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Autore: Josy_98    11/10/2022    0 recensioni
Quando Chirone la costrinse ad iscriversi alla Yancy Academy per aiutarlo a tenere d'occhio un probabile mezzosangue particolarmente potente, Avalon sapeva già che fosse una pessima idea. Ne era certa. E glielo disse, convinta più che mai che fosse una mossa totalmente sbagliata e che tutto sarebbe cambiato. Non necessariamente in meglio.
Da anni, infatti, tentava in tutti i modi di restare nell'ombra, lasciando ad altri il compito di occuparsi dei problemi divini, far avverare profezie e compiere imprese, limitandosi ad osservare il tempo scorrere senza interferire e rimanendo in disparte nonostante i diversi tentativi degli altri - mortali e divini - di coinvolgerla in ogni modo.
Purtroppo, però, quella volta non riuscì a restarne fuori come avrebbe voluto.
E, quando le cose si complicheranno, Avalon tenterà in tutti i modi di non distruggere quell'intricato lavoro che ha portato avanti in quegli anni, cercando inevitabilmente di salvare quel flebile e incerto futuro in cui lui sopravvive. Con la paura di non riuscirci.
Perchè, Avalon lo sapeva, lei aveva sempre ragione. Finchè non prendeva una decisione.
|Riscritta!|
|Allerta Spoiler!!|
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Castellan, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il mattino dopo, Percy si trasferì nella casa numero tre.
Non doveva condividerla con nessuno essendo l’unico figlio di Poseidone, e questo significava che aveva un sacco di spazio per le sue cose, un tavolo tutto per sè a cena, si sceglieva da solo le attività, decideva lui quando fosse ora di spegnere le luci, e non doveva rendere conto a nessuno. In pratica era come me. Beh… quasi.
Ed era al culmine della depressione.
Proprio quando aveva cominciato a sentirsi accettato, a sentire che aveva trovato una casa nella capanna undici e che poteva essere un ragazzo normale – o perlomeno normale nei limiti di un mezzosangue – gli altri lo avevano tagliato fuori come un appestato. Me l’aveva raccontato dopo aver visitato la sua nuova casa, venendo a farmi visita in infermeria, dove ero stata costretta a rimanere fino all’ora di pranzo quando, dopo svariate preghiere da parte mia, Chirone aveva dato il suo benestare perché mi unissi a tutti gli altri al padiglione, mettendo fine anche alla lunga processione di ragazzi che venivano alla casa grande solo per vedere come stavo. Non ero rimasta sola un minuto, da quando tutti si erano svegliati, e Luke non si era mosso dal mio capezzale per tutta la notte in attesa che mi svegliassi. Era terribilmente preoccupato per me, si era spaventato davvero molto quando aveva visto le mie ferite, anche dopo che un figlio di Apollo mi aveva medicata usando nettare e ambrosia, e si era tranquillizzato solo quando mi aveva vista aprire gli occhi.
Avrei preferito si riposasse, invece che vegliare me come se stessi per morire. E quando mi ero svegliata e avevo tentato di convincerlo ad andare a dormire un po’, lui si era categoricamente opposto affermando che non voleva lasciarmi da sola – cosa pressochè impossibile con tutto quel via vai di gente che era iniziato all’ora di colazione con Annabeth e Grover – così lo avevo costretto a stendersi sul lettino con me e a chiudere gli occhi per qualche minuto. Inutile dire che si era addormentato come un sasso, stringendomi a sé come se fossi un peluche. O come se temesse di non ritrovarmi più al suo risveglio…
Travis e Connor non avevano fatto altro che sghignazzare per tutto il tempo, quando erano venuti a vedere come stavo, perché era raro vedere il fratello comportarsi come un bambino. Per loro era una specie di leggenda, sempre pieno di responsabilità, che non lo vedevano mai comportarsi come un ragazzo della sua età. Sembrava sempre più grande.
Quando, finalmente, fui libera di lasciare l’infermeria, non persi occasione per far notare a quei cretini semidivini dei miei compagni e amici quanto fosse idiota il loro comportamento nei confronti del Mollusco, affermando che erano solo degli idioti che non capivano niente. Ero l’unica a trattarlo come un ragazzo normale e Percy lo apprezzava davvero. Inoltre, data la mia parentela non proprio divina e le libertà che comportava, avevo cominciato a sedermi insieme a lui durante i pasti in maniera fissa, sorprendendo tutti gli altri ragazzi che, però, non si opposero a questa mia decisione di sospendere il mio tradizionale girare i tavoli a turno.
Nessuno nominava il segugio infernale, ma io sapevo che tutti ne parlavano alle spalle di Percy. L'attacco li aveva spaventati. Mandava due messaggi: primo, che Percy era figlio del dio del mare; e secondo, che i mostri non si sarebbero fermati davanti a nulla pur di ucciderlo. Avrebbero perfino potuto invadere un campo che era sempre stato considerato sicuro. Avrebbero persino attaccato me, infrangendo un patto che era stato stretto sotto richiesta diretta delle Parche.
Luke era ancora sconvolto dall’accaduto e cercava di separarsi da me il meno possibile. Era diventato la mia ombra. O una cozza. I fratelli Stoll, ovviamente, ne approfittavano per prenderlo in giro ogni volta che ci vedevano, su questo punto, perchè lo trovavano fin troppo protettivo. A volte tentavano anche di rassicurarlo, sostenendo che avevo ricevuto colpi ben più gravi di quelli del segugio infernale, ma lui sembrava non sentirli. Io ci avevo rinunciato in partenza, consapevole che niente gli avrebbe impedito di seguirmi fino a che non fosse stato sicuro che non corressi nessun pericolo. Il che significava che mi sarebbe stato appiccicato fino alla fine dei miei giorni, perché con la vita che facevamo era impossibile dirsi completamente al sicuro.
Appena ricominciai a girovagare per il campo, mi accorsi subito che gli altri ragazzi evitavano Percy il più possibile, come dei veri e propri citrulli. Quelli della casa undici erano troppo nervosi per allenarsi con lui dopo quello che aveva fatto alla banda di Ares nel bosco, perciò io chiesi a Luke di dargli lezioni individuali, ovviamente insieme a me dato che non si scollava quasi mai (avevo una tregua solo in bagno, dove lui non mi seguiva ma aspettava fuori. Come se avesse potuto succedermi qualcosa…). E lo facevamo lavorare sodo, senza risparmiarci. Doveva essere pronto.
«Ti servirà tutto l'allenamento possibile.» gli predisse Luke, mentre ci esercitavamo con le spade e le torce in fiamme. «Ora riproviamo quel colpo per decapitare i serpenti. Altre cinquanta volte.»
Percy mi aveva raccontato che la mattina Annabeth gli insegnava ancora il greco, ma sembrava distratta. Ogni volta che Percy diceva qualcosa, lei lo guardava male, come se le avesse appena ucciso la civetta. Diceva che dopo le lezioni se ne andava sempre via borbottando cose che lui non capiva. Io sapevo esattamente a cosa si riferisse ma rimasi in silenzio, in attesa dello sviluppo degli eventi.
Perfino Clarisse manteneva le distanze, anche se le sue occhiate velenose mettevano in chiaro che avrebbe voluto ammazzarlo per aver spezzato la sua lancia magica. Quando io ero nei paraggi, comunque, lanciava delle occhiatacce anche a me, perchè sosteneva che avrei dovuto dirle quello che sarebbe successo, anche se era comunque venuta a vedere come stavo mentre ero in infermeria.
Purtroppo non capiva che io ero fermamente determinata a non rivelare mai più niente del futuro che vedevo. A nessuno. O, più probabilmente, lei non lo accettava.
 

****

 
Capii che qualcuno del campo ce l’aveva davvero con Percy perché una sera, mentre facevo una passeggiata prima di andare a dormire, vidi Percy fermo sulla soglia della capanna tre con un giornale tra le mani e una faccia strana.
Quando mi avvicinai a lui, vidi che era una copia del “New York Daily News”, aperta sulla pagina della cronaca. Lui mi fece cenno di entrare e mi offrii di leggere l’articolo ad alta voce, essendo più abituata di lui alla dislessia tipica dei Mezzosangue: più leggevo, più Percy si arrabbiava, seduto sul suo letto accanto a me.
 
MADRE E FIGLIO ANCORA DISPERSI DOPO UN INSPIEGABILE INCIDENTE D'AUTO
Di Eileen Smythe
 
A una settimana dalla misteriosa scomparsa, Sally Jackson e suo figlio Percy sono ancora introvabili. La Camaro del '78 di famiglia, gravemente danneggiata dalle fiamme, è stata ritrovata sabato scorso in una stradina a nord di Long Island, con il tetto squarciato e l'asse anteriore rotto. La macchina si è ribaltata ed è scivolata per parecchi metri prima di esplodere.
Madre e figlio erano partiti per un weekend a Montauk, ma si sono allontanati in fretta, in circostanze misteriose. Piccole tracce di sangue sono state ritrovate in macchina e vicino alla scena dell'incidente, ma non ci sono altri segni dei dispersi. I residenti dell'area rurale non hanno riferito niente di insolito nella zona all'ora dell'incidente.
Il marito della signora Jackson, Gabe Ugliano, ha dichiarato che il figliastro, Percy Jackson, è un ragazzo difficile che è stato espulso da numerose scuole e che ha già manifestato tendenze violente in passato.
La polizia non ha voluto chiarire se il ragazzo è indagato per la scomparsa della madre, ma non lo ha nemmeno escluso.
Pubblichiamo qui di seguito delle foto recenti di Sally e Percy Jackson. La polizia invita chiunque abbia informazioni al riguardo a chiamare il numero verde della sezione anticrimine.
 
Il numero era cerchiato con un pennarello nero. Accartocciai il giornale e lo gettai via, mentre Percy rimase immobile.
«Percy…» tentennai.
Non sapevo cosa dirgli. Sicuramente non potevo accennare a ciò che sapevo, ma non potevo nemmeno andarmene e lasciarlo in quello stato o rimanere in silenzio continuando a guardarlo. Era arrabbiato, triste. Per di più nell’articolo non avevano accennato alla mia presenza nemmeno per sbaglio e questo non sapevo davvero spiegarmelo. Forse quel cucù del re degli Dei ci aveva messo lo zampino in qualche modo.
Alla fine sospirai e mi limitai ad abbracciarlo, avvolgendo le mani attorno al suo busto e stringendo forte quando lui appoggiò la testa nell’incavo della mia spalla, ricambiando la stretta.
«Puoi restare?» mi chiese avvilito, in un sussurro che sentii appena. «Per favore…»
Io sospirai di nuovo.
«Certo che posso.» risposi facendo stendere entrambi sul letto e continuando a tenerlo stretto.
In quel momento aveva bisogno di conforto, nient’altro.
«Spegnere le luci.» ordinai al suo posto.
Quella notte sognai di nuovo. Cosa di per sè assurda dato che, a differenza di tutti i semidei, io non sognavo mai, nemmeno per sbaglio. E ora facevo due sogni in due notti? Decisamente c’era qualcosa che non andava. La situazione doveva essere peggiore di quanto credessi. O, forse, stava per complicarsi ancora di più. Temevo che lo avrei scoperto a breve…
Correvo lungo la spiaggia in mezzo a una tempesta. Stavolta c'era una città alle mie spalle, ma non era New York. La conformazione era diversa: edifici radi e sparpagliati, palme e basse colline in lontananza.
A un centinaio di metri lungo la risacca, due uomini che riconobbi all’istante stavano combattendo. Sembravano due lottatori di wrestling della tv, muscolosi, con la barba e i capelli lunghi. Tutti e due indossavano delle ampie tuniche greche, una bordata di azzurro e l'altra di verde. Si avvinghiavano l'uno all'altro, lottavano, calciavano e tiravano testate. Ogni volta che si toccavano, un fulmine lampeggiava, il cielo si scuriva e si levava il vento. Zeus e Poseidone, ovviamente.
Dovevo fermarli. E sapevo benissimo il perché. Ma più mi sforzavo di correre, più il vento mi soffiava contro, finché non mi ritrovai a correre sul posto, i calcagni che scavavano invano nella sabbia.
Oltre il boato della tempesta, sentivo quel cretino di Zeus, ovviamente l’uomo con la tunica bordata in azzurro, che gridava a Poseidone: «Ridammela! Ridammela!»
Sembrava un bambino dell'asilo che litiga per un giocattolo.
Le onde si ingrossarono, infrangendosi sulla spiaggia, spruzzandomi di salsedine.
«Fermi! Smettete di battervi, imbecilli divini!» urlai.
La spiaggia tremò. Da un punto imprecisato del sottosuolo si levò una risata, e una voce profonda e malvagia mi fece gelare il sangue nelle vene.
«Interessante… Vieni giù, piccola bussola.» cantilenava. «Vieni giù!»
La sabbia sotto i miei piedi si divise, spalancando un cratere profondo fino al centro della terra. Scivolai e le tenebre mi inghiottirono.
Mi svegliai con la certezza di stare cadendo.
Ero ancora nel letto di Percy, nella casa numero tre, e il figlio di Poseidone sembrava nelle mie stesse condizioni. Lui aveva un’espressione sconvolta sul viso, mentre io ero principalmente confusa. Il corpo mi diceva che era mattina, ma fuori era buio e i tuoni rimbombavano fra le colline. Si stava preparando una tempesta. Ovviamente non era stato un semplice sogno, questo lo sapevo. Così come sapevo che quei due folli fratelli se le sarebbero date di santa ragione per almeno un altro secolo, se non avessimo risolto le cose. Ma perchè quella voce mi aveva chiamata in quel modo? Cosa voleva dire? Ma soprattutto: era davvero chi pensavo che fosse? E se era così… che diamine voleva da me?
Un calpestio di zoccoli all'esterno mi distrasse dai miei pensieri ed ebbi solo il tempo di mettermi in piedi e darmi una sistemata ai vestiti prima che qualcuno bussasse alla porta.
«Avanti.» disse Percy lanciandomi uno sguardo e mettendosi a sedere sul letto.
Grover trotterellò dentro, con la faccia preoccupata. «Il signor D vuole vederti.» disse a Percy prima di spostare lo sguardo su di me. «E tu che ci fai qui?»
Io feci un gesto con la mano. «Lunga storia.» minimizzai.
«Perché?» chiese Percy.
Grover ci studiò entrambi con lo sguardo, sospettoso. «Vuole uccid... cioè, è meglio che te lo dica lui.» rispose, alla fine.
Dissi a Percy che ci saremmo visti alla Casa Grande. Volevo accompagnarlo, sapevo quanto fosse agitato e da quanto aspettasse quella convocazione, ma prima avevo bisogno di cambiarmi, cosa che corsi a fare impiegando sì e no cinque minuti.
Essendo un figlio di uno dei Tre Pezzi Grossi, un dio che non avrebbe più dovuto averne, Percy sapeva che non sarebbe mai dovuto nascere. Così come lo sapeva il resto del mondo. E io sapevo che quelli là, gli Dei insomma, avevano discusso a lungo su cosa fare di lui. La maggior parte di loro voleva regalargli un viaggio di sola andata per gli Inferi, ma sapevo che non si sarebbero mai azzardati a fare un torno del genere a Zio Pesce. Volevo dire... Poseidone. Zio Uccello… chiedo scusa… Zeus, ovviamente, non era sicuramente d’accordo, ma Poseidone era suo fratello quindi doveva tenersi a freno. E poi lui non poteva esprimersi su questa faccenda, proprio per niente. E sapeva che io sapevo.
In ogni caso, Percy era sicuro di essere finito in un gigantesco problema. Ovviamente aveva ragione.
Pensavo proprio a quello mentre, sotto un cielo che sembrava pronto a esplodere, raggiungevo i miei amici proprio nel momento in cui Percy chiese a Grover se dovessero prendere l’ombrello.
«No.» risposi io facendogli notare la mia presenza mentre camminavamo verso la Casa Grande. «Qui non piove mai, a meno che non lo vogliamo.»
Percy indicò la tempesta, perplesso. «Quella che diavolo è, allora?»
Grover scrutò il cielo, imbarazzato. Io non lo degnai di uno sguardo, ero ancora arrabbiata con Zio Uccello.
«Ci girerà intorno. Lo fa sempre.» disse semplicemente il satiro.
Solitamente era così: il cielo non veniva mai nemmeno coperto dai temporali e le poche nuvole di pioggia che capitavano avevano sempre rasentato i confini della valle.
Ma quella tempesta era spaventosa. E qualcosa mi diceva che quella volta sarebbe stato diverso, anche se non ne ero sicura. Nel senso: non avevo visto niente, a parte l’odioso sogno di quella notte, ma avevo una sensazione e il comportamento del re degli Dei mi dava molto da pensare.
Nel campetto di pallavolo, i ragazzi della capanna di Apollo giocavano una partita mattutina contro i satiri. I gemelli di Dioniso passeggiavano per i campi di fragole, facendo crescere le piante. Tutti erano intenti alle loro faccende abituali, ma sembravano tesi. Anche loro tenevano d’occhio la tempesta. Anche loro sentivano qualcosa di diverso, quel giorno.
Io, Percy e Grover arrivammo davanti al portico della Casa Grande. Dioniso era seduto al tavolo del pinnacolo, con la camicia hawaiana tigrata e la Diet Coke, proprio come il primo giorno. Chirone gli stava di fronte sulla sua sedia a rotelle finta, era più semplice che occupare tutto il portico con il suo culo da cavallo. Stavano giocando una partita contro avversari invisibili: due mani di carte che fluttuavano a mezz’aria.
«Bene, bene.» esordì il signor D senza alzare lo sguardo. «La nostra piccola celebrità.»
Io alzai gli occhi al cielo mentre Percy rimase in silenzio.
«Avvicinati.» ordinò il signor D al mio amico. «E non aspettarti che ti faccia chissà che onori, mortale, solo perché il Vecchio Barba d'Alghe è tuo padre.»
Un reticolo di lampi illuminò le nuvole. Un tuono fece vibrare le finestre della casa.
«Bla, bla, bla.» motteggiò Dioniso.
«Zio…» lo avvertii.
Chirone si finse interessato alla sua mano di pinnacolo. Grover si era rattrappito vicino alla ringhiera, agitando gli zoccoli.
«Oh, non cominciare, Avie. Sappiamo tutti che lui è il tuo preferito, anche se non l’hai mai detto.» altri lampi illuminarono le nuvole.
Io sbuffai.
«Non ho un preferito. E tu lo sai.» ribattei calma. «Trovo solo che sia più alla mano di altri.»
«Sì sì… certo.» continuò Dioniso sventolando una mano come per scacciare le mie parole. «Se si facesse a modo mio le tue molecole avrebbero già preso fuoco, mortale. Saremmo qui a raccogliere le ceneri e ci risparmieremmo un sacco di problemi. Ma Chirone sembra convinto che vada contro la maledetta missione che mi è stata affidata: evitare che a voi marmocchi venga fatto del male.»
«E la combustione è una forma di male.» specificò Chirone.
«Sciocchezze.» replicò Dioniso. «Il ragazzo non si accorgerebbe di nulla. Tuttavia, ho accettato di contenermi. Sto pensando di trasformarti in un delfino, piuttosto, e di rispedirti da tuo padre.»
«Zio…» lo ammonii di nuovo.
«Oh, e va bene.» Dioniso si arrese. «C’è un'altra opzione, te la concedo solo perchè Avalon non mi perdonerebbe mai se non ti dessi una possibilità dato che, tecnicamente, tu non sei nato da solo e la colpa è di tuo padre. Avie ha insistito molto su questo punto, i giorni scorsi. Ma è pura follia.» si alzò in piedi e le carte dei giocatori invisibili caddero sul tavolo. «Salgo sull'Olimpo per la riunione d'emergenza. Se il ragazzo sarà ancora qui al mio ritorno, lo trasformerò in un delfino. Ci siamo capiti? Quanto a te, Perseus Jackson, se hai un minimo di cervello, capirai che è una scelta molto più ragionevole di quello che Avalon e Chirone pensano che tu debba fare.»
Dioniso raccolse una carta, la piegò e quella si trasformò in un rettangolo di plastica che fungeva da pass, poi mi diede un bacio sulla fronte come d’abitudine.
Schioccò le dita.
L'aria si piegò, in un certo senso, avvolgendolo. Diventò un ologramma, poi un soffio di vento, quindi sparì, lasciandosi alle spalle solo il profumo del mosto appena spremuto che si mischiò con quello delle viti tra i miei capelli.
Chirone sorrise, ma sembrava stanco e tirato. «Accomodati, Percy. Anche tu, Grover.»
Si sedettero. Io lo avevo già fatto quando Dioniso si era alzato.
Chirone posò le carte sul tavolo, una mano vincente che non aveva potuto sfruttare.
«Dimmi, Percy…» cominciò. «…che effetto ti ha fatto il segugio infernale?»
Lo vidi rabbrividire accanto a me.
«Mi ha terrorizzato.» confessò. «Se non ci foste stati voi, sarei morto.»
«Incontrerai cose peggiori, Percy. Cose molto peggiori, prima che tu abbia finito.»
«Finito cosa?»
«La tua impresa.» risposi io, cogliendoli di sorpresa. Sventolai una mano. «Chirone ne parlava con il signor D e io ho solo ascoltato il discorso. Non ho detto niente di anomalo.»
«Hai fatto ragionare Dioniso, mia cara.» ribattè Chirone. «E non è una cosa da tutti.»
Alzai le spalle.
«Hai intenzione di accettarla?» mi rivolsi nuovamente a Percy.
Lui lanciò un’occhiata a Grover, che stava incrociando le dita.
«Ehm…» disse. «…non mi avete ancora spiegato di che si tratta.»
Chirone fece una smorfia e io distolsi lo sguardo.
«Beh, questa è la parte difficile: i dettagli.» disse lui.
Un tuono rimbombò in tutta la valle. Le nuvole temporalesche adesso avevano raggiunto il confine della spiaggia. Fin dove riuscivo a spingere lo sguardo, il cielo e il mare ribollivano insieme. Ovviamente quei due stavano ricominciando. Mai un momento di pace.
«Poseidone e Zeus…» cominciò Percy. «…stanno litigando per qualcosa di prezioso… qualcosa che è stato rubato, vero?»
Io, Chirone e Grover ci scambiarono uno sguardo.
Chirone si chinò in avanti, spostandosi sul bordo della sedia. «Come lo sai?»
Percy arrossì. «Il tempo sta facendo il matto da Natale, come se il mare e il cielo stessero litigando. Poi ho parlato con Annabeth, e lei ha sentito di sfuggita qualcuno che parlava di un furto. E poi…»
«Fammi indovinare.» intervenni appoggiandomi allo schienale. «Hai sognato.»
«Lo sapevo.» commentò Grover.
«Silenzio, satiro.» ordinò Chirone.
«Ma l'impresa è sua!» gli occhi di Grover scintillavano di eccitazione. «È evidente!»
«Solo l'Oracolo può determinarlo.»
Certo che è sua, pensai. Ma non lo dissi.
Chirone si accarezzò la barba ispida. «Ad ogni modo, Percy, hai ragione. Tuo padre e Zeus stanno avendo la loro peggiore lite da secoli. Litigano per qualcosa di prezioso che è stato rubato. Per la precisione: una folgore.»
A Percy uscì una risata nervosa. «Una cosa
«Non prenderla tanto alla leggera.» lo ammonii. «Chirone non sta parlando di una saetta rivestita di alluminio di quelle che si vedono alle recite della scuola elementare. Lui intende un cilindro di sessanta centimetri di purissimo bronzo celeste, coronato alle due estremità di esplosivi dalla potenza divina.»
«Oh.»
«Già. Oh.»
«La Folgore di Zeus.» continuò Chirone, scaldandosi. «Il simbolo del suo potere, il modello di tutte le altre folgori. La prima arma forgiata dai Ciclopi per la guerra contro i Titani, la folgore che ha scoperchiato la cima dell'Etna e che ha spodestato Crono dal suo trono; la folgore originale, dotata di una potenza tale che le bombe a idrogeno mortali sono fuochi d'artificio al suo confronto.»
«Ed è sparita?»
«Rubata.» specificò Chirone.
«Da chi?»
«Da te.» risposi io candidamente.
Lui rimase a bocca aperta come un mollusco lesso.
«O almeno…» sollevai una mano «…questo è ciò che pensa Zio Uccello, che in questo caso chiamerei tranquillamente Zio Fulminato.» un tuono rimbombò tra le nuvole e io alzai gli occhi. «Falla finita, ci sei abituato.» dissi prima di riportare lo sguardo su Percy, che mi osservava sconvolto. «Che c’è? È davvero abituato, lo chiamo spesso così. Comunque, durante il solstizio d'inverno, all'ultimo Consiglio degli dei, Zio Uccello e Zio Pesce, tuo padre, hanno litigato. Quando mai non lo fanno? Per le solite sciocchezze, ovviamente: “Sei sempre stato il cocco di nostra madre Rea”, “I disastri aerei sono più spettacolari dei disastri marittimi” e bla bla bla. Una gran rottura, se vuoi il mio parere, una stupida gara a chi ce l’ha più grosso. Dopo, Zio Uccello si è accorto che la Folgore era sparita. Qualcuno l'aveva presa nella sala del trono sotto il suo stesso naso. E, come al solito, ha incolpato subito Poseidone.» alzai gli occhi al cielo, infastidita da quel comportamento. «Tu non lo sai, ma un dio non può usurpare il simbolo del potere di un altro dio direttamente: è proibito dalle più antiche leggi divine. Quindi Zeus crede che tuo padre abbia convinto un eroe umano a farlo. Come che lui non avesse di meglio da fare che provocare una guerra per fare un dispetto al fratello.» sbuffai, infastidita da tanta stupidità.
«Ma io non…» cominciò Percy.
«Abbi pazienza e ascolta, figliolo.» lo interruppe Chirone. «Zeus ha buone ragioni per sospettarlo.»
«Sì, come no.» commentai io, senza riuscire a trattenermi.
Un altro tuono rimbombò sopra le nostre teste e Chirone mi lanciò un’occhiataccia prima di riprendere. «Le fucine dei Ciclopi sono sotto l'oceano, il che dà a Poseidone una certa influenza sui costruttori dei fulmini di suo fratello. Zeus crede che Poseidone abbia rubato la folgore originale e che adesso, in gran segreto, stia facendo costruire ai Ciclopi un arsenale di copie illegali, con l'intenzione di usarle per rovesciare Zeus dal trono.»
«Idea più stupida non poteva trovarla.» un tuono più forte dei precedenti rimbombò tra le nuvole facendomi sbuffare. «E falla finita. Sai anche tu che è una scusa per prendertela con lui. Se non ti avessero rubato la folgore avresti trovato un’altra stupidaggine per cui litigare. A tuo fratello non importa un beneamato merluzzo di farti un dispetto in questo modo!»
Chirone e Percy mi guardavano perplessi, Grover terrorizzato.
«L’unica cosa di cui Zeus non era sicuro era l'identità dell'eroe che Poseidone potesse aver usato per rubare la Folgore.» riprese il centauro, come se niente fosse. «Ora Poseidone ti ha ufficialmente riconosciuto come figlio. Tu eri a New York durante le vacanze invernali. Ti saresti potuto facilmente intrufolare nell'Olimpo. Zeus crede di aver trovato il suo ladro.»
«Ma io non ho mai messo piede sull'Olimpo! Zeus è pazzo!»
Chirone e Grover lanciarono un’occhiata nervosa verso il cielo. Io feci un sorrisetto. Le nuvole non sembravano intenzionate a girare intorno al campo come aveva predetto Grover. Avanzavano imperterrite sopra la valle, chiudendosi sopra di noi come il coperchio di una bara.
«Ehm, Percy?» fece Grover. «Non usiamo quella parola con la “p” per descrivere il Signore del Cielo. A parte Avie, come hai notato, che dice anche di peggio. Ma lei è diversa e, stranamente, gli dei non la fulminano sul posto quando li chiama in un certo modo.»
«Forse “paranoico” è più appropriato.» suggerì Chirone. «Ma del resto, Poseidone ha già tentato di spodestare Zeus, in passato.»
«Pessima mossa anche quella, secondo me.» borbottai io.
Chirone mi ignorò. «Credo che fosse la domanda numero trentotto del compito d'esame.»
Lo guardò come se pensasse davvero che lui potesse ricordarsi la domanda numero trentotto. Seh, come no. Nemmeno in un’altra dimensione sarebbe successo, ma Chirone stava aspettando una risposta.
«Accalappiacani.» dissi, senza un’apparente motivo.
«C’entra una rete d'oro, per caso?» tirò a indovinare Percy, cogliendo chissà come il mio suggerimento. «Poseidone, Era e qualche altro dio… hanno… hanno intrappolato Zeus e l'hanno liberato solo quando ha promesso di essere un sovrano migliore. Giusto?»
«Esatto.» confermò Chirone. «E Zeus non si fida più di Poseidone, da allora. Naturalmente, Poseidone nega di aver rubato la Folgore. Si è offeso mortalmente per l'accusa. I due continuano a litigare da mesi, ormai, minacciando guerra. E adesso sei spuntato fuori tu… la proverbiale ultima goccia.»
«Ma sono solo un ragazzino!»
«Purtroppo no.» dissi io.
«Percy…» intervenne Grover. «…se tu fossi Zeus e pensassi già che tuo fratello stia tramando per spodestarti, e all'improvviso lui ammettesse di avere infranto il sacro giuramento pronunciato dopo la Seconda guerra mondiale e di aver generato un nuovo eroe mortale che potrebbe essere usato come arma contro di te… non ti sentiresti un po' preso per il divino naso?»
«Lui non può proprio parlare.» osservai io, gelida, facendo impallidire sia Grover che Chirone. «Per niente.»
Percy sembrò non farci caso. «Ma io non ho fatto niente. Poseidone, mio padre, non ha davvero ordinato di rubare questa Folgore, vero?»
Io applaudii. «Finalmente qualcun altro che lo dice, oltre a me. Percy è in questa realtà da cinque minuti e ha già capito tutto. Perchè voialtri svitati no, invece?»
Chirone sospirò. «La maggior parte degli attenti osservatori concorderebbe che il furto non è nello stile di Poseidone.» ammise. «Ma il dio del mare è troppo orgoglioso per cercare di convincere suo fratello. Zeus pretende che Poseidone restituisca la Folgore entro il solstizio d'estate, ovvero il ventun giugno, fra dieci giorni. Poseidone esige delle scuse per l'offesa arrecatagli entro la stessa data. Speravo che alla fine la diplomazia avrebbe prevalso, che Era, Demetra o Estia avrebbero fatto ragionare i due fratelli. Ma il tuo arrivo ha scatenato la collera di Zeus. Ora nessuno dei due fratelli ha intenzione di fare un passo indietro. Se non interviene qualcuno, se la Folgore non viene trovata e restituita a Zeus prima del solstizio, sarà la guerra. E tu sai come sarebbe una guerra vera e propria, Percy?»
«Brutta?»
«Immagina il mondo nel caos. La natura in guerra contro se stessa. Gli dei dell'Olimpo costretti a schierarsi fra Zeus e Poseidone. Distruzioni. Carneficine. Milioni di morti. La civiltà occidentale trasformata in un campo di battaglia tale che la guerra di Troia al confronto sembrerà una bravata coi gavettoni.» spiegò Chirone.
«Brutta.» concluse Percy.
«E tu, Percy Jackson, saresti il primo a subire la collera di Zeus.»
Cominciò a piovere. I ragazzi sul campo di pallavolo smisero di giocare e scrutarono il cielo in un silenzio sbigottito.
Era stato Percy a portare quella tempesta sul Campo Mezzosangue. Zeus stava punendo tutto il campo per causa sua, lo sapevamo tutti.
«Non arriveranno mai alla guerra.» dissi io attirando l’attenzione di Percy, Grover e Chirone. «Li infilzerò con i miei ferri finchè non ritroveranno quel po’ di cervello che dicono di avere. E se non dovesse accadere, dovrebbero comunque passare sul mio cadavere.» ghignai. «Auguri, dopo, a passarla liscia con le Parche.»
L’ennesimo tuono rimbombò sopra le nostre teste.
«E così devo trovare quella stupida Folgore.» esclamò Percy. «E restituirla a Zeus.»
«Quale migliore offerta di pace…» disse Chirone. «…del figlio di Poseidone che restituisce il maltolto a Zeus?»
«Ma se Poseidone non l'ha preso, che fine ha fatto quell'affare?»
«Io credo di saperlo.» l’espressione di Chirone era cupa mentre mi lanciava uno sguardo, che prontamente ignorai. «Parte di una profezia che ho ricevuto anni fa... beh, alcuni di quei versi finalmente hanno trovato un senso. Ma prima che possa dire altro, devi intraprendere ufficialmente l'impresa. Devi consultare l'Oracolo.»
«Perché non mi dice prima dov'è la Folgore?»
«Perché se lo facessi, avresti troppa paura per accettare la sfida.»
«Ne dubito.» mormorai tenendo gli occhi fissi sul campo di pallavolo ormai deserto, memore delle speranze segrete del ragazzo.
«Ottima ragione.» osservò Percy, deglutendo preoccupato.
«Allora accetti?»
Percy guardò Grover, che annuiva con fare incoraggiante. Facile, per lui. Era Percy quello che Zeus voleva ammazzare. Poi spostò lo sguardo su di me, che rimasi immobile. Alla fine mi arresi e feci un leggero cenno di assenso col capo.
«Va bene.» concluse. «Sempre meglio che essere trasformato in un delfino.»
«Allora è giunto il momento di consultare l'Oracolo.» disse Chirone. «Sali al piano di sopra, Percy Jackson, in soffitta.»
«Quando scenderai, se sarai ancora sano di mente, continueremo il discorso.» conclusi io.
 

****

 
Dopo circa mezz’ora vedemmo Percy uscire dalla Casa Grande e raggiungerci sul portico. Eravamo rimasti lì per tutto il tempo. L’unica differenza era che non eravamo più soli, ma questo Percy non lo sapeva. Ancora.
«Ebbene?» chiese Chirone.
Percy crollò su una sedia al tavolo del pinnacolo. «Ha detto che recupererò ciò che è stato rubato.»
Grover si sporse sul bordo della sedia, masticando tutto eccitato i resti di una lattina di Diet Coke. «Fantastico!»
«Che cos'ha detto l'Oracolo, esattamente?» insistette Chirone. «È importante.»
Io lo osservavo attentamente, in silenzio. Sapevo esattamente cos’avesse detto.
«Ha detto... ha detto che devo andare a occidente e che affronterò il dio che ha voltato le spalle. Che recupererò ciò che è stato rubato e che lo vedrò restituito.»
«Lo sapevo.» commentò Grover.
Chirone non sembrava soddisfatto. «Nient'altro?»
Percy esitò.
«No.» rispose alla fine. «È tutto.»
Chirone lo studiò in volto. «Molto bene, Percy. Ma sappi questo: le parole dell'Oracolo spesso hanno doppi significati. Non rimuginarci troppo. La verità non è sempre chiara finché gli eventi non si sono conclusi.»
«Percy…» iniziai io. «Quanti versi erano?»
«Cosa? Perchè?» mi chiese lui. «Ha importanza?»
«Ti prego, dimmi che erano quattro.» dissi solamente io, aspettando una risposta affermativa.
«No.» mi contraddisse lui. «Erano cinque.»
Io impallidii, mentre gli sguardi di Chirone e Grover si spostarono subito su di me.
«È uno scherzo.» mormorai, lo sguardo perso nel vuoto.
Chirone sospirò. «Sai cosa significa, vero?»
Io annuii, ma non riuscii ad aggiungere una parola.
«Di cosa parlate?» chiese Percy spostando lo sguardo da me a Chirone. «Che significa? Perché dovrebbe essere uno scherzo?»
Chirone sospirò, lanciandomi uno sguardo preoccupato. «Significa che uno dei versi della profezia riguarda Avie.»
Sentii una mano posarsi sulla mia spalla ma non ci feci caso, troppo impegnata a districarmi dai pensieri che il significato intrinseco di quella rivelazione mi aveva causato.
«Che cosa?» esclamò Percy. «Com’è possibile?»
«Vedi, Percy, Avie ha un dono particolare, se così vogliamo chiamarlo. Essendo nata come personificazione della dea Ananke, una parte della personalità della madre, lei sa esattamente cosa accadrà in futuro alle persone che ha intorno.» spiegò Chirone, mentre io mi perdevo a osservare la pioggia. «Perchè Ananke è la dea del Destino, della Necessità Inalterabile e del Fato.»
«Davvero?» domandò Percy, sorpreso. «Ma è fantastico!» quando vide le nostre espressioni il suo entusiasmo sfumò. «Oppure… no?»
«Questo potere non le permette di vedere come le sue scelte modificano il futuro, nè il futuro che riguarda lei stessa. Per questo motivo sapeva che la tua profezia aveva quattro versi e non cinque: uno dei versi riguarda lei.»
«Questo significa che sono obbligata a venire con te.» tagliai corto. «Ma non chiedermi niente sul futuro, ho giurato che non ne avrei più parlato a nessuno.» scossi la testa, disperata, voltandomi verso Chirone. «Com’è possibile che, dopo tutti questi anni a tenermi in disparte, a impedire in ogni modo possibile di venire coinvolta, capiti questo?» avevo le lacrime agli occhi. «Non voglio farlo, Chirone! Non posso! Non dopo quello che è successo.»
Lui sospirò. «Non so perché l’Oracolo ti abbia coinvolta in questa storia, Avalon, né quale sia il tuo ruolo in questa vicenda. Quello che so, è che non puoi rinchiuderti nel dolore di ciò che è accaduto in passato. Non puoi smettere di vivere a causa di quello che è successo.»
«Ma io non voglio peggiorare le cose…» mormorai sconsolata.
«Lo so.» rispose lui. «Ma sono certo che troverai un modo per aiutare Percy senza complicazioni.»
«Okay…» disse il Mollusco, ansioso di cambiare argomento. «Allora, dove andiamo? Chi è questo dio a ovest?»
«Rifletti, Percy.» rispose Chirone. «Se Zeus e Poseidone si indeboliscono l'un l'altro in una guerra, chi ci guadagnerà?»
«Qualcuno che vuole prendere il comando?» suggerì lui.
«Sì, esattamente. Qualcuno che cova rancore, qualcuno che è scontento di quello che gli è spettato quando il mondo è stato diviso secoli fa, e il cui regno diventerebbe potente grazie alla morte di milioni di persone. Qualcuno che odia i suoi fratelli per averlo obbligato al giuramento di non generare figli, un giuramento che entrambi hanno infranto.»
Ripensai ai miei sogni, alla voce malvagia che proveniva dal sottosuolo. L’ipotesi di Chirone non faceva una piega. Tuttavia c’era anche un’altra possibilità, molto più plausibile della sua, ma era troppo spaventosa perchè lui pensasse anche solo di prenderla in considerazione.
«Ade.»
Chirone annuì. «Il Signore dei Morti è l'unica possibilità.»
Un brandello di alluminio scivolò fuori dalla bocca di Grover. «Cavolo, aspetti un momento. Co-cosa?»
«Percy è stato braccato da una Furia.» gli ricordò Chirone. «Una Furia che l'ha tenuto d'occhio finché non è stata certa della sua identità, e poi ha cercato di ucciderlo. Le Furie rispondono a un unico padrone: Ade.»
«Sì, ma... Ade odia tutti gli eroi.» protestò Grover. «Poi se ha scoperto che Percy è figlio di Poseidone…»
«Un segugio infernale è penetrato nella foresta.» continuò Chirone. «E i segugi si possono evocare solo dai Campi della Pena, e da qualcuno all'interno del campo. Ade deve avere una spia, qui. Probabilmente sospetta che Poseidone cercherà di usare Percy per ristabilire il suo buon nome. Ade sarebbe molto, molto contento di uccidere questo giovane mezzosangue prima che possa intraprendere l'impresa.»
«Fantastico.» mugugnò Percy. «E con questo siamo a due potenti dei che vogliono uccidermi.»
«Tranquillo, sono molti di più.» affermai io, facendogli sgranare gli occhi.
«Ma un'impresa negli Inferi…» Grover deglutì. «Cioè, la Folgore non potrebbe trovarsi in un posto, che so, tipo il Maine? Il Maine è molto bello in questo periodo dell'anno.»
«Ade ha inviato un suo scagnozzo a rubare la Folgore.» insistette Chirone. «E poi l'ha nascosta negli Inferi, sapendo molto bene che Zeus avrebbe dato la colpa a Poseidone. Non pretendo di comprendere perfettamente i motivi del Signore dei Morti o il perché abbia scelto questo particolare momento per cominciare una guerra, ma una cosa è certa: Percy deve scendere negli Inferi, trovare la Folgore e scoprire la verità.»
Percy aveva una strana determinazione nello sguardo, la stessa determinazione che già sapevo lo avrebbe riempito. Stava pensando alla possibilità di riprendersi sua madre.
Grover, accanto a me, stava tremando. Aveva cominciato a mangiare le carte del pinnacolo come fossero patatine.
Poveretto. Doveva completare un'impresa con Percy per ottenere la sua licenza di cercatore, e andare poi in cerca di Pan, ma era evidente che Percy non fosse sicuro di chiedergli di accompagnarlo, soprattutto dopo che l'Oracolo aveva predetto che era destinato a fallire in qualche modo. Era convinto che fosse un suicidio e non lo biasimavo. Io, però, mi chiedevo cosa dicesse il verso su di me, e perchè Percy non ne avesse parlato.
«Senta, ma se sappiamo che è stato Ade…» chiese Percy a Chirone. «…perché non lo diciamo agli altri dei? Zeus o Poseidone potrebbero scendere negli Inferi e far saltare qualche testa.»
«Sospettare e sapere non sono la stessa cosa.» rispose lui. «E poi, anche se gli altri dei sospettano di Ade, e immagino che Poseidone sia tra questi, non possono recuperare la Folgore di persona. Agli dei non è consentito varcare i rispettivi territori senza un invito. È un'altra regola antica. Gli eroi, d'altro canto, hanno certi privilegi. Possono andare ovunque, sfidare chiunque, purché abbiano il coraggio e la forza di farlo. Nessun dio può essere ritenuto responsabile per le azioni di un eroe. Per quale altro motivo pensi che gli dei operino sempre attraverso gli umani?»
«Sta dicendo che mi stanno usando?»
«Sto dicendo che non è un caso che Poseidone ti abbia riconosciuto proprio ora. È un rischio molto azzardato, ma è in una situazione disperata. Ha bisogno di te.»
Percy guardò Chirone. «Ha sempre saputo che ero il figlio di Poseidone, vero?»
«Avevo dei sospetti. Come ti dicevo… anch'io ho parlato con l'Oracolo.»
«E tu, Avie, lo sapevi di sicuro.» continuò spostando lo sguardo su di me.
«Non è che fosse poi così difficile da capire.» osservai. «Hai annaffiato Nancy Bobofit con l’acqua della fontana.» contai, alzando un dito ogni volta che aggiungevo un punto. «Hai fatto lo stesso alle figlie di Ares con l’acqua del bagno, ti sei rinfrescato la faccia e hai combattuto come uno che si allena da anni, l’acqua del fiume ti ha guarito e rinvigorito dopo il combattimento della Caccia alla Bandiera e il segugio infernale. Direi che gli indizi c’erano tutti, e anche piuttosto evidenti. Zio Onda è l’unico che abbia tanto potere sull’acqua.»
«Zio Onda…?»
Scossi la mano. «Un altro soprannome per tuo padre, non farci caso.»
«D’accordo… Perciò fatemi capire bene.» continuò. «Devo scendere negli Inferi e affrontare il Signore dei Morti.»
«Esatto.» rispose Chirone.
«Devo trovare l'arma più potente dell'universo.»
«Esatto.»
«E riportarla sull'Olimpo prima del solstizio d'estate, fra dieci giorni.»
«Proprio così.»
Percy guardò Grover, che inghiottì in un boccone l’asso di cuori.
«Ho già detto che il Maine è un posto bellissimo in questo periodo dell'anno?» chiese con un filo di voce.
«Non sei costretto a venire.» gli disse lui. «Non posso pretendere questo da te.»
«Oh!» agitò gli zoccoli. «No… è solo che i satiri e i luoghi sotterranei… beh…» fece un respiro profondo, quindi si alzò, spazzolandosi brandelli di carte e pezzetti di alluminio dalla maglietta. «Tu mi hai salvato la vita, Percy. Se… se dicevi sul serio quando hai detto che mi avresti voluto con te, non ti deluderò.»
Vidi talmente tanto sollievo negli occhi di Percy che, per un attimo, credetti che si sarebbe messo a piangere.
«Ci puoi scommettere, amico!» si rivolse a Chirone. «Allora dove andiamo? L'Oracolo ha detto soltanto di andare a occidente.»
«L'ingresso degli Inferi si trova sempre a ovest. Si sposta di epoca in epoca, proprio come l'Olimpo. In questo momento, naturalmente, è in America.»
«Dove?»
Chirone sembrò sorpreso. «Pensavo che fosse ovvio. L'ingresso degli Inferi è a Los Angeles.»
«Oh!» esclamò lui. «Naturalmente. Perciò prendiamo il primo volo.»
«No!» gridò Grover. «Percy, che ti viene in mente? Sei mai salito su un aereo in vita tua?»
Lui scosse la testa, in evidente imbarazzo.
«E per fortuna.» commentai. «Se l’avessi fatto, a quest’ora saresti una bracioletta bruciacchiata di Mollusco semidivino. Tua madre sapeva benissimo chi fosse tuo padre, così come sapeva che non ti saresti mai potuto avvicinare al Cielo perchè Zio Fulminato ti avrebbe incenerito. Ti ricordo che quello è il suo regno.»
Un lampo squarciò il cielo. Il tuono riecheggiò ovunque.
«E dacci un taglio.» sbuffai, incrociando le braccia.
«Okay.» Percy sospirò, deciso a non guardare la tempesta. «Così mi muoverò via terra.»
«Giusto.» convenne Chirone. «Puoi avere tre compagni di viaggio. Avalon è la prima, per ovvie ragioni. Grover il secondo. Per il terzo c'è già una volontaria, se accetterai il suo aiuto.»
«Cavolo!» esclamò Percy. Sapevo che aveva capito a chi si stesse riferendo. «Chi altro può essere così stupido da offrirsi volontario per un'impresa come questa?»
Ci fu uno scintillio nell'aria, alle spalle di Chirone. Annabeth diventò visibile, ficcandosi il berretto da baseball nella tasca posteriore. Ci aveva raggiunti poco dopo che Percy era salito in soffitta e le avevo detto io di rimanere invisibile fino al momento giusto. Era rimasta al mio fianco per quasi tutto il tempo, ma poi l’avevo sentita spostarsi e non avevo idea di dove fosse finita.
«È da tempo che aspetto un'impresa, Testa d'Alghe.» esordì. «Atena non è un'ammiratrice di Poseidone, ma se hai intenzione di salvare il mondo, io sono la persona giusta per impedirti di rovinare tutto.»
«Testa d’Alghe, eh?» commentai io con un sorrisetto.
Annie mi diede uno schiaffo sul braccio.
«Se lo dici tu.» replicò lui. «Suppongo che tu abbia un piano, vero Sapientona?»
«Sapientona? Addirittura?» il mio sorrisetto non voleva saperne di sparire.
«Vuoi il mio aiuto oppure no?» chiese Annie, ignorandomi completamente.
Oh, questo sì che sarebbe stato divertente da vedere. Chissà quanto ci avrebbero messo a cedere.
«Un quartetto.» concluse Percy. «Funzionerà.»
«Speriamo…» mormorai, piena di dubbi.
«Ottimo.» disse Chirone, lanciandomi un’occhiata preoccupata. «Si parte nel pomeriggio. Possiamo accompagnarvi fino alla stazione degli autobus di Manhattan. Dopodiché, sarete soli.»
Un fulmine lampeggiò nel cielo e la pioggia divenne più insistente.
«Non c'è tempo da perdere.» incalzò Chirone. «Andate a preparare i bagagli.»
   
 
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