorno al pianeta, sorvolando il lato diurno. Così facendo aggirò il blocco difensivo formato dalle navicelle kriosane. Al tempo stesso si avvicinò sempre più, fino a entrare nell’atmosfera. Rivera e Shati si assicurarono che l’ingresso fosse dolce, per non lasciare una scia di plasma che permettesse di rilevarli. La navicella infatti era ancora occultata e doveva restarlo il più a lungo possibile, per non perdere l’effetto sorpresa. Dalla cabina, gli avventurieri videro le nubi candide come batuffoli di cotone che si avvicinavano sempre più. Poi parve d’entrare nella nebbia, perché stavano attraversando la coltre nuvolosa. Infine il mare riapparve, molto più vicino. Le onde tumultuose annunciavano la tempesta alle porte. Un fulmine colpì il Centurion, disperdendosi sulla corazza ablativa senza danneggiarlo.
   «Reggetevi, dieci secondi all’impatto» annunciò Rivera, concentrato sui comandi. Modificò la traiettoria in modo che, nell’ultimo tratto, la navicella scendesse di punta anziché planare. Come risultato il mare riempì lo schermo e ai passeggeri parve di precipitare senza controllo, tanto che molti trattennero il fiato. Solo Shati reagì in modo opposto: la sua risata maniacale riempì la cabina.
   «Arriviamo, bastardi maculati! Ah-ahahahahahah!».
   Veloce come un dardo, il Centurion si tuffò nell’oceano tempestoso, sollevando una colossale ondata. Subito Rivera lo raddrizzò, per non sprofondare troppo. Quando furono tornati in assetto, il Capitano tracciò la nuova rotta. La navicella trasformata in sottomarino schizzò in avanti, più veloce di una torpedine, diretta verso la città sulla costa.
 
   La flottiglia pirata attese per il tempo convenuto, a motori spenti per rendere ancor più difficile il rilevamento. Ai comandi delle navette c’erano avventurieri della Destiny scelti dal Capitano. Disdegnando i Ferengi, troppo pavidi per la battaglia, Rivera aveva designato Letheani, Nausicaani, Orioniani: ciò che molti definivano la feccia della Galassia. Terminata l’attesa, i piloti riaccesero i motori, schizzando contro il blocco difensivo kriosano. Quando stavano per raggiungerlo disattivarono l’occultamento, alzarono gli scudi e aprirono il fuoco. Raggi phaser e polaronici rigarono lo spazio, mentre i siluri lampeggiarono all’impatto. Il primo, devastante assalto fu rivolto contro la vecchia chiatta da trasporto. L’astronave non ebbe nemmeno il tempo di reagire coi pochi cannoni a particelle di cui disponeva. I suoi scudi antiquati cedettero rapidamente e lo scafo fu crivellato. La chiatta sbandò, abbandonando la formazione difensiva, e finì alla deriva nell’orbita bassa, perdendo atmosfera dalle numerose falle. All’equipaggio non restò che evacuarla coi gusci di salvataggio.
   Compiuto con successo il primo passaggio, gli avventurieri fecero dietrofront e aprirono la formazione per affrontare i caccia e le navette nemici. La battaglia s’infiammò, mentre pregi e difetti delle due flottiglie venivano a galla. Gli attaccanti avevano poche navette, appena una trentina, ma molto armate e resistenti. I difensori ne avevano il doppio, quasi tutti agilissimi Viper senza pilota, ma con armi e scudi decisamente inferiori. Di conseguenza gli avventurieri potevano reggere molti attacchi, mentre i Viper erano distrutti al primo colpo; ma era difficile centrarli. Nessuno sapeva cosa avrebbe prevalso, se il numero e l’agilità o la potenza di fuoco e la resistenza.
 
   In superficie i Kriosani alzarono lo sguardo al cielo senza stelle e videro i lampi della battaglia. A dispetto della loro cultura marziale, era la prima volta in quattrocento anni che la guerra vera li raggiungeva. Le sirene d’emergenza squillarono, invitando la popolazione a nascondersi in bunker e altre zone protette, nell’evenienza che lo scudo cedesse. Già adesso alcuni colpi andati a vuoto della battaglia lo centravano, aprendosi come fiori maligni contro la barriera d’energia. Alcune navicelle della polizia sorvolarono la città, inquadrando coi riflettori le fiumane di cittadini che correvano ai rifugi. I poliziotti gridarono istruzioni con gli altoparlanti, cercando di mantenere l’ordine. I loro colleghi a terra avevano un bel daffare per evitare che la gente si calpestasse. Qua e là si vedevano anche bagliori di teletrasporto, ma ci voleva tempo per trasferire tutti.
   Dal suo balcone, il Governatore Sirran vide i lampi della battaglia e i fasci dei riflettori che squarciavano la notte. Udì le sirene d’allarme, gli ordini dei poliziotti, i pianti dei bambini. Mai in vita sua era stato tanto in pena per la sua gente; e mai aveva odiato qualcuno come ora odiava gli avventurieri. «Liberare quella feccia è stato il più grave errore della mia carriera. Dovevo farli uccidere tutti quando potevo» si disse con amarezza.
   Sapeva che era in suo potere far cessare la battaglia in qualunque momento, consegnando il dilitio. Una sola parola e tutto sarebbe finito: niente più terrore, niente morti. Non lo fece. Preferiva vedere la sua amata città ridotta in cenere, piuttosto che piegarsi alle pretese degli aggressori. Contattò di nuovo il Colonnello. «Qui è il Governatore, i miei ordini sono di resistere a oltranza. Ripeto, resistere a oltranza. Mai arrendersi, mai ritirarsi, mai piegarsi!» raccomandò. Dopo di che, pressato dalle guardie del corpo, lasciò il balcone e corse a nascondersi a sua volta nel bunker sotto al palazzo.
 
   «Siamo a cento chilometri dalla costa» disse Talyn. «Lo scudo a cupola si estende per cinque chilometri anche nel mare» avvertì.
   «Riduco la velocità, pronti all’emersione» disse Rivera. Pur rallentando notevolmente, rimase sott’acqua fino all’ultimo istante, per mantenere la sorpresa. Solo quando l’allarme di prossimità lo avvertì che l’impatto con lo scudo era imminente impresse un’impennata al Centurion, portandolo in superficie. Simile a un mostro marino, il vascello emerse sollevando un’immane ondata e schizzò verso l’alto.
   Il boato fu udito in città e lo spostamento d’aria fece tremare i vetri delle finestre, avvertendo tutti della nuova minaccia. Ma era tardi per correre ai ripari. Nel momento in cui spegneva l’occultamento, Naskeel attivò armi e scudi. In pochi secondi il Centurion sorvolò i flutti, la spiaggia e la città, puntando verso la centrale energetica. Non appena l’ebbe a bersaglio, il Tholiano aprì il fuoco con i siluri quantici, per abbattere rapidamente lo scudo. Era un grosso azzardo, perché un errore di calcolo avrebbe trasformato l’intera città in un cratere ribollente di lava, disintegrando il dilitio assieme agli abitanti. Ma Naskeel non sbagliò: i siluri abbatterono lo scudo senza provocare altri danni.
   «Via libera» disse il Tholiano.
   Rivera portò il Centurion più ad alta quota. Stava per cedere i comandi a un ausiliario, per unirsi alla squadra d’assalto, quando la navicella tremò.
   «Ci sparano dalla centrale» avvertì Naskeel. «Devono aver riattivato le armi dell’astronave. Ma con gli scudi abbassati non sono una minaccia». Aprì di nuovo il fuoco, stavolta coi cannoni phaser posti alle estremità delle ali. Quattro colpi, inflitti con precisione chirurgica, misero fuori uso le armi della Garuth. Sul vecchio scafo si aprirono degli squarci, mentre l’astronave tremava e alcuni pilastri di supporto cadevano. I detriti piovvero sulla città, danneggiando i tetti delle case. Nelle abitazioni, i vetri si frantumarono e la gente si coprì le orecchie per proteggersi dal boato. Coloro che si trovavano in strada fuggirono più lontano possibile dalla centrale danneggiata. Esplose il panico: fino ad allora la battaglia pareva lontana, ma ora la città era indifesa e subiva un bombardamento diretto.
   «Armi nemiche disattivate, possiamo andare» disse freddamente Naskeel. Anche lui lasciò la postazione a un subordinato e si unì alla squadra da sbarco. Questa comprendeva Rivera, Shati e una decina degli avventurieri più feroci. Erano tutti equipaggiati con il meglio della tecnologia federale, razziata dalle armerie della Destiny: tute semicorazzate, fucili polaronici, phaser manuali e granate stordenti. Negli zainetti avevano persino gli Sfasatori Dimensionali, che mettendo “fuori fase” la materia permettevano di attraversare le paratie.
   «Attenti, ora i caccia vi colpiranno dall’alto» avvertì il Capitano, rivolto a quanti restavano sul Centurion. «Appena saremo scesi rialzate gli scudi e andate ad aiutare le nostre navette. Cercate di sgombrare il cielo per quando dovremo risalire» raccomandò.
   «Buona fortuna» augurò Talyn, che rimaneva a bordo. «E guardatevi le spalle!» raccomandò, mentre gli avventurieri lasciavano la cabina per salire sulla pedana di teletrasporto.
   «Mandaci più vicini che puoi al dilitio» ordinò Rivera all’addetto.
   «Cento metri è il massimo che posso fare. Hanno attivato un campo di dispersione in sala macchine» rispose questi, manovrando i comandi.
   «Mi raccomando, armi su stordimento!» ribadì il Capitano alla sua squadra, nell’estremo tentativo d’evitare la carneficina. L’attimo dopo furono trasferiti nella centrale energetica, armi in pugno.
 
   Dal bunker governativo, dove si era acquartierato, il Colonnello Oisin seguì le fasi della battaglia. Vide la flottiglia nemica che attaccava, disabilitando rapidamente la chiatta, e le sue forze che rispondevano. Per diversi minuti dette ordini ai suoi, confidando che avrebbero prevalso. Ma era inquieto, perché fra le navicelle attaccanti non scorgeva il Centurion. Era di gran lunga la più potente, quindi gli avventurieri non potevano averci rinunciato. Di certo la tenevano da parte, per gettarla nella mischia al momento opportuno. E infatti...
   L’attacco del Centurion, per quanto atteso, fu così repentino e violento che i Kriosani stentarono a reagire. In pochi attimi lo scudo cittadino era andato e la centrale aveva subito gravi danni. Poi però il Centurion smise di colpire e sorvolò in cerchio la città per un paio di minuti. Infine ripartì verso l’alto, per affrontare una decina di Viper che scendevano a dargli battaglia. La città ebbe tregua, sebbene gli squarci nelle pareti della centrale ardessero nella notte. Si udirono le sirene dei pompieri, che intervenivano per spegnere i principi d’incendi.
   «Si sono teletrasportati» comprese il Colonnello. «Oisin a centrale, siete stati invasi dal nemico. Presidiate la sala macchine, non cedete di un passo!» ordinò. Si sintonizzò con le telecamere di sicurezza della centrale, per vedere con chi avevano a che fare. Fu sorpreso nel vedere che Rivera guidava personalmente l’assalto. Nel Kriosano si agitarono emozioni contrastanti: ammirazione per il coraggio dell’Umano, invidia, vergogna per il fatto che lui invece stava ben lontano dalla battaglia. Proseguendo l’osservazione riconobbe anche Shati; e come dimenticarla dopo la loro partita a Velocity? La Caitiana combatteva con un phaser per mano, schivando i colpi nemici con balzi e capriole spettacolari. Ma a calamitare l’attenzione del Colonnello fu Naskeel, il Tholiano. Corinna aveva accennato a lui, eppure vederlo dal vivo fu impressionante.
   «Sembra sbucato dall’Inferno» si disse Oisin, osservando la creatura cristallina a sei zampe che sparava con un potente fucile polaronico. Si accorse che i suoi soldati lo temevano, non avendo mai affrontato nulla di simile nemmeno nelle simulazioni. Allora contattò le truppe di rinforzo che aveva tenuto pronte, spedendole a dare manforte ai colleghi. «Squadre 1 e 2, entrate in azione. Squadre 3 e 4, tenetevi pronte...» stava dicendo, quando udì un allarme di prossimità.
   «Signore, la navetta 6 che combatteva nell’orbita è stata danneggiata. Sta precipitando come una meteora, l’impatto è imminente!» avvertì un addetto.
   «Trasferite subito gli occupanti. Dove cadrà la navetta?» chiese Oisin.
   «In mare, per fortuna».
   La meteora incandescente rigò il cielo, esplodendo con un lampo abbagliante nel momento in cui toccava il mare a poca distanza dalla costa. L’onda anomala flagellò il porto, danneggiando le imbarcazioni e inondando le banchine. Altri danni, altri feriti.
   Furioso, il Colonnello esaminò i dati sulla battaglia nell’orbita. Si rese conto che gli avventurieri stavano prendendo il sopravvento, ora che il Centurion era salito a dargli manforte. La potente navicella disintegrava un Viper dopo l’altro, spedendogli contro siluri a ricerca automatica del bersaglio. Almeno i Viper erano droni senza equipaggio... ma il Colonnello non si sentì confortato. I caccia rimanenti presero il Centurion nel fuoco incrociato e lo tempestarono di colpi, ma inutilmente. I suoi scudi erano troppo forti, non riuscivano a perforarli.
   «Signore, è inutile, la tecnologia federale è troppo superiore alla nostra» ammise un sottoposto. «Forse dovremmo arrenderci... in fondo si tratta solo di un pugno di dilitio».
   «No, è una questione d’onore!» s’impuntò il Colonnello. «E poi gli ordini del Governatore sono tassativi, nessuna resa. Per nostra fortuna, la battaglia nell’orbita è irrilevante» disse, spegnendo l’oloschermo con gesto infastidito. «L’importante è ciò che accade nella centrale. Il nemico non la distruggerà mai, per non perdere il dilitio. E là dentro il vantaggio è nostro. Squadre 3 e 4, entrate in azione. No, aspettate, mi unisco a voi!» decise d’impulso.
   «Signore, lei deve restare qui al sicuro!» si scandalizzò il sottoposto.
   «Negativo, guiderò personalmente le truppe» disse Oisin, imbracciando un disgregatore. «Così ridarò animo ai nostri. E poi la centrale è il luogo più sicuro della città. È l’unico edificio che il nemico non oserà bombardare» aggiunse fra sé, salendo sulla pedana di teletrasporto. Al suo cenno fu trasferito assieme alle squadre d’assalto.
 
   Rivera correva nei corridoi della centrale, in testa alla sua squadra, cercando di ricordare la strada che portava alla sala macchine. Ogni pochi istanti avevano qualche scontro a fuoco coi difensori, che sbucavano da tutte le parti. Ne colpirono parecchi, sempre tenendo le armi settate su stordimento. Ma quando i raggi nemici colpirono le paratie attorno a loro, facendo sprizzare scintille e lasciando chiazze scure, fu chiaro che i Kriosani non avevano lo stesso riguardo.
   «Il nemico spara per uccidere, dovremmo fare altrettanto» suggerì Naskeel.
   «No! Armi su stordimento, ho detto!» insisté Rivera, mentre i colpi gli piovevano attorno. Ormai erano vicini alla sala macchine, ne era certo. Riconosceva il settore più interno dell’antica astronave, quello meglio conservato. I numeri delle sezioni sulle pareti non mentivano, erano quasi arrivati.
   Giunti a un incrocio, sbucarono nel breve corridoio che portava direttamente alla sala macchine. Il portone blindato era là in fondo, fiancheggiato da due pilastri di rinforzo. Tra i pilastri e le pareti si aprivano delle nicchie, in cui si erano appostati quattro difensori. Il loro fuoco di sbarramento costrinse gli avventurieri a ripararsi dietro l’angolo.
   «Te la senti di passare?» chiese Rivera a Shati, alludendo alla necessità di appostarsi anche dietro l’altro angolo, per prendere i Kriosani nel fuoco incrociato. «Ti copro io» promise, levando il fucile polaronico.
   «Sono pronta» confermò Shati, un po’ ansante ma ancora in forze. I suoi muscoli felini si tesero, pronti a scattare. Le pupille a fessura si contrassero, mentre radunava la concentrazione, e le mani strinsero i due phaser con più forza.
   «Tre... due... uno... ora!» gridò il Capitano, sporgendosi per sparare.
   Sotto il fuoco di copertura, la Caitiana fece un balzo spettacolare, sparando ai difensori con ambo i phaser mentre era a mezz’aria. Ne colpì due prima di atterrare dietro all’angolo. Rotolò a terra e si rialzò subito. «È il meglio che sapete fare, cuccioli?!» si rivolse agli avversari.
   Ora che gli avventurieri presidiavano entrambi i lati, gli ultimi due difensori si trovarono in difficoltà. Uno fu stordito da Rivera, l’ultimo da Shati. «Ora!» gridò il Capitano, guidando l’assalto finale. Gli avventurieri lasciarono i ripari e corsero nel corridoio, colpendo gli avversari a terra per accertarsi che fossero davvero storditi. In breve giunsero al portone blindato.
   «Coraggio, un ultimo sforzo. Guardatemi le spalle!» disse Rivera, memore del consiglio di Talyn. Mentre i suoi eseguivano, lui settò il fucile polaronico sulla massima potenza e tagliò il portone lungo i bordi, tracciando un rettangolo completo. Non restava che abbatterlo con una spallata, sempre di averne la forza.
   «Naskeel, mi apri questa scatoletta?!» chiese il Capitano, preferendo stare sul sicuro.
   Il Tholiano parve interdetto dalla metafora, ma poi capì il senso dell’ordine e si lanciò contro il portone, abbattendolo al primo colpo. Subito si nascose in una delle nicchie laterali, temendo che all’interno ci fossero altri armati. Ma non era così: la sala macchine pareva deserta. Le luci erano basse, così che il nucleo di curvatura brillava vivido al centro. Le sue pulsazioni ritmiche, simili a quelle di un cuore, erano l’unico suono udibile.
   «Beh, niente benvenuto?» si chiese Shati, sospettosa. Le sue orecchie si mossero, in cerca d’altri rumori.
   «Forse non hanno osato provocare sparatorie qui dentro. Un colpo al nucleo e salta tutta la città» disse Rivera. Spinse la canna del fucile all’interno del salone e guardò attraverso il mirino a infrarossi, cercando un bersaglio. Non trovò nulla. «Okay, io entro. Seguitemi» disse, varcando per primo l’ingresso.
   Fu allora che un secondo portone, più massiccio del primo, si chiuse di scatto, dividendo il Capitano dal resto della squadra. Rivera fremette: era rimasto solo e doveva aspettarsi un attacco. Si tuffò di lato, per non restare allo scoperto, e si nascose dietro alcuni macchinari. Tornò a guardarsi attorno, in cerca d’avversari, ma inutilmente. Certo che, in un salone così grande, non mancavano i nascondigli. Forse i nemici erano acquattati da qualche parte, pronti a sorprenderlo appena si fosse spostato. O forse era la sua squadra, di là dal portone, quella più a rischio d’imboscate.
   «Rivera a squadra, mi sentite?» chiese, premendosi il comunicatore. Non ebbe risposta. «Fantastico, bloccano anche le comunicazioni» si disse, sudando freddo. Che fare? Avrebbe voluto riaprire il portone, per riunirsi alla squadra, ma immaginava che non sarebbe stato semplice. Di certo i Kriosani lo avevano bloccato con qualche codice di comando. E lui non voleva distrarsi, rischiando d’essere colto alle spalle. Osservando il nucleo, gli venne un’altra idea. Se estraeva il dilitio, la centrale – e tutta la città – sarebbero rimaste senza energia. Così anche il campo di smorzamento si sarebbe disattivato, permettendo alle sue truppe in orbita di teletrasportare rinforzi direttamente lì dentro. Sì, era un buon piano.
   Con quest’idea in mente, Rivera si accostò al nucleo. Cercò di ricordare la procedura con cui Corinna aveva estratto il dilitio, durante la precedente visita. Non rammentava tutto, ma del resto non ne aveva bisogno. Gran parte degli accorgimenti servivano ad attingere alle riserve per non interrompere la fornitura d’energia, cosa che invece lui intendeva fare. Così mise mano a una consolle, inserendo pochi e semplici comandi, senza curarsi delle spie che lo avvertivano dell’imminente blackout. Stava per inserire le ultime istruzioni, quando sentì qualcosa premergli contro la schiena.
   «Non muoverti, o giuro che ti ammazzo. Questo disgregatore non ha lo stordimento» gli sussurrò una voce femminile all’orecchio. Il Capitano la riconobbe: era la voce di Corinna. La Direttrice si era appostata da qualche parte e poi gli era scivolata alle spalle, approfittando della sua distrazione.
   «Mi uccideresti davvero?» chiese Rivera, con un groppo in gola.
   «Dopo che hai messo a ferro e fuoco la mia città? Lo farei con piacere!» rispose la Kriosana, la voce tagliente come una lama di rasoio.
 
   Costretti ad arretrare nel corridoio dall’improvvisa chiusura del secondo portone, gli avventurieri erano impazienti di superare l’ostacolo per riunirsi al Capitano. Il primo a reagire fu Naskeel, che sparò al portone col fucile polaronico. Ma scoprì che l’arma impiegava molto più tempo a tagliarlo.
   «Questo è un materiale diverso, insolitamente resistente. Forse c’è all’opera un intensificatore dei legami molecolari» valutò il Tholiano.
   «Quanto ci vorrà per aprirci un varco?» chiese Shati, agitando la coda per l’impazienza.
   «Cinque o sei minuti» rispose Naskeel, continuando a far fuoco.
   «È troppo, il Capitano potrebbe essere in pericolo!» protestò la Caitiana. «Faremo prima con questi» disse, estraendo gli Sfasatori Dimensionali dallo zainetto. Erano quattro congegni discoidali, fatti per aderire alle paratie. Se attivati sulla stessa frequenza mettevano la materia “fuori fase”, permettendo d’attraversarla. Shati era stata addestrata a usarli all’Accademia, facendo anche una prova pratica. Il riquadro di muro compreso tra gli Sfasatori era diventato semitrasparente e lei lo aveva attraversato come una nebbia, sbucando dall’altra parte. Dopo la sua espulsione, tuttavia, non aveva più avuto modo di usare quei sofisticati congegni.
   «Che ci vuole? È facilissimo» si disse. Vedendo che Naskeel aveva smesso di sparare, si fece avanti e applicò gli Sfasatori, disponendoli ai vertici di un’ipotetica porta. Uno in alto a destra... uno in alto a sinistra... uno in basso a sinistra... uno in basso a destra...
   Fu allora che il Colonnello Oisin apparve in fondo al corridoio, in testa alla squadra di rinforzo. Vide gli invasori davanti al portone: il suo sguardo si appuntò su Shati, che in quel momento gli volgeva le spalle e si chinava per applicare l’ultimo Sfasatore. Il Kriosano reagì in automatico: mirò alla Caitiana accucciata e fece fuoco, colpendola alla base della colonna vertebrale.
   Shati emise un grido lacerante, mentre il dolore la sommergeva, risalendo la spina dorsale fino al cervello. Le gambe le cedettero e cadde in avanti, faccia a terra. Subito infuriò la sparatoria, con il resto della squadra costretto a nascondersi nelle nicchie ai lati del portone.
   «Mi dispiace, gattina, ma non saresti dovuta tornare» si disse il Colonnello, osservando il corpo inanimato della Caitiana. Se anche non l’aveva uccisa, grazie alla sua tuta semicorazzata, un colpo del genere poteva lasciarla paralizzata dalla vita in giù per il resto dei suoi giorni.
   Vedendo le condizioni di Shati, qualcosa scattò in Naskeel. Il Tholiano prese a vibrare ed emise un fischio acutissimo, che pareva generato da tutta la sua struttura cristallina. Era un fischio così stridente, così insopportabile che tutti i contendenti dovettero interrompere la sparatoria e tapparsi le orecchie. I Kriosani in particolare, pur essendo più lontani, sembravano maggiormente vulnerabili a quella frequenza sonora.
   Naskeel non perse tempo. Approfittando del disorientamento nemico, balzò allo scoperto e corse in avanti, stordendo un Kriosano dopo l’altro. Il suo primo attacco fu diretto al Colonnello Oisin, che fu colpito al fianco e cadde faccia in avanti. Gli altri avventurieri ebbero la prontezza di unirsi all’assalto, impedendo agli avversari di raccattare il loro Colonnello: tutti quelli che ci provarono furono a loro volta neutralizzati. I pochi Kriosani ancora in piedi batterono in ritirata, sopraffatti dal fischio insopportabile, nonché dal terrore per il mostro che gli veniva addosso e per la caduta di Oisin.
   Giunto all’incrocio dei corridoi, il Tholiano si fermò. Spingersi più lontano di così sarebbe stato controproducente, perché avrebbe permesso ai Kriosani di frapporsi ancora tra loro e la sala macchine. «Fermi, attestiamoci qui» disse ai compagni. Notando il Colonnello che giaceva stordito a terra, lo afferrò per il collo e lo rialzò, sbattendolo contro la paratia. Lo shock fu sufficiente a farlo risvegliare.
   «Che razza di mostro sei?!» ansimò Oisin, cercando vanamente di liberarsi.
   «Sono l’Ufficiale Tattico della Destiny» si presentò Naskeel. «Tu ordinerai alle tue truppe di ritirarsi. Poi aprirai il portone che conduce in sala macchine. Infine ci permetterai di andarcene col dilitio. Fai questo e avrai salva la vita» promise.
   «Non farò nessuna di queste cose, pezzo di dren» boccheggiò il Colonnello.
   «Allora ci servirai come scudo» ribatté il Tholiano. Se fino a quel momento gli aveva permesso di reggersi in piedi, ora lo sollevò di peso per il collo, lasciandolo sgambettare a mezz’aria.
   «Mai arrendersi... mai piegarsi...» rantolò il Kriosano. Si aggrappò al braccio di Naskeel per sorreggersi, così che il peso del corpo non gravasse tutto sul collo. «Ho ordinato ai miei di... sparare in ogni caso...» rivelò, col viso congestionato e gli occhi iniettati di sangue.
   «Il Capitano Rivera mi ha ordinato di non uccidere nessuno» rivelò il Tholiano, fissandolo con gli occhi sulfurei. «Ma come dicono gli Umani, gli incidenti accadono». Serrò la presa sempre più forte, finché le vertebre cervicali del Colonnello si frantumarono con schiocchi raccapriccianti. Allora lo gettò via come un vecchio straccio e tornò da Shati, per verificare se era viva o morta.
 
   «Getta il fucile» ordinò Corinna, premendo il disgregatore contro la schiena di Rivera. «Gettalo là sotto» aggiunse, accennando al pozzo di controllo che circondava il nucleo. Era un avvallamento profondo un paio di metri. Una scaletta portava sul fondo, dove si trovavano alcuni controlli d’emergenza. Era da lì che si poteva accedere alla camera del dilitio, estraendo il prezioso minerale.
   Minacciato alle spalle, il Capitano fu costretto a obbedire. Una dopo l’altra gettò tutte le sue armi: il fucile polaronico, il phaser e per ultima la frusta neurale. Tutti e tre i congegni sferragliarono nell’atterrare due metri più sotto. Non era una caduta tale da metterli fuori uso, ma Rivera disperava di riuscire a riprenderli. Sentì che il disgregatore non gli premeva più contro la schiena, segno che Corinna si era allontanata un poco.
   «Ora girati, lentamente!» ordinò la Kriosana.
   «Perché, il tuo stupido onore t’impedisce di spararmi alla schiena?» chiese l’Umano.
   «Non ti sparerò, a meno che tu non faccia mosse sconsiderate» rispose Corinna. «Però ti assicurerò alla giustizia, ci puoi giurare».
   Il Capitano si voltò con lentezza, finché vide in faccia l’ex amante. E vide il disgregatore stretto nel suo pugno. Il viso della Kriosana era freddo come il marmo, congelato in una smorfia di gelido disprezzo. «Sai cosa succederà, se mi fai arrestare» disse Rivera con voce roca. «Fra poche ore Thalassa abbandonerà il Vuoto. Il pianeta svanirà... mentre io resterò. Mi stai condannando a morte!» recriminò.
   «Dovevi pensarci prima di tornare» rispose Corinna, implacabile. «Ma guardati, Capitano Rivera! Davvero pensavi che portarmi a letto mi avrebbe indotta a divenire tua complice? Devi avermi considerata una completa idiota. Cosa provi a vedere che ti sbagliavi?!». L’espressione rimase dura, ma gli occhi erano velati di lacrime.
   «Tutto quel che c’è stato fra noi era vero. Non ho mai avuto intenzione di servirmene ad altri fini» affermò l’Umano.
   «E ancora menti!» gridò la Kriosana, ferita nel profondo. «Ah, i Pacificatori avevano ragione a dire che non ci si può fidare di voi Umani. Solo adesso capisco cosa intendessero. Prima hai cercato di derubarci con l’inganno, ora con la violenza. Ma hai fallito due volte e ora pagherai, Rivera! Il tuo tempo sta per scadere» minacciò.
   In quella si udì, da oltre il portone, un fischio acutissimo, così graffiante da far accapponare la pelle. Era il grido di Naskeel, che in quel momento attaccava i Kriosani. Corinna si voltò istintivamente, temendo un attacco da quella direzione. Invece Rivera, che aveva il portone di fronte, vide subito che era ancora chiuso. E approfittò della distrazione di Corinna per scattare contro di lei.
   L’Umano afferrò la Kriosana per il polso, torcendolo con tutta la forza che aveva, tanto da costringerla a mollare il disgregatore. Non appena l’arma cadde a terra, Rivera la colpì con un calcio, gettandola a far compagnia alle altre in fondo al pozzo di controllo. Per un attimo s’illuse di aver prevalso. Poi Corinna reagì con furia indescrivibile.
   Liberatasi il polso con uno strattone, la Kriosana colpì l’Umano con una serie di pugni al plesso solare. Ne mise a segno sei o sette, in rapida successione. Rivera si piegò in avanti, col fiato mozzo; ma era solo l’inizio. Corinna lo colpì con un micidiale calcio sotto la cintura, strappandogli un grido lancinante. Poi gli assestò un calcio rotante, colpendolo sul lato della testa. Il Capitano fu gettato a terra, mezzo stordito e con la tempia sanguinante. Allora Corinna si avventò su di lui, sferrandogli un colpo alla gola col taglio della mano. Un colpo del genere, se messo a segno, gli avrebbe spezzato la trachea, mettendo fine al combattimento. Ma la Kriosana non mise a segno quel colpo.
   Riavendosi dallo stordimento, Rivera vide il pericolo e rotolò a terra, mettendosi fuori tiro. Corinna non fece in tempo a fermarsi: la sua mano colpì a tutta velocità il pavimento di duranio. Si udì un secco thud, seguito dal grido di dolore della Kriosana. Ed era solo l’inizio della riscossa. Perduto l’ultimo briciolo di controllo, Rivera si lanciò in un assalto senza quartiere. Essendo ancora a terra, con Corinna praticamente sopra di lui, l’afferrò per i capelli e la tirò in avanti, facendole sbattere la fronte contro il pavimento. Thud. Poi le puntò i piedi contro lo stomaco e fece forza con le gambe, scagliandola all’indietro.
   La Kriosana atterrò malamente di schiena, lasciandosi sfuggire un lamento, ma si rialzò con prontezza. Nei suoi occhi ardeva una furia omicida. «Ti ammazzo, carogna!» gridò. Nello stesso momento anche Rivera balzò in piedi, non meno inferocito. In mancanza delle armi tornarono a scontrarsi a mani nude, con furia bestiale, decisi a distruggersi reciprocamente.
   Fu uno scontro violentissimo, perché entrambi intendevano vincere a qualunque costo, incuranti del dolore. Rivera ricevette almeno una ventina tra calci e pugni. Ma li restituì tutti, e l’ultimo pugno scaraventò Corinna all’indietro, col setto nasale fratturato. Il Capitano barcollò e si guardò attorno, mezzo accecato dal dolore, in cerca delle sue armi. Le intravide in fondo al pozzo di controllo. Senza perdere tempo a scendere la scaletta, balzò giù. L’impatto fu duro e l’Umano, già in condizioni precarie, rotolò a terra, fermandosi in posizione supina. Alzando gli occhi, vide Corinna che si tuffava a sua volta nel pozzo con un urlo belluino. Se gli fosse piombata addosso da quell’altezza, gli avrebbe spezzato il collo.
   La mano di Rivera annaspò, in cerca di un’arma. Finalmente riuscì ad afferrarne una: era la frusta neurale. Senza perdere un solo istante, l’attivò e sferrò un colpo a piena potenza. La sferzata intercettò Corinna a mezz’aria, deviando la sua traiettoria tanto da farla sbattere contro lo sportello della camera del dilitio.
   Thud!
   La Kriosana rimbalzò come una bambola disarticolata e cadde a terra, macchiando il pavimento di sangue. Da lì non si mosse più.
   Dolorante da capo a piedi, Rivera si rialzò faticosamente, aiutandosi con ambo le mani. Zoppicò verso Corinna, per vedere se era ancora viva. Incredibilmente era viva e cosciente, anche se pareva avere una spalla lussata per l’urto contro lo sportello. I suoi occhi si fissarono sul Capitano, mettendolo a fuoco con fatica. «Perché... mi fai... questo?!» mugolò con voce rotta. Saliva mista a sangue le colava da un angolo della bocca.
   «Perché non ho avuto scelta. Se tu vinci, trecento persone sotto la mia responsabilità muoiono. E tu lo sai bene! Ecco perché non devi vincere» disse Rivera, sputacchiando sangue. Levò la frusta neurale e dette una seconda sferzata, colpendola in pieno. Solo allora la Kriosana fu completamente stordita.
   Scese il silenzio, a eccezione delle pulsazioni ritmiche del nucleo. L’Umano alzò lo sguardo e si vide riflesso sulla superficie levigata del reattore. Il suo viso era tumefatto in modo grottesco, ma non era questo a turbarlo. Aveva appena frustato e picchiato a sangue la donna che amava. Mai nella vita aveva immaginato di agire con una violenza così atroce, così scellerata, così imperdonabile. Come avrebbe fatto a guardarsi allo specchio, d’ora in poi? Cosa doveva pensare di se stesso? Eppure ciò che aveva detto era vero: l’alternativa era la morte per tutto il suo equipaggio.
   Con un sospiro che sfociò in lamento, il Capitano spense la frusta neurale e la riagganciò in cintura. Poi inserì l’ultimo ordine nella piccola consolle di sicurezza e aprì la camera del dilitio, mettendo a nudo i preziosi cristalli.
   Risuonò un allarme e le pulsazioni del nucleo cessarono, come un cuore che cessa di battere. La sua luce azzurrina si estinse, gettando la sala macchine nell’oscurità, eccezion fatta per qualche faretto d’emergenza. Il blackout era iniziato.
 
   Nell’orbita di Thalassa la situazione era ormai in mano alla flottiglia della Destiny. I caccia Viper erano distrutti fino all’ultimo, mentre le navette kriosane danneggiate avevano dovuto ritirarsi, salvo un paio che erano state abbattute. Gli avventurieri avevano appena rivolto l’attenzione all’isola sotto di loro che la videro spegnersi. Le luci della città svanirono, come anche la ragnatela luminosa che la collegava ai villaggi minori. L’emisfero notturno piombò nella completa oscurità.
   «Questo blackout può significare una cosa sola: la squadra ce l’ha fatta» disse Talyn, analizzando la centrale. «Le emissioni energetiche del nucleo sono azzerate. Il campo di dispersione non c’è più. Possiamo inviare rinforzi direttamente in sala macchine».
   «Lì ci sono due segni vitali» disse l’addetto al teletrasporto, scansionando l’area. «Uno è del Capitano, mentre l’altro è Kriosano, assai debole. Il resto della squadra sembra bloccato fuori. Un momento... i segni vitali di Shati sono critici!» si allarmò.
   «Portala a bordo! Prendi tutti!» ordinò Giely, che partecipava alla missione in previsione di un momento come quello.
   La pedana del teletrasporto s’illuminò, materializzando la squadra. Fra tutti spiccava Naskeel, che reggeva tra le braccia il corpo inanimato di Shati. «È stata colpita da un disgregatore alla spina dorsale» riferì subito il Tholiano.
   «Seguimi, non c’è tempo da perdere!» disse Giely. Guidò Naskeel al comparto cucina, che era stato attrezzato come un’infermeria improvvisata, con un bio-letto al posto del tavolo e armadietti degli strumenti ammucchiati ai lati. Il Tholiano distese delicatamente la Caitiana sul lettino, poi si ritirò di qualche passo, mentre Giely la esaminava per accertarne le condizioni. Fatta una rapida diagnosi, la dottoressa prese l’Emettitore Autonomo e lo attivò, materializzando il Medico Olografico d’Emergenza.
   «Specificare la natura dell’emergenza medica» disse l’MOE, comparendole a fianco. Anche se era un dono dei Kriosani, era stato realizzato dalla Flotta Stellare, per cui conosceva nel dettaglio la fisiologia caitiana. Quanto al suo aspetto fisico, replicava le fattezze degli antichi Proto-Umanoidi, così da apparire super partes in ogni confitto.
   «Trauma da disgregatore alle vertebre lombari, con compromissione del midollo spinale» disse Giely, mentre somministrava un potente anestetico alla paziente. «Io non sono un chirurgo, quindi dovrai operare tu. Posso farti solo da infermiera» disse, porgendogli il vassoio degli strumenti.
   «Sono pronto» disse l’MOE, prendendo un bisturi laser.
   «Shati sopravvivrà?» chiese Naskeel, che stava osservando attentamente l’operazione.
   «Eh? Certo, se la caverà» disse Giely, porgendo uno strumento dopo l’altro al Medico Olografico mentre questi operava. «La domanda è se camminerà ancora» precisò.
 
   Risalito a fatica dal pozzo di controllo, reggendo la vaschetta con il prezioso dilitio, il Capitano si trovò circondato dai bagliori del teletrasporto. Non reagì, sapendo che se erano i Kriosani non aveva scampo. Ma per sua fortuna, ad apparire furono i colleghi della Destiny. C’era gran parte della squadra che lo aveva seguito fin lì, oltre ad alcuni elementi di rinforzo. Vi erano anche Irvik e Talyn, che dovevano prendere il dilitio.
   «La flottiglia nemica è neutralizzata, le squadre per ora sono respinte» riferì Naskeel. Non menzionò la morte di Oisin, per non dover fornire dettagli.
   «Muy bien. Shati non è con voi?» chiese Rivera, notando la sua assenza.
   «È rimasta ferita gravemente. Il Medico Olografico la sta operando» rispose il Tholiano.
   Il Capitano s’incupì a questa notizia, ma cercò di restare concentrato sul dovere. «Questo è il dilitio del nucleo, ma la missione non è ancora finita. Dobbiamo cercare il resto, quello delle scorte. I Kriosani possono averlo nascosto ovunque sul pianeta. Ora che non c’è più il campo di smorzamento sarà più facile da rilevare...» ragionò.
   «Non serve cercare lontano» disse Talyn, che stava esaminando l’ambiente col tricorder. Si accostò ai container in fondo al salone e ne scoperchiò uno, rivelando i cristalli al suo interno. «Le riserve di dilitio sono ancora qui» confermò.
   «Uhm, strano che non le abbiano nascoste meglio» commentò Irvik, avvicinandosi per analizzare i cristalli.
   «Non così strano, in realtà» commentò Rivera. «Il dilitio è facile da rilevare, per cui lo avremmo trovato anche altrove. Questo era il luogo più difeso della colonia, quindi aveva senso tenerlo qui. E poi è coerente con la mentalità da “tutto o niente” dei Kriosani» ragionò. «O forse temevano che, arrivati a questo punto, li bombardassimo per avere anche il resto» si disse. Quale che fosse la realtà, era il momento di andare.
   Razziato tutto il dilitio, sia dal nucleo che dai container, gli avventurieri si fecero teletrasportare sul Centurion col prezioso bottino. Si lasciavano dietro una centrale semidistrutta e una città duramente colpita, in preda al disordine e al terrore. Tutti i caccia e le navicelle kriosane erano distrutte, così che i coloni non potevano nemmeno inseguire coloro che li avevano derubati. Informato che il Colonnello Oisin era stato trovato col collo spezzato, mentre sua nipote Corinna era in fin di vita, il Governatore si coprì il volto con le mani, ritirandosi nel suo studio. Qui singhiozzò per tutto il male che avevano ricevuto dai visitatori; infine prese una decisione.
 
   Tornato sul Centurion, Rivera ordinò alla flottiglia di radunarsi a una certa distanza da Thalassa, appena fuori dall’interfase di spazio. Lì rimasero in attesa, senza proseguire verso la Destiny. Il Capitano si recò nell’infermeria improvvisata, dove vide Shati sotto i ferri. Era un’operazione delicata e il Medico Olografico non volle sbilanciarsi sull’esito. All’Umano non restò che prendere un rigeneratore dermico e passarselo sulle ferite. Tornato in cabina, chiese un rapporto sulla situazione.
   «I Kriosani non ci inseguono. Le analisi erano corrette, non hanno più navette» rispose Talyn. «Tra poco sarà l’alba in città, e tutto il pianeta dovrebbe svanire nell’interfase».
   «Non perdiamoci lo spettacolo. Non credo che lo rivedremo più» commentò Rivera, sedendo sulla poltroncina del pilota con una smorfia di dolore. I colpi subiti da Corinna dolevano ancora, e certo in quel momento lei non stava meglio.
   «Ci chiamano dal palazzo governativo» riferì Talyn di lì a qualche minuto.
   «Sullo schermo» borbottò il Capitano, di malumore.
   Apparve il Governatore Sirran, più duro e disgustato che mai. «Ebbene, sarete fieri di voi. Il vostro vile furto è andato a buon fine. Avete il bottino che volevate, mentre il mio popolo piange e seppellisce i morti».
   «Non ci sarebbero state lacrime né vittime, se ci aveste consegnato il dilitio» ribatté il Capitano. «Il vostro stupido orgoglio ci ha condotti a questo».
   «No, sono state la vostra avidità e la vostra violenza. E io non lascerò che siano ricompensate!» ribatté il Governatore con fermezza. «Capitano Rivera, la informo che ho preso una decisione. Quando saremo tornati nella Via Lattea, non informeremo la Flotta Stellare di questi eventi. Non racconteremo cos’è accaduto alla Destiny e al suo equipaggio originale, né parleremo di voialtri impostori. Faremo conto di non avervi mai incontrati. Così sarete condannati a vagare nel Multiverso, senza ricevere alcun aiuto, finché qualcuno o qualcosa vi distruggerà. Questa è la ricompensa per la vostra vittoria!» sentenziò.
   «Parlerete almeno della minaccia Undine?» chiese Rivera.
   «No, dal momento che la Flotta vorrebbe sapere come ne siamo informati, e questo ci costringerebbe a rivelare anche il resto» rispose Sirran.
   «Allora non si atteggi a giustiziere, Governatore» ammonì il Capitano. «La sua è solo una vendetta meschina, che mette a rischio miliardi d’innocenti. Tutto per soddisfare il suo piccolo ego!» disse, e troncò la comunicazione.
 
   Passò altro tempo, finché sull’unica isola di Thalassa spuntò l’alba. Fu un’aurora pallida, perché il cielo era offuscato dai fumi delle esplosioni. Allarmi e lamenti risuonavano ancora nella città colpita. Visto dallo spazio, il pianeta non aveva perso la sua bellezza; ma a un tratto prese a impallidire. L’oceano globale azzurro divenne grigiastro, mentre i contorni dell’isola si facevano incerti e sfocati.
   «Il trasferimento è cominciato» confermò Talyn, analizzando lo spazio antistante. «Il sole e i tre pianeti stanno tornando nel nostro Universo». Mentre parlava anche la stella impallidì. La sua luce divenne sempre più fioca, come se si spegnesse lentamente.
   «Navette 1 e 2, avanzate» ordinò Rivera, volendo fare un ultimo esperimento. Le due navette partirono a velocità impulso, entrando nell’area d’interfase. Se fossero impallidite, era il segno che tutti loro potevano approfittare del fenomeno per tornare a casa. Altrimenti i Kriosani avevano ragione e il trasferimento gli era precluso.
   Passarono i secondi. La stella e i tre pianeti erano sempre più fiochi e sfocati, come acquerelli dilavati dalla pioggia. Le navette della Destiny invece erano sempre lì, con i contorni netti e definiti. I Kriosani avevano detto il vero: gli avventurieri erano giunti troppo di recente perché l’interfase facesse presa su di loro. Rivera chinò il capo, deluso dall’ennesima speranza infranta. Infine la luce solare svanì del tutto e le tenebre del Vuoto inghiottirono la flottiglia. Thalassa e il suo popolo se n’erano andati; non avrebbero fatto ritorno per i prossimi quarant’anni.
   «Capitano a flottiglia, torniamo alla Destiny. Non abbiamo più nulla da fare qui» ordinò stancamente Rivera. Dopo di che lasciò la postazione del pilota a un sostituto e andò a riposare in una delle cuccette.
 
   Il ritorno alla Destiny fu agrodolce. Sul versante positivo, i cristalli di dilitio furono subito messi in funzione, restituendo piena energia all’astronave. Dopo un mese di austerity, in cui ogni minima attività doveva passare al vaglio della sostenibilità energetica, fu una svolta gradita. La nave fu di nuovo illuminata, con tutti i sistemi a piena potenza: dai replicatori ai ponti ologrammi, dal teletrasporto alla propulsione. Anche l’infermeria ebbe di nuovo piena energia, e questo fu un bene, perché ce n’era bisogno.
   Risvegliatasi dal coma farmacologico, Shati si guardò attorno e riconobbe una saletta di degenza della Destiny. Dunque era al sicuro; ma era anche il segno che era rimasta a lungo priva di sensi. La memoria le tornò a sprazzi: la battaglia nella centrale, il suo ferimento. Provava ancora un dolore sordo alla base della spina dorsale, dove il disgregatore l’aveva colpita. Girando un poco la testa, la Caitiana notò la dottoressa Giely che le sedeva accanto.
   «Ben svegliata» la salutò la Vorta.
   «Abbiamo vinto?» fu la prima domanda di Shati.
   «Il dilitio è in mano nostra e l’energia è ripristinata» confermò la dottoressa. «Thalassa è sparito, siamo di nuovo soli nel Vuoto» aggiunse.
   «Ah. Quanto... quanto ho dormito?» mormorò la Caitiana. Si sentiva ancora debole, dolorante e molto confusa.
   «Tre giorni» rivelò Giely. «Sai, abbiamo dovuto metterti in coma farmacologico mentre ti operavamo».
   «Abbiamo?».
   «Io e il Medico Olografico. È una fortuna che i Kriosani ce l’abbiano dato, altrimenti le cose si sarebbero messe male per te. L’altra fortuna è stata la tuta da combattimento, che ha assorbito gran parte del colpo» spiegò la dottoressa. «Anche così, le tue condizioni erano serie. Hai subito un trauma alla base della spina dorsale...».
   A quelle parole Shati si agitò. «Tornerò a camminare?!» chiese. Per una sportiva come lei era inimmaginabile trovarsi costretta su una sedia a rotelle, o ingabbiata in un esoscheletro di sostegno. Cercò di alzarsi dal lettino, ma aveva ancora un gran dolore alla base della schiena.
   «Calmati» la esortò Giely, costringendola a riadagiarsi. «Il danno al midollo spinale è stato riparato. Con qualche mese di fisioterapia recupererai la piena mobilità, vale a dire che tornerai a correre e saltare come prima. C’è solo un’altra conseguenza che invece temo sia senza rimedio...» aggiunse inaspettatamente.
   «Quale?» rabbrividì Shati.
   «Forse è meglio se riposi, prima che ne parliamo...».
   «No, voglio saperlo adesso! Cos’ho che non va?!» gridò la Caitiana, sempre più agitata.
   «Niente che comprometta la tua salute. Potremmo definirlo un danno estetico...» disse la Vorta, chinandosi a raccogliere una cassetta lunga e stretta.
   Shati si alzò per quanto le riusciva e spinse lo sguardo dentro la scatola. Ciò che vide la destabilizzò nel profondo. Perché all’interno della cassetta c’era la sua coda felina, ripiegata per farcela stare tutta. A quella vista la Caitiana si tastò istintivamente il fondoschiena, trovando conferma della sua mutilazione. «La mia coda! La mia povera coda...» gemette. Per qualche secondo andò in iperventilazione, tanto che dovette fare dei respiri profondi per calmarsi.
   «Sono dolente» disse Giely. Chiuse la cassetta e andò a riporla su un comò.
   «Non me la puoi riattaccare?!» chiese Shati, col cuore in tumulto.
   «Io no di certo, dato che non sono un chirurgo» avvertì la dottoressa. «L’MOE forse potrebbe, ma ha detto che sarebbe un’operazione difficile e dall’esito incerto. Realisticamente parlando, non riavresti la mobilità della coda. Il suo parere medico è che sia meglio rinunciare. Del resto ci sono molti Caitiani che hanno perso la coda, e nonostante ciò conducono vite perfettamente normali...».
   «Col cavolo! Tu rinunceresti facilmente a un braccio o una gamba?!» protestò Shati.
   «Tu hai ancora braccia e gambe. La tua vita non sarà diversa rispetto a quella di tutti noi che siamo nati senza coda» obiettò la Vorta, cercando di consolarla.
   «Ma una Caitiana senza coda è... è... brutta!» si disperò Shati. «Nessun maschione mi vorrà più!».
   «Considerato che non ci sono Caitiani di sesso maschile a bordo, il problema è rimandato a se e quando torneremo» puntualizzò Giely.
   «Ah certo, per te è una bazzecola! Voi Vorta siete praticamente asessuali, dico bene?!» protestò la timoniera.
   «Dici benissimo. In ogni caso, ribadisco che la perdita della coda è un danno puramente estetico, che non inficia in alcun modo il resto dell’organismo» chiarì la dottoressa. Lasciò la camera di degenza, per consentire alla paziente di venire a patti con la realtà.
 
   Nei giorni successivi la vita di bordo tornò gradualmente alla normalità. I feriti furono dimessi dall’infermeria, mentre negli hangar fervevano i lavori per riparare le navette danneggiate. Il Centurion aveva pochi danni, pur essendosi trovato al centro della battaglia, e fu riparato per primo. Ora che avevano constatato la sua potenza, gli avventurieri volevano tenerlo in ottime condizioni.
   Anche Shati fu dimessa dall’infermeria e tornò in servizio, con nuovi abiti adatti alla sua condizione di senza-coda. La Caitiana si era fatta più cupa e taciturna. Se mai si fosse trovata di nuovo coinvolta in una sparatoria, c’era da credere che sarebbe stata meno avventata. Per il momento comunque aveva ben poco da fare, perché la Destiny restava stazionaria. Toccava al Capitano decidere quando riprendere l’esplorazione del Multiverso. Ma i giorni passavano e Rivera si mostrava raramente all’equipaggio. Quando non era nel suo alloggio trascorreva il tempo nel suo ufficio, salutando a malapena gli ufficiali nei momenti in cui transitava dalla plancia.
   «È in preda a una terribile melanconia» disse Irvik a Losira, quando ne discussero in sala mensa. «Ci parli lei, che lo conosce da tempo. Cerchi di scuoterlo!» consigliò.
   «Ci proverò» sospirò la Risiana, pur sapendo che non sarebbe stato facile. Il Capitano era depresso per la battaglia e lei era una di quelli che avevano più insistito per sferrare l’assalto.
 
   Sentendo il cicalino della porta, Rivera non rispose. Rimase ostinatamente zitto, anche quando il segnale si ripeté con insistenza per un intero minuto. Ma quando sentì bussare, perse la pazienza. «Avanti!» ordinò seccamente.
   Entrò Losira, che pur essendo tornata agli abiti civili aveva un aspetto più morigerato del solito, come se qualcosa della Flotta le fosse rimasto appiccicato. «Capitano, devo parlarti» esordì.
   «Sentiamo» fece lui.
   «So che stai soffrendo per via della battaglia. E soffri ancora di più perché amavi Corinna e hai dovuto lasciarla nel peggiore dei modi» disse la Risiana. «Il fatto è che, per quanto siano terribili queste cose, tu non ne hai colpa».
   «Ah, no? L’ultima volta che ho visto Corinna abbiamo avuto una colluttazione. Ho dovuto picchiarla e frustarla per metterla fuori combattimento. Pensi davvero che non abbia colpa?» chiese Rivera.
   Losira tacque un poco, impressionata. «Se c’è colpa, allora la condividiamo tutti quanti. Ti abbiamo messo in una situazione senza alternative» disse infine. «Forse, se fossimo stati più bravi nella recita, i Kriosani non avrebbero scoperto chi siamo e tutto sarebbe filato liscio...».
   «No, la recita è parte del problema» sospirò il Capitano. «Avrei dovuto ascoltare Irvik ed essere onesto fin da subito. Invece ho cercato la via più facile... finendo per rendere le cose più dolorose per tutti».
   «Hai solo cercato di salvare il tuo equipaggio, come fa ogni buon Capitano. E ci sei riuscito: abbiamo di nuovo energia» lo confortò la Comandante.
   «Già, ma siamo ancora dispersi nel Multiverso. Ed essendo in rotta coi Kriosani, loro non parleranno di noi alla Flotta Stellare. Il che azzera le possibilità che qualcuno venga ad aiutarci!» sbottò Rivera, divorato dai rimorsi.
   «Pensi che i federali sarebbero venuti?» chiese Losira, un po’ scettica.
   «Per recuperare la nave, certo!» rispose il Capitano. «Con noi sarebbero stati poco teneri. Sai, comincio a chiedermi se in fondo non abbiamo meritato questo esilio» aggiunse, più malinconico. «Da dove veniamo, tutti ci odiano e ci danno la caccia. Forse è un bene se non torniamo indietro. Nessuno sentirà la nostra mancanza, anzi molti ne saranno felici».
   «Posso darti un consiglio, Capitano? Non lasciare che siano le opinioni altrui a definirci, perché gli altri sono più piccoli e meschini di quanto vogliano ammettere. Ci fanno la predica, ma al nostro posto avrebbero agito come e peggio di noi» sostenne Losira. «I Kriosani, ad esempio, volevano sacrificarci non certo per proteggere chissà quale tesoro insostituibile, ma solo per lenire il loro orgoglio ferito. Hanno fatto i bastardi e noi li abbiamo legnati; magari tocca a loro mettersi in discussione!».
   «Quindi vorresti che ci auto-assolvessimo?» chiese Rivera, con una smorfia ironica.
   «Vorrei solo che ti mettessi il cuore in pace» chiarì la Risiana. Posò le mani sulla scrivania, sporgendosi in avanti così da essergli più vicina. «Ti sei trovato in una situazione impossibile e hai scelto il male minore: salvare l’equipaggio procurando solo un piccolo incomodo ai Kriosani. Se poi loro l’hanno trasformata in una battaglia campale, ebbene, è stata una loro scelta e ne hanno pagato le conseguenze. Gli incidenti accadono, per quanto ci sforziamo d’evitarli!».
   «Già, gli incidenti accadono» convenne l’Umano. Era un po’ il leitmotiv della sua vita.
   «E se quei bigotti non parleranno di noi alla Flotta Stellare per ripicca, pazienza! Ho fiducia che un giorno torneremo indietro, con o senza aiuti» dichiarò Losira. «E adesso torna in plancia, Capitano: l’equipaggio ha bisogno di vederti».
   «Chi sono io per deludere l’equipaggio?» sospirò Rivera, lasciando la poltrona dell’ufficio. Seguì la Risiana in plancia, per riprendere il comando della Destiny. La loro odissea nel Multiverso era appena iniziata. 

 
   
 
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