Film > La Fabbrica di Cioccolato
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Autore: EffieSamadhi    19/10/2022    0 recensioni
«Vent'anni...» sussurrò ancora lui, mostrando un flebile sorriso. «Mi piacerebbe raccontarle un delizioso mucchio di bugie, sa? Dirle che la vita è migliore di come uno se la immagina alla sua età e altre sciocchezze del genere, ma non mi è stato insegnato a mentire. Sono un uomo che dice sempre la verità, per quanto brutta possa sembrare.»
Willy Wonka ha quarant'anni, sogni di gloria e la sola paura di fallire.
Charlie Bucket ha vent'anni in meno e cerca di sorridere delle piccole cose.
Può un semplice Biglietto Dorato unire due anime sole?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charlie Bucket, Willy Wonka
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Gender Bender
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1.

disclaimer | L’idea di fondo non è mia. Appartiene ad un assoluto, inimitabile ed intramontabile genio di nome Roald Dahl. Uno dei miei desideri più nascosti è quello di poterlo riportare in vita per abbracciarlo e ringraziarlo di tutte le incredibili storie di cui ci ha fatto dono, da Matilde a Danny il campione del mondo, passando naturalmente per Gli Sporcelli e Furbo, il signor Volpe. Da semplice scribacchina quale sono, mi sono limitata a rimuginare sulle meraviglie da lui partorite per far dono al mondo di quello che in effetti è soltanto uno scempio, l’insensata ed assurda profanazione di un capolavoro.

note dell’autrice | Prima di cominciare, vorrei fosse ben chiaro che rispetto alla storia originale questo è uno schifo senza pari, dunque se siete schizzinosi lasciate questa pagina prima che sia troppo tardi. Fatto? Bene. Ai pochi che sono rimasti rivolgo un caloroso benvenuto. Per scrivere questa storia mi sono ispirata sia al romanzo sia alla prima versione cinematografica (quella del 1973, che mi ha fatto conoscere ed amare Gene Wilder). Rispetto alla storia originale, sono presenti alcuni significativi cambiamenti: tanto per cominciare, i cinque bambini di cui si parla sono in realtà cinque giovani adulti, ed in secondo luogo il giovane Charlie Bucket diventa la giovane Charlie Bucket. Inoltre, ci saranno alcuni piccoli cambiamenti riguardanti la fabbrica stessa. Se qualcuno si sente in qualche modo offeso da queste affermazioni, il mio consiglio è di lasciar perdere sin d’ora. Fatto? Ottimo. Al poveraccio rimasto indirizzo i miei migliori auguri.

titolo della storia | Il titolo della storia è ispirato all’omonima canzone di Luciano Ligabue, contenuta nell’album Mondovisione (2013). I titoli dei capitoli verranno creditati di volta in volta al termine del capitolo stesso.

 

 

 

 

 

Sono sempre i sogni a dare forma al mondo

 

 

 

 

 

Capitolo primo.

Non è troppo presto per sognare.1

 

Londra, qualche anno fa

 

         Fino a una ventina di anni prima, Spinner’s End2 era stato un quartiere densamente popolato, casa di molti dipendenti della vicina fabbrica di cioccolato Wonka: pur essendo una zona di periferia molto lontana dall’elegante e attivo centro di Londra, era un posto pulito e accogliente, dotato di tutte le comodità necessarie per condurre una vita decorosa e crescere dei figli. Per questo i Bucket avevano ritenuto che trasferirsi lì da Wandsworth, altro quartiere di lavoratori, fosse una buona idea: per raggiungere il lavoro il signor Bucket, neoassunto alla fabbrica di cioccolato Wonka, non avrebbe avuto che da percorrere poche centinaia di metri, mentre l’ospedale in cui la signora Bucket lavorava come infermiera distava poco più di dieci minuti di autobus. Oltre alle ragioni pratiche, la giovane coppia nutriva anche la speranza che la loro figlioletta Charlotte, all’epoca poco più che una neonata, potesse crescere sana e felice insieme agli altri bambini del quartiere, circondata da una famiglia amorevole. Per questo insieme a loro si erano trasferiti anche i rispettivi genitori: il signor e la signora Bucket, ovvero nonno Joe e nonna Josephine, e il signor e la signora Mayfield, meglio noti come nonno George e nonna Georgiana. Mentre le due nonne si occupavano di tenere in ordine la casa e badare alla nipotina, i nonni si erano dati da fare cercando un lavoretto in grado di arrotondare la pensione: mentre nonno George consegnava giornali al vicinato, nonno Joe sfruttava il proprio pollice verde curando le piante e i giardini di tutto il quartiere.

         Ma la felicità non era durata a lungo: soltanto due anni più tardi il signor Wonka aveva inspiegabilmente chiuso la fabbrica, licenziando tutti i dipendenti che vi lavoravano. La stampa aveva molto speculato sull’accaduto, e dopo parecchi mesi di suspense si era saputo che i signor Prodnose e Slugworth, suoi diretti concorrenti nella produzione dolciaria, avevano corrotto alcuni operai al fine di impadronirsi di quei segreti che in poco tempo avevano reso Willy Wonka, allora poco più che ventenne, uno dei pilastri del settore. Scopertosi ingannato, il signor Wonka aveva deciso di agire per la salvaguardia del bene proprio e dell’azienda, sbarazzandosi di tutti i lavoratori – purtroppo anche di quelli che, come il signor Bucket, erano troppo onesti per prestarsi a un gioco tanto bieco. In poco tempo Spinner’s End si era svuotata, e la famiglia Bucket era rimasta quasi sola in quella periferia un tempo molto accogliente, e ora silenziosa e spettrale quanto il vicino cimitero di St. Michael. Se ce ne fosse stata l’opportunità anche i Bucket avrebbero lasciato il quartiere, ma con un solo stipendio assicurato era impossibile anche solo pensare di poter spostare una famiglia di sette persone all’altro capo della città. Quando il signor Bucket trovò finalmente un nuovo lavoro, comunque, qualsiasi affitto si dimostrò troppo alto per le povere tasche di quella sfortunata famiglia.

         Nel frattempo Charlotte crebbe e iniziò a frequentare la scuola. Passando ogni giorno di fronte ai cancelli sprangati della fabbrica Wonka, iniziò presto a manifestare una certa curiosità per quella costruzione tanto grande e lugubre, che sembrava svettare sull’ambiente circostante come un monumento al degrado e alla desolazione della periferia. Aveva da poco compiuto sei anni quando, tornando a casa insieme al nonno paterno, si decise finalmente a porre la prima domanda. «Nonno Joe, perché questo posto mi mette paura?»

         Nonno Joe ridacchiò, continuando a tenere stretta la mano della nipotina. «Mia cara, questo posto non dovrebbe affatto metterti paura. Questa è la fabbrica di cioccolato di Willy Wonka, la più grande e straordinaria fabbrica di cioccolato del mondo! Ci ha lavorato anche tuo padre, lo sapevi?»

         «Chi è il signor Willy Wonka?»

         «Il signor Willy Wonka, signorina, è uno degli uomini più intelligenti e geniali che esistano al mondo. Quando ha aperto questa fabbrica aveva appena compiuto vent’anni, e gli ci sono voluti soltanto un paio di mesi per diventare il più celebre pasticcere del mondo. Lui sì che sapeva creare dei dolci assolutamente eccezionali

         «Ma se era tanto bravo, perché la fabbrica è chiusa?»

         «Beh, tesoro, devi sapere che quando uno è bravo in qualcosa – intendo, davvero bravo, come il signor Wonka – per forza qualcun altro finisce con il diventare invidioso. E quando l’invidia diventa odio, allora le cose per la persona di talento non si mettono tanto bene. Vedi» continuò, cogliendo l’espressione interrogativa comparsa sul volto della bambina, «il signor Wonka era così bravo nel creare dolci che il signor Prodnose e il signor Slugworth, che avevano aperto le loro fabbriche molto tempo prima, iniziarono a invidiare il suo successo. Erano così invidiosi da essere pronti a tutto pur di mandarlo in rovina. Così si misero d’accordo per mandare nella fabbrica del signor Wonka delle spie che potessero rubare i suoi segreti. Le spie si facevano assumere come operai, e appena scoprivano un segreto succulento correvano subito da Prodnose e Slugworth per raccontarglielo. Quando lo scoprì, il signor Wonka ne fu molto triste, perciò decise di chiudere la fabbrica e licenziare tutti gli operai» concluse in tono triste.

         «E non poteva licenziare soltanto gli operai cattivi?»

         «Più facile a dirsi che a farsi, Charlotte. Tanto per cominciare, il signor Wonka non poteva sapere quanti operai cattivi ci fossero nella sua fabbrica. E poi quando scoprì il tradimento perse la fiducia in tutti coloro che lavoravano per lui. Devi capire che quando si perde la fiducia in qualcosa o in qualcuno, ritrovarla diventa molto difficile.»

         «Ma se non fa più il cioccolato, adesso cosa fa il signor Wonka? Non ha un lavoro?»

         «Oh, credimi, è così ricco che potrebbe passare il resto della vita a non fare niente» rise nonno Joe. «In verità, nessuno sa dove si trovi. Nessuno lo ha più visto dal giorno in cui sprangò i cancelli della fabbrica. C'è chi dice che si sia nascosto in un qualche angolo del mondo a disperarsi per essere stato gabbato, altri invece dicono che se la stia spassando su un'isola tropicale.»

         «E tu, nonno Joe? Dove credi che sia?»

         «Secondo me Willy Wonka non ha ancora finito di stupire il mondo. È troppo in gamba per passare il resto della vita a nascondersi. Per me se ne sta chiuso da qualche parte a progettare un modo per tornare a riprendersi il titolo di miglior pasticcere del mondo. Sai, non mi stupirei se un giorno o l'altro questa vecchia fabbrica tornasse in attività. Con un genio del calibro di Willy Wonka, non si può mai sapere.»

         Charlotte gettò un'ultima occhiata alla vecchia fabbrica, pensando che il nonno doveva avere una grande immaginazione se davvero era convinto che un giorno quel rudere sarebbe tornato a sfornare i dolcetti più buoni del mondo.

         Un paio di mesi più tardi, tuttavia, le toccò ricredersi, come le altre migliaia di persone che credevano le industrie Wonka morte e sepolte. Era un freddo mattino di dicembre, mancavano pochi giorni a Natale e il signor Bucket stava facendo gli straordinari per mantenere le strade libere dalla neve che da parecchi giorni scendeva copiosa sulla città. Passando davanti alla fabbrica, Charlotte tirò il naso fuori dalla pesante sciarpa di lana, avvertendo un odore sconosciuto. «Nonno Joe, cos'è questo odore?»

         L'uomo tirò fuori a sua volta il naso, fermandosi a fiutare l'aria come un segugio. «Questo, cara mia, è profumo di cioccolato! Willy Wonka ha riaperto la fabbrica!» Dimenticando per un attimo la loro destinazione, entrambi scrutarono oltre i cancelli alla ricerca di un qualunque segno di vita, restando però estremamente delusi: i lucchetti arrugginiti non sembravano essere stati toccati, la neve depositata nel cortile era intonsa, le finestre apparivano ancora sprangate. L'unico segno di attività sembrava essere il fumo che fuoriusciva dai comignoli. «Eppure, qualcuno là dentro deve esserci» borbottò il nonno, strizzando gli occhi per riuscire a cogliere altri dettagli. «Non mi sbaglio, questo è proprio profumo di cioccolato» aggiunse, grattandosi distrattamente la nuca.

         «Magari è soltanto una nostra impressione» commentò Charlotte, facendo sfoggio di tutta la saggezza propria di una seienne.

         Ma i giornali del giorno successivo smentirono la sua opinione: dopo quattro anni di inattività, Willy Wonka aveva davvero ricominciato la produzione, tanto che tutti i negozi di dolciumi della città avevano già ricevuto intere casse piene di nuovi prodotti. «Però non parla degli operai» commentò il signor Bucket, ripiegando il giornale. «Ho provato a chiedere in giro, ma sembra che nessuno sappia nulla. Persino al collocamento non mi hanno saputo rispondere. Pare che Wonka non abbia formalizzato alcuna assunzione.»

         «Ma questo è impossibile!» replicò la moglie, mettendo in tavola una zuppiera colma di minestra. «Non può certo mandare avanti quella fabbrica enorme tutto da solo. Sarà anche il pasticciere più bravo del mondo, ma non è certo onnipotente.»

         «Certo che no. Anche avendo a disposizione i macchinari più moderni, avrebbe comunque bisogno di qualcuno che li manovrasse. Avrebbe bisogno... non lo so, di un centinaio di persone almeno!»

         «Ma i cancelli sono ancora chiusi con i lucchetti» osservò Charlotte, soffiando sulla minestra per farla raffreddare. «Come fanno gli operai ad entrare se i cancelli sono chiusi?»

         Rigirandosi tra le mani il giornale appena messo da parte dal figlio, nonno Joe le rivolse un'occhiata divertita al di sopra degli occhiali. «Tesoro mio, te lo avevo detto o no che Willy Wonka è un genio? Avrà sicuramente trovato un modo per far entrare gli operai senza che nessuno se ne accorga.»

         «Via, papà, non metterle in testa strane idee...» sospirò il signor Bucket, rimestando nella fondina con il cucchiaio.

         «Andiamo, Andrew, tu lo hai conosciuto! Gli hai stretto la mano! Sai meglio di me quanto sia assolutamente straordinaria la sua mente! Vulcanica, a dir poco! Guarda qui!» esclamò, sventolandogli il giornale davanti al naso. «Ha inventato il gelato caldo! Il gelato caldo per le giornate fredde! Ditemi voi se questo non è un uomo geniale!»

         «Che idea cretina» borbottò nonna Georgiana, la madre della signora Bucket. «Chi mai avrà voglia di mangiare un gelato quando fa freddo?»

         Nonno Joe la ignorò, pensando che la sua sordità stesse peggiorando. «E i Confettini Canterini!» proseguì, continuando ad agitare il giornale come una bandiera. «Deliziose praline da lasciar sciogliere in bocca fin quando non resta un canarino in miniatura che fischietta la tua canzone preferita!»

         «Se voglio sentire la mia canzone preferita, basta che accenda la radio» commentò nonno George.

         Nonno Joe scacciò il pensiero con un gesto della mano, continuando a leggere. «Un uomo geniale, semplicemente geniale. Scommetto che in questi quattro anni non ha fatto altro che viaggiare in giro per il mondo pensando a quali meraviglie proporre per il suo grande ritorno. Oh, vedrete adesso, vedrete come si mangeranno il fegato Prodnose e Slugworth. Pensavano di averlo fatto fuori, ma credete a me: non ci vorranno più di due settimane perché Willy Wonka torni a essere il più grande cioccolatiere del mondo!»

         Nonna Josephine si limitò a sorridere, sapendo che ribattere non sarebbe servito a nulla: suo marito nutriva una profonda ammirazione per Willy Wonka e il suo genio, e nulla di ciò che chiunque avrebbe potuto dire o fare lo avrebbe mai distolto dal pensare che fosse un vero eroe.

         La previsione di nonno Joe si rivelò corretta: un paio di settimane dopo la grande riapertura, in città non si parlava d'altro che delle deliziose creazioni Wonka, e di come questi si fosse a tutti gli effetti ripreso il titolo meschinamente rubatogli dagli spregevoli Prodnose e Slugworth. Tuttavia, i cancelli della fabbrica continuarono a rimanere chiusi: mai nessun operaio era stato visto entrare, e mai nessun operaio era stato visto uscire. Il signor Bucket, che aveva nutrito qualche speranza di poter un giorno essere riassunto, aveva smesso di chiedere informazioni all'ufficio di collocamento, rassegnandosi a lavorare come spazzino e spazzaneve per il resto della vita, mentre l'intera famiglia continuava a fare immensi sacrifici per tirare avanti.

         Dal canto suo, Charlotte era contenta che la fabbrica avesse riaperto: le difficoltà della vita non l'avevano resa meno fantasiosa, e ogni volta che passava davanti ai cancelli sprangati le piaceva fermarsi per qualche secondo ad immaginare che cosa nascondessero quei muri anneriti dal tempo. E poi l'aroma di cioccolato era piacevole da annusare – per una come lei, che non aveva denaro da sperperare in dolciumi, era un buon compromesso per avere comunque la sua dose di dolcezza.

         L'inverno dei suoi undici anni, però, rischiò di minare la sua serenità, poiché un tragico quanto inaspettato evento scosse la sua vita alle fondamenta: la signora Bucket morì. Come ogni mattina, la signora Bucket si stava recando al lavoro in autobus, quando l'autista aveva perso il controllo del mezzo a causa della strada ghiacciata. Pochi passeggeri erano sopravvissuti, e per la signora Bucket non c'era stato nulla da fare. L'atmosfera in casa Bucket era diventata grigia e triste, soprattutto perché mancavano poche settimane a Natale: il signor Bucket era diventato solitario e taciturno, al punto da passare fuori casa anche sedici ore al giorno pur di non essere costretto a tornare nella casa in cui aveva vissuto, anche se povero, estremamente felice. I quattro nonni avevano fatto di tutto pur di tenere alto il morale di Charlotte, che mai avrebbe pensato di potersi trovare ad affrontare una tragedia così grave. Poi il Natale passò, tornò la primavera, e con essa parve che le cose potessero riacquistare una parvenza di normalità, anche se qualcosa, nel suo cuore ancora bambino, era irrimediabilmente cambiato: quando passava davanti alla fabbrica Wonka, si limitava ad annusare il profumo che ne fuoriusciva senza più fermarsi ad immaginare quale straordinario mondo potesse nascondersi dietro il solido portone in quercia.

         Il giorno in cui smise di concedersi anche quella piccola grazia fu il giorno in cui anche il signor Bucket andò all'altro mondo. Le feste natalizie erano passate da poco, e senza alcun preavviso una brutta polmonite se lo era portato via. Charlotte non aveva ancora compiuto sedici anni, e per la seconda volta in pochissimo tempo si ritrovò ad accompagnare al cimitero una delle persone che più si erano sacrificate per lei. Superare quel secondo colpo fu in un certo senso meno faticoso, soprattutto perché era molto cresciuta dalla morte della madre, arrivando a capire che al mondo nessuno ti regala niente, e che se vuoi qualcosa devi alzarti e andare a prenderla. Fu proprio mentre rincasava dal funerale che si accorse, entrando in una casa un po' più vuota e un po' più fredda, che se avesse voluto avere un futuro degno di questo nome avrebbe dovuto rimboccarsi le maniche e darsi da fare in prima persona. Così, alla fine dell'anno scolastico annunciò ai nonni che avrebbe rinunciato ai propri studi e si sarebbe cercata un lavoro.

         Nonno Joe fu quello che reagì nel modo peggiore: sapeva quanto suo figlio e sua nuora avessero faticato per mettere da parte i soldi necessari all'istruzione di Charlotte, e sapeva quanto in cuor suo avesse sperato che la ragazza riuscisse a raggiungere un obiettivo molto più alto, un successo in cui nessuno di loro aveva mai sperato. Vederla gettar via l'occasione di diventare qualcuno lo feriva non poco, convinto com'era che una ragazza come Charlotte avrebbe potuto convincere le leggi dell'universo a mutare, se solo lo avesse voluto. Ma per quanto ferito e depresso dalla scelta della nipote, sapeva di non avere alcun potere per cambiare quell'infelice condizione: Charlotte aveva avuto la sfortuna di ereditare la cocciutaggine dei Bucket, e nulla avrebbe potuto dissuaderla dal mutare le proprie convinzioni. Così, a sedici anni appena, Charlotte dimostrò ancora una volta di essere molto più matura ed equilibrata dei coetanei, al punto di riuscire a prendere in mano le redini della propria esistenza.

 

 

***

 

 

Londra, oggi

 

         Ad una prima occhiata, Charlotte sembrava una ragazza come tante altre: aveva vent'anni, era bella come un sereno mattino di primavera, possedeva un carattere genuino ed un'indole piuttosto tranquilla, e chiunque avesse a che fare con lei anche per un minuto soltanto finiva irrimediabilmente con il volerle bene. Ma si sa, raramente la prima impressione racconta tutta la verità, e la verità era che Charlotte, nel profondo del cuore, era una ragazza che aveva smesso di sognare troppo presto, e che dietro ogni sorriso celava una profonda malinconia. Lo sapevano bene i nonni, che l'avevano vista sprecare gli ultimi quattro anni rincorrendo bollette e conti da pagare e un lavoro che, oltre a sfinire ogni fibra del suo essere, nemmeno la soddisfaceva – lei non l'avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura, ma i quattro vecchietti erano certi che nessun essere umano avrebbe potuto dirsi soddisfatto di passare le giornate lavando e stirando i panni sporchi dei clienti di un albergo di lusso. Per questo, quando lessero sul giornale quella che non avrebbero tardato a definire la Straordinaria Notizia, decisero di comune accordo di giocare ogni carta in loro possesso per far sì che la loro unica nipote potesse trarne ogni beneficio possibile.

 

 

*

 

 

         Sin dai tempi della scuola gli insegnanti avevano parlato di lui come di un bambino straordinariamente intelligente, dotato di un intuito comune a pochi altri, una sorta di dono che gli consentiva di vedere ben oltre l'orizzonte cui il resto del mondo si affidava. William Wilbur Wonka, conosciuto da tutti come Willy, sapeva che era stata proprio la sua straordinaria intelligenza, oltre ad una buona dose di spericolatezza e senso degli affari, a fare di lui uno dei più grandi cioccolatieri del mondo – in barba ai desideri del padre, che lo avrebbe preferito avvocato, come voleva la tradizione di famiglia. Tuttavia, quando la Grande Idea gli attraversò la mente, per un istante Willy si diede dello stupido, poiché erano mesi che cercava un modo per cavarsi fuori dallo spinoso problema che da qualche tempo aveva iniziato a minacciare la sua serenità.

         Willy Wonka era un uomo dall'aspetto piacevole, con un carattere piuttosto buono e un'indole sufficientemente amichevole, nonché un patrimonio personale che superava di gran lunga le necessità di un uomo nella sua posizione sociale. Da quando aveva compiuto il fatidico quarantesimo compleanno, però, una domanda aveva iniziato ad assillarlo: a chi avrebbe lasciato in eredità il proprio impero, quando fosse stato troppo vecchio per dirigerlo da sé? Figli non ne aveva, non si era mai sposato. Una volta ci era andato vicino, ma era molto più giovane, e si era tirato indietro appena in tempo, non appena aveva compreso che l'impegno derivante dalla costruzione di una famiglia lo avrebbe irrimediabilmente distolto dai propri doveri di imprenditore. Lavoro e famiglia erano due binari da tenere ben separati, questo lo aveva imparato a proprie spese quando sua madre era venuta a mancare, ormai quasi trent'anni prima: da quel momento Willy, osservando il modo in cui suo padre lo aveva affidato alle cure di una governante per continuare indisturbato la propria carriera giuridica, aveva capito che nessun uomo poteva eccellere nel proprio lavoro e allo stesso tempo occuparsi in maniera attenta della propria famiglia – si doveva sempre scegliere, alla fine, a meno di voler passare il resto della vita trascurando l'una e l'altra cosa. Lasciando la fidanzata, Willy aveva scelto di dedicarsi a ciò in cui era più bravo: donare la felicità al mondo un morso alla volta. E ci era riuscito – oh, se ci era riuscito: i dolci Wonka erano conosciuti in tutto il mondo emerso, osannati da personaggi famosi, uomini politici, re e regine, e addirittura gli erano valsi il titolo di baronetto. Tuttavia, ciò di cui andava più fiero era che i suoi dolci riuscivano a migliorare anche l'esistenza delle persone comuni, persino della gente meno fortunata, quella che ogni giorno si arrabattava per arrivare incolume alla sera – quello, quello era il suo più grande successo. Vedere i bambini scartocciare pacchi di Bon Bon Boh cercando di indovinare in quale gesto si sarebbero imbattuti, o due innamorati dividersi un gelato caldo in una fredda sera invernale... quelle erano le cose che riuscivano ancora a scaldare il suo gelido cuore di imprenditore, quelle poche volte che decideva di interrompere il proprio esilio per farsi un giro in quel mondo che tante volte lo aveva deluso.

         In fondo, diceva a se stesso in quelle poche occasioni in cui si ritrovava a sorridere, forse il mondo non è così crudele. Ma dopo un istante scuoteva la testa, ricordando lo scandaloso comportamento di Prodnose e Slugworth, che aveva sempre trattato lealmente, e dai quali invece era stato malamente imbrogliato. Tante volte si era ritrovato a ripensare alla repentina decisione di chiudere lo stabilimento ed emigrare all'estero in un tentativo di sbollire la rabbia, e ogni volta si chiedeva se fosse stato un comportamento corretto: in fondo, una volta eliminate le spie che avevano minato il suo successo, restava un gran numero di dipendenti onesti che aveva lasciato in mezzo ad una strada con la sola consolazione di una buona liquidazione. Sforzando un po' la memoria, ricordava ancora molti dei loro nomi, anche se non sempre riusciva ad abbinarli al volto giusto: in fondo, in mezzo a loro c'erano molti bravi ragazzi. Quando era tornato allo stabilimento, deciso a riaprirlo e a ributtarsi nella mischia, si era illuso di poter riassumere alcuni di loro, ma si era trovato di fronte ad una deludente realtà: quasi tutti i suoi ex dipendenti si erano trasferiti, seguendo nuove opportunità professionali, e Spinner's End era diventato un quartiere fantasma, rifugio di disperati e poveracci e sede di sporcizia e vecchi depositi. Nel vedere ciò che il vecchio quartiere era diventato, ogni proposito di farsi perdonare era svanito, così come ogni prospettiva di togliere i pesanti lucchetti che sigillavano i cancelli dello stabilimento. In fondo, non aveva motivo di riaprire le porte della fabbrica, se tutto ciò di cui aveva bisogno per farla funzionare già si trovava al suo interno. Durante il suo esilio lungo quattro anni, Willy Wonka aveva viaggiato in ogni angolo del mondo. Su una scoscesa ed inospitale montagna del Sudamerica si era imbattuto nella sua più grande fortuna: non soltanto aveva scoperto l'esistenza di un frutto tropicale dal gusto assolutamente unico, ma aveva anche incontrato la tribù dei Chocachaca, un popolo pacifico spinto verso le montagne dalle guerre e dall'odio verso le minoranze etniche. Ospitali e gentili, i Chocachaca avevano da subito stretto amicizia con il grande uomo bianco, come lo avevano soprannominato sin dal primo momento, e avevano dimostrato un tale amore per il buon cibo che Willy aveva trovato assolutamente naturale invitarli a seguirlo a Londra per aiutarlo a rimettere in piedi la propria fabbrica. Erano in tutto un centinaio di persone tra uomini, donne e bambini, e contrariamente a quanto si potrebbe pensare non era stato difficile convincere il loro capo, Reginaldo, a sottoporre la questione al gran consiglio dei saggi, che si erano detti d'accordo. Farli espatriare era stato ancora più facile: a Willy era bastato presentarsi alle autorità locali portando in dono un campionario delle proprie creazioni, e una volta promesso di inviare periodicamente una fornitura di leccornie l'accordo era stato raggiunto in fretta. Una volta al sicuro in Inghilterra, anche i Chocachaca più scettici si erano convinti di aver compiuto la scelta più giusta: Willy aveva assicurato loro contratti regolari, aveva mandato i bambini a scuola e trovato per ognuno l'occupazione giusta, facendo sentire ciascuno utile, speciale ed amato come mai prima di allora era successo nella storia di quel popolo.

         Stava per l'appunto osservando alcuni di loro mentre erano al lavoro nella Stanza della Cioccolata, quando qualcuno bussò alla porta del suo ufficio. Si trattava di Reginaldo, il capotribù, che senza indugio Willy aveva nominato da subito come proprio vice. «I giornali del mattino, signore» esordì, appoggiando un fascio di quotidiani sulla lucida scrivania in mogano. «Anche il quarto Biglietto Dorato è stato trovato.»

         «Sul serio?» esclamò Willy, voltandosi rapido per avventarsi sul primo giornale. «Dove? Quando? Da chi?» domandò in rapida successione, sprofondando nella poltrona.

         «La ragazza si chiama Veronica Salt, è di Los Angeles. Il ritrovamento è avvenuto ieri pomeriggio verso le quattro, ora locale.» Terminato il proprio riassunto Reginaldo rimase in silenzio, permettendo al principale di leggere da sé il resto della notizia. Quando lo vide abbandonare il giornale con aria sconsolata, si conferì da solo il permesso di continuare. «Brutte notizie, signore?»

         «Come i suoi tre predecessori, questa ragazza è una sciocca, inutile, meschina... meglio che mi interrompa qui, amico mio. Resto sempre un gentiluomo.»

         «Dalla fotografia non pare una persona tanto orrenda» rispose l'altro, riprendendo il quotidiano per dare un'occhiata alla ragazza bionda che sorrideva dal centro della prima pagina.

         «Certo che non lo sembra» sbottò Willy. «Bionda, occhi celesti, un viso angelico, ma il suo cuore è marcio quanto quello degli altri tre. Ha costretto il padre ad assumere una squadra di persone che scartassero tavolette Wonka dalle otto del mattino alle otto di sera, sette giorni su sette, per un mese intero. Tutto perché è una ricca ragazza viziata abituata ad ottenere sempre tutto ciò che desidera. Col cavolo che sarà una persona simile a dirigere questa fabbrica!»

         «State perdendo il vostro consueto aplomb, signore» lo prese in giro Reginaldo. «Non per inquietarvi di più, ma io vi avevo avvertito che la vostra straordinaria idea vi si sarebbe potuta ritorcere contro. Considerando l'alta percentuale di gente indegna che popola questo mondo, era abbastanza prevedibile che almeno uno dei biglietti avrebbe potuto essere trovato da...»

         «Che almeno uno fosse trovato da una persona indegna lo avevo messo in contro, ma quattro è davvero troppo! Del quinto non si sa ancora niente?»

         «Nessuna notizia. A questo punto, non ci resta che sperare nella fortuna.»

         «Quale rosea prospettiva...» sospirò Willy, coprendosi gli occhi con una mano. «Tutto ciò che chiedo è una persona di buon cuore. Una persona onesta, gentile, che sia ancora in grado di anteporre il bene degli altri al proprio» aggiunse, alzandosi. «So cosa stai pensando, amico mio. Pensi che sia soltanto un sognatore, un poveretto che vive nell'illusione di un mondo svanito ormai da tempo. O forse un matto che sopravvive nel ricordo di un mondo che forse non è mai esistito» aggiunse, infilandosi la giacca. «Ma soltanto un uomo che non abbia mai nutrito un sogno potrebbe pensare di lasciare tutto questo nelle fragili mani di una persona che non abbia mai conosciuto il piacere di cullarsi in un desiderio» disse ancora, avvicinandosi di nuovo alla vetrata dalla quale riusciva a dominare il centro nevralgico dello stabilimento. «No, dobbiamo continuare a sperare» aggiunse a voce più alta, sistemandosi i polsini. «Per quanto la situazione possa apparire disperata oggi, dobbiamo continuare a credere che l'impensabile possa accadere domani.»

         «So che probabilmente mi pentirò di quanto sto per dire, ma... perché non cercate il vostro erede in un modo più... come dire, tradizionale?»

         «Che intendi dire?»

         «Beh, siete ancora piuttosto giovane, e nessuno conosce i vostri principi meglio di voi stesso. Non sarebbe troppo tardi per... accasarvi.»

         «Intendi... stai forse dicendo che dovrei sposarmi?» replicò Willy, strabuzzando gli occhi per la sorpresa. «Non immaginavo avessi tanto senso dell'umorismo, Reginaldo. Sposarmi, che idea...» ripeté, ridacchiando tra sé e sé.

         «Sposarsi è una cosa che le persone fanno da secoli, signore, e da uomo sposato sinceramente non riesco a capire che cosa vi diverta tanto. Per come la vedo io, mi sembra l'unica alternativa sensata. Avreste la possibilità di avere dei figli da crescere secondo le vostre idee e i vostri principi, e quale erede migliore del vostro stesso sangue? Senza contare che avreste anche la certezza di non trascorrere il resto della vita da solo.»

         «E sentiamo, come pensi che potrei trovare una moglie?»

         «Uscendo da questa fabbrica, per esempio. Ora che ci penso, è parecchio tempo che non fate vita di società. Se provaste a farvi vedere in giro, di tanto in tanto, forse scoprireste che il mondo non è fatto di praline e gomme da masticare.»

         «Non dico che il ragionamento sia del tutto sbagliato, ma cerchiamo di vedere la cosa in maniera razionale: in quale tipo di donna pensi che potrei imbattermi, là fuori? Gli uomini come me raramente trovano l'amore. Il meglio cui possono puntare è una donna avida e senza scrupoli il cui unico scopo è quello di sistemarsi per la vita. E non guardarmi così, è un fatto scientificamente provato.» Reginaldo alzò gli occhi al cielo, senza rispondere. Uno degli svantaggi di lavorare per un uomo dalla personalità dirompente quanto quella del signor Wonka era che raramente si riusciva ad avere la meglio durante un dibattito. «Non accetterò mai di dividere la mia vita con una persona incapace di amarmi per l'uomo che sono. Senza contare il figlio che potrebbe mai venir fuori da una simile unione. No, mi rifiuto di condannarmi ad un tale supplizio. I Biglietti Dorati mi sembrano una soluzione ragionevole. E se disgraziatamente anche l'ultimo dovesse essere trovato da un completo idiota, penseremo a qualcos’altro.» Considerando chiusa la questione, Willy lasciò l'ufficio per il consueto giro di controllo dello stabilimento, malvolentieri seguito da Reginaldo, sempre più convinto che la trovata dei Biglietti Dorati non avrebbe portato altro che guai.

 

 

*

 

 

         «Forza, Charlotte, aprila!» insistette nonna Josephine battendo le mani con allegria, uno stato d'animo che aveva abbandonato tutti loro da molto tempo, ma che ogni rara volta che si presentava ringiovaniva il volto della donna di almeno vent'anni.

         «Avanti, nell'attesa potrei morire!» calcò la mano nonna Georgiana, da sempre la pessimista della famiglia.

         «Andrà a male, se non ti sbrighi» la avvertì nonno George, come sempre il più pragmatico del gruppo.

         «E non guardarmi così, signorina. Non è stata affatto una mia idea.»

         «E ti aspetti che ti creda, nonno Joe?» replicò Charlotte, agitando la tavoletta di cioccolato come un'arma in direzione del vecchietto. «Sei tu il solo ad avere una mente criminale, in questa casa.»

         «Mente criminale o meno, quella tavoletta è tua, e devi aprirla. Non leggi i giornali, tesoro? È rimasto un solo Biglietto Dorato in tutto il mondo! Non sarebbe meraviglioso se a trovarlo fossi proprio tu?»

         «Tu sogni, nonno Joe. Hai una vaga idea di quante persone ci siano al mondo, e di quante probabilità ciascuna di esse abbia realmente?»

         «Oh, smettila con la matematica! Sono tuo nonno, e ti ordino di scartare quella tavoletta di cioccolato!» insisté lui, balzando in piedi con una straordinaria agilità.

         Alzando gli occhi al cielo, Charlotte si preparò ad obbedire, sapendo che non avrebbe avuto pace finché non avesse lacerato quella carta. Successe una cosa strana, mentre stringeva tra le dita i lembi della confezione e si preparava a separarli: nel suo cuore fiorì una strana sensazione, quasi una speranza. Erano anni, ormai, che aveva rinunciato ad ogni sogno, convinta com'era che ognuno dovesse concentrarsi unicamente sul presente e impegnarsi per sopravvivere, ma le parole di nonno Joe avevano smosso qualcosa nel suo giovane cuore reso freddo e realista dalle avversità della vita. Per un istante, Charlotte sperò che quel lucido incarto rosso nascondesse uno dei famigerati Biglietti Dorati, che nel corso degli ultimi due mesi sembravano aver scatenato un vero e proprio caso mondiale. Chiuse gli occhi, scacciando il pensiero, e senza pensarci troppo su tirò forte, strappando la carta. Quella che le cadde in grembo era una normalissima tavoletta di cioccolata – anche se era cioccolato Wonka, quindi proprio normale non poteva dirsi. «Nessuna sorpresa, direi» sorrise, guardando l'incarto vuoto. «Non ci aspettavamo davvero uno di quei biglietti, giusto?» scherzò, ma l'espressione sconfitta dipinta sul volto dei nonni mostrava ben altra realtà: i quattro anziani ci avevano davvero creduto, avevano davvero sperato che il loro sguardo incontrasse il luccichio di uno di quei fantomatici tagliandi. «Guardiamo in faccia la realtà» riprese, alzandosi lentamente. «Ci sono qualcosa come sette miliardi di persone al mondo, e soltanto cinque Biglietti Dorati. Volendo mettere la cosa su un piano razionale, le possibilità che io ne trovi uno, che chiunque in questa stanza ne trovi uno, sono davvero minime. Soprattutto considerando che...»

         «...che siamo poveri e non possiamo permetterci di comprare tonnellate di tavolette Wonka?» completò nonno Joe, il solo ad avere il coraggio di dar voce a ciò che tutti stavano pensando.

         «Bisogna ammettere che in certi casi disporre di molto denaro aiuta. Ma poi, chi lo vuole quel biglietto? Scommetto che dà un saporaccio al cioccolato. E poi non si vince nemmeno un premio utile» aggiunse, scrollando le spalle.

         «Una visita alla fabbrica di Willy Wonka ti pare una cosa inutile?» protestò nonno Joe, alzando la voce come poche volte gli era capitato di fare. «Ragazza mia, vedere l'interno di quella fabbrica potrebbe essere l'esperienza più esaltante della tua vita! Una visita alla fabbrica di cioccolato più straordinaria del mondo e una fornitura di dolciumi per tutta la vita non ti sembrano un premio abbastanza buono?»

         «Non quanto lo sembrano a te, nonno» replicò lei, senza perdere la calma. «Visitare la fabbrica vorrebbe dire perdere una giornata di lavoro. Senza contare poi che con tutti quei dolci finiremmo con il rovinarci i denti. Credo di parlare a nome di tutti quando dico che non abbiamo fondi per permetterci cure dentistiche adeguate.» Nonno Joe abbassò lo sguardo, sconfitto: tutto ciò che aveva sempre desiderato era dare un futuro migliore alla nipote, e ora per la prima volta si rendeva conto di avere fallito. «Senti, nonno» riprese lei, inginocchiandosi di fronte all'uomo, «ammetto che un po' dispiace anche a me. So che sarebbe meraviglioso poter visitare la fabbrica e conoscere di persona il signor Wonka, ma... non dobbiamo permettere a questo sogno di soppiantare tutto il resto. So che non vorresti mai e poi mai sentirmelo dire, ma... non possiamo permetterci di sognare.»

 

 

*

 

 

         Quella sera, rinchiuso nel buio della propria stanza, Willy non poté impedirsi di tornare con la mente alla conversazione intrattenuta quel mattino con Reginaldo. Certo, considerando che i primi quattro Biglietti Dorati erano finiti nelle mani di quattro potenziali idioti non c'era da aspettarsi che il quinto subisse una miglior sorte – tuttavia, gli piaceva sperare che la fortuna decidesse di assisterlo ancora una volta. In fondo, non gli sembrava di domandare qualcosa di impossibile: tutto ciò che chiedeva era che l'ultimo Biglietto Dorato finisse tra le mani di una persona capace di sognare, una persona che non avesse timore di coprirsi gli occhi e fare un passo nell'ignoto – una copia di ciò che era stato lui all'inizio di quella grande avventura, insomma. Ma forse lui era l'ultimo sognatore al mondo, l'ultimo grande romantico disposto a sacrificare la vita per dar vita ad un'illusione.

         Guardò la fotografia incorniciata che teneva sul comodino, ed il sorriso sincero della madre gli rispose da un passato lontano ma difficile da dimenticare. Era sempre stata lei a spingerlo verso i suoi sogni, a ripetergli che sarebbe potuto diventare chiunque avesse voluto, che avrebbe potuto avere tutto ciò che avesse desiderato; era stato soltanto per amor suo se non si era mai arreso, se aveva continuato a lottare anche quando ogni speranza sembrava perduta, anche quando si era trovato con le spalle al muro, perso, privo di motivi per proseguire nel proprio cammino. Lei era stata con lui in ogni momento buio e in ogni giorno di luce, sempre pronta a rassicurarlo e spingerlo in avanti, fino a consegnargli il suo più grande sogno. Ora più che mai avrebbe voluto riaverla indietro, sentire ancora la sua voce e la sua mano dolcemente poggiata sulla testa, impegnata a ravviargli i capelli e dargli il coraggio di non perdere mai la speranza. Willy Wonka aveva quarant'anni e quella sera, solo nel buio della propria stanza, si sentiva più solo e piccolo che mai.

 

 

*

 

 

         Erano passate due settimane dal tentativo dei nonni di farle trovare l'ultimo Biglietto Dorato, e da quel momento Charlotte non aveva più pensato all'accaduto – o almeno, aveva cercato di pensarci il meno possibile. Non era stato molto difficile, considerando quanto la impegnassero il lavoro e le faccende quotidiane, soprattutto quando il raffreddore di nonna Georgiana si era ripresentato, scatenando di nuovo nella vecchina il terrore di lasciare la vita terrena. Di rado aveva pensato alla prospettiva di visitare la fabbrica Wonka – salvo ogni notte prima di addormentarsi, ogni mattina quando passava davanti ai cancelli per andare al lavoro, e di conseguenza ogni sera, quando ripercorreva la medesima strada per ritornare a casa.

         L'ultima mattina di settembre, partita qualche minuto prima del necessario, si prese un momento per fermarsi davanti all'alto muro di cinta che circondava lo stabilimento. Chiudendo gli occhi ed inspirando forte, poteva quasi sentire i vari aromi raggiungerle la gola, saziandola quanto un quadretto dello splendido cioccolato tanto osannato dal resto del mondo. Per la prima volta dopo molto tempo tornò a domandarsi quale volto avessero gli operai che lavoravano oltre quelle mura, e soprattutto come riuscissero a raggiungere la fabbrica sfuggendo agli occhi del mondo esterno. Poi, inaspettatamente, si domandò quale volto avesse il signor Wonka: la sola immagine che conoscesse di lui corrispondeva ad una fotografia vecchia di vent'anni nella quale appariva come un giovane dagli occhi vispi, elegante e distinto come un gentiluomo d'altri tempi. Ma Charlotte non si illudeva che il tempo non avesse cambiato anche lui, in qualche modo: in fondo ormai doveva essere sulla quarantina, e sicuramente nessun uomo di quell'età poteva corrispondere perfettamente ad un ricordo di vent'anni prima. Di certo doveva essere stato un giovane ben fuori dall'ordinario, per essere riuscito a creare dal nulla un impero tanto solido. «Ma di certo deve essere matto come un cavallo» sussurrò tra sé e sé, riprendendo a camminare. «Soltanto un matto licenzia tutti i dipendenti perché qualcuno è stato pagato per fare la spia.»

         Un uomo la superò di corsa, e nell'atto di tirar fuori la mano dalla tasca fece cadere a terra una moneta. Charlotte la raccolse, e accorgendosi che si trattava di una sterlina nuova di zecca lo richiamò. «Signore, ha perso questa!»

         Voltatosi al richiamo, l'uomo scrollò le spalle. «Tienila pure!» esclamò, continuando ad allontanarsi.

         Charlotte guardò a lungo la moneta, chiedendosi come sarebbe stato essere una di quelle persone che potevano permettersi di perdere una sterlina intera senza subire un grave danno. Dopo un istante mise la moneta al sicuro nella tasca del cappotto liso e riprese la marcia. La tenne in tasca per tutto il giorno, e aveva quasi dimenticato di averla con sé quando, tornando a casa dopo la fine del turno, transitò davanti al negozio di dolciumi più fornito di tutto il quartiere, la Bottega dei Dolci del signor Sweets. Nel medesimo istante in cui il suo sguardo stanco incrociò la vetrina del negozio, la moneta parve quasi bruciarle nella tasca, come animata da un incantesimo, ricordandole la sua presenza. Charlotte la prese e la fissò a lungo, combattuta tra il pensiero di correre a casa e metterla al sicuro e l'istinto di entrare per comprare qualcosa. Alla fine prevalse l'istinto, e ancor prima di rendersene conto stava già spingendo il battente della porta. «Stiamo per chiu... oh, ma che piacere vederti!» la salutò l'anziano proprietario, un uomo rubicondo che ricordava sotto molti aspetti Babbo Natale. «Io ti conosco, signorina. Tu sei Charlotte Bucket, la figlia di Andrew. Era tuo padre che si occupava di consegnarmi la merce, quando ancora lavorava alla fabbrica Wonka. Ma tu non ti ricorderai di me, eh? Eh, ne è passato di tempo... allora, dimmi, in che cosa posso aiutarti?»

         «Una tavoletta di Cioccocremolato Delizia Wonka al Triplosupergusto, prego» rispose lei, facendo scivolare la moneta sul ripiano lucido, ricordando quanto le fosse piaciuta quella che i nonni le avevano regalato nella speranza di renderla la vincitrice dell'ultimo Biglietto Dorato.

         «Ecco a te, cara» rispose l'uomo, porgendole il cioccolato e avvicinandosi alla cassa per prendere il resto.

         «Grazie» rispose in fretta lei, animata dall'irrefrenabile impulso di scartare immediatamente il dolce per ficcarsene in bocca un grosso pezzo.

         «Vacci piano, tesoro, finirai per strozzarti» scherzò lui, lasciando il resto sul bancone. «Ne avevi proprio bisogno, dico bene?» aggiunse, fissandola al di sopra degli occhiali dalla forma squadrata. «Era da parecchio tempo che non ti vedevo in giro. So che non ve la passate molto bene, da quando...» Lasciò morire la frase, certo che ricordarle i dolori passati non sarebbe stata una buona idea. «Se aveste mai bisogno di qualcosa, non hai che da venire qui e chiedere. Conoscevo bene i tuoi genitori, mi dispiacerebbe sapere che siete nei guai.»

         «La ringrazio molto, signor Sweets» rispose lei, abbassando lo sguardo. «Ma non ce ne sarà bisogno, le cose non vanno poi tanto male.»

         «Ma certo che no» replicò lui, senza credere ad una sola parola. Esattamente come suo nonno Joe, Charlotte era una pessima bugiarda. «Porta i miei saluti ai tuoi nonni, e passa una buona serata.»

         «Grazie molte, una buona serata anche a lei.» Charlotte fece per prendere il resto, ma la vista delle monete le fece balenare in testa un'altra folle idea. «Signore, crede che potrei averne un'altra? Per i miei nonni» precisò, sentendosi in colpa al pensiero di risultare tanto ingorda.

«Ma certo che puoi. Quel Wonka, che tipo» aggiunse, porgendole una tavoletta identica alla prima. «Per due mesi la gente non ha fatto altro che comprare i suoi prodotti, con quella storia dei cinque Biglietti Dorati. Una bella trovata pubblicitaria, ecco cos'è secondo me. Anche se, detto tra noi, non avrebbe proprio bisogno. Da quando ha aperto la sua fabbrica, gli altri pasticcieri non hanno avuto più speranze. Prodnose, Slugworth, tutti quelli che avevano più successo... da quando è arrivato lui, nessuno ha più mangiato altro se non i prodotti Wonka. Un mago, ecco cos'è.»

         «Bravo lo è di certo. Non ricordo di aver mai assaggiato una cioccolata migliore.»

         Il signor Sweets sorrise, pensando che tra tutti i bambini di Londra Charlotte Bucket era sicuramente stata l'unica a non avere mai nemmeno una carie ai denti. «Chissà che ne è stato di quell'ultimo Biglietto Dorato. Pare che nessuno finora l'abbia trovato, e non è che resti molto tempo. Il primo ottobre è domani» aggiunse, indicando il calendario appeso alle proprie spalle.

         «Ci vorrebbe una bella fortuna, certo» replicò Charlotte, infilandosi la seconda tavoletta di cioccolato in tasca. «Ora devo andare, i nonni si staranno preoccupando per me. Buonasera, signor Sweets. E buona fortuna per gli affari!»

         «Buonasera a te, Charlotte! E buona fortuna per la vita» aggiunse in un sussurro, non appena la porta si fu richiusa dietro di lei.

         Charlotte finì la tavoletta in pochi bocconi, piangendo lacrime di gioia e di rabbia nel sentire la cioccolata scenderle in gola e finirle nello stomaco. Si pentiva amaramente della propria debolezza, ben sapendo quanto fosse importante per la famiglia ogni singolo penny risparmiato; ma sapeva anche che ormai ciò che era fatto era fatto, e non poteva certo tornare indietro nel tempo per impedirsi di entrare nel negozio. Continuò a camminare con le mani infilate nelle tasche e la testa bassa per ripararsi dal vento, finché non si trovò di nuovo a costeggiare i cancelli della fabbrica. Alzò gli occhi verso la costruzione, rallentando il passo fino a fermarsi. Sentì nuove lacrime farsi strada dietro le ciglia ancora umide, perché per un momento ci aveva di nuovo creduto, aveva di nuovo sperato che dietro la carta lucida si nascondesse l'oro del quinto biglietto. Ma ancora una volta la realtà aveva azzoppato le sue speranze, precipitandola di nuovo nel baratro che attende tutti coloro che si ostinano a vivere nel mondo dei sogni.

         Stava per riprendere a camminare, quando percepì la forma della seconda tavoletta nella tasca sinistra del cappotto, così grande ed ingombrante che sembrava non domandare altro che essere spostata di lì. Ancor prima di rendersene conto la stava tenendo tra le mani, e con la punta delle dita stava tormentando una delle estremità dell'incarto. Chiuse gli occhi mentre strappava l'involucro, e ciò che vide quando li riaprì le fece mancare il fiato: lì davanti a lei, comodamente adagiato sul retro di una gustosa tavoletta di cioccolato, l'ultimo dei Biglietti Dorati restituiva il suo sguardo.

 

 

*

 

 

         Seduto nella propria stanza, Willy Wonka teneva lo sguardo fisso sul grande orologio a pendolo acquistato durante un viaggio in Baviera. Quando le due lancette si unirono sulla cifra più alta, scosse la testa, avvicinandosi alla finestra. Era appena scoccata la mezzanotte del primo ottobre, e nessuno aveva trovato il quinto Biglietto Dorato. Ciò significava che il mattino seguente gli sarebbe toccato accompagnare in giro per la propria fabbrica quattro stolti che nemmeno in un milione di anni sarebbero riusciti a comprendere la bellezza di ciò che avrebbero visto. Quasi quasi, il consiglio di Reginaldo di cercarsi una moglie gli sembrava una proposta accettabile.

         Ma un attimo prima di voltarsi e mettersi a letto, qualcosa catturò la sua attenzione: gli era sembrato di vedere uno strano luccichio giù in strada, un bagliore dorato che gli fece tremare il cuore. Era quasi sicuro che quello sprazzo di luce provenisse dall'ultimo, introvabile Biglietto Dorato. Non poteva esserne del tutto certo, ma qualcosa gli diceva che in quella strada deserta, poco oltre il confine della sua fabbrica, ci fosse l'ultimo dei fortunati vincitori. Provò a strizzare gli occhi per vederci più chiaro, ma l'eccessiva distanza e il buio della notte non aiutavano, non permettendogli nemmeno di capire se si trattasse di un uomo o di una donna. Tutto ciò che riuscì a percepire fu che la misteriosa figura si allontanò rapida lungo la via, diretta verso il quartiere più povero della città, quello che ormai era formato principalmente da magazzini e rimesse, più che da vere abitazioni. Si chiese chi mai potesse ancora abitare in quella periferia così degradata, e subito si rispose che di certo non si trattava di qualcuno abituato a soddisfare ogni minuscolo capriccio.

         Quella sera Willy Wonka si mise a letto con il cuore gonfio di speranza, felice come non si sentiva più da tanto tempo: forse non tutto era perduto. Forse al mondo esisteva ancora quell'unica persona buona che tanto aveva sperato di trovare. Quel che era certo era che mancavano appena dieci ore al momento in cui le avrebbe stretto la mano.

 

 

*

 

 

         «Charlotte, finalmente!» esclamò nonna Josephine, portandosi una mano al cuore.

         «Iniziavamo a pensare che avessi avuto un incidente» borbottò nonna Georgiana.

         «Dovresti smetterla di rincasare così tardi» la ammonì nonno George.

         «Ti abbiamo lasciato la cena in caldo» sorrise nonno Joe, abbassando il giornale. «Devi avere una gran fame, dopo aver lavorato così tanto.»

         «Lascia perdere la cena, nonno Joe!» replicò svelta la ragazza, con il fiato corto e le guance rosse per aver percorso l'ultimo chilometro quasi di corsa. «L'ho trovato! Ho trovato l'ultimo Biglietto Dorato!»

         «Ma non farci ridere» la rimbrottò nonna Georgiana. «Eravamo con te quando hai scartato quella tavoletta, l'abbiamo visto tutti che non c'era niente.»

         «Ti sembra uno scherzo da fare a quattro poveri vecchi come noi?» scosse la testa nonno George.

         «Non è affatto uno scherzo, ve lo assicuro!» replicò lei. Per tutto il tempo aveva tenuto la tavoletta stretta al petto, sporcando il cappotto di cioccolato. «Guardate, è qui!» aggiunse, mostrando il bottino a quattro paia d'occhi increduli. «Questa mattina ho trovato una moneta andando al lavoro, e mentre tornavo a casa sono passata davanti al negozio del signor Sweets, e... non lo so, mi è venuta la folle idea di entrare. Nella prima tavoletta non c'era niente, poi ne ho comprata una seconda, sono uscita, e mentre passavo davanti alla fabbrica ho avuto l'idea di aprirla, e lui era lì! L'ho trovato, capite? Con tutte le persone che avrebbero potuto trovarlo, io...»

         «Forse lo volevi più di chiunque altro, tesoro» le sorrise nonno Joe, alzandosi per abbracciarla. «Sono così felice per te, mia cara. Lo meriti davvero. Lo meriti più di chiunque altro.»

         «Forse dovrebbe andarci uno di voi» disse all'improvviso la ragazza, guardando a turno i nonni. «Io non posso assentarmi dal lavoro senza preavviso, sicuramente avrò dei...»

         «Non è un'opportunità che ti capiterà di nuovo, tesoro» la interruppe nonna Josephine.

         «Non crollerà certo l'albergo, se manchi per un giorno» aggiunse nonno George.

         «E che diavolo, non ti sei presa un solo giorno di vacanza in quattro anni!» concluse nonna Georgiana.

         «Nessuna protesta, Charlotte» sussurrò nonno Joe, accarezzandole il viso con una mano rugosa. «Il biglietto è tuo, dunque tuo è il premio. E poi che se ne farebbe Willy Wonka di un vecchio roseto spelacchiato, quando può avere un fresco bocciolo?» Sul punto di scoppiare nuovamente in lacrime, Charlotte lo strinse in un forte abbraccio, tra i bisbigli eccitati degli altri nonni. «Su, ora lasciami andare e corri a dormire. Devi riposare, domani sarà un giorno importante. Sveglia alle otto precise, una buona colazione, doccia, vestiti puliti, e per le dieci sarai davanti a quei cancelli!»

 

 

1 Non è troppo presto per sognare | Il titolo del capitolo è ispirato a un verso della canzone Mary Queen of Arkansas di Bruce Springsteen, contenuta nell’album The Wild, The Innocent & The E Street Shuffle (1973).

2 Spinners’s End | Omaggio alla saga di Harry Potter: nei libri, Spinner’s End è il villaggio natale di Severus Piton.

   
 
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