interruzione. è passato solo un giorno ma mi manchi da morire
https://www.youtube.com/watch?v=-gA3H3clEqk&ab_channel=Coldplay-Topic
fly on, ride through,
maybe, one day, I can fly with you
- culla
Corre e gioca, nel largo prato di un parco,
passa sotto un arco fiorito di gelsomini e si rotola, dove ha trovato una farfalla. Salta quando gli tira la palla e fa fatica a riportarla indietro, vuole giocare; lo chiama, con le mani attorno bocca, e urla, anche se sono le otto di sera – e lui arriva, e abbaia felice.
Non è un cane atipico. Arataka pensa, che ce ne sono tanti di Shiba Inu in Giappone, e che il suo si confonderebbe nella massa. Ma Arataka pensa, che ce ne potrebbero essere anche di più, ma nessuno è come tanti, e il suo Shiba Inu non è come i tanti.
Corre e gioca nel piccolo salotto di casa: Arataka lo culla tra le braccia quando dorme e si spegne, perché i cuccioli fanno così. Sua mamma non vuole che salga sul divano, ma la mamma non è mai a casa, quindi se sale non può saperlo.
Arataka ha tredici anni e si chiede cosa cerchi negli spazi di cielo tra i grattaceli, e che senso abbiano le stelle se non le può toccare. Lo fa con il cagnolino sotto braccio: seduto sulle piastrelle del balcone, con i piedi che dondolano tra le barre di ferro battuto della ringhiera. Si ricorda di un momento in cui alle otto di sera avrebbe giocato nel prato con il suo amico, e si chiede come sarebbe la sua vita se il suo cane fosse un bambino come lui.
Non corre più, e non gioca più, e Arataka ha diciannove anni; il suo Shiba Inu non è più come tutti gli altri, ma non lo è mai stato. Guarda, la bestiolina, con malinconia, mentre la palla da tennis rotola sui ciottoli, e si sdraia tra i fiori selvatici nell’erba – tiene il muso tra le zampe davanti, e respira con affanno dal naso. Quando non si muove più Arataka lo guarda dormire, e si china in un abbraccio. La mamma non vuole un altro cane; Arataka non vuole un altro cane. Lo culla in ginocchio, gli chiude gli occhi con le dita. E sente il calore su di lui assopirsi piano piano, con le zampe che dondolano inermi dalle sue braccia.
Correva, e giocava, e alle nove di sera Arataka è ancora al parco, identifica dove l’arco di gelsomini è stato, dove non è più. Ha ventiquattro anni e le aspirazioni sembrano oramai stelle lontane: tiene la pallina in mano, e la stringe e piange, dove nessuno lo può vedere.