Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: Josy_98    11/10/2022    0 recensioni
Quando Chirone la costrinse ad iscriversi alla Yancy Academy per aiutarlo a tenere d'occhio un probabile mezzosangue particolarmente potente, Avalon sapeva già che fosse una pessima idea. Ne era certa. E glielo disse, convinta più che mai che fosse una mossa totalmente sbagliata e che tutto sarebbe cambiato. Non necessariamente in meglio.
Da anni, infatti, tentava in tutti i modi di restare nell'ombra, lasciando ad altri il compito di occuparsi dei problemi divini, far avverare profezie e compiere imprese, limitandosi ad osservare il tempo scorrere senza interferire e rimanendo in disparte nonostante i diversi tentativi degli altri - mortali e divini - di coinvolgerla in ogni modo.
Purtroppo, però, quella volta non riuscì a restarne fuori come avrebbe voluto.
E, quando le cose si complicheranno, Avalon tenterà in tutti i modi di non distruggere quell'intricato lavoro che ha portato avanti in quegli anni, cercando inevitabilmente di salvare quel flebile e incerto futuro in cui lui sopravvive. Con la paura di non riuscirci.
Perchè, Avalon lo sapeva, lei aveva sempre ragione. Finchè non prendeva una decisione.
|Riscritta!|
|Allerta Spoiler!!|
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Castellan, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il pomeriggio dopo, il quattordici giugno, sette giorni prima del solstizio, il nostro treno arrivò a Denver. Finalmente.
Non mangiavamo dalla sera prima, quando avevamo cenato nel vagone ristorante da qualche parte in Kansas. Non vedevamo una doccia dalla Collina Mezzosangue e avevo la fin troppo poco vaga sensazione che si sentisse, almeno un po’. Purtroppo.
«Proviamo a contattare Chirone.» propose Annabeth. «Voglio raccontargli della tua chiacchierata con lo spirito del fiume. E di quello che è successo tra Avie ed Echidna.»
«Annie…» mormorai, tentando di lasciar perdere la questione.
«Non possiamo usare il telefono, vero?» domandò Percy, retorico.
«E chi ha parlato di telefono?»
Vagammo in città per una mezzoretta, alla ricerca del luogo perfetto per chiamare casa. L'aria era calda e secca e faceva uno strano effetto dopo l'umidità di St Louis. Continuavo a sentirmi osservata. Il che, sapendo quello che sapevo io, non era un buon segno. Soprattutto dati i possibili futuri che si dispiegavano davanti a noi. Speravo davvero in una giornata buona, per una volta.
Alla fine trovammo un autolavaggio deserto, e ce lo facemmo andare bene. Ci dirigemmo al box più lontano dalla strada, e allo stesso tempo più riparato da occhi indiscreti, tenendo gli occhi aperti per scorgere eventuali pattuglie della polizia. Eravamo quattro ragazzini che si aggiravano senza auto in un autolavaggio: qualunque poliziotto degno della sua ciambella al cioccolato avrebbe capito che stavamo tramando qualcosa.
«Che stiamo facendo?» chiese, mentre Grover estraeva lo spruzzatore.
«Ci vogliono settantacinque centesimi.» brontolò. «A me ne sono rimasti solo cinquanta. Annabeth?»
«Non guardare me.» rispose lei. «Il vagone ristorante mi ha ripulita.»
Nemmeno Percy aveva più niente, tranne una dracma dell’emporio di Medusa.
Tirai fuori alcuni spiccioli che avevo conservato – fortuna che ero una risparmiatrice cronica – e diedi a Grover venticinque centesimi, rimanendo con una ventina di dollari e alcune dracme.
«Ottimo.» esultò Grover. «Potremmo usare anche uno spruzzatore manuale, naturalmente, ma la connessione non è buona e dopo un po' mi fa sempre male il braccio a furia di premere.»
«Ma di che cosa stai parlando?» continuò a chiedere il Mollusco.
Grover lo ignorò e infilò le monete nella fessura, poi posizionò la manopola su ACQUA VAPORIZZATA.
«Dell'iPhone.» rispose lui.
«E cosa c'entra l'autolavaggio?»
«La "i" sta per Iride.» spiegò Annabeth. «La dea dell'arcobaleno, Iride, è la messaggera degli dei. Se sai come chiederlo e lei non è troppo occupata, offre il servizio anche ai mezzosangue.»
«Volete evocare una dea con uno spruzzatore?»
Grover puntò il beccuccio in aria e l'acqua fuoriuscì con un sibilo, creando una fitta nebbiolina candida. «A meno che tu non conosca un metodo più facile per creare un arcobaleno.»
«A casa tua, io ho usato l’acqua del rubinetto del bagno.» commentai.
Percy alzò un sopracciglio. «A cassa mia?»
Io annuii. «Sì. Prima che Grover ci raggiungesse. Quando mi avete praticamente costretta a restare con voi e a usarvi come miei autisti personali.»
«Oh.» il suo sguardo si spense, ripensando a quel momento e a sua madre.
Fortunatamente, in quel momento, la luce del tardo pomeriggio filtrò attraverso il vapore, rifrangendosi nei sette colori dell'arcobaleno.
Annabeth tese il palmo. «La dracma, prego.»
Percy gliela consegnò e lei se la portò sopra la testa. «Oh dea, accetta la nostra offerta!»
Gettò la dracma nell'arcobaleno, dove scomparve in uno scintillio dorato.
«Collina Mezzosangue.» richiesi.
Per un attimo, non successe nulla.
Poi, attraverso la nebbia, mi ritrovai a guardare i campi di fragole con lo stretto di Long Island in lontananza. Era come stare sotto il portico della Casa Grande. Sul parapetto, di spalle, c'era un tizio con i capelli chiari, i pantaloncini corti e una canotta arancione. Aveva una spada di bronzo in mano e sembrava fissare attentamente qualcosa giù nel prato. Lo riconobbi all’istante. Quanto mi era mancato.
«Lucky!» chiamai.
Si voltò, gli occhi sgranati. Avrei giurato che si trovasse proprio là davanti a me, a un metro di distanza nella nebbia, solo che riuscivo a vedere solamente la parte di lui che compariva nell'arcobaleno. E non potevo toccarlo.
«Lys!» il suo volto sfregiato si aprì in un largo sorriso. «Percy! E c'è anche Annabeth? Grazie agli dei! State bene, ragazzi?»
«Noi stiamo... ehm... bene.» rispose Annabeth, lanciandomi uno sguardo mentre cercava di lisciarmi la maglietta. «Pensavamo... Chirone... cioè...»
Le diedi una manata per farla smettere, fulminandola con gli occhi.
«È giù alle capanne.» il sorriso di Luke si spense. «Stiamo avendo qualche problema con i ragazzi del campo.» anche il mio sorriso si spense. Non era un buon segno, proprio no. Le cose stavano peggiorando fin troppo velocemente. «Ma ditemi, è tutto a posto lì da voi? Grover sta bene?»
«Sono qui.» esclamò lui. Spostò lo spruzzatore di lato ed entrò nella visuale di Luke. «Che genere di problemi?»
Ma in quello stesso istante, una grossa Lincoln Continental entrò nell'autolavaggio con lo stereo che sparava hip-hop a tutto volume.
Quando la macchina si infilò nel box accanto al nostro, il basso vibrava così tanto da far tremare l'asfalto.
«Porco Polifemo! Questo mortale vuole morire prima del tempo.» mi lamentai.
«Chirone doveva... ehi, cos'è questo chiasso?» gridò Luke.
«Ci penso io!» strillò Annabeth di rimando, lanciandomi un’occhiata complice che ignorai. «Grover, vieni!»
«Cosa?» fece lui. «Ma...»
Grover borbottò qualcosa tipo: "Le ragazze sono più difficili da interpretare dell'Oracolo di Delfi", passò lo spruzzatore a Percy e seguì Annabeth.
Lui regolò il tubo in modo da mantenere l'arcobaleno, permettendo a entrambi di riuscire ancora a vedere Luke.
«Chirone doveva sedare una rissa.» gridò Luke per farsi sentire oltre la musica. «Le cose sono piuttosto tese da queste parti, ragazzi. La voce dello scontro fra Zeus e Poseidone è trapelata. Ancora non sappiamo come: forse è stata la stessa canaglia che ha evocato il segugio infernale. I ragazzi hanno cominciato a schierarsi. Si sta mettendo come una seconda guerra di Troia.»
«fammi indovinare.» lo interruppi, ironica. «Afrodite, Ares e Apollo sostengono Poseidone, all’incirca. Atena, invece, appoggia Zeus.»
«Sì, esatto.» confermò il biondo. «Tutti gli altri sono rimasti neutrali.»
«Gli unici intelligenti.» borbottai, alzando gli occhi al cielo.
Nel box accanto, sentimmo Annabeth e un tizio che litigavano, poi il volume della musica diminuì drasticamente, per la gioia delle mie povere orecchie.
«Allora, a che punto siete?» chiese Luke. «A Chirone dispiacerà che non lo abbiate trovato.»
Percy gli raccontò quasi tutto, inclusi i suoi sogni e quello che mi era successo dopo che lui era saltato giù dal Gateway Arch. Luke lo aveva ascoltato attentamente, rimanendo in silenzio e lanciandomi delle occhiate preoccupate di tanto in tanto, fino a quando non sentimmo il bip dello spruzzatore e capimmo di avere solo un minuto prima che l'acqua si spegnesse.
«Vorrei essere lì.» disse Luke. «Non possiamo aiutarvi molto da qui, temo, ma sentite... dev'essere stato Ade a rubare la Folgore. Era sull'Olimpo il giorno del solstizio d'inverno. Accompagnavamo i ragazzi in gita e l'abbiamo visto, Lys, ti ricordi?»
Io distolsi lo sguardo e non risposi. Sì, è vero. C’era anche Ade al solstizio, ma non poteva essere stato lui a rubare la Folgore. Prima di tutto perché gli era impossibile farlo a causa delle antiche leggi.
E poi… non riuscivo a guardare Luke sapendo quello che sapevo. Non ce la facevo. Non con la situazione in cui ci trovavamo al momento. E questo mi faceva soffrire quasi quanto la situazione in sé. Quasi…
«Ma Chirone ha detto che un dio non può rubare l'oggetto magico di un altro dio, direttamente.» gli ricordò Percy.
«È vero.» confermò Luke, con un'espressione turbata. «Eppure... Ade ha l'elmo dell'oscurità. Chi altri avrebbe potuto infilarsi nella sala del trono e rubare la Folgore? Bisognava essere invisibili.»
Restammo zitti, finché Luke non sembrò accorgersi di ciò che aveva detto.
«Oh, ehi.» protestò. «Non alludevo ad Annabeth. Io e lei ci conosciamo da una vita. Non lo farebbe mai. È come se fosse la mia sorellina.»
«Inoltre, ha un alibi.» commentai, piatta. «È stata con me per tutto il tempo. Ha voluto visitare l’intero Olimpo per studiarne l’architettura.»
«Ecco dove eravate sparite, a un certo punto.» commentò il biondo.
Mi strinsi nelle spalle. «Sai com’è fatta.»
Nel box accanto al nostro la musica cessò del tutto. Che sollievo.
Un uomo strillò terrorizzato, sentimmo sbattere gli sportelli dell'auto e la Lincoln filò via dall'autolavaggio.
«È meglio che andiate a vedere.» suggerì Luke.
«Giusto per assicurarci che Annie non l’abbia fatto a pezzi.» osservai.
«Ma dimmi, Percy, indossi le scarpe volanti? Mi sentirei meglio sapendo che ti sono servite a qualcosa.» domandò lui.
«Oh... ehm, sicuro!» Percy tentennò, mentendo spudoratamente, ma io non mi intromisi. «Sì, sono state molto utili.»
«Davvero?» sorrise.
Sì, quello era vero.
Il flusso d'acqua si interruppe. La nebbia cominciò a dissolversi.
«Beh, statemi bene lì a Denver.» gridò Luke, mentre la sua voce si affievoliva. «E dite a Grover che stavolta andrà meglio! Nessuno verrà trasformato in un pino se lui...»
«Lucky!» protestai, fermandolo.
La sua espressione divenne colpevole. «Scusami, Lys. Non volevo fartelo ricordare. Ma sai che non ho mai pensato che fosse colpa tua, nemmeno all’inizio. Ti prego, smetti di pensare di essere tu la…»
Ma la nebbia svanì e l'immagine di Luke scomparve nel nulla. Eravamo rimasti soli, in un box vuoto e bagnato. E il mio umore era andato al Tartaro. Percy mi strinse una spalla, tentando di confortarmi anche se non sapeva di cosa stessimo parlando io e Luke.
Annabeth e Grover spuntarono ridendo da dietro l'angolo ma, non appena videro la mia faccia, smisero subito. Il sorriso di Annabeth si spense. «Che è successo, Avie? Cos'ha detto Luke?»
«Non molto.» mentì Percy, risparmiandomi la fatica di rispondere. «Coraggio, andiamo a procurarci la cena.»
Qualche minuto più tardi, eravamo seduti al tavolo di un ristorantino economico decorato con scintillanti cromature. Era pieno di famiglie che mangiavano hamburger e bevevano birre e bibite.
Io, però, non riuscivo a togliermi dalla testa la conversazione con Luke. Perché aveva dovuto tirare fuori quella storia proprio adesso? Sapeva come mi faceva sentire, accidenti a lui!
Alla fine la cameriera si avvicinò. Inarcò un sopracciglio, scettica. «Allora?»
«Noi, ehm, vorremmo ordinare la cena.» disse Percy.
«Ce li avete i soldi per pagare, ragazzi?»
Il labbro di Grover iniziò a tremare. Temevo si mettesse a belare o, peggio, che si mettesse a mangiare il linoleum. Annabeth sembrava sul punto di svenire dalla fame.
Percy non sapeva proprio cosa dire, a dimostrazione che nessuno di loro tre aveva visto che io, effettivamente, di soldi mortali ne avevo ancora.
Stavo per intervenire, quando un rombo scosse tutto l'edificio: una moto grande quanto un cucciolo di elefante aveva accostato al marciapiede.
Tutte le conversazioni ai tavoli si interruppero. Il fanale anteriore della motocicletta mandava un bagliore rosso. Il serbatoio era decorato con delle fiamme e aveva due fondine borchiate su entrambi i lati, complete di fucili.
Il sedile era di pelle, ma di una pelle che somigliava parecchio a... beh, pelle umana. Forse perché, effettivamente, era pelle umana. E io sapevo anche di chi. Che schifo.
Il tizio sulla moto indossava una maglietta aderente rossa, jeans neri e una lunga giacca di pelle nera, con un coltello da caccia legato sulla coscia. Portava degli occhiali da sole a mascherina, rossi, e aveva la faccia più crudele e brutale che avessi mai visto – bella, credo, ma malvagia – con i capelli neri a spazzola e le guance sfregiate da innumerevoli battaglie. E avrebbe fatto paura persino a Lord Voldemort in persona, per gli amici Lord Coso.
Ovviamente, lo avevo riconosciuto subito.
Quando entrò nel ristorante, un vento caldo e secco soffiò nel locale, di quelli da far west che ti fanno salire l’ansia, non di quelli piacevoli.
«Ci mancava solamente il cinghiale, per coronare questa pessima giornata.» borbottai.
Poi diedi una sonora – e dolorosa – testata al tavolo.
«Ma perché le mie sorelle ce l’hanno tanto con me?» mi lamentai, sotto gli sguardi interdetti dei miei amici e quello divertito del nuovo arrivato, che mi aveva osservata quasi per tutto il tempo.
Tutti si alzarono, come sotto ipnosi, ma il motociclista fece un gesto noncurante con la mano e la gente si sedette di nuovo, tornando alle proprie conversazioni. La cameriera strizzò gli occhi, come se qualcuno le avesse appena premuto un tasto nel cervello, riavvolgendo il nastro.
Ripeté: «Ce li avete i soldi per pagare, ragazzi?»
«Offro io.» disse il motociclista, prima ancora che potessi parlare.
Si mise a sedere sulla nostra panca, che era decisamente troppo piccola per lui, schiacciando Annabeth contro la vetrina e me contro di lei.
Poi alzò gli occhi sulla cameriera, che lo stava fissando a bocca aperta, e chiese: «Sei ancora qui?»
Le puntò il dito contro e lei si irrigidì. Si voltò come se qualcosa la facesse girare su se stessa, quindi si diresse con passo spedito verso la cucina.
«Finiscila di metterti in mostra, non è educato.» borbottai, massaggiandomi la fronte nel punto in cui avevo colpito il tavolo e ignorando completamente le brutte sensazioni che erano esplose all’improvviso dentro di me.
Sapevo, dopotutto, che la rabbia, il risentimento, e l’amarezza che sentivo non mi appartenevano. Venivano da lui. E io ero talmente abituata a provarle – a causa di quello che sapevo – che il suo potere non mi faceva effetto. Lo percepivo, certo, ma mi era del tutto indifferente. Avevo imparato da tempo a controllare le mie emozioni.
Lui sogghignò, notandolo, poi spostò il suo sguardo, ancora nascosto dalle lenti nere, su Percy. Sapevo cosa celavano quegli occhiali: due orbite vuote in cui bruciavano esplosioni nucleari in miniatura.
«E così tu sei il figlio del Vecchio Algamarina, eh?» esordì.
«E a lei che gliene importa?»
Ecco, il Mollusco non riusciva a tenere a freno la furia che lui gli scatenava. Male. Malissimo. Ares avrebbe finto che gli andava bene, ma in realtà lo avrebbe odiato parecchio.
Gli occhi di Annabeth gli lanciarono un avvertimento, mentre la sentivo irrigidirsi al mio fianco. «Percy, lui è...»
Il motociclista alzò una mano.
«Non c'è problema.» disse. «Non mi dispiace un po' di sana sfrontatezza. Finché ci si ricorda chi è che comanda. Sai chi sono io, cuginetto?»
A quel punto una luce si accese negli occhi di Percy. Forse il suo cervellino da ameba aveva cominciato a funzionare. Probabilmente si era finalmente accorto del ghigno sprezzante identico a quello di Clare e dei suoi fratelli.
«Lei è il padre di Clarisse!» esclamò, infatti. «Ares, il dio della guerra.»
Ares sorrise e si tolse gli occhiali, mostrando così quegli occhi tanto particolari quanto inumani. «Esatto, pivello. Ho saputo che hai spezzato la lancia di Clarisse.»
«Se lo meritava.» commentai, indifferente.
«È probabile. Ma va bene così. Non mi immischio nelle battaglie dei miei figli, ci siamo capiti?»
«Pff.» alzai gli occhi al cielo e lui mi fulminò con un’occhiataccia.
«Quanto al motivo per cui sono qui, ho sentito che eravate in città e ho una piccola proposta da farvi.» riprese, come se non lo avessi interrotto.
La cameriera tornò con dei vassoi straripanti di roba da mangiare: cheeseburger, patatine, cipolle fritte e frullati al cioccolato.
Ares le diede qualche dracma.
Lei guardò le monete con un certo nervosismo. «Ma questi non sono...»
Ares tirò fuori il suo pugnale da caccia e cominciò a pulirsi le unghie. «Problemi, dolcezza?»
La cameriera deglutì, poi si allontanò con l'oro.
«Non può fare così.» disse Percy. «Non può andarsene in giro a minacciare la gente con un coltello.»
Lui scoppiò a ridere. «Stai scherzando? Adoro questo paese. Il posto migliore del mondo dopo Sparta. Tu non sei armato, pivello? Dovresti.»
«Ripeto: si tratta di educazione, Ares.» osservai, senza toccare cibo. «Ma forse tu non sai cosa significhi.»
«Vedo che oggi sei proprio in vena di battute, ragazzina.» mi rispose, sempre con quel ghigno stampato sul volto. «Mangia. Sei dimagrita, non voglio che sparisci.» aggiunse, spingendo un vassoio verso di me. «Tu, comunque, dovresti saperlo meglio di chiunque altro quanto è pericoloso il mondo, là fuori.» gli lanciai un’occhiataccia e presi a spiluccare qualche patatina. Lui annuì, concorde con la mia decisione di ingurgitare qualcosa, poi tornò a rivolgersi a Percy. «Il che mi porta di nuovo alla mia proposta. Ho bisogno che tu mi faccia un favore.»
«Che favore potrei mai fare a un dio?»
«Qualcosa che un dio non ha il tempo di fare da solo. Non è niente di che. Ho lasciato il mio scudo in un parco acquatico abbandonato, qui in città. Avevo un... appuntamento con la mia ragazza. Siamo stati interrotti. Ho dimenticato di riprendere lo scudo. Voglio che tu lo recuperi per me.»
«Di nuovo?» mi lamentai. «Ma non avete niente di meglio da fare, voi tre?»
Ares sogghignò, ma non mi rispose.
«Perché non ci va da solo?» chiese Percy.
Il fuoco nelle orbite del dio si fece un po' più incandescente.
«Perché non ti trasformo in una marmotta e non ti investo con la mia Harley? Perché non ne ho voglia. Un dio ti sta dando l'opportunità di dimostrare quanto vali, Percy Jackson. Ti dimostrerai un codardo?» si sporse in avanti. «O forse combatti solamente quando c'è un fiume a portata di mano, così il tuo paparino può proteggerti?»
«Tanto per la cronaca, Testa Calda, ma sono stata io a spingere Percy al suicidio, facendolo buttare nel fiume. Non è colpa sue se non sapeva di poterlo fare.»
Vidi Percy respirare pesantemente per trattenersi dal cercare di picchiarlo. Bravo ragazzo. Dopotutto, era quello che Ares voleva.
«Dettagli, ragazzina.»
«Non siamo interessati.» rispose il Mollusco. «Abbiamo già un'impresa da compiere.»
«So tutto della tua impresa, pivello. Quando quell'oggetto è stato rubato, Zeus ha interrogato subito la tua amica, qui, ma lei non ha detto una parola, e lo ha fatto incazzare parecchio. Perché siamo tutti a conoscenza del fatto che Avalon sa benissimo dove sia la folgore, anche se non vuole dircelo. Poi, mio padre si è arreso al suo silenzio e ha sguinzagliato i migliori per cercarlo: Apollo, Atena, Artemide e me, naturalmente. E se non sono riuscito io a scovare un'arma di quella potenza...» si leccò le labbra, come se il pensiero della Folgore originale gli stuzzicasse l'appetito.
«Sì, come no.» mormorai, distogliendo lo sguardo.
Spostai il mio vassoio verso il centro del tavolo. Avevo mangiato mezza confezione di patatine, forse. Sapevo che era troppo poco, ma mi si era chiuso lo stomaco. Non riuscivo proprio a mangiare niente. Ares aveva ragione, stavo dimagrendo, ma non ero in grado di evitarlo. Da quando era iniziata, più quella storia andava avanti, più mi passava la fame. E quello che sapevo mi toglieva persino la voglia di provare a ingurgitare qualcosa. Sperai solo di non crollare, per questo.
«Beh, tu non hai nessuna speranza. Comunque, sto cercando di darti il beneficio del dubbio. Io e tuo padre siamo amici di antica data. Dopo tutto, sono stato io a parlargli dei miei sospetti sul vecchio Fiato Morto.»
«È stato lei a dirgli che Ade ha rubato la Folgore?»
«Sicuro. Incastrare qualcuno per cominciare una guerra. Il trucco più vecchio del mondo. L'ho capito subito. In un certo senso, devi ringraziare me per la tua piccola impresa.»
«Grazie mille.» borbottò Percy, sarcastico.
«Ehi, sono un tipo generoso.» quasi non scoppiai a ridergli in faccia. «Fa’ questo lavoretto per me, e ti aiuterò. Vedrò di procurare un passaggio a te e ai tuoi amici.»
«Ce la caviamo benissimo da soli.»
«Come no. Niente soldi. Niente mezzi. E senza la minima idea di con chi avete a che fare. A parte, forse Avalon. Ma tanto lei non parlerà mai, quindi… Aiutami, e forse ti dirò qualcosa che hai bisogno di sapere... a proposito di tua madre.»
«Mia madre?»
Sogghignò. «Vedo che finalmente ho ottenuto la tua attenzione. Il parco acquatico è a un chilometro e mezzo da qui, seguendo la Delancy in direzione ovest. Non potete sbagliare. Cercate il Tunnel dell'Amore.»
«Cos'ha interrotto il suo appuntamento?» chiese Percy. «Vi ha spaventato qualcosa?»
«Qualcosa non è il termine più appropriato, temo.» risposi io con un mezzo sorriso, al posto del dio. «Anche se calza a pennello la situazione in cui si è messo.»
Ares mi mostrò i denti, ma conoscevo perfettamente quell'espressione minacciosa: l’aveva sempre Clarisse quando era nervosa e stava nascondendo qualcosa.
«Sei fortunato ad avere incontrato me, pivello, e non uno degli altri dei dell'Olimpo. Non tutti hanno la mia indulgenza verso le cattive maniere. E non tutti si fanno tenere a bada da Avalon.» alzai un sopracciglio, scettica. «Va bene, sì.» ammise. «Forse tutti si fanno tenere a bada da te, ragazzina. Forse. Ma non devi approfittartene.»
«Quando mai lo faccio?»
«Ci rivediamo qui quando hai finito.» continuò, rivolto a Percy. «Non mi deludere.»
Dopo meno di un secondo Ares non c'era più. Svanito nel nulla tanto rapidamente da far pensare che non fosse mai stato lì. Ma sapevo che quella conversazione era stata reale, così come se ne stava rendendo conto Percy osservando la mia faccia. E quelle di Annabeth e Grover accanto a noi.
«Si mette male.» commentò Grover. «Ares è venuto a cercarti, Percy. Qui si mette proprio male.»
«Speravo di evitare questa parte.» mormorai con un sospiro.
Scrutai fuori dalla vetrina. La moto era scomparsa. Ovviamente.
Mi sentii osservata e, quando riportai lo sguardo sui miei amici, trovai Percy intento a fissarmi in una maniera quasi morbosa. A cosa stava pensando? Oh, certo. Si stava chiedendo se Ares avesse davvero delle informazioni su sua madre e se io ne sapevo qualcosa. Probabilmente si stava anche domandando se potesse farmi delle domande, ma non sembrava tanto sicuro di volerlo fare davvero. Cosa che apprezzai molto. Non volevo dovergli rispondere in modi che non lo avrebbero soddisfatto.
«Probabilmente è solo un trucco.» disse, alla fine. «Al diavolo Ares. Andiamocene e basta.»
«Non possiamo.» intervenne Annabeth. «Ascolta, detesto Ares come chiunque altro, a parte Avie, forse. Ma non puoi ignorare gli dei, se non vuoi incorrere in seria sventura. Non scherzava quando ha detto che poteva trasformarti in un roditore.»
Lui abbassò lo sguardo sul suo cheeseburger, riflettendo. «Perché ha bisogno di noi?»
«Forse è un problema in cui serve il cervello.» suggerì Annabeth. «Ares è forte. Ma ha soltanto questo. Perfino la forza deve inchinarsi alla saggezza, ogni tanto.»
«Ma il parco acquatico... sembrava quasi spaventato. Cosa potrebbe mai mettere in fuga un dio della guerra?»
Annabeth e Grover si scambiarono un'occhiata nervosa.
«Temo che dovremo scoprirlo.» concluse Annabeth.
«E quando lo avrete scoperto, so già che non vi piacerà.» commentai.
Mi fissarono tutti e tre, preoccupati.
«Lo sai, o lo sai?» mi domandò Grover.
Alzai le spalle. «Tutti e due.»
Il sole stava calando dietro le montagne quando trovammo il parco acquatico. A giudicare dal cartello, un tempo si chiamava Waterland, ma alcune lettere erano venute via, perciò si leggeva solo WAT R A D.
Il cancello principale era chiuso con un lucchetto e sormontato da una protezione di filo spinato. All'interno, enormi scivoli ad acqua, tubi e canali ormai a secco si attorcigliavano ovunque, tuffandosi in vasche vuote. Vecchi biglietti e locandine svolazzavano sull'asfalto. Man mano che si faceva buio, il posto assumeva un'aria triste e lugubre.
«Se Ares porta qui la sua ragazza per un appuntamento» disse Percy, guardando il filo spinato «non voglio sapere quanto è brutta!»
«Percy!» lo ammonì Annabeth, mentre io sghignazzavo. «Sii più rispettoso.»
«Perché? Pensavo che detestassi Ares.»
«È pur sempre un dio. E la sua ragazza ha un bel caratterino.»
«Non ti conviene insultare la sua bellezza.» aggiunse Grover.
«Chi è? Echidna?»
«No, Afrodite.» rispose Grover, in tono sognante. «La dea dell'amore.»
«La Signora Suprema delle Pettegole.» continuai io.
«Ma non era sposata con qualcuno?» chiese il Mollusco. «Con Efesto, mi pare.»
«E allora?» fece Grover.
«Non è che le importi molto.» aggiunsi, più che eloquente. «O che importi ad Ares.»
«Oh!» Percy cambiò velocemente argomento. «Bene, come entriamo?»
«Maia!» sulle scarpe di Grover spuntarono le ali.
Volò oltre la recinzione, fece una capriola involontaria a mezz'aria e atterrò goffamente dall'altra parte. Si spolverò i jeans facendo l'indifferente, come se avesse calcolato tutto. «Venite anche voi, ragazzi?»
Io mi avvicinai alla recinzione e, subito, le viti tra i miei capelli presero vita. Si allungarono fino a superare la recinzione e toccare il suolo dall’altra parte, accanto a Grover, e si ingrossarono abbastanza da sollevarmi dalla vita e farmi arrivare vicino al mio amico, facendomi atterrare molto più delicatamente di quanto aveva fatto lui e senza un graffio. Mentre si ritiravano tra i miei capelli, le accarezzai dolcemente per ringraziarle. Erano davvero fantastiche, quando volevano. Altre volte, invece, sapevano essere davvero permalose. Come il dio che me le aveva donate.
Percy e Annabeth mi guardarono con tanto d’occhi, poi si dovettero arrampicare alla vecchia maniera, reggendosi il filo spinato a vicenda per passare dall'altra parte.
Mentre le ombre si allungavano, ci addentrammo nel parco, scrutando le varie attrazioni. C'erano "L'Isola dei Serpenti d'Acqua Dolce", "Occhio alle Mutande" e "Ehi, bello! Dov'è il mio costume?"
Non sbucò fuori neanche un mostro. Non si sentiva il minimo rumore. E questo non presagiva nulla di buono.
Trovammo un negozio di souvenir lasciato aperto. La merce era ancora allineata sugli scaffali: palle di vetro con la neve dentro, matite, cartoline e pile di...
«Vestiti!» esclamò Annabeth. «Vestiti puliti.»
«Già.» confermò Percy. «Ma non puoi mica...»
«Sta' a vedere.»
Agguantò un'intera fila di roba dagli espositori e scomparve in un camerino. Pochi minuti dopo, emerse rivestita di tutto punto: bermuda a fiori marcati Waterland, un'ampia maglietta rossa Waterland, un paio di scarpe di tela Waterland e uno zainetto Waterland, ovviamente riempito completamente di altri abiti.
«Prego, ragazzi, servitevi pure.» commentai, facendo loro un cenno verso gli espositori.
«Al diavolo!» Grover scrollò le spalle.
Poco dopo, tutti e tre erano vestiti come cartelloni pubblicitari ambulanti del defunto parco a tema. Fortuna che io, avendo ancora il mio zaino, non ebbi bisogno di quegli abiti… non credo sarei stata in grado di portarli con tanta indifferenza.
Continuammo a cercare il tunnel dell'amore. Avevo la sensazione che l'intero parco stesse trattenendo il fiato, come in attesa dello scoppio di una bomba. E, sapendo quello che sapevo, non me ne stupivo affatto. Anche se non mi piaceva per niente.
«E così Ares e Afrodite» disse il Mollusco «hanno una tresca?»
«È una vecchia storia, Percy.» rispose Annabeth. «Vecchia di tremila anni, per la precisione.»
«E il marito di Afrodite?»
«Beh, sai...» continuò lei «Efesto. Il fabbro. È rimasto zoppo da bambino, quando Zeus l'ha scaraventato giù dall'Olimpo. Perciò diciamo che non è una gran bellezza. È bravo con le mani e tutto, ma Afrodite non va esattamente pazza per il talento e il cervello, mi sono spiegata?»
«Zeus, certo…» soffiai. «Per una volta che non ha fatto niente, lo incolpano comunque.»
«Le piacciono i motociclisti?»
«Più o meno.» sogghignai.
«Efesto lo sa?»
«Oh, sicuro.» rispose Annabeth. «Li ha sorpresi insieme, una volta. Ma forse sarebbe meglio dire "presi": li ha catturati in una rete d'oro e poi ha invitato tutti gli dei a guardarli e a farsi due risate.»
«E si è divertito talmente tanto che è diventato il suo passatempo preferito.» commentai.
«Efesto cerca sempre di metterli in imbarazzo. Ecco perché si incontrano in posti fuori mano come...» si fermò, guardando dritto davanti a sé. «... questo.»
Davanti a noi c'era un'enorme vasca vuota che sarebbe stata l'ideale per le acrobazie con lo skateboard. Era larga almeno cinquanta metri e aveva la forma di un pallone tagliato in due.
Attorno al bordo, una dozzina di statue di bronzo di Cupido faceva la guardia, con le ali spiegate e gli archi tesi. Di fronte a noi, sul lato opposto, c'era l'ingresso di un tunnel, nel quale probabilmente fluiva l'acqua quando la vasca era piena. Il cartello diceva: IL TUNNEL DEI BRIVIDI D'AMORE: NON È ROBA PER I VOSTRI GENITORI!
Raccapricciante. Decisamente, non ci aspettava nulla di buono.
Grover si avvicinò cautamente al bordo. «Ragazzi, guardate!»
Arenata sul fondo della vasca, c'era una barchetta a due posti rosa e bianca, sormontata da un baldacchino e ricoperta di cuoricini. Disgustoso. Sul sedile di sinistra, scintillante nella luce tenue del crepuscolo, c'era lo scudo di Ares, un cerchio di bronzo levigato.
«È troppo facile.» osservò Percy. «Possibile che dobbiamo solo scendere giù e prenderlo?»
Annabeth fece scorrere le dita sulla base della statua di Cupido più vicina.
«Qui c'è scolpita una lettera greca.» notò. «Eta. Mi chiedo...»
«Grover» chiese il Mollusco «senti odore di mostri?»
Annusò il vento. «Niente.»
«Niente tipo "sotto-l'arco-c'era-Echidna-e-non-hai-sentito-niente", o niente sul serio?»
Lui ci rimase male. «Te l'ho detto, eravamo sottoterra.»
«Okay, scusa.»
«Solo perché non c’è odore di mostri non significa che non ci sia niente.» commentai.
I loro sguardi si spostarono su di me.
«Che intendi?» mi domandò Percy.
«Cosa c’è?» aggiunse Grover.
Lanciai uno sguardo ad Annabeth, ancora intenta a studiare la lettera Eta chiedendosi dove l’avesse già vista. Sperai ci arrivasse in fretta, così come capitava in alcuni di quei futuri che conoscevo. Anche se, ovviamente, erano davvero davvero pochi. Ovviamente.
Distolsi lo sguardo, puntandolo sulla barchetta, e sospirai. «Niente.»
Percy mi studiò per alcuni istanti, comprendendo al volo che qualcosa non andava ma che non avrei aggiunto altro. Poi fece un bel respiro.
«Vado.» disse.
«Vengo con te.» Grover non sembrava molto contento, ma sapevo che lo faceva perché si sentiva in colpa per averci lasciati da soli sull’arco a St Louis.
«No.» gli disse il Mollusco. «Voglio che rimani quassù con le tue scarpe volanti. Sei il Barone Rosso, l'asso del volo, ricordi? Se qualcosa dovesse andare storto, conto su di te per la ritirata.»
Grover gonfiò un po' il petto. «Ma cosa potrebbe andare storto?»
Io scossi la testa, contrariata. «Dovevi proprio dirlo?»
«Non lo so. È solo una sensazione.» rispose Percy, lanciandomi un’occhiata. «Annabeth, vieni con me.»
«Stai scherzando?» lo guardò come se fosse appena piombato giù dalla luna. Aveva le guance in fiamme e io sghignazzai senza ritegno.
«Che problema c'è, adesso?»
«Io, venire con te nel "Tunnel dei Brividi d'Amore"? Ma ti rendi conto di quanto è imbarazzante? E se mi vede qualcuno?»
«Ma chi potrebbe vederti?»
E ora, anche il Mollusco sembrava un pesce cotto a puntino.
Io sghignazzai ancora di più, mentre tutti e due mi fulminavano con lo sguardo.
«Bene.» disse Percy. «Faccio da solo.»
Annie stava per seguirlo, borbottando qualcosa che assomigliava molto a “I ragazzi sono una gran seccatura”, quando la fermai per un braccio, facendola voltare verso di me.
«Resta con Grover.» le dissi, seria.
«Perché?» mi chiese lei, alzando un sopracciglio.
Io non risposi, ma non servì. La mia espressione doveva essere abbastanza eloquente da ascoltarmi, così annuì e affiancò il satiro. Io mi incamminai verso il fondo di quella scodella gigante, seguendo Percy.
Raggiungemmo la barca. Lo scudo era appoggiato su un sedile, con un foulard di seta accanto. Mi osservai intorno, disgustata. Sapevo perché Ares e Afrodite avevano scelto quel posto, egocentrici com’erano. Gli specchi che ricoprivano ogni singolo centimetro di quell’attrazione permettevano loro di rimirarsi per tutto il tempo che volevano. I gusti erano gusti, certo, ma io avrei preferito infinite volte il Tartaro stesso a un luogo del genere. Puah.
Percy raccolse il foulard, di un rosa scintillante e profumato, e se lo portò al viso per sentirne meglio l’odore inebriante. Glielo strappai di mano prima che potesse strofinarselo su tutta la faccia, come un vero ebete. Non era colpa sua, dopotutto. La magia di Afrodite faceva uno strano effetto a chi non ci era abituato. Le mie sorelle le avevano impedito di regalarmi un oggetto simile, quando ero piccola, e io segretamente ero stata loro grata. Avevo già abbastanza problemi senza un dono del genere…
«Pessima idea, Mollusco.» gli dissi, infilandomi il fazzoletto in tasca. «Stai alla larga dalla magia dell’amore. Credimi.»
«Cosa?»
«Prendi quello scudo, Testa d'Alghe, e andiamocene via di qui.» urlò Annabeth dalla cima della vasca.
Lui lo fece. E nell'istante stesso in cui lo toccò, sgranai gli occhi.
«Porco Efesto!» imprecai.
Quello era uno degli scenari peggiori, uno di quelli che speravo non si avverasse. Ma, come al solito, era proprio il prescelto dal Fato. Il meccanismo di allarme della trappola, poteva essere tante cose diverse. In quel caso, purtroppo per noi, si era attivato quando Percy aveva, involontariamente, spezzato un filo elettrico incredibilmente sottile che legava lo scudo alla panca della barchetta.
Male.
Male male male.
Fortuna che avevo detto alla figlia di Atena di restare con Grover, altrimenti… quello che stava per capitare l’avrebbe terrorizzata.
«Aspettate.» fece Annabeth.
«Troppo tardi.» mormorò Percy.
«C'è un'altra lettera greca sul fianco della barca, un'altra Eta. È una trappola.» osservò lei, studiandoci da lontano.
«Ma dai!» commentai.
Un gran fragore metallico interruppe la nostra conversazione, il rumore di un milione di ingranaggi che entravano in azione, come se l'intera vasca si stesse trasformando in una macchina gigantesca. Efesto doveva essersi proprio divertito a modificare quell’attrazione mortale.
Grover gridò: «Ragazzi!»
Su in alto, lungo il bordo, le statue di Cupido stavano portando gli archi in posizione di tiro. Prima che potessi anche solo pensare di mettere in guardia Percy, fecero fuoco, ma non contro di noi: l'uno verso l'altro, da una parte all'altra del bordo. Dalle frecce si dipanavano dei cavi lucenti che, arcuandosi sopra la vasca, andavano ad ancorarsi sul lato opposto, formando un enorme asterisco dorato. Poi dei fili metallici più sottili cominciarono magicamente a intrecciarsi tra le funi principali, intessendo una rete. E intrappolandoci al di sotto.
«Dobbiamo andarcene.» disse Percy.
«Ma davvero?» ironizzò Annabeth.
«Che deduzione illuminante.» rincarai io.
Percy agguantò lo scudo e scappammo, ma risalire il pendio della vasca non era facile come andare in discesa. Era troppo liscia e senza appigli.
«Forza!» ci incitò Grover.
Stava cercando di tenerci aperto un varco nella rete insieme ad Annabeth, ma ovunque la toccassero, i fili metallici si attorcigliavano attorno alle loro mani.
Le teste dei Cupidi si spalancarono e ne sbucarono fuori delle telecamere. Tutt'intorno alla vasca spuntarono dei riflettori, accecandoci, e la voce di un altoparlante tuonò: «Diretta sull'Olimpo prevista fra un minuto... cinquantanove, cinquantotto...»
«Efesto!» gridò Annabeth. «Che stupida! Eta è l'iniziale di Efesto in greco. Ha costruito questa trappola per sorprendere la moglie con Ares. Adesso verremo trasmessi in diretta sull'Olimpo e faremo la figura dei perfetti idioti!»
«Ecco, Percy, ora sai cos’ha spaventato tanto Ares.» osservai, continuando a cercare di arrampicarmi. «Vi avevo detto che non vi sarebbe piaciuto.»
Eravamo quasi arrivati in cima, quando gli specchi si aprirono come tanti sportelli e migliaia di minuscole cose metalliche si riversarono fuori.
Annabeth gridò, sopra le nostre teste.
Era un esercito di raccapriccianti e brulicanti animaletti a molla: il corpo di bronzo, le zampe affusolate, la bocca piccola e a tenaglia, ci correvano incontro formicolando in un'ondata di crepitii e ronzii di metallo.
«Ragni!» disse Annabeth. «Aaaaaaah!»
«Ecco.» dissi. «L’abbiamo persa.»
Non l'avevo mai vista andare fuori di testa in quel modo. Cadde all'indietro terrorizzata e Grover fu costretto a lasciare la rete e aiutarla a rimettersi in piedi, cercando di convincerla che i ragni non potevano raggiungerla perché intrappolati con noi sotto la rete.
Io e Percy tornammo di corsa verso la barca per impedire che i ragni ci assalissero in massa.
Quei cosi adesso erano ovunque, riversandosi come una marea verso il centro della vasca, circondandoci su ogni fronte. Cominciammo a tirare calci da tutte le parti per allontanare i ragni che cercavano di salire a bordo, rischiando persino di darcene tra di noi. Percy gridò ad Annabeth di trovare una soluzione, ma lei era troppo paralizzata per occuparsi di qualcosa di diverso dallo strillare. Le sue urla mi trapanavano le orecchie nonostante la distanza.
«Trenta, ventinove...» recitava l'altoparlante.
«Oh, che gioia…» mormorai.
I ragni cominciarono a sputare lunghi tratti di filo metallico, cercando di imprigionarci. Erano facili da spezzare, ma ce n'erano così tanti, e i ragni continuavano ad arrivare. Percy ne levò uno dalla mia gamba con un calcio e le sue tenaglie si portarono via un pezzo della sua scarpa nuova. Grover volteggiava sopra la vasca con le sue scarpe volanti, cercando di allentare la rete, che però non si piegava nemmeno. Annabeth continuava a gridare da un punto indistinto al di là della rete.
Mi misi a riflettere. “Quale futuro che conosco è questo?”
Chiusi gli occhi. Analizzai ogni cosa: dall’incontro con Ares, al nostro arrivo al parco a tema. Dalla scenetta dei vestiti al momento in cui avevamo trovato l’attrazione dell’amore. Dal battibecco tra Percy e Annabeth al momento in cui era scattata la trappola.
Ma certo!
L’innesco!
Quel dannato filo metallico aveva fatto partire tutto, e c’erano ben pochi scenari in cui Efesto lo aveva usato.
«Quindici… quattordici…» gracchiava l’altoparlante.
Con le palpebre ancora abbassate, ripassai nella mia mente ogni singolo istante di ogni singola versione di quella giornata folle… e trovai la mia risposta nell’esatto momento in cui Percy gridò: «Grover! Vai in quella cabina! Trova il pulsante di accensione!»
«Ma...»
«Fallo!» urlai io, lanciando uno sguardo d’intesa a Percy.
Perché era così che sarebbe dovuta andare, all’inizio. Con la differenza che Annabeth, al posto di strillare da qualche parte sopra le nostre teste, sarebbe stata accanto a Percy su quella barca. Continuando a gridare come una pazza isterica, ovviamente.
Grover entrò nella cabina di controllo e si mise a smanettare sui pulsanti. Pregai che facesse in fretta.
«Cinque, quattro...»
Ci lanciò uno sguardo disperato, alzando le mani. Un segnale chiaro: aveva premuto ogni pulsante, ma non stava ancora succedendo nulla.
Stritolai il braccio di Percy, terribilmente tesa. «Mollusco…»
Lui chiuse gli occhi e io compresi al volo cosa stesse cercando di fare: stava provando ad attingere ai suoi poteri di figlio di Poseidone. E, come da previsioni, funzionò.
«Due, uno... zero
L'acqua esplose fuori dai tubi, precipitando con un boato nella vasca e spazzando via i ragni.
Mi sedetti di scatto su uno dei sedili della barchetta, allacciandomi la cintura di sicurezza per evitare di venire sbalzata via durante quella corsa folle che stavamo per fare. Nello stesso istante l'onda violenta ci investì dall'alto, travolgendo i ragni e innaffiandoci completamente, senza ribaltarci. La barca si girò, si sollevò nella marea e prese a ruotare su se stessa attorno al gorgo.
L'acqua era piena di ragni in cortocircuito, alcuni dei quali esplodevano violentemente, scaraventati contro le pareti della vasca.
Avevamo i riflettori puntati addosso. Le Cupido-camere stavano girando la diretta per l'Olimpo. Avessi potuto, le avrei disintegrate.
Mi tenni stretta ai bordi della barca mentre Percy la governava, completamente concentrato nel tentativo di farle cavalcare la corrente senza farci spiattellare al muro.
Girammo in tondo per un'ultima volta, con il livello dell'acqua ormai così alto da farci quasi finire schiacciati contro la rete metallica. Poi il muso della barca puntò dritto verso il tunnel e partimmo a razzo nel buio.
Io e Percy ci ritrovammo a tenerci forte l’uno all’altra, strillando a squarciagola mentre la barca sfrecciava lungo gli anelli e le curve vertiginose del percorso e si lanciava in tuffi ripidissimi, superando immagini di Romeo e Giulietta e un mucchio di altra roba sdolcinata che per poco non mi fece vomitare.
Poco dopo eravamo fuori dal tunnel, con l'aria notturna che ci fischiava fra i capelli bagnati mentre la barca si precipitava a rotta di collo verso l'uscita.
Se l'attrazione fosse stata ancora in funzione, avremmo superato in tutta tranquillità la rampa del Cancello dell'Amore e saremmo atterrati sani e salvi nella vasca d'uscita. Ma c'era un problema. Il Cancello dell'Amore era chiuso con una catena. Le due barche schizzate fuori dal tunnel prima di noi adesso erano ammonticchiate contro la barricata: una sommersa, l'altra spaccata a metà.
«Slacciati la cintura.» mi gridò Percy.
«Cosa?»
«Fai come ti dico! Preferisci morire spiaccicata?» si fissò lo scudo di Ares al braccio. «Dobbiamo saltare!»
Oh.
Ma certo.
Avevo involontariamente dimenticato quella parte, mentre rianalizzavo le varie possibilità, perché sapevo quanto fosse facile finire schiantati su quel maledetto cancello. Dopotutto, lo avevo visto succedere parecchie volte. E non era proprio una bella scena.
Mi slacciai la cintura e mi tirai in piedi, afferrandogli la mano mentre il cancello si faceva sempre più vicino.
«Al mio via.» disse lui.
«No! Al suo via!» ribattei.
«Suo?»
«Civettina del mio cuore!» gridai. «Mi serve il tuo cervello! Dimmi che ti sei ripresa.»
«Sono qui!» urlò Annabeth in risposta. «Sto calcolando la traiettoria.»
«Bene!» esclamai. «Al tuo via!»
«D’accordo. Al suo via!» cedette Percy.
Lei esitò... esitò... e poi strillò: «Ora!»
Crac!
Annabeth, con la sua mente geniale, ci aveva garantito la massima spinta. Il che ci aveva portato ad averne addirittura troppa. La barca si fracassò nel mucchio e noi volammo in aria, oltre il cancello, oltre la vasca, e poi giù, verso l'asfalto.
Qualcosa mi afferrò per un braccio, dandomi uno strattone. «Ahi!»
Era Grover!
A mezz'aria, aveva afferrato Percy per la maglietta e me, e stava cercando di evitarci un atterraggio disastroso, solo che noi due viaggiavamo alla velocità della luce.
«Siete troppo pesanti!» si lagnò Grover. «Stiamo andando giù!»
«Lasciami!» gli dissi.
«Che cosa?»
«Fallo!»
Lui lo fece. Nello stesso istante, srotolai la frusta che portavo come collana e la usai per appendermi al cancello ed evitare di spiattellarmi, alleggerendo Grover allo stesso tempo. Lo schianto della barca contro il cancello mi riverberò in tutto il corpo.
Lui e Percy precipitarono comunque a terra, con Grover che faceva del suo meglio per rallentare la caduta. Si schiantarono contro un tabellone fotografico e la testa di Grover finì perfettamente nel buco in cui i turisti infilavano la faccia per fingersi Nunù, la Simpatica Balena. Percy cadde a terra. Forse era un po’ ammaccato, ma sembrava stare bene. E aveva ancora lo scudo di Ares al braccio. Annabeth lo aiutò a rimettersi in piedi e insieme diedero una mano a Grover a scastrarsi dal tabellone.
Io mi lasciai scivolare fino a terra liberando la mia frusta e mi voltai ad osservare il Tunnel Dell’Amore: l'acqua stava calando e la nostra barca si era fracassata.
A un centinaio di metri di distanza, all'ingresso della vasca, i Cupidi stavano ancora filmando. Le statue si erano girate in modo da puntarci le videocamere addosso e avevamo i riflettori in faccia.
Fissai una delle cineprese, mortalmente seria, mentre venivo affiancata dai miei amici.
«Caro Efesto, appena ti acchiappo ti disintegro.» dissi, calma, riavvolgendo con maestria la frusta intorno al mio collo, facendola tornare ad essere una collana.
«Lo spettacolo è finito!» gridò Percy. «Grazie e buona serata!»
I Cupidi tornarono nella posizione originaria. Le luci si spensero. Il parco piombò di nuovo nel buio e nel silenzio, tranne per il tenue sgocciolio proveniente dalla vasca d'uscita del Tunnel dell'Amore. Sperai che gli dei si fossero goduti lo spettacolo, perché presto me l’avrebbero pagata.
Odiavo essere presa in giro, e loro lo sapevano bene.
Percy sollevò lo scudo col braccio e si voltò verso di noi. «Dobbiamo scambiare due chiacchiere con Ares.»
«Non preoccuparti, disintegro anche lui.» affermai.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: Josy_98