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Autore: pampa98    20/10/2022    1 recensioni
[Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it e alla Challenge "To Be Writing 2022" indetta da Bellaluna sul forum Ferisce più la penna]
Billy/Steve.
What-if? in cui Billy si è scusato con Steve e i ragazzi e, nella terza stagione, li ha aiutati contro il Sottosopra.
«Allora, pretty boy» disse, guardandosi intorno, «la tua macchina non era dal meccanico?»
«Infatti.»
Billy lo squadrò attentamente. «Sei venuto a piedi?»
«Be’, non avevo altri mezzi!»
Scoppiò di nuovo a ridere. La nicotina aveva portato le sue labbra ad aprirsi in un sorriso, trasportandolo in luoghi della sua mente in cui era felice, ma Steve gli stava restituendo la gioia che aveva provato prima che suo padre lo facesse sprofondare nel suo solito tormento.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Billy Hargrove, Steve Harrington
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Prompt: "Chiamata"



Come una fiaba



 

Aspettò di udire il rombo della macchina che si allontanava lungo la strada, prima di uscire in soggiorno per prendere del ghiaccio. Suo padre lo avrebbe considerato una femminuccia, a lamentarsi per un misero buffetto sulla guancia – buffetto che era stato dato con la forza di un pugno, lacerando la pelle fino a farla sanguinare. 

Avvolse alcuni cubetti di ghiaccio in un panno pulito e se lo posò sullo zigomo che aveva già iniziato a gonfiarsi. Si sedette sul divano e rimase immobile, con la testa buttata indietro sullo schienale. 

Era solo un’altra serata rovinata, niente di tanto grave. 

Rimase seduto finché il ghiaccio non si sciolse, impregnando il panno che iniziò a gocciolare sulla sua spalla. Solo a quel punto, Billy si alzò. 

Lanciò il panno nell’armadietto sotto il lavello, dove Susan teneva i prodotti per l’igiene della casa. In quel momento, il telefono squillò. 

Billy si appoggiò al pianale della cucina, stringendo i pugni. Sapeva chi c’era all’altro capo della linea, il loro appuntamento era passato da… non sapeva esattamente quanto, non aveva controllato l’orologio, ma di certo era passato abbastanza tempo perché Steve iniziasse a preoccuparsi.

Sospirò e andò a rispondere.

«Chi è?»

«Billy, sono io» rispose subito la voce di Steve. 

«Che vuoi?» sbottò, come se non lo sapesse.

«È raro che tu sia in ritardo… di quaranta minuti, addirittura. Va tutto bene?»

«Sì» mentì lui. «Avevo dimenticato che la principessina aveva bisogno di un passaggio per portare il suo culetto fuori casa il sabato sera.»

«Be’, ne ho bisogno se qualcuno mi invita a uscire con la promessa di passare a prendermi per le otto» rispose Steve. Si stava innervosendo, lo sentiva chiaramente dalla sua voce. Non poteva biasimarlo; e lui non intendeva tirarsi indietro.

«Scusa tanto se mi sono dimenticato di te, pretty boy, ma sai com’è, ho cose più importanti da fare nella mia vita.»

«Tipo stare a casa il sabato sera?»

Se l’era giocata bene, doveva riconoscerlo. Sospirò, passandosi una mano dietro la nuca. Se fosse stata una serata qualsiasi, lui e Steve sarebbero stati sdraiati sul cofano della Camaro, a bere birra e parlare dei progetti per l’estate. 

«Billy, dimmi che succede. Per favore.»

«Fottiti, Harrington!»

Riagganciò il telefono, ma nella foga la cornetta non si incastrò a dovere e cadde penzoloni, saltellando nell’aria a ritmo con la molla. Billy maledì anche quell’oggetto e tornò in camera sua, sbattendosi la porta alle spalle. 

Sperò di non aver svegliato Max. L’ultima cosa che voleva in quel momento era avere a che fare con l’indiretta responsabile di quella situazione. Si buttò sul letto e tese le orecchie, ma non sentì nessun movimento: Susan doveva averla imbottita con una quantità di antibiotici capace di stendere un elefante. Billy rimase sdraiato per qualche secondo, poi si alzò e accese la radio, sparando la musica al massimo. Si accese una sigaretta e iniziò a ballare, fingendo di essere a un festa circondato da suoi coetanei e con Steve che ballava accanto a lui. Solo che non c’era nessuno e Steve probabilmente si stava chiedendo perché si ostinasse a stare con lui. Anche Billy se lo chiedeva, più o meno ogni giorno.
 

— — —
 
 

Controllò l’orologio dopo aver terminato il primo pacchetto di sigarette: le nove e quarantacinque. Suo padre non sarebbe rientrato prima della mezzanotte. Billy rise e aprì un nuovo pacchetto. Se fosse stato bravo, probabilmente sarebbe riuscito a iniziare anche il terzo prima che l’uomo tornasse. 

Si accese la sigaretta e inspirò, lasciando che la nicotina continuasse a calmargli i nervi. A metà filtro circa, però, Billy si rese conto che la sua camera puzzava troppo di fumo. Si chiese cosa sarebbe successo se suo padre lo avesse scoperto. Forse sarebbe stata la volta buona che lo avrebbe cacciato di casa – improbabile, dovendo apparire il padre perfetto di una famiglia perfetta – oppure lo avrebbe colpito una volta di troppo, liberandosi accidentalmente del peso che aveva messo al mondo. 

Spense la sigaretta nel portacenere e andò ad aprire la finestra. 

«Alla buon’ora!» esclamò Steve. Billy sbatté le palpebre. Il ragazzo era davanti alla sua finestra, il volto rosso e i capelli appiccicati alla fronte dal sudore – quelle poche ciocche che gli toccavano la pelle e non assumevano la forma perfetta che contraddistingueva la sua acconciatura. «Stavo per spaccare la finestra, cazzo. Ma che stavi facendo?»

Billy notò solo in quel momento il sasso che Steve stringeva nella mano destra.

«Perché volevi spaccare la finestra?» chiese, troppo intontito dal fumo e la sorpresa per cacciarlo via come avrebbe dovuto.

«Perché non rispondevi al citofono né ai miei richiami. Sia tu che Max avete completamente ignorato il mio bussare sui vetri, e la tua stanza era piena di fumo, io… Che cazzo ne so, potevate essere svenuti a causa di una fuga di gas per quanto ne sapevo!»

Billy scoppiò a ridere. Steve sapeva essere così catastrofico certe volte. Probabilmente aveva passato troppo tempo a contatto col Sottosopra.

«Guarda che il sasso te lo lancio in testa, stronzo.»

«Puoi provarci» lo sfidò Billy, consapevole che il ragazzo non gli avrebbe mai fatto del male. 

Si arrampicò sul davanzale e saltò fuori dalla sua stanza, davanti a Steve, che lasciò cadere il sasso a terra.

«Allora, pretty boy» disse, guardandosi intorno, «la tua macchina non era dal meccanico?»

«Infatti.»

Billy lo squadrò attentamente. «Sei venuto a piedi?»

«Be’, non avevo altri mezzi!»

Scoppiò di nuovo a ridere. La nicotina aveva portato le sue labbra ad aprirsi in un sorriso, trasportandolo in luoghi della sua mente in cui era felice, ma Steve gli stava restituendo la gioia che aveva provato prima che suo padre lo facesse sprofondare nel suo solito tormento. 

«Smettila di ridere» si lamentò Steve. «Guarda che ti pesto sul serio!»

«Va bene, va bene» rispose, cercando di calmarsi. Lo afferrò per il maglione e se lo tirò addosso, assaporando le sue labbra morbide. «Non c’era bisogno che venissi di persona, pretty boy. Potevi limitarti a chiamare.»

«Ho fatto pure quello, più volte» rispose Steve. «Ma considerato il consiglio che mi avevi dato la prima volta, pensavo non volessi parlarmi.»

Billy fece un passo indietro, allontanandosi da lui. Era vero, non voleva parlargli: perché Steve lo faceva sentire giusto e lui non poteva permetterselo. Però voleva vederlo, toccarlo, viverlo: perché Steve lo faceva sentire felice e lui non poteva permettersi nemmeno quello.

Si era distratto e gli aveva mostrato il suo cuore, ancora una volta, nel luogo più pericoloso che esistesse: la casa di suo padre.

Billy si sporse in camera sua e allungò il braccio, afferrando le chiavi della Camaro. Le lanciò a Steve, che le prese con uno sguardo incerto.

«Vedi di trattarmela bene o il sasso in faccia te lo prendi tu» disse, prima di rientrare in casa.

«A-Aspetta, Billy.» Steve posò le mani sul davanzale, impedendogli di chiudere la finestra. «Non capisco, che ci faccio con le tue chiavi?»

«Non posso lasciare Max da sola, sennò ti avrei accompagnato a casa. Le strade di Hawkins sono pericolose quando cala il buio e non voglio rischiare di averti sulla coscienza.»

Steve aprì e richiuse la bocca un paio di volte, fissandolo con i suoi occhioni increduli. Alla fine disse: «Max sta già dormendo?»

Billy annuì. «Quella stronza si è presa il raffreddore. Le è salita la febbre ieri sera, dopo essere tornata dal cinema con quel coglione con cui esce. Lei ha avuto la sua bella serata e io ho dovuto rinunciare alla mia. Tutto nella norma.»

«Non si è certo ammalata di sua volontà.»

«Non me fotte un cazzo. E ora vattene! Tra tre secondi chiudo la finestra, quindi ti consiglio di togliere quelle mani da lì se vuoi avere ancora tutte le dita.»

Steve scosse la testa. Si issò sul davanzale e atterrò dentro la stanza, chiudendo poi la finestra.

«Che cazzo fai?» sbottò Billy.

«Non ero mai stato in camera tua» disse, guardandosi intorno come se fosse stato invitato ad accomodarsi. Si fermò davanti allo specchio e gli rivolse un sorriso divertito. «Non mi sorprende che tu abbia uno specchio così grande. Riesce a riflettere bene il tuo ego?»

«Harrington…»

«Oh, l’armadio.» Aprì le ante come se fosse a casa sua. «Ehi, manca solo un mese a Natale, se per caso possiedi… Serio?» esclamò, dopo aver rovistato per qualche secondo tra i suoi abiti. «Non hai mezza maglia invernale? Non ci credo che hai sempre caldo, non è umano.»

Billy lo afferrò per la collottola, allontanandolo dall’armadio e spingendolo verso la finestra – ma con il suo scarso equilibrio Steve si ritrovò a cadere sul letto di malagrazia. Billy trattenne a stento un’imprecazione. Aveva fantasticato così a lungo di avere Steve nella sua casa, nel suo mondo e nel suo letto, che vederlo lì, reale, sapendo che quella situazione non sarebbe potuta durare, non fece che incrementare la sua frustrazione. E Steve continuava a ignorarlo, facendo tutto ciò che non avrebbe dovuto fare.

«Che ti è successo alla faccia?»

Quella era l’ultima domanda che avrebbe voluto sentire.

«Vattene, Harrington» disse, facendo appello a tutto l’autocontrollo che aveva sviluppato nell’ultimo anno.

Steve si alzò in piedi. «Devi metterci del ghiaccio o si gonfierà» disse, come se Billy non gli avesse appena intimato di levarsi dai piedi.

«L’ho già fatto, quindi vattene.»

«Mettici almeno un cerotto…»

«Cazzo, Harrington, perché non puoi fare quello che ti dico e lasciarmi in pace?» sbottò, avvicinandosi pericolosamente a lui con i pugni serrati. Steve non si scompose, nonostante fosse chiaro che Billy era a una parola di distanza dal ridurre la sua faccia a un miscuglio di carne sanguinante – di nuovo.

«Non voglio lasciarti solo» disse, scandendo lentamente le parole. «Non finché non saprò che stai bene.»

Billy rise. Non la risata allegra di poc’anzi, ma quella che gli apparteneva da più tempo, un misto di disperazione e ironia per la sua fottuta vita. 

«Allora dovrai restare molto a lungo, pretty boy.»

«Va bene» rispose Steve, serio. «Ora posso andare a prendere un cerotto?»

Billy sospirò. Si diresse verso l’armadio e allungò il braccio nell’angolo destro, tirando fuori una vecchia scatola di scarpe. Tolse il coperchio e la lanciò sul letto. Parte del suo contenuto – cerotti, bende e disinfettante – cadde sulle lenzuola. Steve non chiese perché tenesse un kit improvvisato di pronto soccorso in camera e Billy non fornì spiegazioni. Si limitò a chiudere le ante dell’armadio e appoggiarvisi contro, inspirando a fondo per non perdere la calma.

«Vieni qua» lo chiamò Steve, facendogli cenno di mettersi sulla sedia. Billy obbedì.

Steve versò un po’ di disinfettante su una benda e la passò delicatamente sulla sua ferita. Billy tremò sotto quel tocco gentile.

«Allora, non mi hai detto se questo specchio riesce a contenere o meno il tuo ego» disse Steve.

Billy fu felice che avesse deciso di riportare la conversazione su argomenti a lui più congeniali.

«Se la cava abbastanza bene. Guarda, riesce a lasciare anche un piccolo spazietto per contenere ciò che resta del tuo.»

Quel commento fece premere le dita di Steve con più forza sul suo zigomo. Billy rise, nonostante la scossa di dolore.

«Permaloso?»

«Chiudi il becco, Hargrove.»

Steve scartò un cerotto e lo mise delicatamente sopra la ferita. Quando ebbe finito, ripose tutto nella scatola e la rimise nell’armadio.

«Io davvero non capisco perché non hai nemmeno una felpa» mormorò Steve, approfittandone per frugare di nuovo tra i suoi indumenti. «Ma nemmeno un pigiama usi?»

«No, pretty boy, perché non sono un bambino né un vecchio rattrappito.»

«Che c’entra? Tanti ragazzi usano il pigiama, specie in inverno.»

Billy gli rivolse un sorriso tronfio. «Tanti ragazzi non sono me

«Ma io perché continuo a parlarti?» borbottò, scuotendo la testa. Richiuse le ante dell’armadio e tornò verso di lui. Billy lo afferrò per un polso, trattenendolo di fronte a sé. 

«Grazie» disse. Provò a guardarlo negli occhi, ma non ci riuscì. «Sono felice che tu sia rimasto.»

«Mi fa piacere.» Steve gli sollevò il volto e lo baciò. Billy avrebbe voluto che il tempo si fermasse a quel momento, in cui esistevano solo loro due, lontani dagli occhi del mondo e dai nemici che si celavano al suo interno. Sarebbe stata una bella favola: due ragazzi che si amavano e vivevano per sempre felici e contenti. Ma la loro favola si sarebbe fermata prima, al momento della fuga perché la magia durava fino a mezzanotte. Ciò che sarebbe accaduto, poi, nessuno avrebbe potuto stabilirlo.

«Devi andartene prima che torni, Steve» disse. Strinse le braccia attorno al suo corpo, desiderando di non doverlo mai lasciare andare.

«Lo so» rispose, posando la fronte contro la sua. «Sai fra quanto arriverà?»

Billy lanciò una veloce occhiata alla sveglia che aveva sul comodino. «Un paio d’ore, circa.»

«Oh.» Steve sorrise, sedendosi sulle sue gambe. «Abbiamo tempo allora.»

Billy sollevò un angolo della bocca: la magia era ancora potente, il ballo poteva continuare. 

«Hai in mente qualcosa di particolare, pretty boy?» chiese, passandosi la lingua sulle labbra in previsione della sua risposta.

«Mh, non proprio» rispose sulla sua bocca. «Tu?»

Billy si alzò e buttò Steve sul letto, catturando la sua risata tra le labbra.

 

   
 
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