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Autore: Nao Yoshikawa    17/10/2022    1 recensioni
Sequel di "Everybody wants love".
Sono passati tre anni, i bambini sono cresciuti e gli adulti sono maturati (più o meno). Nuove sfide attendono i personaggi e questa volta sarà tutto più difficile. Dopotutto si sa, la preadolescenza/adolescenza non è un periodo semplice. E non sono facili nemmeno i vecchi ritorni.
Ciò che è passato deve rimanere nel passato.
Non pensarci.
Non pensarci e andrà tutto bene.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio, Renji Abarai, Urahara Kisuke
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo due
 
Quando Grimmjow gli chiedeva di vedersi, non era mai un buon segno. Soprattutto quando Nnoitra non poteva contare sul sostegno morale di Ulquirra (quel maledetto trovava sempre una scusa) e allora si ritrovava a fare da solo ciò in cui più era negato: dare consigli d’amore. Non solo, il suo migliore amico era in ritardo dopo essere stato lui stesso a dargli appuntamento da Starbucks. Oh beh, si era detto, almeno posso portarmi avanti con il lavoro. Tre anni prima aveva pubblicato il suo primo manga action, il quale aveva riscontrato un notevole successo. Ciò lo aveva portato a lavorare di più e al non poter procrastinare quando si trattava di rispettare le scadenze.
E poi eccolo lì: Grimmjow che arrivava tutto concitato e imbronciato, con i suoi comodi.
«Finalmente. Ma si può sapere perché ci hai impiegato tanto?» domandò Nnoitra, il pennino in una mano, dei fogli sparsi sul tavolo, accanto mezzo cappuccino.
«Traffico» mentì Grimmjow, sedendosi davanti a lui. «Sono tanto disperato.»
«E dove sarebbe la novità? Non c’è nemmeno bisogno che tu dica niente: hai litigato con Harribel, vero?»
Tia Harribel era la fidanzata di Grimmjow da due anni e mezzo. I due erano stati travolti subito dalla passione e non era passato molto prima che andassero a vivere insieme. Entrambi però avevano dei caratteri forti e spesso si scontravano e litigavano. E uno come Grimmjow, che non era certo un tipo romantico, si ritrovava ora a penare d’amore per quella donna che gli aveva preso il cuore.
«Dice che sono immaturo. Secondo te sono immaturo?»
«Chi, tu? Come ti viene in mente?» domandò sarcastico.
Grimmjow strinse un pugno.
«Guarda che sono serio! Tu devi saperne qualcosa d’amore, sei sposato da anni!»
Nnoitra stava per rispondergli che – se non lo avesse ancora capito – a dare consigli d’amore faceva schifo, a prescindere dal fatto che fosse sposato. Ma due ragazzini adolescenti si avvicinarono, un po’ spaventati ma con gli occhi carichi di ammirazione.
«Amh, scusi! Lei è Nnoitra Gilga, vero? L’autore di Shiro?»
I due ragazzini tremarono quando lui li guardò. Gli era già capitato che qualche suo fan (soprattutto giovani e giovanissimi) lo fermasse per scambiare con lui due parole, addirittura chiedergli un autografo. E lui, che generalmente non amava stare al centro dell’attenzione in quel senso, all’inizio non aveva saputo come approcciarsi. I molti erano spaventati dalla sua stazza e dalla sua espressione, salvo poi rendersi conto che Nnoitra era davvero gentile (e se ne sorprendeva pure lui).
«Sono io» rispose. Vide che i due ragazzini tenevano in mano dei volumi di Shiro.
«Ci può fare un autografo? Noi siamo fan di Shiro da quando è uscito! Dall’inizio!»
«E poi le scene di combattimento sono epiche!» esclamò l’altro ragazzino, rosso in viso.
«Okay, non andate in iperventilazione. Certo che vi faccio l’autografo. E… grazie» disse poi, un po’ in imbarazzo. Firmari gi autografi, i due adolescenti se ne andarono via tutti contenti. Alla fine era piacevole essere giusto un po’ famosi.
«Dicevamo?» domandò Nnoitra rivolgendosi a Grimmjow, come se nulla fosse.
«Accidenti, Harribel mi lascerà» disse Grimmjow accasciandosi sul tavolo. «Ma io la amo, lei è la donna della mia vita, la madre dei miei figli.»
«Oh, per l’amor di… non voglio immaginare voi che cercate di procreare. Sentì, i litigi capitano, il dialogo è importante. Se c’è qualche problema basta parlarne.»
Nnoitra si stupì di sé stesso. Mai si sarebbe immaginato a fare consigli d’amore a Grimmjow, ma un po’ di esperienza in quegli anni l’aveva fatta. Dopo aver detto ciò si alzò, facendo un po’ d’ordine.
«Adesso devo andare, Nel mi aspetta. Fai il bravo ragazzo, Grimmjow» gli disse, divertito. L’amico poggiò il viso su una mano, alzando stancamente l’altra per salutarlo. Certo, ora a Ulquiorra e Nnotira riusciva a capirli bene: l’amore sapeva renderti folle.
Nnoitra se ne tornò a casa e, quando arrivò, trovò il solito caos. Aries che, disteso sul tappeto, aveva rischiato di farlo cadere, disordine un po’ ovunque e poi Naoko che aveva ben pensato di colorare da sola una parete della sua camera da letto.
«Ma che cosa…? Naoko! Ti avevo detto che ci avrei pensato io!» si lamentò Nnoitra. Sulla parete c’era un turbinio di colori da far girare la testa. Sua figlia aveva la salopette sporca e anche una guancia.
«Ma io sono più brava di te, quindi mi sono portata avanti» disse immergendo il pennello nella boccetta di colore rosso.
Quella ragazzina era un’esplosione, tale e quale a sua madre. Nnoitra sbuffò, poi cercò di mettere un attimo in ordine.
«Come vuoi, ma quanto meno vuoi sistemare questo casino? Non sono mica il tuo schiavo, io!» e dicendo ciò afferrò degli indumenti, tra cui un reggiseno. «Ma che…?»
«Ehi! Guarda che quello è mio, eh» borbottò arrossendo. Nnoitra lo lasciò cadere, lasciandosi andare ad un’espressione sofferente e disgustata. Era già un trauma sapere che Naoko stava crescendo, ritrovarsi davanti anche la sua roba da adolescente anche no.
«Non tocco più niente, giuro» disse sconfitto. Nel frattempo Neliel lo aveva raggiunto, aveva stretto il suo braccio e si era sollevata sulle punte per stampargli un bacio su una guancia.
«Scusa, non ti ho sentito arrivare. Scommetto che Grimmjow voleva consigli d’amore da te.»
«Puoi ben dirlo. La prossima volta ci vai tu, io non sono così sentimentale» dicendo ciò la cinse dai fianchi, attirandola a sé. Naoko s’indispettì e imbarazzò e si avvicinò a Nnoitra, schizzandogli addosso un po’ di colore.
«Ops, ma tu guarda! Papà, il rosso ti dona.»
Femmine, pensò Nnotira. C’era stato un tempo in cui aveva avuto scarsa considerazione di loro, mentre adesso amava due donne più della sua vita. Un piacevole colpo di scena.
Nnoitra si avvicinò a Naoko, minaccioso.
«E scommetto che invece a te dona molto il blu!»
Neliel rise, con una mano poggiata ad una guancia, mentre osservava quei due che si rincorrevano, giocavano e si facevano i dispetti. Erano a dir poco adorabili.
 
 
Se c’era una cosa che Rin poteva affermare con certezza, era quella di essere abbastanza sicura del proprio aspetto, qualcosa che a quanto pareva non era molto comune fra le ragazze della sua età. Non era nemmeno vanitosa, semplicemente sapeva riconoscere i propri pregi e difetti. E poi, almeno secondo lei, era sempre stata graziosa. Adesso, mentre si guardava allo specchio, si rendeva contro che andava ad assomigliare sempre più a sua madre, anche se in viso aveva i tratti di suo padre. Aveva iniziato a truccarsi leggermente, a pettinare con attenzione la sua chioma lunga e che si rifiutava di tagliare. In questo modo Rangiku aveva un po’ realizzato il suo sogno, ovvero quello di portare sua figlia a fare shopping e di comprarle tanti bei vestiti e non solo. Rin adorava sua madre, adorava passare il tempo con lei. Ma a volte la metteva un pochino in imbarazzo. E lo stesso aveva fatto quel pomeriggio, quando era rientrata con delle buste in mano mentre lei, seduta in salotto, si metteva lo smalto alle unghie delle mani.
«Oggi ti ho comprato alcune cosine molto interessanti» disse Rangiku contenta. «In particolare ti ho comprato della nuova biancheria intima.»
A Rin cadde il pennellino di mano.
«Ma come? Io non c’ero, come fai a sapere le mie misure?» domandò, le guance arrossate. Rangiku si portò le mani sui fianchi.
«Tu sei mia figlia, ti conosco. E così ti ho comprato dei reggiseni adorabili. Niente di troppo vistoso ovviamente. Ma tu hai preso da me e il seno ti si sta già ingrossando parecchio. È importante avere il giusto sopporto in questi casi.»
Rin sollevò un dito e cercò di dire qualcosa, ma senza riuscirci. Oh, sua madre era inarrestabile. Non solo, le aveva già fatto il famoso discorso sul sesso.
Se un giorno dovrai fare sesso, le aveva detto, che non ti venga in mente di farlo senza protezione. Piuttosto, quando sarà è meglio se me lo dici, così saprò come aiutarti.
Era stato illuminante quanto imbarazzante, quel discorso. Ma almeno sua madre aveva una mente aperta. Adesso le aveva lanciato un reggiseno nero con un fiocco al centro.
«Su, provalo.»
«… Posso avere un po’ di privacy?»
Rangiku però le aveva detto di non preoccuparsi, perché vergognarsi di lei che era sua madre e che la conosceva meglio di chiunque altro? Rin sospirò e si arrese, indossando il nuovo capo. E notò con piacere che le stava molto bene. Tutto il suo corpo stava cambiando. Lei che da piccola era sempre stata magra come un fuscello, adesso si era arrotondata in alcuni punti in particolare, tipo sui fianchi. Per lei era piuttosto strano.
«Ooh, ti sta un incanto! Sai, dovrei prenderne uno uguale per me, così saremo abbinate» commentò Rangiku. Rin arrossì, scuotendo la testa. Non voleva nemmeno pensarci.
Al contrario di Rangiku, Gin sembrava non essersi accorto dei cambiamenti di Rin. O magari se n’era accorto e faceva finta di niente. Forse per non metterla in imbarazzo. O più probabilmente perché non aveva ancora metabolizzato. Perché a mettere in imbarazzo ci riusciva comunque e con una naturalezza disarmante.
«… Ma che fate?» domandò infatti quando entrò in soggiorno e le vide. Rin arrossì, coprendosi subito.
«Papà, esci. Non mi guardare.»
«Ah, stava solo provando un nuovo reggiseno che le ho comprato.»
«Mamma. Non mettere il dito nella piaga» borbottò infilandosi di nuovo la maglietta. In quel momento ringraziò che non ci fosse Toshiro in giro perché sua madre sarebbe stata capace di metterla in imbarazzo anche davanti a lui. Gin si portò una mano sotto al mento.
«Ah, capisco. Comunque tesoro, perché ti vergogni di me? Chi credi ti abbia cambiato i pannolini?»
Quello era davvero troppo per Rin. Si lasciò andare ad un respiro talmente profondo che ebbe quasi la sensazione di sciogliersi.
«Se mi volete bene, adesso mi lasciate andare in camera mia.»
Rangiku decise che sua figlia aveva sofferto abbastanza. Gin si sentì in colpa perché un pochino si divertiva a stuzzicarla.
«Stiamo diventando di quei genitori che mettono sempre in imbarazzo i figli. Soprattutto tu, Rangiku.»
La donna si lisciò i capelli, lo guardò maliziosa e lo baciò.
«Mi dispiace, è che mi esalto troppo. Rin è bellissima e sa di esserlo.»
«Ha preso da te, infatti» Gin le prese con dolcezza il viso tra le mani e la baciò, con passione. Erano passati quattrodici anni da quando si erano sposati, eppure erano ancora come quando si erano conosciuti. Appassionati, innamorati. E non volevano che che ciò finisse, mai.
 
Un’altra giornata era giunta al termine o almeno era giunta al termine la sua giornata lavorativa. Yoruichi quell’anno aveva preso in carica una classe di primo liceo davvero terribile e scalmanata, ma i suoi alunni si erano ben presto resi conto che non quella donna c’era poco da scherzare. Molto spesso si sentiva ancora con Soi Fon, la sua ex studentessa che ora frequentava la facoltà di lettere. Soi Fon coltivava da sempre il sogno di diventare una scrittrice e una volta diplomata aveva iniziato a scrivere il suo prima e vero romanzo. Yoruichi si offriva di aiutarla, di correggere e dare un giudizio spassionato ai suoi scritti. Sapeva che il mondo dell’editoria sapeva essere terribile e tanto valeva essere spietata quando era giusto esserlo. Kisuke era rientrato da un po’ e, dopo essersi fatto una doccia, l’aveva raggiunta. Si era piegato su di lei (Yoruichi se ne stava seduta alla scrivania) e poi l’aveva abbracciata.
«Professoressa Shiohin, lei lavora troppo, a mio avviso.»
Kisuke le aveva sussurrato quella frase all’orecchio e l’aveva distratta.
«Da che pulpito, dottor Urahara. Lei ha ritmi ancora più insostenibili dei miei» rispose, stando al gioco. Non c’erano più stati problemi da quando Yoruichi aveva preso coscienza della propria sessualità. Anzi, le cose andavano talmente bene che spesso volentieri non erano in grado di non saltarsi addosso. Proprio come quando erano solo fidanzati, ciò era piacevole.
«Che vuoi che ti dica? Salvare vite è impegnativo» sempre con il suo tono divertito, ora un po’ languido, Kisuke infilò una mano nella sua scollatura. Yoruichi trasalì e poi si lasciò andare ad un sospiro.
«K-Kisuke, ti ricordo che i nostri figli sono in casa. E tra poco abbiamo ospiti. Stasera, d’accordo?»
Sua moglie aveva ragione. Anche se a malincuore, Kisuke scostò la mano dal suo seno morbido.
«È il racconto di Soi Fon? Posso leggerlo? Ti prego!» esclamò congiungendo le mani come se stesse pregando.
«Neanche per sogno, ho promesso che lo avrei letto solo io. E poi tu non hai le competenze» disse voltandosi e riprendendo la penna in mano.
«Così mi offendi, mia cara» scherzò lui. E poi il suono della sua voce fu sovrastata dalle grida di Yami. Niente di cui preoccuparsi, Yami si scaldava facilmente, era come sua madre (anche se questo Kisuke si premurava di non dirlo).
«Dov’è il mio rossetto? Chi ha spostato le mie cose? Hikaru, sei stato tu?!»
«Io non mi trucco, che me ne faccio? Incolpi sempre me, anche quando non faccio nulla!» rispose il gemello. Yoruichi si tolse gli occhiali da lettura e suo marito, nel vederla, capì che sarebbe scoppiata una breve schermaglia, poiché madre e figlia tendevano a scontrarsi spesso, ultimamente.
«Yami Urahara, non provare a prendere i miei rossetti di nascosto. Sei troppo giovane per truccarti in questo modo!»
Yami non amava quando qualcuno le diceva cosa potesse e non potesse fare. Arrivò nello studio della madre con i riccioli nei capelli (aveva appena imparato ad usare il ferro), un body sopra il cui indossava di solito il tutù, durante le lezioni di danza, e degli scaldamuscoli. Senza dubbio sembrava più grande della sua età.
«Ma mi serve! E poi tu non lo usi mai, è sprecato!»
«Non transigo. Quando sarai più grande, farai come vuoi. Ma sei ancora troppo piccola!»
Kisuke si guardò intorno, facendo finta di niente. Lui non amava trovarsi in mezzo a quelle schermaglie, finiva sempre male per lui.
«Papà, dille tu qualcosa!» lo pregò la figlia, infatti.
«Kisuke, non osare» disse invece la moglie. Era assurdo, era come avere due versioni diverse della stessa persona. Da quella situazione non se ne usciva facilmente.
«… Tesoro, tua madre sa quello che dice» affermò, un po’ in ansia. Preferiva mettersi contro Yami, almeno a lei sarebbe passata. Sua figlia borbottò.
«Siete ingiusti, tutti e due!» piagnucolò, andandosene.
«E cambiati!» le gridò dietro Yoruichi. «Cosa sei, la protagonista di Flashdance?»
Kisuke rise. Poi si avvicinò a lei, posandole un bacio sulla testa.
«Non essere così dura. Yami è come te, solo che è più giovane.»
«Questa ti è uscita male, Kisuke. Uno dei due dovrà pur essere severo, tu gliele daresti tutte vinte» dicendo ciò riposò fogli e penne, oramai era tardi. «Comunque vai a vestirti in modo consono. E giuro che se stasera tu e Mayuri vi chiudete nello studio a parlare dei fatti vostri, io e Nemu usciamo e vi molliamo qui.»
Ad un tratto Kisuke parve concitato.
«Ma mia cara, noi abbiamo un progetto. Noi creeremo il dipartimento di ricerca e sviluppo. O DRS, fa più figo, non è vero?»
Oh, suo marito alle volte si eccitava come un ragazzino il giorno di Natale. Però quel suo modo di fare la faceva ridere.
 
Toshiro e Momo viaggiavano spesso. Soprattutto adesso che Toshiro aveva concluso i suoi studi universitari, si dilettavano molto. Anche a distanza Toshiro poteva seguire diversi lavori dell’azienda da cui era stato assunto, Momo invece si dedicava alla musica. Chissà, diceva sempre, magari diventerò una pianista famosa. Non è mai troppo tardi per i sogni.
Quella volta la loro meta era stata Londra e dopo due settimane, sarebbero tornati l’indomani. Da quando stava con Toshiro, Momo sembrava ringiovanita di dieci anni. E poi, si rendeva conto, loro formavano una bella coppia. Diversi, ma non troppo.
«Shiro, hai preparato le valigie? Ogni volta va a finire che mi dimentico qualcosa.»
«Sì, tu, appunto. Non io!» disse lui impegnato a controllare qualcosa sul suo portatile. «Piuttosto, non dimenticarti di chiamare Hayato adesso. Sai, no, il fuso orario. E poi se non lo fai, penserà che sia colpa mia.»
Momo, da che era inginocchiata, si sollevò, tutta indispettita.
«Non dire così!» borbottò, rossa in viso. Toshiro la trovò adorabile, ma d’altro canto non poteva fare a meno di dire certe cose. Non che Hayato l’odiasse. Avevano un rapporto civile, niente di più. In realtà quel ragazzino faceva il difficile con tutti, questo forse avrebbe dovuto consolarlo. Onde evitare di dimenticarsi davvero di chiamarlo all’orario giusto, Momo prese il suo telefono .
 
«Miyo, tua madre vuole parlare con te.»
Miyo chinò indietro la testa per togliersi i capelli che le erano finiti sugli occhi e prese il cellulare che Shinji le aveva dato.
«Mammina! Come stai? Allora ci vediamo questo week-end?»
Fino a qualche anno prima Shinji non avrebbe mai creduto possibile che lui e Hiyori potessero andare d’accordo. Invece adesso parlavano senza insultarsi o darsi addosso di continuo. Anzi, andavano più d’accordo adesso di quanto avessero fatto in otto anni. Miyo se ne andò a parlare in camera sua con la madre e Shinji si sedette accanto a Sosuke.
«Miyo mi fa preoccupare.»
Sosuke si tolse gli occhiali. Poteva non sembrare, ma Shinji talvolta sapeva essere paranoico.
«Miyo è una brava bambina.»
«Bambina? Ha tredici anni, non rimarrà una bambina ancora per molto. L’adolescenza è tremenda, io ero un ragazzino terribile. Attaccavo briga con tutti e andavo sempre a disturbare le ragazze a scuola» ammise.
«Ma Miyo non è te.»
«Infatti, lei è troppo buona e innocente. Tu te ne stai lì tranquillo e pensi che sono pazzo, ma se succede una cosa e io non so che fare? O peggio» abbassò la voce, come se dovesse confessargli un segreto impronunciabile. «Se ha un fidanzato? Questo non potrei sopportarlo. No, Hiyori è più brava di me.»
Povero Shinji, si creava problemi quando ancora non esistevano. Di sicuro il punto di vista di una madre contava sempre, ma perché Miyo avrebbe dovuto fare a meno del suo punto di vista.
«Oh, su, non ti demoralizzare. Sei un bravo padre, avere paura è normale. E poi ci sono io con te.»
Shinji si guardò intorno, stringendo un pugno.
«Vuol dire che se qualche malintenzionato prova a farla soffrire, andiamo a spaccargli la faccia insieme?»
Sosuke alzò gli occhi al cielo.
«Non intendevo proprio questo, ma possiamo affrontarla insieme.»
Dannazione a Sosuke e alla sua mania di affrontare tutto con ponderata calma. 
Miyo uscì dalla sua camera e porse il telefono a Shinji. 
«Mamma vuole parlare con te.»
Shinji l'esaminò un attimo. Come poteva il suo piccolo esserino avere già tredici anni? Eppure sembrava più piccola della sua età, era bassa e magra come un fuscello. In questo aveva preso da Hiyori. 
«Si?» rispose con un sospiro.
Poi c’era Hayato. Hayato era appena apparso in cucina, parlava al telefono con Momo. O per meglio dire, Momo parlava, lui si limitava ad ascoltare, a raccontare qualcosa. Non era mai stato un tipo di molte parole, ora meno che mai.
«Comunque domani torniamo a casa, anche se l’orario è un po’ scomodo. Così, se vuoi, puoi stare da me» gli aveva detto Momo. Hayato non aveva una fissa di mora, a volte viveva con suo padre, a volte con sua madre. In entrambi i casi, non andava troppo d’accordo né con Shinji né con Toshiro. Non che non li avesse accettati, in realtà li trattava un po’ come trattava tutti, anche se qualche differenza sussisteva, Entrambi cercavano di avvicinarsi a lui, ma lui li respingeva. Pensava bastasse un rapporto civile. Un padre ce l’aveva già, che se ne faceva di altri due? Soprattutto di uno che sembrava così giovane da poter essere suo fratello. Ma tutto questo Hayato non lo diceva.
«Vedrò al momento. Qui mi diverto abbastanza, con Miyo.»
Miyo era l’unica che trattasse con un po’ meno freddezza. Anche se non le diceva mai che le voleva bene, lo pensava.
«D’accordo, come preferisci. Vuoi che ti passi Toshiro? Shiro, vuoi parlare con Hayato?»
Il ragazzino lo sentì dire qualcosa e poi si sbrigò ad aggiungere.
«Vabbè, ti passò papà. A domani.»
Aizen aveva mantenuto con la sua ex moglie a sua volta un rapporto civile. Oramai ognuno aveva la propria vita e discutevano assai di rado. Aizen non era uno che litigava e Momo altrettanto. Parlavano soprattutto di Hayato.
«Sosuke, nostro figlio sta bene?» domandò Momo apprensiva. Hayato oramai non era più un bambino, si stava approcciando all’adolescenza e ciò la impensieriva un po’.
«Sta bene. Ha un po’ un caratteraccio, ma posso gestirlo. Io, Shinji non lo so, a dire il vero.»
Mentre diceva ciò osservò suo figlio che si rimetteva gli auricolari alle orecchie e spariva in camera sua, dove non poteva entrare nessuno. I bambini erano una cosa, gli adolescenti un’altra.
«Sì, capisco. Mi raccomando, vedi se ha bisogno di qualcosa» disse Momo.
«Quello non è un problema. Adesso è Hayato che non vuole parlare con nessuno. Che periodo infernale» ammise, passandosi una mano tra i capelli. Ma non era preoccupato, c’era ben poco al mondo che potesse preoccuparlo e così sarebbe continuato ad essere.
 
Se c’era una cosa che aveva sempre accumunato Chad e Karin, quello era l’amore per lo sport, anche se in ambii diversi. Se Chad era un istruttore di lotta libera, Karin aveva sempre avuto la passione per il calcio. C’era stato un tempo in cui avrebbe desiderato allenare una squadra di giovani, bambini o adolescenti. Ma con la nascita di Kohei e la diagnosi dell’Asperger, aveva messo da parte quel sogno. Questo fino a tre anni prima. Una volta che aveva compreso che poteva essere una buona madre per suo figlio senza dover rinunciare alle sue passioni, si era data da fare. Così aveva trovato una squadra, composta tutti da ragazzini dai dodici ai quattrodici anni ed era diventata una delle allenatrici più inflessibile, ma anche protettive, della prefettura.
«Allora, com’è andata oggi? Hai torturato quei poveri ragazzi?» domandò Chad quella sera, mentre cucinava insieme a lei. Anzi, lui cucinava, lei rubava ogni tanto qualcosa dal tagliere e la portava alle labbra per mangiarla.
«Io non torturo, pretendo il massimo. E infatti funziona, sono più le vincite che le sconfitte. Sai quanto sono competitiva. La mia squadra è forte.»
«Mamma è spaventosa, certe volte» dichiarò Kohei. Pixie stava sulla sua spalla, come al solito. Il ragazzino, che era cresciuto di parecchi centimetri e oramai superava di gran lunga Karin, se ne stava a leggere. Oramai possedeva una collezione niente male di libri che parlavano di aquile e non solo. Studiava da quelle pagine senza alcuno sforzo.
«Hai ragione. Lei è piccola, ma spaventosa» ammise Yasutora.
«Ma sentitevi, vi siete coalizzati contro di me? Comunque, potrebbe esserci la possibilità di una trasferta. Ma questa è ancora tutta da vedere, prima dobbiamo vincere la prossima partita. Spero di non dover litigare con l’allenatore dell’altra squadra come l’ultima volta» e nel dire ciò, arrossì. Di certo Karin sapeva come farsi rispettare. Nel mondo del calcio, in molti tendevano a non prenderla sul serio, nel vederla così piccola ed esile, ma più di una volta aveva dato del filo da torcere-. Questa volta non sarebbe andata diversamente.
«Ma tu non dici sempre che non si litiga?» domandò Kohei, attento. Karin s’imbronciò. Suo figlio spesso era più saggio di lei.
«Sì, è vero, ma… Yasutora, guarda che lo vedo che ridi. Non prendermi in giro.»
«Non lo farei mai» disse lui, mettendo qualcosa su un piatto. «Mentre non c’eri comunque ha chiamato Ichigo. Ha detto che i vostri cugini verranno a trovarvi. Parla degli Shiba, giusto?»
«E chi sennò? Ah» sussurrò sedendosi. «Si prospetta una bella riunione di famiglia, temo.»
«O molto brutta» disse Kohei e le sue parole suonarono come un’inquietante premonizione.
Poi, però, cambiò subito discorso.
 

Nota dell'autrice
E con questo ho finito di ripresentare i personaggi, che di passi in avanti ne hanno fatti. Nnoitra è diventat u mangaka abbastanza famoso da essere fermato per degli autografi e Grimmjow pena per amore. Yoruichi litiga con sua figlia e Rangiku invece è una di quelle madri super affettuose che mettono la figlia in imbarazzo (ce la vedo proprio bene). Invece Toshiro e Momo fanno la coppietta felice in giro per il mondo, anche se alla fine fanno parte di una famiglia allargata dove ci sono rapporti piuttosto particolari. E infine, Karin e Chad felici e contenti, niente a che vedere con i problemi della scorsa storia. Ma quella di Kohei sarà mica davvero una previsione? Lo scoprirete presto.
Nao
   
 
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