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Autore: BlueBell9    15/10/2022    7 recensioni
Era così che crollava un mondo.
Non attraverso la furia, urla e ruggiti dei draghi o sanguinosi combattimenti.
Lo faceva in silenzio, frantumandosi inesorabilmente in pezzi e dandogli la terribile sensazione di precipitare nel vuoto.
Rompendo una complicità di sguardi data troppo per scontata.

[Aemond/Jace]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aemond Targaryen, Jacaerys Velaryon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Attenzione: questa storia considera gli eventi accaduti nella 1x08. So che è passata quasi una settimana dall'uscita della puntata ma se non siete in pari con la serie, evitate di leggerla.




Uno sguardo capace di zittire il mondo





Uno sguardo che zittiva il mondo







Era sempre stato così, tra loro, fin da quando ne aveva memoria.
Un cercarsi continuo, un trovarsi per caso.
E poi di nuovo sfuggire, distogliendo gli occhi e puntando lo sguardo lontano, ignorando con forza quel leggero formicolio sottopelle e la strana consapevolezza che quello non doveva esistere.
Sono nemici,
soleva ripetere sua madre, nella solitudine dei loro appartamenti, angosciata per un trono accuminato e ambito che si faceva ogni giorno più lontano, soprattutto da quando alcuni pettegolezzi erano diventati sussurri più forti
Jace annuiva, concorde, perché lui e Aemond non avevano nulla da spartire.
Non si prova pietà per il nemico, sosteneva zio Daemon, cinico, sorridendo con un certo compiacimento per le grida dei traditori che assaggiavano le fiamme di Caraxes. Lo si consegna al fuoco e lo si osserva bruciare.
Era quello che imponeva il sangue valyriano che gli scorreva nelle vene, i ruggiti di Vermax e l'ambizione di sua madre a indossare la tanto agognata corona. 
Era quello che ci si aspettava da lui. Era suo dovere.
Non certo l'empatia per un ostacolo.
E allora perché uno sguardo di Aemond zittiva ogni cosa?



«Lo guardi un po’ troppo spesso».
«Ti sbagli, ser Harwin, è lui che guarda me».



Rideva di gusto, sempre più forte, ignorando la sensazione pungente allo stomaco e il pensiero che, in fondo, non fosse affatto divertente.
Solo triste e patetico.
Così come l’ideatore di quel piano, Aegon.
Perché comportarsi da idiota era un ottimo modo per fingere di non vedere lo sguardo umido e carico di desolazione che Aemond gli aveva rivolto quando si era ritrovato davanti un maiale grasso e puzzolente.
Non si prova pietà per il nemico. Lo si consegna al fuoco e lo si osserva bruciare.
Strano che fosse lui quello che si sentiva consumare per il senso di colpa.



«Non è la fine del mondo».
«Lo dici solo perché tu ce l'hai, un drago».



Erano rapidi, spesso duravano il tempo di un battito di ciglia, ma c'erano sempre.
E allora le labbra di entrambi si piegavano con sollievo – la consapevolezza di capirsi, di non essere soli o amarezza – perché lui era destinato al trono e al cavalcare un drago mentre l'altro sembrava condannato a osservare nell'ombra.
A volte erano l'occasione per riprendere fiato e staccarsi da un mondo opprimente, che sembrava schiacciarlo, per rifugiarsi in un altro, privo di oscurità e dovere.
E quello, il mondo silenzioso, era decisamente più confortevole, sicuro e reale di quanto sarebbe mai potuto essere Westeros.



«Non mi piace come ci ha guardato».
«Credo volesse solo porgervi le sue condoglianze, Baela».
«Solo tu vedi del buono in lui».
«Forse perché mi prendo la briga di guardarlo».
«Che hai detto?»
«Nulla di importante».



Per la prima volta, non riusciva nemmeno a farlo.
Se ne stava in piedi, immobile accanto al fratello, mentre sua madre combatteva la battaglia per lui, proteggendoli con forza dalle accuse e cercando di piegare la situazione a suo vantaggio.
Solo quando la parola bastardi era riecheggiato nella sala, Jace si costrinse ad alzare le iridi dal pavimento e spiare oltre la manica del vestito scuro di sua madre.
Aemond era seduto mollemente su una sedia di legno, il viso illuminato dalla luce gialla e rossa delle fiaccole che tentavano di scacciare l’oscurità della stanza. 
Gli si era stretto il petto in una morsa di puro panico quando l’aveva scorta in quei lineamenti che conosceva. Era inorridito nell’osservare quelle labbra piegarsi in un sorriso appena accennato che sapeva di crudeltà.
Era così che crollava un mondo.
Non attraverso la furia, urla e ruggiti dei draghi o sanguinosi combattimenti.
Lo faceva in silenzio, frantumandosi inesorabilmente in pezzi e dandogli la terribile sensazione di precipitare nel vuoto.
Rompendo una complicità di sguardi data troppo per scontata.
Solo la collera della regina e la sua daga affilata affamata di giustizia lo avevano strappato da quello stato catatonico, facendolo ripiombare in una realtà che gli sembrava così estranea.
Sbatteva le ciglia ma continuava a non capire come fosse potuto finire così, all’improvviso e senza nessuna avvisaglia.
In realtà c’erano state ma le aveva ignorate, perché Rhaenyra e Alicent potevano essere state spezzate ma loro erano entrambi fatti di fuoco e sangue.
E se la fiamma poteva spegnersi, estinguersi sotto il peso di accuse e rancori, il sangue continuava a scorrere vigoroso nelle vene di entrambi, costringendoli a restare in vita e
guardare.
«Non piangere, madre» la consolò Aemond, pacato, attirando l’attenzione di tutti mentre altro sangue – come il loro – gocciolava sul pavimento. «È stato uno scambio equo» dichiarò flemmatico, mettendogli i brividi per la praticità con cui considerava la faccenda.
Finita. «Avrò anche perso un occhio… ma ho ottenuto un drago» concluse risoluto, scoccandogli uno sguardo di ghiaccio che lo aveva atterrito, prima di voltargli le spalle.
I draghi non piangono,
lo avrebbe rimproverato più tardi zio Daemon, asciutto, desideroso di accertarsi che lui e i suoi fratelli stessero dormendo nei loro letti, scoprendo quei singhiozzi celati al mondo dalle tende del baldacchino.
No, i draghi piangono,
avrebbe voluto rispondere Jace, se avesse avuto la voce per farlo, quando si rendono conto di essere costretti alla solitudine.  



«Sei venuto a terminare il lavoro di tuo fratello?»
«Mi avresti ucciso».
«Avrei dovuto farlo prima. Mi chiedo solo perché questo ti sorprenda tanto».
«Io non lo avrei
mai fatto».
«Lo so, tu preferisci accecare con la sabbia piuttosto che con la lama.
Beh… ti consiglio di imparare a farlo, Strong.
La prossima volta che ci vedremo potresti averne bisogno».



Picchiò con rabbia i pugni contro il tavolo di legno, balzando in piedi di scatto.
Con il capo chino e la mandibola serrata, ci mise qualche istante per accorgersi del silenzio che aveva fatto calare nella stanza.
«Jace» sussurrò Baela, con una chiara nota di panico nella voce suadente.
Eppure non fu quello che lo riportò alla ragione, così come non fu l’espressione di pura confusione sul viso di sua madre. Non fu neppure il sorriso tronfio di Aegon, che aveva intravisto, a fargli capire quanto fosse stato sciocco a cedere alla collera.
Fu semplicemente il suo sguardo.
Aemond si era alzato dalla sedia con naturalezza, come se non avesse fatto caso alla tensione palpabile. Non aveva aperto bocca ma non era stato necessario.
Perché l’unico occhio che lo fissava era più eloquente di mille parole.
In quell’iride chiara bruciava una consapevolezza che aveva riportato a galla qualcosa che credeva scomparso nei meandri del tempo, soffocato con la forza della disperazione.
Macerie di quello che erano stati, affilate come rasoi che sapevano ancora tagliare la carne e far sanguinare.
Si perse per qualche istante in quello sguardo.
«Al principe Aegon e al principe Aemond» esordì simulando allegria, dopo essersi scrollato di dosso quel torpore che lo aveva immobilizzato sul posto, la coppa dorata di vino stretta nella mano destra, costringendosi a prendere parte alla farsa da guitti che era diventata quella cena. «Non ci siamo visti per anni ma ho bei ricordi della nostra giovinezza» continuò con lo stesso tono, mentre la menzogna si mescolava con una verità che non aveva mai avuto il coraggio di farsi udire. Ma era sempre stata lì, incastrata nella gola fino a ustionarla.
«E come uomini, spero che potremmo essere amici e alleati» si sforzò di dire, scollandosi dal palato quelle parole e guardandolo dritto in faccia.
Perché si faceva così con i draghi, li si prendeva di petto, senza esitazione, e si attendeva con ansia e terrore la loro reazione.
Ci si preparava a essere divorati o accettati.
Sconfitta o vittoria, non esisteva una via di mezzo.
Ma lo sguardo di Aemond che rifuggiva dal suo, che si puntava da un’altra parte
lontano, perso chissà dove – e che aveva scelto un'altra strada, bruciava più di qualsiasi dracarys.



«Non ci sarà sempre tuo zio a salvarti».
«L’hai voluta tu, questa guerra».
«O forse sei stato tu a innescarla. Tuo fratello mi avrà anche sfigurato
ma è la tua, la mano, che gli ha permesso di farlo».
«Ed è per questo che hai fatto di me il tuo nemico, Aemond?»
«Lo sei sempre stato, Strong. Solo che non hai mai voluto vederlo».



Era così che crollava un mondo.
Con sguardi carichi di rabbiosa e gelida indifferenza, e con la brama feroce di annientare tutto.
Di consegnarlo alle fiamme e ridurlo in cenere.








“Non era reale.”
“Era reale per me.”
The Vampire Diaries





È folle? Probabilmente sì, ma è da due puntate che questi mi provocano.
Ho fatto del mio meglio, mi sono sforzata di resistere dalla scena del rinfresco del funerale (?), dove i disgraziati si sono scambiati uno sguardo che mi ha stretto il cuore, continuando a ripetermi “no buono, no buono”.
Però poi, durante la cena, quando Jace sta per svalvolare e Aemond si alza e lo fissa, ho issato bandiera bianca e mi sono arresa.
E io che pensavo di approdare nel fandom con una storia su Viserys!
Lo so che è assurdo ma mi piacciono un sacco (anche se so che mi faranno soffrire).
Credo di dover fare un paio di precisazioni perché sospetto di essere stata un po’ criptica.
Temo di essermi mossa a tentoni in un campo e un tempo narrativo che non mi appartengono, e forse seguire i vari salti temporali della serie non ha aiutato.
Ho inserito la scena del maiale, nella quale immagino che poi Jace e Aemond si saranno parlati, quella del casino familiare e quella della cena. Ovviamente le battute che i ragazzi pronunciano nei blocchi narrativi sono prese dalle puntate della serie.
Quanto a sguardi carichi di rabbiosa e gelida indifferenza mi rendo conto che non abbia senso ma volevo sottolineare la differenza di carattere tra Jace e Aemond. Forse è una licenza che non dovevo prendermi ma, vabbè, l’ho fatto.

Sperando di non essermi attirata addosso una montagna di verdura – che comunque, visto il periodo, sarebbe ottima per un buon minestrone –, ci vediamo alla prossima storia, forse,
Blue





   
 
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