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Autore: Newdark    11/10/2022    1 recensioni
[Universo Kelvin | post Star Trek XIII: Beyond]
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Jim Kirk scoprì di aver atteso e temuto con la stessa forza la visita di Spock solo nel momento in cui permise al Vulcaniano di entrare nel suo alloggio, quella sera.
«Capitano» salutò il Primo Ufficiale, fermandosi compostamente ad un metro da lui.
Non aveva la faccia di uno che avesse passato notti intere a tormentarsi sul perché l'amico avesse iniziato a snobbarlo, valutò Kirk, ma del resto "faccia" e "tormentarsi" erano parole grosse per uno come Spock. Magari nemmeno se n'era accorto? Nel dubbio Kirk si indispose subito – che razza di esordio si fosse aspettato, esattamente, rimaneva un mistero anche per lui.
«Signor Spock» lo accolse in tono distaccato, incrociando le braccia al petto con quella che sperava essere un'adeguata faccia da poker – la quintessenza dell'amichevolezza, insomma. «Mi dica». Chissà se l’altro aveva letto il "Lasciami solo col mio vergognoso infantilismo di ritorno" che Kirk aveva espresso tra le righe.
«Volevo proporle una partita a scacchi» spiegò Spock, impassibile come al suo solito.
Probabilmente no.
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Genere: Comico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James T. Kirk, Leonard H. Bones McCoy, Spock | Coppie: Kirk/Spock
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Benvenuta, benvenuto!
Ho iniziato a scrivere questa storia per me stessa qualche anno fa.
Non era previsto che diventasse una storia "vera" (e forse, effettivamente, non lo è - perché è fondamentalmente stupida,
e non ha altra pretesa che quella di provare ad essere divertente),
ma nella speranza che qualcun altro, oltre me, possa gradire questo scarabocchio surreale, la piazzo qua.
A chi vorrà avventurarsi, buona lettura.
A tutti, lunga vita e prosperità 🖖



NewDark







Molto rumore per nulla
 


 
 


   È verità universalmente riconosciuta che un Vulcaniano debba essere incapace di provare emozioni*. Tale convinzione è, in effetti, così saldamente radicata nelle menti di tutti – universalmente, in questo caso, non è affatto un'espressione iperbolica – da indurre i più a considerare i figli di Vulcano qualcosa di più affine a dei sofisticati computer piuttosto che a degli organismi viventi.
  James Tiberius Kirk, indomito Capitano della nave stellare Enterprise, era fiero di essere sfuggito alla categoria qualche anno prima. Era pur vero che Spock, il suo Vulcaniano – cioè, il suo Primo Ufficiale, non il suo... oh, beh – era per metà umano, ma in qualche modo Kirk si era sentito in dovere di concedere il beneficio del dubbio all'intera razza – era soltanto un illogico essere umano, in fondo, un sentimentale.
  Naturalmente Jim sapeva benissimo che c’erano cose che un Vulcaniano non avrebbe mai fatto – I Vulcaniani non, dopotutto, era in assoluto l'incipit preferito di Spock – ma, una volta eliminato l'impossibile, ciò che rimaneva (per quanto improbabile potesse sembrare)* Jim credeva di averlo visto.
  In qualche oscuro angolo del suo ego, in effetti, coccolava orgoglioso l'inconsapevole certezza di essere stato uno dei pochi – se non l’unico – a provocare tali e tanti slanci di umanità in quell'algido Vulcaniano, e che – addirittura – quel club di rari eletti sarebbe rimasto chiuso.
Senza neanche lontanamente supporlo, James Tiberius Kirk, indomito bla bla bla, era geloso delle emozioni di Spock.
  E questo, naturalmente, stava per diventare un problema.
 
 
 


   «Ho visto un Vulcaniano ridere, e nient'altro può più sorprendermi davvero» sentenziò McCoy dopo il terzo bicchiere di scotch, in risposta a chi o cosa nemmeno lo sapeva più, sfoderando sapientemente tutta la sua aria da uomo vissuto mentre buttava giù un altro sorso sotto lo sguardo esterrefatto dei suoi colleghi.
  Il bicchiere che Scotty andava avvicinando alla bocca rimase immobile a metà strada; Sulu non fu così fortunato e si strozzò con il sorso appena ingerito.
  «Sta scherzando, vero?» riuscì a balbettare Scotty soltanto un minuto più tardi.
  «Per forza che sta scherzando» rantolò Sulu, tossendo, sputacchiando e assumendo, nel mentre, una preoccupante sfumatura di verde.
  Chekov, dal canto suo, aveva l'aria di qualcuno che avesse appena avuto un incontro particolarmente ravvicinato e parimenti violento con un lampione e che stesse tuttavia ancora interrogandosi su come ciò potesse essere accaduto. Accanto a lui, Keenser scuoteva a testa come a dire che nessuna creatura nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali – a qualunque livello esse corrispondessero – si sarebbe mai bevuta una simile assurdità – e certamente non lui.
  «Per chi mi avete preso?» abbaiò McCoy, indignato, scoccando ai colleghi una delle sue consolidate occhiatacce di repertorio. «Io non vado in giro a raccontare frottole!».
  La protesta del medico scatenò immediatamente un'ondata di ferventi rassicurazioni sul fatto che nessuno intendeva mettere in dubbio la sua stimata parola, e tuttavia...
  McCoy non gradì la riserva.
  «Ma andiamo, dottore, questo è davvero troppo!» sottolineò spazientito Gary Mitchell, che con ogni probabilità avrebbe accolto con minore scetticismo la notizia che la sua controparte di un altro universo era ascesa a divinità dopo essere rimasta fulminata sul ponte di comando dell'Enterprise.
  «E che cosa, di grazia, avrebbe fatto ridere un Vulcaniano?» sbottò Scotty in tono ultra-polemico. «Per la miseria, non posso credere di averlo detto» borbottò a mezza voce un secondo dopo, scuotendo la testa con due occhi sbarrati in maniera abnorme.
  «Con questo state forse insinuando che io sia incapace di dire qualcosa di divertente?» ribatté McCoy, a metà tra il sarcastico e il piccato.
  «Ci sta dicendo» scandì Scotty lentamente, lo sguardo più allucinato di quella volta in cui si era scolato metà della riserva alcolica di Chekov e aveva iniziato a farneticare di aver visto due Klingon ballare una rumba scatenata in un pub di Los Angeles IV, «ci sta dicendo che lei ha fatto ridere un Vulcaniano? Con una barzelletta?».
  «Ma questo è impossibile!» gridò Sulu, straziato, portandosi le mani alla testa con aria sofferente.
Chekov lanciò un guaito terrorizzato.
  «Ammetto che non era esattamente una barzelletta» borbottò McCoy con un'alzata di spalle. «Ma è il risultato quello che conta, no?». E tornò a tracannare scotch con evidente soddisfazione.
  In quel momento, il Comandante Spock passò rapidamente accanto al gruppetto, radunato sull'uscio della sala ricreativa, e rivolse ai suoi sottoposti un cenno di saluto. Loro ricambiarono con delle facce che esprimevano vari gradi di sconquasso esistenziale.
  «Se fosse vero–» intervenne Mitchell, deglutendo con quella che pareva una fatica immensa.
  «È vero!» abbaiò McCoy, agitando minacciosamente il bicchiere e grondando alticcio disappunto.
  «Se fosse vero» ripeté Mitchell, cocciuto, «il poveretto doveva essere ubriaco da far schifo» considerò in tono grave, il volto adombrato da una serietà quasi tragica.
  Sulu e Chekov ulularono con passione.
  «Andiamo, non ci sono altre spiegazioni!» insistette Mitchell, urlando più forte per farsi sentire.
  «Vulcaniani non si ubriacano!» gracidò Chekov, scandalizzato, osservando il Primo Ufficiale Spock rispuntare una ventina di metri più in là, l’attenzione completamente rivolta al padd che stringeva tra le mani.
  «Ma i Vulcaniani non ridono!» protestò Scotty, alzando le braccia al cielo con aria drammatica e fissando a sua volta il Comandante. «Doveva avere il cervello fritto».
  «Che io sia dannato, non era ubriaco» grugnì McCoy, osservando anche lui, come gli altri, Spock. «Aveva soltanto preso una mazzata di troppo».
  «Allora era in stato confusionale!» puntualizzò Scotty in tono offeso, come rimproverando al medico di aver omesso dal racconto informazioni di importanza capitale.
  McCoy fece spallucce e continuò a bere, ormai apparentemente disinteressato alla questione.
  «Non riesco a crederci lo stesso» commentò Sulu, scuotendo debolmente la testa.
  Gli altri annuirono in silenzio, gli occhi piantati sulla figura del Comandante Spock, che ora si era voltato verso di loro e li osservava con quella che doveva essere perplessità – cinque persone più Keenser lo fissavano senza alcuna apparente ragione e borbottavano tra loro senza mai distogliere lo sguardo da lui – e con certe facce che avrebbero impensierito qualunque essere con un sangue appena meno freddo del suo.
  «Vi immaginate uno come lui... ridere?» chiese Sulu, con l'aria di chi stesse, così su due piedi, rivalutando tutte le certezze della propria esistenza.
  Il resto del gruppo rumoreggiò la propria incredulità e continuò a fissare il signor Spock, incurante del fatto che allo sguardo interrogativo del Primo Ufficiale si era aggiunto quello preoccupato del Capitano Kirk.
  «Sarebbe più realistico alimentare l'Enterprise con un impianto a pedali» brontolò Scotty, incrociando le braccia al petto con fare riottoso.
  «Ora deve dirci di chi si trattava, Dottore» bisbigliò Mitchell, senza distogliere lo sguardo da Spock e Kirk che si avvicinavano con aria guardinga.
  McCoy alzò gli occhi al cielo, esasperato.
  «In nome di questa tragica farsa che è l’esistenza, quanti Vulcaniani credete che io conosca?» sibilò.
  I suoi cinque colleghi si voltarono a guardarlo, ciascuno con un diverso grado di stupidità stampato in faccia, ma intanto Kirk e Spock li avevano raggiunti e il medico si ritrovò a domandarsi distrattamente se non avrebbe dovuto lanciare lucine colorate addosso al Primo Ufficiale perché quei ritardati dei suoi colleghi cogliessero l’allusione – in ogni caso sarebbe stato uno spettacolo interessante.
  «Salve, signori» esordì il Capitano, battendo amichevolmente una mano sulla spalla di McCoy e lanciando al gruppo un'occhiata indagatrice. «Tutto bene?».
  «Tutto bene, signore» confermò Sulu, riprendendo una parvenza di umana sostanza. Gli altri quattro fecero debolmente eco al Timoniere.
  Jim Kirk scambiò uno sguardo perplesso con Spock.
  Fu allora che una domanda scivolò fuori dalla bocca di un insospettabile Pavel Chekov. «Comandante» esordì il giovane Navigatore, «lei ha mai visto un Vulcaniano ridere?».
  Nel silenzio perfetto – e anche un po' ammirato – che seguì, un paio di sopracciglia si levò verso vette vertiginosamente alte – ma, sorprendentemente, non era quello appartenente al Primo Ufficiale: James Kirk guardava Chekov come sospettandolo di aver fumato qualcosa di davvero, davvero pesante.
  «Che dice mai, sottotenente?» esclamò, scandalizzato. «Quel brandy dev'essere straordinariamente forte. Dovrò provarlo, più tardi» aggiunse, in tono semi-serio, e si voltò verso Spock, che dal canto suo appariva impassibile come al suo solito.
  «Temo di doverla deludere, signor Chekov» rispose il Vulcaniano, conciso, e con un cenno di saluto – ed un'occhiata indecifrabile verso McCoy – seguì il Capitano verso il turboascensore.
  Quando i due Ufficiali furono spariti e i suoi colleghi tornarono a rivolgergli la loro totale attenzione, al dottor McCoy bastò un'occhiata per realizzare che quei cinque rimbambiti non avevano ancora capito un bel niente.
  «Per essere tra le eccellenze della Flotta Astrale, lasciate molto a desiderare» sentenziò il medico, alzando le spalle e scolandosi un altro bicchiere.
 
 
 


   Malgrado gli ottimi presupposti, il momento della rivelazione non era stato gratificante come McCoy si era aspettato – anzi. Contro ogni previsione, infatti, il disgraziato medico si era ritrovato alle prese con un'emergenza sanitaria in piena regola – se avesse potuto anche solo lontanamente immaginarlo, avrebbe tenuto quella sua dannata boccaccia chiusa, maledizione.
  Lo spettacolo era semplicemente desolante. Chekov era svenuto sul colpo, Scotty vomitava in un angolo, Mitchell sbatteva la testa contro una parete con lo sguardo vacuo e Sulu era finito in crisi respiratoria. Era difficile crederci pure avendoli lì davanti agli occhi, ed essere l'Ufficiale Medico Capo rendeva il tutto ancora meno divertente – perché era lui a dover sgobbare come un operaio sottopagato di Neptunea IX (dove i sindacati lasciavano notoriamente molto a desiderare), adesso, pure se quelle avrebbero dovuto essere le sue ore di riposo.
  «L'ho sempre detto, io, che quel Vulcaniano è un problema» tuonava il dottore, alteratissimo, saltellando da un disgraziato all'altro e brandendo i suoi strumenti medici in maniera tutt’altro che rassicurante. «Uno non può avere delle orecchie così per niente, o no?» abbaiò ad un ancora semi-incosciente Pavel Chekov che, come unica risposta, iniziò a sbavare abbondantemente sulle sue scarpe. «Voglio morire giovane» dichiarò McCoy, adirato. «Possibilmente adesso».
  Keenser, l'unico a non manifestare strani sintomi, si limitò ad alzare le spalle, mollando qualche pacca di conforto sulla schiena di un pallido Scotty che a malapena si reggeva sulle proprie gambe.
  I quattro membri dell'equipaggio erano immediatamente stati trasportati in infermeria e posti in stato di quarantena, ma questo non aveva impedito alla situazione di degenerare in maniera disastrosa, e nel giro di un paio d’ore – senza che nessuno avesse la più vaga idea di che cosa diavolo stesse succedendo – la peggior crisi che il medico avesse dovuto fronteggiare dal momento in cui aveva avuto la malsana idea di prendere servizio su quell'atroce scatoletta volante aveva travolto l'equipaggio dell'Enterprise, che ora dimostrava di possedere un sorprendente estro creativo dando di matto nei modi più fantasiosi – perché era questo che stava succedendo, la gente stava impazzendo (McCoy preferiva dimenticare l'immagine del signor Riley che correva a rotta di collo per i corridoi con le braccia spalancate tentando di spiccare il volo o quella del signor Lee che pretendeva di spiegare il funzionamento dei reattori materia-antimateria ad un tribolo morto).
  In quella che avrebbe ricordato come la giornata di lavoro massacrante più ingiustificata della sua vita, McCoy si ritrovò l'infermeria assediata da decine e decine di miserabili creature in vari stati di instabilità mentale, e con molti dubbi a tormentarlo ed una sola certezza ad aprire uno spiraglio luminoso sul suo futuro: una volta finita quella brutta storia, avrebbe presentato le dimissioni e si sarebbe dato alla coltivazione di melanzane zannute (una varietà particolarmente pregiata) su K'ehppahll II.
  L'origine di quella catastrofe era ancora sconosciuta, e correntemente investigata dal team scientifico al gran completo, guidato come sempre dal Primo Ufficiale. Ciò che era insolito, era la condizione di recluso da cui il signor Spock si trovava a dover operare: il dottor McCoy, infatti, aveva decretato che il Vulcaniano rimanesse confinato nella propria cabina fino a nuovo ordine, senza fornire ulteriori spiegazioni.
Per quanto si rifiutasse di pronunciare ad alta voce i motivi che l'avevano spinto ad una simile decisione, McCoy non poteva ignorare quanto successo con Scotty e gli altri, né che la voce di quel particolare aneddoto si fosse sparsa in lungo e in largo con la rapidità con cui erano aumentati i casi di squilibrio tra l'equipaggio.
  La notizia dell'improvvisa morìa di uomini e donne aveva, naturalmente, raggiunto il Capitano Kirk nel suo alloggio, turbando quei quindici minuti di quiete che si era concesso prima di andare a cena. Contattato dal Tenente Uhura, Jim si era fiondato in infermeria a tutta velocità, per assistere esterrefatto al via vai di gente in stato psicologicamente alterato che sciamava dentro e fuori dalla stanza in moto pressoché continuo.
  «Bones» aveva balbettato il Capitano, dopo aver raggiunto un indaffaratissimo McCoy e averlo costretto a fermarsi un momento. «Che sta succedendo? Un virus? Di che si tratta?».
  McCoy aveva scosso la testa, più incazzoso che mai. «Un dannato casino, ecco di che si tratta».
  Jim lo aveva seguito mentre il medico si fermava a controllare lo stato di quello che, fino a quel pomeriggio, era stato un valido Tenente delle Comunicazioni e che ora, invece, discuteva amabilmente con il fantasma di sua zia Gertrude.
  Jim contemplò a bocca aperta l'angosciante spettacolo.
 «Ma li stai curando?» domandò, costernato. «Di che cosa hai bisogno? Che cosa ne pensa S-». Ma il Capitano non poté finire la domanda ché il dottore lo aveva assalito per tappargli la bocca con una furia mai vista. «Che diavolo...?» biascicò Kirk, sbigottito, chiedendosi se non avesse perso qualche rotella anche il medico.
  «Per carità!» ululò McCoy, gli occhi spalancati in maniera terrificante. «Per nessuna ragione devi pronunciare quel nome!» gli sibilò irosamente ad un centimetro dal naso.
  «Ma... perché?». Il Capitano iniziava ad avere paura. Si guardò intorno, sperando di scorgere la rassicurante figura del Primo Ufficiale.
  «Ordini del medico» ringhiò McCoy, fulminandolo con uno sguardo che non ammetteva repliche. «È rinchiuso nel suo alloggio dal pomeriggio. Nessuno deve vederlo e nessuno deve parlare di lui. Sono stato chiaro?».
  Kirk era spaesato. Stava per riaprire bocca, e per causargli certamente altri guai, al che McCoy sbuffò, imprecò, afferrò l'amico per un braccio e lo trascinò nel suo ufficio, sbattendo di malagrazia la porta.
  «Siediti, Jim» gli intimò, scocciato, indicandogli la poltrona.
  Kirk obbedì, sudando freddo.
  McCoy lo squadrò per un lungo istante, prima di sospirare e premersi pollice e indice alla base del naso.
  «Il laboratorio sta lavorando a pieno regime, e come sempre il signor Spock sta coordinando le operazioni» lo rassicurò seccamente, «solo che lo sta facendo dal suo alloggio». Il medico alzò una mano per impedire al Capitano di interromperlo. «Non conosciamo ancora la causa di questa… bah, epidemia di follia. Ho però riscontrato personalmente un'evidenza... bizzarra, che è il motivo per cui l'equipaggio non deve vedere né sentir parlare di Spock per un po'».
  Kirk scalpitava, impaziente. «Quale evidenza?».
  McCoy fece la smorfia di qualcuno costretto a mandare giù qualcosa di veramente disgustoso. «Si è sparsa una voce, Jim – in effetti per causa mia, ma… beh, insomma, per qualche assurda ragione sembra che chiunque venga a conoscenza di questo fatto... abbia delle reazioni inspiegabili. Mi rendo conto che è ridicolo, e assurdo, e probabilmente – sicuramente – non esiste nessuna correlazione... ma al momento in mano non ho niente e non posso rischiare».
  Kirk lo guardava come se avesse finalmente deciso che sì, anche McCoy era ufficialmente impazzito. «Scherzi, vero? Di che diavolo stiamo parlando, di incantesimi e magia nera? Andiamo, Bones!».
  McCoy annuì, simpatetico. «Normalmente ti darei ragione… ma Jim, l'ho visto accadere con i miei occhi. Non posso semplicemente fare finta di niente».
  Il Capitano scosse la testa, contrariato. Incrociò le braccia al petto, inarcando le sopracciglia con aria irrimediabilmente scettica. «Avanti, allora. Sentiamo questa rivelazione maledetta».
  McCoy prese un profondo respiro e si preparò al peggio.
  «Ho fatto ridere Spock» confessò, studiandosi le unghie della mano destra. Quando si decise a rialzare lo sguardo, James Tiberius Kirk perdeva sangue dal naso.
 
 


 
   Il dottor Leonard McCoy aveva avuto modo di pentirsi della propria sciagurata decisione di arruolarsi nella Flotta tante di quelle volte, nel corso degli anni, e per così tante ragioni diverse – una su tutte, l'impossibilità di lanciare oggetti pesanti contro Spock ogni volta che ne avvertiva la necessità – da aver imparato che, in fondo, non aveva imparato un bel niente. Infatti, malgrado tutto, era ancora lì, incastrato per l'ennesima volta in una situazione che andava ben oltre il surreale.
  «Ma chi me l'ha fatto fare» ringhiò a denti stretti, infilandosi a tutta velocità in un ripostiglio per sfuggire all'ennesimo drappello di svitati che andava vagando per i corridoi in stato di esaltazione febbrile seminando caos e devastazione.
  McCoy grugnì qualche parolaccia a vuoto e poi contattò il centralino delle emergenze.
  «Ne ho incontrati altri cinque» brontolò alla guardia che rispose, fornendogli le indicazioni per correre a ripescarli. Poi chiuse la comunicazione, si abbatté di schiena contro l'unica parete libera e si lasciò scivolare a terra, contemplando per l'ennesima volta tutti gli errori che, nella sua vita, dovevano averlo condotto a questo epilogo infame.
  A tre giorni dall'inizio di quello sfacelo, le cause dell'epidemia erano ormai note ma i problemi, come dimostrava la sua attuale locazione, erano ben lontani dall'essere risolti.
  Leonard McCoy maledì Kaktuss XIII e tutto il suo rivoltante sistema solare per la quindicesima volta da che si era alzato quella mattina.
  Ci mancava solo il batterio con la passione per le emozioni forti.
  Era stato Spock col suo infaticabile zelo, ovviamente, a isolare il piccolo bastardo. Un mostriciattolo apparentemente innocuo, incapace di provocare danni nell’ospite a meno che questo non fosse sconvolto da un violento shock: in quel caso, il maledetto iniziava a fare festa, provocando nell'infetto reazioni assolutamente imprevedibili – come McCoy sapeva ormai troppo bene (il ricordo del sottotenente Wahlberg che lo inseguiva mezzo nudo e a braccia spalancate urlando “Alina, amami!” era ancora fresco e doloroso).
  Avevano visitato quell’immonda latrina di Kaktuss XIII un paio di settimane prima. Significava che, da allora, il batterio aveva circolato in lungo e in largo infettando pressoché ogni singolo componente dell'equipaggio, ma senza mai trovare l'innesco necessario perché i sintomi potessero manifestarsi. Significava, quindi, che l'aneddoto su Spock era stato la notizia più scioccante che quella manica di squilibrati altresì nota come evidentemente-sopravvalutato-equipaggio-dell'Enterprise avesse ricevuto nel giro di quattordici giorni.
  McCoy non aveva parole per descrivere l'infelice farsa in cui si era trasformata la sua vita da tre giorni a quella parte, se non una lunga sequela di colorite imprecazioni che avrebbero reso il suo vecchio fiero di lui.
  Tanto per cominciare, c'era l'emergenza sanitaria in sé – la sorveglianza, il trattamento dei pazienti, la ricerca di un antibiotico adatto, le notti insonni, il caos assoluto in ogni angolo della nave, infermeria in testa. C'erano i membri dell'equipaggio che continuavano ad ammalarsi e impazzire – sembrava che non tutti avessero ancora saputo di Spock, dopotutto – e a provocare pasticci di ogni tipo. Gestire – o provare a gestire – una situazione del genere era già uno sforzo soverchiante.
  Poi c'erano gli sguardi. E le chiacchiere. E le risate sommesse. E le allusioni sussurrate.
  E poi c'era Jim.
  Il suo migliore amico Jim, che lo evitava come la peste.
  Ma se dapprincipio McCoy si era sforzato di capire come mai l'uomo in questione – il suo improvvisamente-indaffaratissimo-ogni-volta-che-c'è-Bones amico Jim – non riuscisse a trovare un minuto di tempo per scambiare due chiacchiere con lui, specie perché lo trovava per chiunque altro, era poi sopraggiunto nel dottore, insieme alla consapevolezza della radice del problema, il desiderio di ritornare in quello stato di primigenia ignoranza – perché McCoy si rifiutava di credere che un uomo come Jim si fosse trasformato in un bamboccio geloso per una cosa tanto stupida – eppure.
  Da quella sanguinosa sera in infermeria, dopo essersi fatto dimettere a forza di fronte all’evidenza di non essere affetto da altri sintomi, Kirk non l'aveva neppure più degnato di un commento distratto. E se in un primo momento McCoy si era sentito insolitamente incline all'umana compassione – sembrava che il solo guardarlo causasse a Jim rimescolii interiori piuttosto spiacevoli, e per nessuna ragione al mondo il dottore avrebbe voluto sentirsi così a causa del goblin – ora iniziava ad averne le scatole piene: il grande Capitano James Kirk gli teneva il muso per una stupidaggine proprio come un povero deficiente qualsiasi e McCoy non riusciva a stare da solo nella stessa stanza con lui per il tempo sufficiente a notificarglielo.
  Da tre giorni, Kirk non parlava d'altro che di lavoro – ma comunque non con lui – non rideva, non faceva l'idiota, non faceva il piacione con qualunque forma di vita gli capitasse a tiro, non faceva proprio nient'altro che il professionale Capitano d'astronave e la sera si ritirava nel suo alloggio subito dopo aver cenato e aver scambiato due chiacchiere molto serie – ma comunque non con lui. Aveva l’aria dolente e appesantita di qualcuno che non avesse digerito il pranzo del Natale precedente, due occhiaie spaventose e tutta l'aria di trascorrere molto, troppo tempo a riflettere su se stesso – e questo, malgrado tutto, preoccupava McCoy moltissimo: certi sforzi possono risultare fatali quando non si è abituati a sostenerli.
  A fronte dell'assurda situazione, il dottore aveva definitivamente rinunciato a salire in plancia – scoraggiato anche dallo sguardo avvilito di Nyota Uhura perennemente fisso su di lui – ma certamente girare per i corridoi dell'astronave non aveva portato ad esiti più felici.
McCoy grugnì maledizioni a pioggia mentre, incastrato malamente sotto un mucchio di scope cibernetiche, attendeva depresso che le guardie sgombrassero il corridoio dal manipolo di svitati che l'aveva inseguito fino a lì nell’ignobile intento di fargli sposare il sottotenente Wahlberg, e nello stesso tempo valutava la possibilità di rimanere a morire in quello stanzino buio, perché di quello che lo aspettava fuori ne aveva avuto abbastanza, grazie tante.
  A consolarlo e a farlo contemporaneamente sentire in colpa in un modo che non avrebbe mai ritenuto possibile, e che rendeva l'idea della gravità della situazione, Spock non se la passava troppo meglio.
Confinato nel proprio alloggio da tre giorni, solo e sommerso di lavoro da mattina a sera, il Vulcaniano attendeva pazientemente che quella situazione paradossale terminasse, svolgendo i propri compiti dal computer della sua stanza – e dal piccolo ma super attrezzato laboratorio che aveva installato in un angolo – e avendo come unica e fin troppo frequente compagnia un dottor McCoy più provato che mai dalla vita.
  Anche quella sera, perciò, McCoy raggiunse Spock nel suo alloggio perché potessero far fronte insieme a quei momenti cupi, ciascuno a modo proprio: il Vulcaniano meditando, e il dottore annegando l'afflizione nello sherry.
  La piega delle labbra di McCoy si faceva ad ogni istante più tragica.
  «Non posso ancora crederci» farfugliò ad un certo punto il medico. «Per una cosa così stupida» singultò, già piuttosto brillo, penzolando in maniera pericolosa oltre lo schienale della sedia su cui si era accomodato. «Non posso proprio crederci» ripeté, prendendosi la testa tra le mani.
  Spock terminò la meditazione e gli lanciò un'occhiata indecifrabile.
  «E lei dica quel che vuole, ma lo so che è arrabbiato con me anche lei» abbaiò McCoy a quell’occhiata, anche se il tono gli uscì decisamente più piagnucoloso del previsto.
  Spock, ovviamente, inarcò il famigerato sopracciglio.
  «Oh, andiamo!» esplose il medico, biascicando penosamente. «Ero ubriaco e… stavamo facendo a chi piscia più lontano… va bene? Mi sono vantato, era quello che stavamo facendo tutti, lo avrebbe fatto anche le-». Ma gli bastò incrociare di nuovo quello sguardo impassibile – lo sguardo di qualcuno che tanto per cominciare non si ubriaca, e nella maniera più assoluta non fa a chi piscia più lontano.
  «Come non detto» mugugnò il medico, lugubre, «per stavolta mi risparmi l’interminabile elenco di quello che i Vulcaniani non fanno, la prego… o potrei seriamente valutare l’idea di affogarmi in quel suo cesso splendente. Ha idea della quantità di rapporti che dovrebbe stilare? Quanto tempo sottratto alla scienza, quanto tempo… sprecato…».
  Affascinante, pensò Spock, senza ancora aver mai spiccicato mezza parola.
  McCoy sollevò un dito con aria di alticcia disapprovazione. «E lo sa qual è l'aspetto peggiore di tutta questa faccenda?» domandò, guardandolo male. Il Vulcaniano non manifestò il minimo interesse ad essere illuminato in proposito, ma questo non gli impedì di venire comunque messo a parte della cosa. «Che se non voglio passare le serate solo come un cane mi tocca stare con lei, che è di compagnia quanto il criceto stupido di mia figlia, miseria maledetta».
  Gli sembrò che Spock lo guardasse con l'emozione Vulcaniana più vicina alla commiserazione.
  McCoy singhiozzò e guardò il fondo del bicchiere con aria affranta. «Odio tutto» gorgogliò, e crollò faccia in avanti sulla scrivania del Vulcaniano.
  Spock contemplò la sua figura accasciata per qualche istante. Poi afferrò il padd e si rimise a lavorare.
 
 
 
 

   «Quell'idiota».
  Un paio di sere più tardi, un McCoy di nuovo clamorosamente sbronzo si dondolava depresso sulla sedia di Spock. «Quel bamboccio idiota» grugnì per la centesima volta.
  Il Vulcaniano si era ormai abituato ai deliri serali da alcol del medico di bordo, ma questo non significava che gradisse anche solo in minima parte averci a che fare. Aveva quantomeno imparato a non prestarvi troppa attenzione, però, e così, anche quella sera, poté continuare a consultare il rapporto del signor Scott senza difficoltà – almeno finché McCoy non ritenne necessario renderlo partecipe del proprio feroce disappunto e iniziò a chiamarlo con insistenza.
  Spock porse un orecchio distratto ma continuò a lavorare.
  «Ho ragione o no, per… per la miseria? Ho ragione… o no?» abbaiò McCoy, petulante. «Non è… un comportamento idiota? Non pensa anche lei… che quell'uomo sia… un maledetto idiota?» domandò in tono retorico, occhieggiando il Vulcaniano con aria talmente fosca che se Spock avesse ricambiato lo sguardo gli sarebbe venuto il dubbio che il medico ce l'avesse con lui. Ma invece non lo guardava, e si costrinse ad annuire senza chiamare in causa logica e affini per un po' di quieto vivere – la situazione era già abbastanza penosa, dopotutto.
  «Si può essere… gelosi di una cosa… così stupida?» continuò a ringhiare McCoy. «E dico, io, si può… compe-compromettere un solido… rapporto d'amicizia per una cosa così… sstupida?».
  Spock annuì, concentrato sull'ultimo guasto in sala macchine della giornata.
  McCoy crollò le spalle, avvilito. «Lasci perdere» mugugnò, quando si rese conto che il Vulcaniano non gli stava prestando la minima attenzione – e forse, dopotutto, era meglio così. «Ma se lo lasci dire, Ssspock… quando le girano i coglioni è molto più simpatico. E scommetto che anche Jim lo pensa… almeno un po’».
  Questo, finalmente, distolse l'attenzione del Vulcaniano dallo schermo del padd. A McCoy scappò una specie di pernacchia trionfante.
  Spock inclinò millimetricamente la testa da un lato. «Non credo di capire».
  McCoy schioccò la lingua con aria saputa. «Venga a bere un goccio con me e prometto di… provare a spiegarglielo nel modo meno… offensivo di cui sia capace».
  Spock inarcò un sopracciglio. «Mi sta proponendo» disse lentamente, come soppesando la richiesta – neanche McCoy lo avesse invitato a seguirlo in un bordello Klingon, «di intossicarmi insieme a lei?».
  McCoy aveva ricominciato ad oscillare pericolosamente. «Se sente proprio il bisogno… di dipingere le cose in questo modo…».
  «Lei è intossicato, dottore» puntualizzò il Vulcaniano.
  McCoy masticò qualcosa tra i denti, passandosi una mano sulla faccia con tutta l’aria di chi si stesse molto pentendo di aver aperto bocca. «Viene a farmi compagnia o no?».
  «Perché desidera che mi intossichi anch’io?».
  Per scoprire se esiste almeno una versione di lei a cui non vorrei lanciare contro un Romulano obeso, dannato goblin.
  «Interagire con lei… è… estenuante» brontolò il medico, ed era tanto una risposta puntuale quanto una constatazione di carattere generale, e per un attimo McCoy si ritenne fiero di sé.
  Ma l’altro non batté ciglio.
  Il medico gettò indietro la testa e sbuffò con tutta l’esasperazione che soltanto Spock era capace di istillargli.
  «Tra gli umani… si usa, Ssspock, si… si usa – ormai dovrebbe saperlo» gracidò, stizzito. «Bere in compagnia… crea ca-maradar- camadar-urgh, una specie di… di intimità, ecco… e parlare… è più facile… a volte. Lei… lei capisce?».
  Persino nel suo stato di scarsa lucidità, a McCoy fu evidente che Spock non capiva affatto.
  «Curioso. Avevo l’impressione che parlare non le stesse riuscendo affatto più semplice» commentò secco il Primo Ufficiale, tragicamente serio.
  Le labbra di McCoy si piegarono drammaticamente all’ingiù. Gli puntò un dito tremolante contro.
  «Lei è… lei è–».
  «Vulcaniano, dottore» gli ricordò Spock, soave, con quella che gli parve un’insostenibile faccia da schiaffi, e per un attimo McCoy si chiese se per caso Spock non lo stesse molto umanamente prendendo per il culo. «E l’alcol non ha effetti sull’organismo Vulcaniano. Lei, tra tutti, dovrebbe–».
  «Non avevo intenzione di… spartire questo con lei» lo interruppe McCoy con una smorfia indispettita. «Ma lei potrebbe–». Spock inarcò un sopracciglio, severo e palesemente oppositivo, e il medico lo fulminò con l’ennesima occhiataccia. «Oh, andiamo!».
  «Vada dove vuole» ribatté Spock, composto, «ma in ogni caso, dottor McCoy, i Vulcaniani non–».
  McCoy ululò alle tredici lune di Nefarius V – un cupo lamento di miseria e disperazione.
  «Ma che mi ostino a fare a parlare con lei» singhiozzò, e gli puntò contro due occhi irati. «E quell’altro imbecille…» sibilò a denti stretti, inseguendo un filo logico chiaro solo a lui, «per lei… e io, qui… puah!» concluse, agitando scompostamente una mano per aria.
  Spock inarcò anche l’altro sopracciglio, senza in apparenza fare una piega. «Vedo che la proposta di matrimonio del sottotenente Wahlberg ancora la sconvolge…» commentò, tornando a concentrarsi sul proprio lavoro, «Alina».
  McCoy rimase a bocca aperta per qualche istante, arrossendo come un ragazzino.
  «Questa, poi» brontolò. «Mi rimangio quella cosa… sul giramento di coglioni e la… simpatia». E a McCoy parve quasi di intravedere il flash di un mezzo sorriso soddisfatto – ma doveva certamente essere un’allucinazione – sul viso altrimenti serio di Spock.
  «Mi dica… Ssssspock» farfugliò il medico forse un quarto d’ora più tardi, ormai quasi ubriaco. «Jim è mai… passato a trovarla… in questi giorni?».
  Spock rialzò la testa e studiò l'espressione derelitta di McCoy per un lungo istante.
  «No» rispose alla fine, con aria grave.
  McCoy annuì tra sé, come se questa fosse esattamente la risposta che si era aspettato di ricevere, e mandò giù l'ultimo sorso di liquore.
  «È del Capitano che continua a lamentarsi?» indagò Spock dopo qualche istante, e c’era qualcosa, in quella voce, che fece suonare la domanda come tutt’altro che una curiosità estemporanea.
  Per tutta risposta, McCoy esibì una smorfia di difficile interpretazione.
  «Le eccellenze della Flotta Astrale, tsk» sbottò in tono polemico. «Odio tutto» decretò, prima di abbattersi privo di sensi sulla scrivania.
 
 
 


   Qualunque fosse l'opinione del dottor McCoy in merito, Spock era tante cose ma decisamente non un idiota. Assodato questo, gli era occorso del tempo e un discreto sforzo di immaginazione per comporre il bizzarro puzzle di cui le lamentazioni alcoliche del dottore e lo strano, sfuggente comportamento del Capitano degli ultimi giorni costituivano le tessere – uno sforzo invero notevole, dal momento che tra i molti pregi Vulcaniani l'immaginazione si faceva notare per la sua totale assenza.
  Se mai avesse ancora nutrito qualche dubbio sul fatto che Jim Kirk lo stesse evitando di proposito, comunque, a Spock bastarono dieci minuti, dal momento in cui infine rimise piede in plancia, per toglierselo definitivamente.
  Ad una settimana dallo scoppio dei primi casi, la situazione sull'Enterprise era tornata sotto controllo. L'equipaggio era ancora infetto, ma fortunatamente era stato riscontrato come la sintomatologia acuta conseguente allo shock tendesse a recedere spontaneamente nel giro di qualche giorno e senza ulteriori complicazioni, malgrado i soggetti colpiti continuassero a manifestare, di quando in quando, comportamenti bislacchi (come il sottotenente Wahlberg che continuava, sfrontato, ad ammiccare a McCoy in maniera oltremodo lasciva) – sebbene in misura contenuta. Fortunatamente, comunque, l'antibiotico adatto esisteva già, e l'Enterprise ne attendeva i rifornimenti proprio in quelle ore.
  Stanti così le cose, l'ottavo giorno McCoy aveva permesso a Spock di lasciare il proprio alloggio e di tornare al suo lavoro in plancia.
  Nel momento in cui lo aveva visto entrare, Jim Kirk si era illuminato di un sorriso talmente accecante da convincere Spock di essersi lasciato fuorviare dalle chiacchiere alticce del dottore. Ma poi l’attimo era passato e quel sorriso si era incrinato, e poi tramutato in una smorfia amareggiata, e da quel momento il suo Capitano non gli aveva rivolto la parola – se non per lo stretto necessario – e non lo aveva degnato che di fugaci occhiate, perlopiù quando credeva che Spock non potesse vederlo.
  Kirk aveva un'espressione cupa, a tratti apertamente infelice, stampata in faccia, e Spock si ritrovò a chiedersi – non per la prima volta, vista la sua relazione sentimentale con un essere umano – se questo fosse il famigerato "broncio" umano e se Kirk non lo stesse tenendo proprio a lui.
  Non era ancora del tutto certo di come fossero arrivati ad un livello simile, ma quando a pranzo Kirk gli voltò le spalle per sedersi altrove, il Primo Ufficiale Scientifico dell'Enterprise decise che la questione doveva essere risolta in fretta.
 
 
 


   Jim Kirk scoprì di aver atteso e temuto con la stessa forza la visita di Spock solo nel momento in cui permise al Vulcaniano di entrare nel suo alloggio, quella sera.
  «Capitano» salutò il Primo Ufficiale, fermandosi compostamente ad un metro da lui.
  Non aveva la faccia di uno che avesse passato notti intere a tormentarsi sul perché l'amico avesse iniziato a snobbarlo, valutò Kirk, ma del resto "faccia" e "tormentarsi" erano parole grosse per uno come Spock. Magari nemmeno se n'era accorto? Nel dubbio Kirk si indispose subito – che razza di esordio si fosse aspettato, esattamente, rimaneva un mistero anche per lui.
  «Signor Spock» lo accolse in tono distaccato, incrociando le braccia al petto con quella che sperava essere un'adeguata faccia da poker – la quintessenza dell'amichevolezza, insomma. «Mi dica». Chissà se l’altro aveva letto il Lasciami solo col mio vergognoso infantilismo di ritorno che Kirk aveva espresso tra le righe.
  «Volevo proporle una partita a scacchi» spiegò Spock, impassibile come al suo solito.
  Probabilmente no.
  Jim però esitò. Ma certo che desiderava giocava a scacchi con Spock. Ma certo che voleva trascorrere del tempo con lui, tanto più che in quei giorni gli era mancato molto più di quanto si sarebbe mai azzardato a fargli sapere, ma era ancora troppo profondamente amareggiato per rinunciare all’opportunità di crogiolarsi nel proprio dispetto una sera di più.
  «Stavo per mettermi a letto, Spock» obiettò allora, tentando di scorgere negli occhi dell'altro una minima traccia di delusione, o fastidio, o perplessità – qualcosa, insomma, qualunque cosa. «Sarà per un'altra volta».
  «Capisco». Il Vulcaniano annuì, senza tradire – come sempre – alcuna emozione. Kirk sospirò, rassegnato. «È però un peccato» proseguì inaspettatamente Spock, strappandolo alle sue meste considerazioni, «dal momento che ho portato qualcosa che vorrei condividere con lei e che si accompagnerebbe bene ad una partita». E soltanto allora il Capitano adocchiò il piccolo vassoio che Spock reggeva con una mano e le due tazze su di esso. Aggrottò le sopracciglia, curioso suo malgrado.
  «Che cos'è?».
  «Cioccolata, Jim. Una qualità particolarmente pregiata. Desideravo fargliela assaggiare».
  Kirk rifletté sull'insolita situazione per qualche istante. Quello somigliava davvero molto ad un segno di pace – forse, dopotutto, Spock se n'era accorto?
  Con un’inversione di intenti sorprendentemente rapida, il Capitano stabilì che era giunto il momento di dare un taglio al pubblico sfogo delle sue paturnie adolescenziali e di tornare a comportarsi come l'uomo adulto che era. Così rivolse al Vulcaniano il secondo sorriso stanco dopo giorni di broncio perenne e lo fece accomodare.
  La partita iniziò e, dopo qualche istante di esitazione puramente scenografica, Kirk si gettò con entusiasmo sulla cioccolata. Dopo averne assaggiato un solo sorso gli pareva già che la serata fosse destinata a concludersi assai meno peggio di quanto avesse preventivato.
  «Dica un po', sta cercando di addolcirmi?» scherzò il Capitano dopo una seconda abbondante sorsata, mostrando al compagno un sorriso appena più vivace.
  Il Vulcaniano inarcò un sopracciglio, stringendo le lunghe dita intorno ad un alfiere. «Addolcirla?» ripeté, in quel modo tutto suo di far suonare inconcepibilmente astruse le espressioni umane più comuni.
  «Di mettermi di buon umore» spiegò Kirk, divertito, alzando gli occhi al cielo e spostando un pedone.
  Il Primo Ufficiale studiava il contenuto della propria tazza con quella che pareva estrema concentrazione. Non ne aveva ancora toccato un goccio. Poi sollevò sull'amico uno sguardo inaspettatamente penetrante. «È di cattivo umore, Capitano?» indagò di rimando, squadrandolo in tutta serietà oltre il bordo del recipiente che andava avvicinando alle labbra.
  La domanda lasciò Kirk senza parole per diversi secondi, e non per la sorpresa di aver udito Spock alludere a qualcosa di illogico come il "cattivo umore" umano, ma per il fine, e tuttavia evidente, interessamento che trapelava da quegli occhi attenti. Per la prima volta, Jim Kirk ebbe la certezza che sì, Spock se n'era accorto, e si domandò se non avrebbe dovuto essere un filino più onesto con lui circa le ragioni del proprio stupido comportamento degli ultimi giorni – perché diavolo McCoy era riuscito a farlo ridere, maledizione?
  «Forse» ammise, rispondendo a Spock quanto a se stesso, poi mosse un cavallo e bevve un altro sorso di cioccolata. Il Vulcaniano lo imitò, e per qualche istante i due Ufficiali si studiarono in silenzio da una parte all’altra del tavolo.
  Forse lo avrebbe fatto, meditava Kirk, se solo non avesse avuto il timore di scontrarsi contro un muro di inclemente logica Vulcaniana: quando mai Spock avrebbe potuto capire davvero quel che gli era successo? Tanto più che nemmeno lui stesso era sicuro di aver capito troppo bene.
  Kirk sospirò, spostando un altro pedone.
  Scoprire che Bones, pure con le sue battutacce e i modi burberi e i commenti acidi, era riuscito ad avvicinarsi così tanto al suo Primo Ufficiale – quando era successo, esattamente? Come? Perché? – lo aveva inaspettatamente gettato in un abisso di scoramento in cui si rigirava tormentosamente da otto lunghi giorni.
  Jim aveva trascorso quei giorni sforzandosi di elaborare una spiegazione al suo turbamento che non implicasse quel brutto, brutto sentimento che era la gelosia, ma – dannazione – Spock aveva mostrato quel suo sfuggente, misterioso, sacro lato umano a Bones e su questo unico punto il suo cervello sembrava essersi incartato. E poi Jim lo aveva fatto uscire dai gangheri, lo aveva persino fatto piangere, ma l’unica espressione di un’emozione positiva Spock l’aveva mostrata a McCoy. A McCoy!, con cui il Vulcaniano non faceva altro che battibeccare: si era davvero perso qualcosa? Jim voleva a Bones un gran bene, ma questo fatto continuava a provocargli ad ondate irregolari il desiderio di lanciargli contro una sedia (senza prenderlo…).
  Spock scomparve dietro la tazza una volta di più e Kirk poggiò il mento sulla mano chiusa a pugno, inconsapevole della smorfia scontenta che gli aveva piegato le labbra.
  Si stava comportando come un bamboccio capriccioso e sciocco e lo sapeva – e se ne vergognava accuratamente, anche. Ma ora si rendeva conto che sotto sotto, senza neanche averne mai avuto davvero coscienza, aveva sempre creduto di essere l'unico ad avere un rapporto privilegiato con Spock – d'accordo, c'era Uhura, ma non era la stessa cosa – e che sarebbe rimasto l'unico. E se da un angolino del suo cervello qualcuno gridava “idiota egoista”, dalla parte opposta qualcun altro urlava più forte – doveva soltanto capire cosa.
  Jim avrebbe potuto dire a Spock tutto questo, ma la verità era che – oltre a non voler correre il rischio di vederlo presentare le dimissioni alla velocità della luce – a volte aveva ancora paura di ritrovarsi davanti quell’inamovibile blocco di marmo che non aveva saputo rispondergli quando, al tempo in cui gli era stato tolto il comando dell'Enterprise e le loro strade sembravano sul punto di dividersi, Kirk gli aveva detto che avrebbe sentito la sua mancanza. Certo, da allora di passi in avanti ne avevano fatti, però...
  «Qualcosa non va, Capitano?» intervenne il Primo Ufficiale, inchiodandolo con un’occhiata densa ma indecifrabile oltre i vapori della cioccolata ancora calda.
  Kirk negò con un cenno distratto della testa, cercando di sbrigarsi a concludere la mossa. Ma quando il Vulcaniano mise giù la tazza vuota per metà, il Capitano rimase con la regina per aria ed una faccia che non rendeva giustizia alla sua intelligenza.
  Fu costretto a sbattere le palpebre più volte, confuso, e a dimenticarsi di qualunque altra cosa che non fosse l'improvviso sospetto di essere in preda alle allucinazioni. Si riscosse con un sussulto davanti all'espressione interrogativa di Spock e mollò il pezzo sulla scacchiera con insolita malagrazia, tamburellando le dita sul tavolo e tornando a guardare il Primo Ufficiale con una certa preoccupata cautela.
  Gli sembrava... verde. Il viso di Spock gli sembrava verde, accidenti. Sbatté più volte gli occhi e scosse lievemente la testa, sperando si trattasse di un effetto di luce, ma non ebbe fortuna. Allora si agitò nervosamente sulla sedia, domandandosi se non avesse sottovalutato la propria stanchezza – in fondo negli ultimi giorni non aveva fatto altro che lavorare – o se non avesse bevuto un bicchiere di troppo a cena o dato una testata troppo violenta quando, mezz'ora prima, era scivolato nella doccia a causa del bicchiere effettivamente di troppo, e se in ogni caso non avrebbe fatto meglio a mollare tutto per andarsene davvero a dormire.
  «Mi ha messo quel famoso brandy nella cioccolata, Spock?» scherzò allora, un po' teso, muovendo un alfiere.
  Spock parve confuso. «No, Capitano». E si sporse verso di lui, con due occhi insolitamente grandi e liquidi e le guance insolitamente verdi. «Qualcosa non va?» ripeté, e sembrava preoccupato.
  Kirk osservò la propria tazza e si lasciò sfuggire una smorfia – magari c'era qualcosa di strano nella cioccolata di per sé?
  «Non le piace?» chiese il Vulcaniano a quella smorfia, aggrottando appena le sopracciglia.
  Kirk scosse vigorosamente la testa, con l'unico risultato di farsi aumentare il principio di emicrania in agguato dal pomeriggio. «È ottima» assicurò, con un sorriso un po' paretico. «Ottima» insistette, continuando ad annuire un po' a casaccio. E fu allora che, improvviso come un fulmine e altrettanto rapido, un sorriso – un sorriso vero! – sfrecciò sul volto serio del suo Primo Ufficiale.
  A Kirk scappò di mano una torre.
  «Bene» disse Spock, composto, e già sembrava tornato quello di sempre. Ma Kirk lo fissava, la bocca aperta e l'espressione più stupida che avesse mai avuto stampata in faccia in oltre trent'anni di vita. Spock sollevò delicatamente le sopracciglia. «È sicuro di sentirsi bene, Capitano?».
  Se possibile, Kirk si sentiva molto, molto peggio di qualche secondo prima.
  «Io... certo... certo». Tossicchiò per cercare di guardare altrove e riprendersi dalla botta. L'aveva visto davvero? O stava semplicemente andando fuori di testa?
  Spock bevve dell'altra cioccolata e spostò la sua torre. Una mossa strana, poco ponderata – poco logica. Kirk lo guardò come se a Spock  fosse appena spuntata una seconda testa ornata da una raccapricciante coroncina di fiori e si passò una mano tra i capelli, più inquieto che mai. Quando, poco più tardi, vinse la partita, fu sul punto di mettersi le mani nei capelli e correre urlando per i corridoi dell'Enterprise in preda al panico.
  «Interessante» commentò Spock, studiando la scacchiera con grande attenzione e finendo la sua cioccolata.
  A quell'ennesimo colpo, Kirk scattò in piedi traballando, fissando ad occhi sbarrati quella incomprensibile versione del suo Primo Ufficiale. Il Vulcaniano posò su di lui uno sguardo curioso e l'attimo dopo si alzò anche lui, avvicinandosi a Kirk con l'aria decisa e professionale di un poliziotto che allontani i curiosi dalla scena di un crimine al grido di battaglia del non c'è niente da vedere.
  «Capitano» lo chiamò, come se stesse cercando di avvicinare una bestia selvatica, «vuole dirmi qual è il problema?».
  Kirk arretrò. «Non c'è nessun problema» assicurò, ma a giudicare dalla sua faccia doveva essercene uno bello grosso.
  «Lei sta mentendo» obiettò con calma Spock, avanzando.
  Io sto impazzendo, lo corresse tra sé Kirk, spaventato, insistendo a sottrarsi. I due Ufficiali continuarono il bizzarro passo a due finché il Capitano non fu scivolato di parete in parete ed ebbe lustrato tutte le superfici verticali del proprio alloggio con il retro della divisa. Allora il Vulcaniano incombette su di lui, più verde che mai, e Kirk serrò gli occhi con una smorfia. «Spock» quasi gemette, arrendendosi contro un comò. «Qui sta succedendo qualcosa di molto strano».
  Spock si fermò a mezzo metro da lui con le braccia incrociate al petto e inarcò un sopracciglio al massimo delle sue possibilità. «Sì, Capitano» convenne, serio, ma con un insolito luccichio nello sguardo. «Lei sta abbracciando una lampada».
  Kirk spalancò gli occhi e gli scoccò un'occhiataccia che trasudava pura indignazione. «No, io la vedo verde» sbottò, rinunciando definitivamente ad ogni speranza di non far sapere a Spock che qualcosa nel suo cervello forse non stava funzionando a dovere. «La vedo... proprio verde».
  Malgrado il tono drammatico del Capitano, Spock non pareva colpito dalla rivelazione, o almeno non nel modo in cui Kirk si aspettava. Più che preoccupato per l'integrità psicofisica del suo superiore, in effetti, appariva confuso – e la confusione sembrava così facile da leggere su quel viso solitamente imperturbabile che Kirk scoprì di respirare un po' più a fatica.
  «In che modo questo costituisce un problema per lei?».
  Di nuovo, Kirk non seppe far altro che rimanersene lì con la bocca semiaperta per una manciata di secondi. «Non–non ho… non avrei problemi con il suo essere verde, se lei fosse… verde, ma-» si ritrovò a balbettare in maniera assai poco chiara. «È vederla verde, che mi preoccupa, perché–».
  Il Vulcaniano aggrottò la fronte con un cipiglio che lo fece somigliare terribilmente ad un umano offeso. Kirk si interruppe, impallidendo. «Sta andando sul tecnico con me?*» indagò Spock, e – Santo Cielo – suonava infastidito.
  Kirk prese un profondo respiro e si massaggiò le tempie doloranti. «Spock, la prego» implorò, con un tono che voleva essere paziente ma che suonava quasi disperato, «è necessario che mi chiarisca questo punto. Mi sta dicendo che lei è davvero verde?».
  Spock inarcò un sopracciglio e, a tradimento, esibì una sorta di lievissimo sorriso di scuse che mandò Kirk nel pallone più assoluto. «Temo di esserlo, Jim» confessò, tornando serio talmente in fretta da costringere l'altro a dubitare della propria vista – nonché della propria salute mentale – una volta di più. «Questo la infastidisce?».
  Il Capitano si ritrovò a scuotere convulsamente la testa. «No, io...» agonizzò. «Ma lei oscilla» piagnucolò un attimo dopo, indicandolo ed impallidendo notevolmente.
  Spock abbassò lo sguardo su di sé con una certa sorpresa. «È vero» confermò, tornando a guardare Kirk. «Interessante».
  Il Capitano sembrava sul punto di cadere stecchito con le sinapsi sanguinanti. Si passò una mano sulla fronte e la scoprì sudata. Chiuse gli occhi ed esalò un respiro tremulo.
  «Jim» chiamò una voce scandalosamente vicina. Kirk riaprì lentamente gli occhi, inquadrando un Vulcaniano interrogativo a meno di trenta centimetri da lui. «Vuole dirmi qual è il problema?».
  Le labbra del Capitano puntarono con decisione all’ingiù.
  «Vorrei saperlo anch'io» si arrese a dichiarare Kirk con voce strozzata. «Probabilmente sono ubriaco e immagino di vedere… cose – tipo lei» concluse, accogliendo una delle teorie meno sconclusionate – e in effetti meno drammatiche – che gli erano passate per la testa. E poi si dispose a fissare una parete come se fosse stata quella la causa di tutti i suoi problemi.
  Spock inarcò un sopracciglio. «Non credo che lei sia ubriaco, Capitano». Qualcosa, nel suo tono, parve colpire e riscuotere Kirk, che si voltò per osservare il Vulcaniano con un che di incerto negli occhi stanchi. «Ma ritengo che dovrebbe scendere in infermeria e–».
  Il Capitano si protese, traballante, verso di lui per guardarlo negli occhi più da vicino. Il sopracciglio di Spock scomparve sotto la frangia, ma il Vulcaniano non arretrò.
  «Posso chiederle che cosa sta cercando sulla mia faccia?».
  Kirk sbuffò, frustrato.
  «Sto cercando di trovare una spiegazione logica a quello che sta succedendo» esclamò, esasperato. Dovrebbe essere fiero di me, maledizione.
  Spock, ora, lo guardava con moderata curiosità. «Ma davvero» disse. «E che cosa sta succedendo?».
  Il Capitano alzò gli occhi al cielo con aria esageratamente drammatica.
  «Lei mi sta uccidendo» protestò, accorato, allargando teatralmente le braccia.
  Spock aggrottò la fronte. «Questo non ha senso» obiettò, con quella precisa espressione che metteva su ogni volta che stava per partire con un pippone megagalattico.
  Kirk lo fissava a bocca aperta. «Questo non ha senso?» ripeté incredulo. «Spock, lei è verde! Lei… lei oscilla! Lei ha perso una partita a scacchi per colpa di una mossa illogica!» ululò, gli occhi quasi fuori dalle orbite, non riuscendo a credere a quel che stava dicendo. Spock appariva quasi altrettanto sconcertato – il che continuava ad essere molto preoccupante – ma Kirk scorse un sospetto fondo di consapevolezza in quegli occhi scuri, e di colpo ebbe finalmente il dubbio di non essere pazzo, né ubriaco – non così tanto, almeno. «E... Spock, lei mi ha sorriso!» balbettò. «Due volte!» insistette, in un tono carico di pathos che sostenesse degnamente il peso di un'accusa così grave.
  Spock strinse le labbra con aria colpevole. «Ne sono consapevole, Jim» ammise, composto. «Credevo che le avrebbe fatto piacere».
  La carica esplosiva di Kirk si spense come una candelina sotto la pioggia, e il Capitano rimase impalato a fissare il suo Primo Ufficiale.
  «Cosa?» riuscì a biascicare dopo mezzo minuto buono, la gola secca come un canyon arroventato, avvertendo l'improvvisa necessità di correre a chiudersi in bagno e auto esiliarvici per i successivi due o tre anni.
  Spock si limitò ad osservarlo con un sopracciglio inarcato ed un'espressione indecorosamente allusiva.
  «Non era questo, il problema, Capitano?».
  Kirk boccheggiò. Si portò di nuovo una mano alla fronte, stavolta per verificare di non essere febbricitante. Deglutì con fatica immane e si rese conto che doveva essere arrossito come un dodicenne davanti alla sua prima cotta. Guardava platealmente altrove, quando Spock gli si avvicinò ancora, il passo misurato che nascondeva sapientemente come avesse iniziato a sostenere con pena lo sforzo di restare diritto già da un po'.
  Kirk si chiese quanto avrebbe potuto resistere prima dell'autocombustione e maledizione, non si era mai vergognato tanto in tutta la sua vita. Si schiarì la voce, sforzandosi – senza riuscirci – di trincerarsi dietro la sua famigerata faccia di bronzo.
  «Allora se n’è accorto davvero» osservò in tono casuale, studiando la porta del bagno con grande interesse.
  «Sono Vulcaniano, Jim. Non cieco» ribatté Spock, perforandolo con uno sguardo aguzzo che di Vulcaniano aveva poco o niente.
  Kirk scoppiò in una risata secca che pareva un rantolo e che scemò in un guaito mentre il Capitano andava chiedendosi quante probabilità ci fossero che qualcuno – chiunque – li attaccasse ferocemente proprio in quell’esatto istante, salvandolo da quella situazione miserabile. Attese, speranzoso, per una manciata di secondi. Un minuto. Niente. Universo di ingrati.
  Non aveva la più pallida idea di che cosa si fosse aspettato, ma certamente non questo – non… non questo. Non che il suo Primo Ufficiale venisse a chiedergli conto del suo comportamento idiota in questo modo. Può darsi che… forse – magari – avesse fantasticato che… forse – magari – sfoderando chissà quale arcano potere Vulcaniano, Spock… forse – magari – decodificasse da solo quel marasma di intensa confusione che gli si agitava dentro da giorni, e che… forse – magari – capisse – qualunque cosa ci fosse da capire, perché Kirk ancora non aveva le idee chiare su questo punto – che capisse per tutti e due, in effetti, e poi che… forse – magari – con questo nuovo livello di conoscenza tornasse da lui, per andare avanti insieme come sempre. E no, nei sogni più o meno consapevoli del Capitano non ci sarebbe stato bisogno di parole.
  Maledizione, si può essere più imbecilli.
  Kirk si grattò un orecchio. Spock lo osservava. Il tempo continuava a scorrere.
  Il Capitano cercò di sorridere, imbarazzato, dimenticando per un istante che non era certamente quello il modo di ingentilire il suo interlocutore, se mai ne fosse esistito uno. La smorfia infelice tornò al suo posto e Kirk chinò il capo, sconfitto.
  «Mi dispiace, Spock, io–». Per un attimo serrò gli occhi e poi li riaprì, contemplando con costernata intensità il bordo della propria maglia. «Ultimamente sono stato… molto scortese con lei. Le porgo le mie… scuse più sentite».
  Si aspettava un qualche commento sferzante alla maniera di Spock, ma il suo Primo Ufficiale non parlò, e per la prima volta il Capitano rimase fulminato dall’evenienza che Spock non sapesse che cosa farsene delle scuse per il suo comportamento irragionevolmente sgarbato. Il cuore prese a battergli con un po’ troppa foga.
  Alzò lo sguardo sul Vulcaniano con l’aria di chi cerchi la luce del sole dopo settimane di buio.
  «E adesso?» gorgogliò a mezza voce, in maniera parecchio sconclusionata, con un vago senso d’angoscia a stringergli la gola.
  Per tutta risposta, Spock gli crollò addosso.
  Kirk fronteggiò quell'assalto improvviso con un'insolita lentezza di riflessi e cadde all'indietro sul pavimento alla meno peggio – che era comunque male – ritrovandosi il suo Primo Ufficiale spiaccicato addosso in stato apparentemente comatoso.
  Il Capitano si puntellò su un gomito e si tirò su, poggiando una mano sulla spalla del Vulcaniano e scuotendolo con una certa forza.
  «Spock?» lo chiamò, preoccupato. «Spock? Che le succede? Spock!».
  Spock riemerse dall'incoscienza soltanto dopo che Kirk ebbe simulato un attacco Romulano. Alzò appena la testa dalla spalla del Capitano e contemplò la situazione con quella che pareva estrema confusione.
  «Spock?» insistette Kirk, con due occhi enormi per l’inquietudine.
  «Sono… desolato» dichiarò alla fine il Vulcaniano, piantando le braccia ai lati del Capitano per tentare di alzarsi.
  «Desolato?» ripeté Kirk, scettico, cercando di aiutarlo ma poggiandogli le mani – curiosamente poco ferme – sul petto un po’ troppo a casaccio.
  «Sa che cerco di... adattarmi al vostro linguaggio» puntualizzò il Vulcaniano, fallendo nel primo tentativo di tirarsi su e ripiombando dritto sul Capitano con la grazia eterea di un’ancora gettata a mare.
  «Oooooofffff» esalò Kirk, col respiro spezzato – e miracolosamente solo quello. «Accidenti, Spock, ma che le succede, stasera?» ansimò, la voce drammaticamente più alta del normale – e non soltanto per la botta. «Dobbiamo andare… immediatamente in infermeria» rantolò, allo stesso tempo valutando il fatto che Spock non sembrava in grado di andare proprio da nessuna parte.
  «È quello che cercavo di dirle poco fa» concordò Spock con voce affaticata, prima di aggrottare la fronte come davanti ad una rivelazione improvvisa. «Le ho fatto molto male?» domandò, sollevando appena la testa per guardarlo con quella che pareva apprensione.
  Il Capitano si domandò che razza di problema avesse per trovare la cosa quasi commovente. Diede un imbarazzato colpo di tosse.
  «Per lei, Spock» chiarì, alzando gli occhi al cielo con un mezzo sorriso involontario.
  Spock sbuffò.
  «Dobbiamo andare subito» esplose Kirk, spaventato, le mani saldamente ancorate alle spalle del Vulcaniano – per essere pronto ad aiutarlo quando avesse riprovato a rialzarsi, naturalmente. Ma Spock raccolse le energie residue e invece rotolò da un lato con un grugnito basso, liberando Kirk che, curiosamente, non avvertì il sollievo immaginato.
  «Io sto bene, Capitano» mormorò il Primo Ufficiale, quando la testa smise di girargli. «È lei che–».
  «Se non mi spiega immediatamente che cosa le sta succedendo, Comandante, io la trascinerò da McCoy adesso e insisterò per un check-up completo» lo interruppe Kirk, minaccioso, compiendo uno sforzo massiccio per sedersi e passandosi una mano sul petto all'altezza di quelli che fino a poco prima erano stati due polmoni perfettamente funzionanti.
  «Capitano» replicò debolmente Spock, ancora lungo e disteso sul pavimento, gli occhi chiusi e tre dita alla base della fronte. Kirk si sforzò di guardarlo lo stretto indispensabile. «Capitano» ripeté, «non c'è nessuna emergenza medica per quanto riguarda me, glielo assicuro».
  «Non sono d'accordo» obiettò il Capitano, incrociando le braccia al petto. «È evidente che lei non è nelle condizioni di valutare il suo–».
  «Jim». E gli occhi scuri di Spock saettarono nei suoi, mentre il Vulcaniano si tirava lentamente su a sedere accanto a lui. «Io sto bene».
  Kirk studiò quella sua espressione ostinata e, almeno in apparenza, perfettamente lucida senza sapere che cosa pensare.
  «Non si faccia mai vedere quando sta male, allora. Ci manderebbe tutti al manicomio» brontolò alla fine, imbronciato.
  Per tutta risposta, Spock scoppiò a ridere. Una risata silenziosa, composta, che però lo faceva sussultare e che lo spinse ad abbandonarsi contro la parete alle sue spalle. Kirk contemplò quei suoi denti bianchi e dritti con una dolorosa, e piacevole, stretta al cuore e due occhi grandi come palline da tennis. Si passò una mano sulla fronte in un gesto che iniziava a diventargli fin troppo familiare, scuotendo debolmente la testa in preda alla meraviglia – e a qualcos’altro che minacciava di togliergli il sonno nel prossimo futuro.
 «Deve ammettere che tutto questo è molto poco Vulcaniano» gli riuscì di balbettare alla fine, e null'altro che questo, perché Spock inarcò un sopracciglio con le labbra ancora leggermente piegate all’insù, e l’insieme era talmente esotico che Kirk dimenticò in fretta quel che voleva aggiungere.
  «Jim» lo chiamò Spock, con una specie di sussurro soave che fece molto male ai suoi nervi già considerevolmente provati, «devo insistere perché lei si rechi in infermeria».
  «Mi faccia capire» scandì lentamente Kirk, interdetto, «lei dice e fa cose molto strane e preoccupanti e in infermeria devo andarci io?».
  Spock mantenne il sopracciglio vigorosamente inarcato. «Fino a dieci minuti fa credeva di essere pazzo, Capitano».
  Kirk alzò gli occhi al cielo con un leggero sorriso. «Questo precisamente perché lei ha detto e fatto cose molto strane e preoccupanti».
  Spock inarcò anche l’altro sopracciglio, interessato.
  Il Capitano sbuffò una mezza risata. «Oh, andiamo» esclamò, «come potevo anche solo immaginare che fosse lei a dare i numeri?». E gli scoccò un’occhiata obliqua curiosamente impacciata. «Era semplicemente più logico supporre che fossi andato di testa io».
  Spock parve lottare contro se stesso e poi, infine, arrendersi e sorridere tra sé. Kirk lo ammirò, spudorato, con la reverenza che avrebbe dedicato allo spettacolo di una stella che nasce.
  «Lei è una delle poche certezze che ho, dovrebbe saperlo. Io non posso dubitare di lei» confessò sottovoce a quel sorriso, senza quasi rendersi conto di aver pensato ad alta voce.
  Ma l’espressione di Spock era limpida. Lo sapeva.
  Poi il Vulcaniano si schiarì la gola – fatto, questo, inusuale. «Questo è… del tutto irragionevole».
  Il Capitano si strinse nelle spalle e si limitò a sorridere.
  «Tornando alla questione dell’infermeria» riprese in fretta Spock, e la sua voce suonava in qualche modo meno solida del solito, «ritengo che trarrebbe notevoli benefici dalla somministrazione dell’antibiotico, Capitano».
  Kirk cadde dalle nuvole.
  Sbatté le palpebre con aria stolida per qualche istante, prima di concentrarsi davvero su quanto aveva sentito.
  «Come?» esclamò alla fine, la voce giusto un pelo più alta del normale.
  Spock si limitò ad inarcare il solito sopracciglio.
  Kirk lo fissava ad occhi sbarrati, tentando di processare l’informazione.
  «Lei pensa che…?» balbettò. «E per quale ragione lei pensa che…?». Ma la voce gli morì in gola quando scoprì che, una volta presa in considerazione, la supposizione del suo Primo Ufficiale appariva ragionevole come sempre.
  «Ho l’impressione che le sue reazioni siano un po’ fuori controllo» sottolineò Spock. «E poi, Capitano, lei sta perdendo del sangue dal naso».
  Kirk sbatté ripetutamente le palpebre. Tastò la pelle alla base del naso e ritrasse il polpastrello sporco. Lo contemplò per un minuto intero con l’aria di star risolvendo un complesso problema di geometria analitica.
  Spock lo osservava in silenzio.
  «Cazzo» fu tutto quel che Kirk ebbe da dire, mentre un vago senso di panico andava strisciandogli dentro. Ripensava, ora, a quella sera nell’ufficio di McCoy, quando tutto era iniziato: aveva forse trascorso una settimana alla guida dell’Enterprise in uno stato non idoneo al comando solo perché aveva arbitrariamente deciso che il batterio – della cui esistenza, certo, ancora erano all’oscuro – non gli avesse provocato danni peggiori di una lieve epistassi, ignorando le preoccupazioni di Bones?
  «Capitano» lo chiamò Spock, in un tono che il Capitano, fosse stato appena più lucido, avrebbe classificato come quasi dolce, «ora è lei ad essere verde».
  Kirk scavava freneticamente nella sua memoria recente, ansioso, in cerca di quelli che potevano essere interpretati come segni di squilibrio. C’era quella volta in cui aveva risposto a Sulu che–
  «Capitano».
  –ma anche quella volta in cui, col senno di poi, forse la sua valutazione era stata affrettata e–
  «Capitano».
  –per non parlare di quando era stato sul punto di–
  «Jim». E, di colpo, il peso che avvertiva sulla spalla somigliava alla mano di Spock.
  Kirk rilasciò tutto insieme il fiato che non si era reso conto di aver trattenuto.
  «Temo di essermi espresso in maniera inappropriata» scandì lentamente Spock. «Non intendevo mettere in discussione la sua capacità di giudizio».
  Il Capitano guardava boccheggiando alternativamente lui e la sua mano.
  «Forse dovrebbe» gracidò.
  La mano di Spock si strinse intorno alla sua spalla, confortante. «Vada in infermeria, Capitano».
  Kirk deglutì faticosamente, avvertendo il curioso impulso di fare cose strane tipo toccarlo.
  «Credo che ci andrò» esalò, rauco per ragioni non del tutto chiare.
  Spock annuì, incoraggiante. Poi, quel qualcosa di prima gli brillò negli occhi, e Kirk contemplò, spaesato e più che mai ammaliato, quella che pareva l’ombra di un sorriso beffardo piegare millimetricamente all’insù un angolo di quelle labbra Vulcaniane. «Il dottor McCoy sarà deliziato di vederla».
  Il Capitano impallidì, ripiombando bruscamente nella tragica realtà in cui il suo Ufficiale Medico Capo nonché migliore amico non aspettava altro, con ogni probabilità, che di potergli ficcare un qualche strumento dove l’avrebbe gradito meno con il sottofondo costante di urla, grida e improperi.
  «Immagino» disse a mezza voce, affondando stancamente il viso nei palmi delle mani. «Scommetto che si sta preparando da giorni» protestò in tono lamentoso, riemergendo con aria quanto mai afflitta.
  «In effetti è così» confermò Spock, apparentemente composto, ma sfoderando quella che probabilmente era l’espressione più vicina a qualcuno che se la stesse ridendo sotto i baffi che un Vulcaniano, pure in stato evidentemente alterato, avrebbe mai potuto assumere.
  Kirk era di nuovo allibito.
  «Ma lei…» attaccò, e per un attimo parve difettare della convinzione necessaria per muovere l’ennesima, gravissima accusa. «Lei…». Spock si limitò a sollevare un sopracciglio. «Lei si sta divertendo» esclamò alla fine il Capitano, incredulo.
  L’espressione di Spock era, ora, fin troppo misurata, mentre ritraeva la mano dalla spalla del suo superiore. Kirk si concesse un istante per registrare il conseguente senso di mancanza in vista di nebulose, future considerazioni.
  «Non credo di capire».
  Il Capitano si scoprì improvvisamente – ed in maniera alquanto inopportuna – propenso a scoppiare a ridere.
  «Davvero?». Spock si mantenne sobrio e regale. Kirk dovette lottare per non sorridere, provocatorio. «“Lei sta abbracciando una lampada”» lo scimmiottò a mezza voce, imitando il suo tono formale.
  Spock inclinò la testa da un lato, ma con quel sospetto scintillio ancora negli occhi.
  «Lei stava abbracciando una lampada» precisò.
  «E lei già si stava divertendo a mie spese» lo accusò di rimando Kirk, incrociando le braccia al petto e ritrovando la sua acclarata faccia da schiaffi.
  Spock inarcò un sopracciglio, ritrovandosi con sua intima sorpresa a corto di una replica immediata.
  «Scommetto che aveva già iniziato a sospettare del batterio» proseguì il Capitano, ormai faticando con ogni singola cellula per mantenere una parvenza di serietà. Di nuovo, Spock non intervenne. «E mica me l’ha detto subito» esclamò Kirk, gettando alle ortiche ogni pretesa e lasciandosi sfuggire una risatina idiota.
  «Sto provando a dirglielo da diciassette minuti, Capitano» lo corresse Spock, sfoderando di nuovo uno sguardo sorprendentemente affilato. «Ad ogni modo, credevo ci sarebbe arrivato da solo».
  Il Capitano rise più forte.
  «Qualcuno ha la coda di paglia».
  «Se lei non avesse così ostinatamente negato che qualcosa non andava-».
  Kirk si rimirò le unghie della mano destra.
  «Mi sbaglierò» buttò lì in tono casuale, «ma ho come il sospetto che stesse indulgendo in una piccola vendetta personale, Comandante». E il Capitano si ritrovò a sopprimere un’altra risata di fronte all’espressione quasi oltraggiata di Spock.
  «Prego?».
  «Non posso fargliene una colpa, figuriamoci» continuò Kirk, tornando bruscamente quasi serio. «Non ero mica in pericolo di vita, e dopotutto…». E alzò lo sguardo sul Vulcaniano con un mezzo sorriso, ora, curiosamente dolente. «… mi sono davvero, davvero comportato come un imbecille».
  Spock inarcò un sopracciglio.
  «Credevo preferisse il termine “umano”, Capitano» obiettò, senza in apparenza fare una piega, ma con uno sguardo che la diceva lunga.
  Kirk aprì e richiuse la bocca senza emettere un suono – iniziava a diventare una sgradevole abitudine. E poi scoppiò in una breve, secca risata incredula. «Ma che fa, adesso sfotte pure?».
  Il Vulcaniano reagì con quella che somigliava clamorosamente ad un’alzata di spalle.
  «Vendicativo e pure sfrontato».
  Spock gli scoccò un’occhiata apertamente indignata.
  «Capitano» intervenne, un po’ esasperato, «i Vulcaniani non–».
  Kirk sbuffò, sorridendo a metà tra l’intenerito e il furbo. «Ah, per favore. Lo vada a raccontare a qualcun altro». E gli mollò una pacca sulla spalla.
  Fu il turno di Spock di rimanere senza parole per un secondo di troppo. Sbatté lentamente le palpebre come se stesse cercando la risposta ad un quesito fondamentale. Alla fine, parve arrendersi. «A chi?».
  Kirk ricominciò a ridere come uno stupido.
  «Credo di essermi perso» ammise Spock, e la sua voce, ora, suonava stanca.
  «Benvenuto nel club, amico mio. Le farò avere una spilla al più presto» ribatté Kirk, continuando a ridere silenziosamente, e quasi si strozzò con la sua stessa saliva quando, un attimo dopo, la testa del Vulcaniano scivolò sulla sua spalla.
  «Santo Cielo, Spock» guaì Kirk, «se non sapessi che è impossibile direi che lei è ubriaco».
  «E se io fossi il dottor McCoy probabilmente direi che lei è un’eccellenza della Flotta» mormorò Spock, sistemandosi meglio contro la spalla del suo superiore con un sospiro che ebbe il potere di distrarre Kirk dall’indagare sulle presunte spiritosaggini di Bones.
  «L’infermeria» balbettò il Capitano, iniziando ad avvertire l’inquietante necessità di non alzarsi mai più. «Devo-deve-dobbiamo-Spock». Spock sollevò appena la testa, interrogativo. «Lei deve venire con me in infermeria» stabilì Kirk, sperando di suonare capitanesco.
  «Non intendo dare questa soddisfazione al dottor McCoy» replicò Spock, e chiuse gli occhi.
  Kirk aggrottò la fronte. «Quale soddisfazione?». Ma non aveva alcun dubbio in merito al fatto che, anche stavolta, non avrebbe ricevuto risposta – e infatti. Sbuffò, rassegnato. «E va bene, si tenga i suoi segreti*».
  «Mi dica solo una cosa, Spock» mormorò, un paio di minuti più tardi, quando ormai la possibilità che anche solo uno di loro si alzasse sembrava quanto mai remota. «Qualunque cosa abbia fatto… vuole almeno dirmi perché?».
  Spock tacque così a lungo che Kirk si era ormai arreso all’idea di lasciarsi sfuggire l’ennesima risposta, quando, invece, il Vulcaniano parlò.
  «Qualcuno deve avermi suggerito… che poteva essere un modo».
  Kirk deglutì faticosamente.
  «Un modo… per fare che?».
  Spock aprì gli occhi e lo ipnotizzò, in silenzio, dalla sua spalla. Il Capitano aveva il sospetto che quella sarebbe stata l’unica risposta che avrebbe ottenuto. Non aveva intenzione di lamentarsi, stavolta.
  «Ma allora mi vuole bene» lo stuzzicò il Capitano, con una mezza risata affannata, mollando al compagno una leggera gomitata nel fianco, incapace di staccare lo sguardo da quegli occhi scuri finché non fu Spock a richiuderli.
  «Che cosa, esattamente» iniziò il Vulcaniano, lentamente, «le ha fatto pensare il contrario?».
  Kirk si ritrovò improvvisamente alle prese con un notevole, e alquanto inopportuno, groppo in gola da gestire.
  Si schiarì la voce, e poi, senza sapere come, si ritrovò a fissare incantato l’intrigo di pieghe sulla maglia del suo solitamente impeccabile Primo Ufficiale.
  «Non so come spiegarle» ammise. Non so come, o forse non voglio, spiegarmelo.
  Serrò gli occhi per un attimo e prese un respiro profondo.
  «Lei, con Bones, è il mio amico più caro» disse, senza avere la minima idea di dove andare a parare con una considerazione del genere. «È che con McCoy lei non fa altro che litigare» sbottò infatti, in modo del tutto inconsequenziale, un attimo dopo. «Eppure con lui–».
  Si interruppe, studiando le proprie mani intrecciate. Suonava semplicemente ridicolo – ridicolo e patetico. Ma evidentemente non aveva ancora toccato il fondo, perché lo fece in grande stile un attimo dopo.
  «Lei con me è sempre così rigido» gli scappò di bocca a mezza voce, insieme ad un broncio così infantile che si sarebbe preso a schiaffi da solo.
  Spock riaprì stancamente gli occhi e sollevò le sopracciglia, guardandolo fisso. «Non sempre» lo corresse con un accenno di sorriso straordinariamente intrigante.
  Kirk aprì e richiuse la bocca più volte, sentendosi più sciocco che mai.
  «Mi consideri zittito» esalò alla fine, rauco, e Spock tornò a riposare sulla sua spalla con quella che pareva vibrante soddisfazione.
  «Jim» mormorò il Vulcaniano, quando ormai erano entrambi sull’orlo dell’incoscienza.
  «Spock?» sbadigliò il Capitano.
  «Anch’io… la considero il mio più caro amico» precisò il Vulcaniano.
  Jim Kirk esibì il sorriso più luminoso da molte settimane a quella parte.
  «L'avevo intuito. Grazie, Spock».
 
 
 


   Chiedere perdono a McCoy non era stato difficile come Jim aveva temuto.
  Convincerlo ad accettare le sue scuse era stato tutto un altro paio di maniche.
  «Sei un idiota».
  «Scusa».
  «Un imbecille».
  «Mi dispiace».
  «Un maledetto bastardo».
  «Sì».
  «Una inqualificabile testa di cazzo?».
  Kirk sospirò. «Tutto quello che vuoi, Bones».
  Leonard McCoy incrociò le braccia al petto con l’aria meno amichevole di sempre.
  «Mi hai costretto a trascorrere il mio tempo libero col robot per un’intera settimana!» inveì. «Sappi che non te lo perdonerò facilmente».
  Kirk annuì con aria seria e molto contrita.
  McCoy continuò a brontolare tra i denti recriminazioni e minacce assortite per tutta la durata della visita medica – che, naturalmente, si protrasse molto più a lungo di quanto fosse strettamente necessario.
  In realtà, il medico andava sforzandosi di mantenere l’incazzatura ad un livello di ferocia costante, ma il timido sorriso da educanda che Jim gli indirizzava di quando in quando – sempre al momento giusto, maledizione a lui – assestava duri colpi alla sua tenacia, tanto che alla fine – come del resto sapeva che sarebbe andata – sbuffò, imprecò sonoramente e poi si arrese e pretese tutti i dettagli della sera precedente.
  Ma Kirk era insolitamente avaro di particolari.
  «È stato... interessante» disse, facendo spallucce e sforzandosi di non sorridere da solo come un idiota al ricordo.
  McCoy aggrottò la fronte, contrariato. «Andiamo bene, adesso ti esprimi pure come lui?». E gettò le mani al cielo in un gesto di stizza estremamente costruito. «Ci manca solo questo» grugnì a mezza voce.
  Kirk alzò gli occhi al cielo e sbuffò per mascherare un sorriso. «È stato... divertente, allora, va bene?».
  Bones, ora, lo guardava come temendo che l’amico avesse smarrito il senno. «Divertente? Una serata col goblin? Sei impazzito?». E ricominciò ad agitargli apprensivamente il tricorder intorno alla testa.
  Jim soppresse a malapena una risata. «Abbiamo giocato a scacchi, Bones – il solito. Giocare a scacchi è divertente» scandì. Poi parve ripensare a qualcos’altro di piacevole. «E la cioccolata era ottima» soggiunse un momento dopo, soddisfatto.
  McCoy pareva di colpo molto, molto – troppo – interessato.
  «Cioccolata?».
  Kirk annuì. «Spock l’ha portata con sé e–».
  «Cioccolata?» ripeté il medico, chinandosi su di lui con due occhi spalancati in maniera piuttosto comica. Kirk si domandò distrattamente, e non per la prima volta, di che razza di attacchi soffrisse McCoy e se proprio non fosse possibile fare qualcosa in merito. Annuì di nuovo, circospetto. «E l’avete bevuta entrambi?» lo incalzò il medico, prendendolo per le spalle con una foga che Kirk ritenne eccessiva.
  Il Capitano strinse gli occhi, squadrando l’amico con aria apertamente sospettosa. «Che cosa sai che io non so, Bones?».
  Un lampo di feroce compiacimento scintillò negli occhi di McCoy, e il medico si tirò su con un latrato trionfante.
  «L’ha bevuta!» dichiarò, quasi ululando, e l’attimo dopo scoppiò a ridere più forte che mai.
  Kirk lo fissava, sbigottito, e lo guardò afflosciarsi contro una parete e perdere rapidamente l’abilità di respirare, diventare violaceo e iniziare a biasciare tra i singulti, senza fiato, di orecchie a punta, intossicazioni, imbecilli e paraculite.
  «Per lui l’ha bevuta, il bastardo» farfugliò tra sé, asciugandosi le lacrime col dorso delle mani. «Mai fidarsi di un Vulcaniano*» sentenziò, e continuò a ridere.
  Kirk incrociò le braccia al petto, sbuffando.
  «Vuoi spiegare anche a me?» insistette per quella che doveva essere la decima volta, cercando di non scoppiare a ridere a sua volta – perché, naturalmente, una mezza idea ormai ronzava in testa anche a lui, ma era così assurda, e così gloriosa, che doveva – doveva – sentirglielo dire.
  «La prossima volta, filmalo» gli intimò McCoy quando ebbe ripreso abbastanza fiato, iniziando a spingere l’amico celermente verso l’ingresso dell’infermeria.
  Kirk, ancora spossato dalla reazione all’antibiotico, si lasciò mettere alla porta senza riuscire ad opporre una resistenza che andasse oltre il piantare i piedi in terra in maniera anche piuttosto infantile, e contemplò quell’aria maledettamente consapevole stampata sul viso di Bones con un cipiglio querulo.
  «Perché?».
  Il ghigno di McCoy si allargò.
  «Oh, Jim» esclamò, in tono terribilmente losco. «Tutti dovrebbero poter vedere com’è un Vulcaniano ubriaco almeno una volta nella vita». E un istante dopo gli chiuse la porta in faccia, ricominciando a sghignazzare con passione.
  Kirk si ritrovò solo nel corridoio, con due occhi dilatati all’inverosimile sotto il peso della rivelazione definitiva. Gli sfuggì una risata secca, incredula, e poi un’altra, silenziosa e vibrante e profonda e destinata a durare parecchio.
  Batté una mano contro la porta, scosso dai singulti.
  «Ottimo!» urlò a McCoy. «Hai capito? È ottimo!».
  E poi avviò, ridendo sonoramente, verso il turboascensore.












*Cit. e semi-cit.


"È verità universalmente riconosciuta che un Vulcaniano debba essere incapace di provare emozion" [semicit dal glorioso incipit di Orgoglio e Pregiudizio]
"una volta eliminato l'impossibile, ciò che rimaneva (per quanto improbabile potesse sembrare)... etc [semicit. Sherlock Holmes]
"Sta andando sul tecnico con me?" [semicit. C3PO | Star Wars IV]
"E va bene, si tenga i suoi segreti" [semicit. Frodo | La compagnia dell'anello]
"Mai fidarsi di un Vulcaniano" [cit. Jim Kirk | Star Trek XII: Into Darkness]

E il titolo pure devo averlo preso da qualche parte, chissà dove. Niente di troppo famoso, comunque.



 
Grazie a chi è arrivato in fondo 🖖






 
   
 
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