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Autore: Kimando714    26/10/2022    0 recensioni
La vita da ventenni è tutt’altro che semplice, parola di sei amici che nei venti ormai ci sguazzano da un po’.
Giulia, che ha fin troppi sogni nel cassetto ma che se vuole realizzarli deve fare un passo alla volta (per prima cosa laurearsi)
Filippo, che deve tenere a freno Giulia, ma è una complicazione che è più che disposto a sopportare
Caterina, e gli inghippi che la vita ti mette davanti quando meno te lo aspetti
Nicola, che deve imparare a non ripetere gli stessi errori del passato
Alessio, e la scelta tra una grande carriera e le persone che gli stanno accanto
Pietro, che ormai ha imparato a nascondere i suoi tormenti sotto una corazza di ironia
Tra qualche imprevisto di troppo e molte emozioni diverse, a volte però si può anche imparare qualcosa. D’altro canto, è questo che vuol dire crescere, no?
“È molto meglio sentirsi un uccello libero di volare, di raggiungere i propri sogni con le proprie forze, piuttosto che rinchiudersi in una gabbia che, per quanto sicura, sarà sempre troppo stretta.
Ricordati che ne sarà sempre valsa la pena.”
[Sequel di "Walk of Life - Youth"]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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CAPITOLO 31 - JUST BREATHE



 
“Why do I and everyone I love pick people who treat us like we're nothing?”
“We accept the love we think we deserve” [1]
 

Ottobre era passato nella calma placida ed annoiata che ormai caratterizzava ogni mese da un po’ di tempo a quella parte. Mancavano solo cinque giorni all’inizio di novembre, ma il freddo era già arrivato: quando Pietro, una volta entrato nel palazzo, si era tolto i guanti, si era accorto che le mani erano comunque gelate.
Avrebbe comunque preferito passare la serata fuori, piuttosto che tornare a casa in quel momento, con la consapevolezza di ritrovarvi Giada. Era sabato sera, e non ci sarebbe stato alcun motivo per cui lei non potesse trovarsi già a casa: d’altro canto era lui ad essere sotto accusa di passare gran parte dei weekend in giro con gli amici, piuttosto che a casa con lei.
Giada, in fin dei conti, non aveva tutti i torti, Pietro dovette ammetterlo a se stesso per l’ennesima volta mentre saliva gli scalini per arrivare al loro appartamento – al suo appartamento, perché ancora non riusciva a dire che quella casa fosse loro, sua e di Giada-: ormai ogni occasione era buona per passare altrove più ore possibili. Stava diventando esperto di neonati, visto la quantità di ore che aveva passato ultimamente da Caterina e Nicola, e cominciava a cavarsela bene persino in fatto di cucina spagnola grazie alle lezioni che Fernando gli impartiva quando lo invitava da lui.
Estrasse dalla tasca della giacca le chiavi dell’appartamento, inserendole nella toppa e girando; la porta emise il solito cigolio che produceva nell’aprirsi, ma Pietro non vi badò più di tanto. L’unica cosa che lo infastidiva era che quel cigolio avrebbe avvisato Giada del suo ritorno a casa.
Percorse velocemente il corridoio, dopo essersi tolto la giacca e averla riposta sull’appendiabiti in ingresso, dirigendosi infine in camera da letto. Non si stupì di ritrovare Giada alla scrivania, con la lampada da tavolo accesa, china su un mucchio di fogli che dovevano essere i compiti dell’ultimo parziale dei suoi studenti. Probabilmente doveva aver passato gran parte del pomeriggio a correggerli.
Si avvicinò piano alla scrivania, senza dire nulla: era sicuro che Giada fosse consapevole della sua presenza, ed era altrettanto sicuro che quel suo volerlo ignorare il più a lungo possibile fosse altrettanto voluto.
-Ciao- Pietro si lasciò sfuggire quel saluto appena borbottato, troppo a disagio per continuare a stare in silenzio. Non si era ancora abituato a quei lunghi silenzi che avevano cominciato a crearsi tra di loro da qualche mese.
Giada sospirò a fondo, continuando a tenere gli occhi incollati sui compiti da correggere, i lunghi capelli biondi stretti in una coda bassa per non lasciare che le cadessero davanti agli occhi:
-Ti sei divertito da Filippo e Giulia?-.
Pietro si trattenne a stento dal roteare gli occhi al cielo. Era sicuro che appena avrebbe aperto bocca, Giada avrebbe fatto in modo di farlo sentire in colpa. Ormai capitava quasi tutte le volte in cui lui usciva nel weekend, quando in quei due giorni in cui nessuno di loro due doveva lavorare Pietro non cercava altro che una scusa per allontanarsi da lei.
Gli faceva piacere passare più tempo che poteva con i suoi amici – aveva bisogno di sopperire alla mancanza di avere qualcuno davvero vicino, ultimamente-, ma in quel momento si ricordò anche dell’altro motivo per cui aveva cominciato a passare tutte quelle ore fuori casa.
Era il modo più semplice per tornare a respirare, per dimenticarsi e lasciare da parte la sua vita fallimentare per qualche ora, senza dover piantare gli occhi su Giada e leggervi dentro tutto il rancore che cominciava a dimostrargli per tutte le sue assenze e il suo distacco sempre più palpabile.
-Sì- rispose, stavolta senza indugi – Direi che mi sono divertito abbastanza-.


 
La cena era stata piuttosto silenziosa, e a Pietro andava bene così. Aveva tenuto gli occhi abbassati sul proprio piatto per gran parte del tempo, anche se sapeva che Giada gli aveva lanciato delle occhiate più di qualche volta. Forse aveva tentato di dirgli qualcosa, di parlargli, ma alla fine doveva aver rinunciato.
Non era una novità, ormai, che Giada avesse cominciato a rinunciare a parlargli. Pietro non avrebbe saputo spiegare cosa fosse cambiato negli ultimi mesi: sapeva solo che qualcosa era scattato, e le loro strade, già di per sé diverse, avevano preso a biforcarsi sempre di più. Vivevano sempre sotto lo stesso tetto, eppure a Pietro sembrava di abitare con un’estranea. In diversi momenti si era ritrovato a ripensare con nostalgia ai tempi in cui c’era Alessio a vivere lì: non rimpiangeva le notti agitate in cui ci si rigirava nel letto per il suo amore impossibile, ma gli mancava del tutto l’aria allegra che più di una volta Alessio aveva portato tra quei muri.
Ora, invece, con lui non c’era né Alessio – che vedeva solo sporadiche volte, e mai da soli-, e in un certo senso non c’era nemmeno Giada.
Era sabato sera, ma Pietro sapeva che non sarebbero andati da nessuna parte dopo cena. Immaginava che Giada fosse troppo stanca, dopo aver passato ore a correggere esami, e in fin dei conti nemmeno lui aveva troppa voglia di uscire di nuovo.
La camera da letto era diventata un buon rifugio per quel tipo di serate. Pietro si era steso sul letto appena finita la cena, aveva preso in mano il libro che stava leggendo, e si era isolato nel mondo racchiuso tra quelle pagine. Talvolta sostituiva la lettura con la scrittura degli articoli per Il Mattino di Venezia, ma per quella sera poteva andare bene anche distrarsi in maniera meno impegnativa.
Doveva essere passata almeno mezz’ora, quando Pietro percepì i passi di Giada avvicinarsi sempre di più alla stanza. Si ritrovò ad alzare gli occhi proprio nell’istante in cui lei fece capolino sulla soglia, l’aria incerta che non si addiceva per niente alla sua figura distinta e risoluta.
-Ti disturbo se mi metto lì?- Giada fece cenno con il capo alla metà del letto lasciata libera. Non sembrava troppo entusiasta di doverlo chiedere – probabilmente doveva essersi sentita quasi umiliata nel chiedere il permesso-, ma non sembrava nemmeno intenzionata a cedere. Pietro cercò di reprimere il senso di incertezza, e sperando di non aver lasciato trasparire troppa sorpresa:
-No, ovvio che no-.
La verità era che invece sì, si sarebbe sentito a disagio eccome con lei lì, così vicina. Era una sensazione che ormai accompagnava la loro crisi spesso e volentieri: erano rari i momenti in cui, ormai, Pietro accettava di buon grado la vicinanza di Giada.
Riabbassò gli occhi sul libro, anche se non riprese a leggere sul serio. Avvertì Giada camminare verso il letto, e percepì lo spostamento del suo peso sul materasso, di fianco a lui ma abbastanza distante da non sfiorarlo. Non erano sposati, eppure a Pietro parve di essere sul serio l’altra metà di una coppia sull’orlo del divorzio.
-Hai ancora mal di stomaco?- le chiese, per non sembrare del tutto menefreghista. Giada non era mai stata di salute cagionevole, eppure nell’ultima settimana Pietro l’aveva vista vomitare più volte.
-Solo un po’ di mal di testa- liquidò la questione lei, in fretta. Pietro non restò a guardarla a lungo, riportando gli occhi verso la pagina stampata del libro.
Si sentiva gli occhi chiari di Giada addosso, e non si meravigliò quando, poco dopo, la sentì rompere ancora una volta il silenzio:
-Vuoi davvero continuare a far finta di leggere?- gli chiese, lievemente irritata.
-Vuoi proporre qualcos’altro?- sbuffò a sua volta Pietro, alzando gli occhi al soffitto con fare altrettanto seccato.
Giada lo guardò con aria di sfida:
-In effetti sì-.
Cercò di reprimere il senso di meraviglia – meraviglia misto a sgomento-, quando Giada gli si fece notevolmente più vicina, allungando una mano verso il libro e buttandolo senza troppa grazia ai piedi del letto. Pietro soffocò a stento un’imprecazione, sapendo che, da quel momento in poi, la serata avrebbe preso una piega ancor peggiore di quel che si sarebbe aspettato.
Giada gli si era messa a cavalcioni ancor prima che lui potesse fare qualsiasi cosa per evitare maggiore vicinanza a quella che già c’era tra loro; spostò le mani altrove, lungo i fianchi e sul materasso, sperando che anche quello fosse un segnale abbastanza esplicito per farle capire che non aveva la minima intenzione di stare al suo gioco.
Pietro cercò di divincolarsi con maggiore forza quando lei si chinò in avanti per baciarlo, mentre faceva scorrere le mani fino all’orlo della felpa. Non aveva intenzione di farle del male, ma dovette posarle le mani sulle spalle per allontanarla da sé, e riuscire finalmente ad alzarsi dal letto. Giada ricadde scompostamente sul materasso, rossa in viso e con i capelli scompigliati, gli occhi pieni di rabbia.
-Non ti era abbastanza chiaro che non volessi fare nulla di simile?- le sibilò con ira Pietro, cercando di risistemarsi gli abiti, e guardandola con astio.
Giada ricambiò l’occhiata con la stessa espressione che avrebbe avuto davanti ad un insulto appena subito:
-Perché?-
-Perché non mi va!-.
Pietro fece fatica a trattenersi dall’urlare, e fece ancor più fatica di fronte allo sbuffo derisorio dell’altra:
-Come ogni giorno. E da quanto? Rinfrescami la memoria- allargò le braccia come ad invitare Pietro a fare ciò che gli aveva appena chiesto – Almeno due settimane? E altre due prima di quelle-.
-Sul serio vuoi aprire una discussione su questo?-.
Pietro la guardò esasperato, anche se non stentava a credere che Giada volesse davvero affrontare quell’argomento a quell’ora di sabato sera. Non si dava mai per vinta in nessun caso, e non accettava mai di perdere: di sicuro il fatto che dovesse sentirsi indesiderata come non mai prima di quel momento, doveva bruciarle parecchio.
-Voglio aprire una discussione sul fatto che mi ignori. Sono stanca di contare meno di un’ombra per te- Giada si alzò a sua volta, puntando il dito accusatore contro Pietro – Mi trascuri, non mi degni nemmeno di un’occhiata in certi momenti!-.
Pietro non si sentì colto alla sprovvista: sapeva che prima o poi gliel’avrebbe detto chiaro e tondo che, ormai, la loro relazione si basava sulla distanza.
Giada lo guardava con tutto il rancore che doveva aver cresciuto dentro di sé per giorni. In fin dei conti, Pietro non riusciva a darle del tutto torto: probabilmente, al suo posto, anche lui si sarebbe sentito allo stesso modo. E non poté fare a meno di pensare che, per quanto arduo potesse essere ammetterlo, quella situazione era solo colpa sua. Fu solo l’orgoglio e il nervosismo del momento a farlo restare sulla difensiva:
-Esattamente cosa vorresti sentirti dire, ora?- si strinse le braccia contro il petto, scuotendo il capo – È un periodo in cui va così, Giada, e non ci posso fare nulla-.
-È da quando sono venuta a vivere qua che va così-.
Aveva di nuovo ragione, e Pietro se ne era già reso conto da molto più tempo di lei. Forse, dopo tutto quel tempo, cominciava ad aprire gli occhi anche Giada sulla loro situazione.
-Non mi guardi, e a malapena mi ascolti quando ti parlo- continuò lei, imperterrita, la voce piena di esasperazione.
-Forse non ti ascolto perché hai delle idee del cazzo- borbottò Pietro, colto sul vivo.
Sapeva che arrivati a quel punto della discussione Giada avrebbe voluto tornare a parlare della sua idea di cambiare casa, e rinfacciargli il fatto di non averla nemmeno voluto ascoltare. E Pietro sapeva anche che, se fossero arrivati a litigare su quell’argomento, non si sarebbero parlati per almeno i due giorni successivi.
-Idee del cazzo?- Giada lo guardò spalancando gli occhi, prima di ridurli di nuovo a due fessure – Scusa se per te fare progetti sul nostro futuro equivale ad avere idee del cazzo-.
Nostro futuro.
Quella definizione – quella strana definizione, insolita e che Pietro ormai non riteneva più adatta riferita a loro due insieme- gli ronzò nelle orecchie, come una litania che rimaneva stampata in mente controvoglia. Non disse nulla, limitandosi al silenzio. Non si meravigliò nemmeno quando, di fronte a quella risposta muta che lasciava comunicare qualsiasi cosa, Giada preferì andarsene da quella stanza. La osservò mentre lo oltrepassava, gli occhi abbassati e – Pietro ci avrebbe scommesso- colmi solamente di rabbia.
Era rimasto finalmente solo, come avrebbe voluto fosse fin dall’inizio, e come avrebbe dovuto essere sempre. Si ricordò del primo incontro che aveva avuto con Giada fuori dall’università: era stata la sera in cui aveva cercato di scappare da Alessio e da quel che provava, finendo nella rete di un’altra persona. Forse, per qualche attimo negli ultimi quattro anni, aveva davvero pensato che con Giada sarebbe potuto andare bene, che sarebbe riuscito a soffocare una parte di sé che non accettava; era stata una falsa speranza, qualcosa a cui si era aggrappato nei momenti più bui solo per farsi meno pena.
Ora lo sapeva, e se ne rendeva conto più che mai: un vero futuro, con lei, da passare insieme, non ci sarebbe stato mai.
 
*
 
-Hai ripreso l’università, quindi?-.
Alla cena mancava un’ora circa, e nel salotto della casa c’erano solo Lorenzo e Caterina. Avevano preso posto sul divano, guardando distrattamente la televisione. Entrambi i loro genitori si erano rinchiusi in cucina da poco, per preparare la cena di quella sera.
Era da tempo che non tornava a Torre San Donato, ma non l’aveva trovata cambiata. Era rimasto il paese della sua infanzia e della sua adolescenza, e il luogo dove i suoi genitori avevano cresciuto lei e suo fratello, e il luogo dove loro vivevano ancora.
Per quanto si sentisse contenta di essere tornata solo per quel weekend, a Caterina tornava sempre il pensiero di Francesco: era la prima volta da quando era nato che si separava da lui, e sebbene sapesse che Nicola se la sarebbe cavata bene, non poteva trattenersi dall’essere in pensiero. D’altro canto, da quando aveva iniziato la magistrale all’università da settembre, aveva dovuto affrontare nuovi ritmi: non riusciva a seguire tutte le lezioni a causa del lavoro e del figlio, ma aveva comunque cominciato a passare più ore fuori casa rispetto al solito. Aveva anche cominciato a provare una stanchezza immensa. Sperava che quel breve weekend a Torre San Donato la aiutasse perlomeno a dormire qualche ora in più, a recuperare le forze e staccare per un paio di giorni da quel ritmo folle a cui aveva cominciato ad andare la sua vita.
Aveva seriamente creduto alla possibilità di riposarsi sul serio, almeno fino a quando, quel sabato pomeriggio, sua madre non l’aveva avvisata dell’arrivo di Lorenzo per la cena di quella sera.
Inizialmente aveva recepito quella notizia in maniera quasi impassibile, con sua stessa sorpresa. Non vedeva suo fratello da agosto – dal giorno del matrimonio di Giulia e Filippo-, e non l’aveva nemmeno più sentito per telefono.
Poi, un momento dopo, si era ricordata di quello che Giulia le aveva detto, e l’ira verso suo fratello era tornata viva esattamente come lo era stata nel momento stesso in cui aveva saputo tutto. Giulia l’aveva pregata di non dirgli nulla, e da un lato Caterina poteva anche comprenderne il perché.
Dall’altro, però, la rabbia la muoveva solamente verso l’idea di far sapere a Lorenzo quanto fosse stato stupido, avventato ed ingenuo. Non sapeva davvero se sarebbe riuscita a mantenere fede alla promessa che Giulia le aveva richiesto.
Quando era arrivato, nel tardo pomeriggio, e poi era entrato in casa, Lorenzo non era parso nemmeno troppo stupito di trovarla lì. Caterina l’aveva accolto con un’occhiata fintamente benevola: la verità era che, a ritrovarselo di fronte, l’ira non aveva fatto altro che crescere ancor di più.
-Sì, al giorno d’oggi è importante laurearsi anche alla magistrale- rispose indolentemente Caterina, la testa appoggiata sulla mano, e il braccio a sua volta posato sullo schienale del divano.
-E ce la fai a far combaciare tutto?- chiese di nuovo Lorenzo, che sembrava quasi esterrefatto.
Caterina continuò a restare girata verso lo schermo della tv, pronta a non lasciare spazio a nessuna esitazione nella sua risposta:
-Certo. Non è così difficile-.
Non aveva intenzione di dire che, in realtà, difficile lo era sul serio: non avrebbe sopportato le arie di superiorità che avrebbe potuto rivolgerle Lorenzo, né i suoi commenti contrariati su quanto fosse stata sbagliata la sua decisione.
-Hai appena iniziato, probabilmente le cose si complicheranno nei prossimi mesi- alzò le spalle suo fratello.
Caterina si girò appena, lanciandogli uno sguardo bieco, pronta a sferrare l’attacco:
-Non mi avevi detto che Giulia ti aveva invitato al suo matrimonio-.
Lo disse in tono del tutto vago, come se stesse parlando di cose banali. Si sforzò per non girarsi, anche se poteva immaginare suo fratello essersi irrigidito sul posto, ora all’erta e in tensione.
-Mi deve essere sfuggito di mente- rispose altrettanto vagamente Lorenzo, e Caterina dovette lottare contro se stessa per non lasciarsi sfuggire un sorriso soddisfatto: poteva percepire dalla sua voce quanto fosse in guardia, in quel momento.
-O magari me lo volevi tenere nascosto il più possibile-.
Lorenzo la guardò confuso, parlando cautamente:
-Non vedo perché avrei dovuto-.
-Non sarebbe la prima volta che non mi dici certe cose-.
Caterina si girò finalmente verso suo fratello, il volto che aveva abbandonato qualsiasi parvenza di rilassatezza, lasciando il posto a tratti tesi. Lorenzo ricambiò lo sguardo in silenzio, un’ombra di preoccupazione ad oscurargli gli occhi chiari:
-Cosa intendi?-.
-Che so tutto su te e Giulia- sibilò Caterina, facendo uno sforzo immane per non alzare la voce, per evitare che i loro genitori si fiondassero in salotto proprio in quel momento – E quando dico tutto, intendo veramente tutto-.
Vide Lorenzo sbiancare, il viso molto più pallido rispetto ad un minuto prima. Sembrava che quella fosse un altro dei segnali che lasciavano presagire tutta la sua ansia e la sua colpevolezza.
Non disse nulla per diversi secondi, limitandosi ad abbassare lo sguardo per un attimo, prima di riportarlo sulla sorella:
-Te lo ha detto lei?-.
C’era una venatura d’incertezza nella voce di Lorenzo, mescolata alla delusione che sembrava provare. Caterina fu indecisa se attribuire quello sconforto verso Giulia, che lo aveva evidentemente tradito rivelando tutto, o verso la situazione in generale.
-Secondo te?- lo rimbrottò subito lei, continuando a tenere la voce bassa a fatica – Credevi davvero che non me lo avrebbe mai detto? Prima o poi sarebbe arrivato il momento-.
-È successo un sacco di anni fa- replicò subito Lorenzo, quasi esasperato, a mo’ di giustificazione. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso:
-Proprio perché è successo un sacco di anni fa non so neanche come sto facendo a trattenermi dal menarti!- mormorò con rabbia Caterina, gli occhi venati d’ira – Non era neanche maggiorenne, ed era la mia migliore amica che invitato a casa nostra, pensando fosse al sicuro!-.
Lanciò un’occhiata veloce nella direzione della cucina: la porta era ancora chiusa, e i suoi genitori sembravano non aver udito nulla di quella conversazione tutt’altro che rilassata che stava avendo con Lorenzo. Sperò che non si accorgessero di niente ancora per un po’, anche se immaginava sarebbe stato difficile per il resto della serata mantenere un tono anche solo fintamente cordiale con suo fratello.
-Non le ho mai fatto niente. Non l’ho nemmeno sfiorata- Lorenzo non aveva quasi reagito alle parole di Caterina: le aveva solo lanciato uno sguardo carico di stizza, le labbra serrate e gli occhi assottigliati dietro alle lenti degli occhiali.
Caterina gli restituì lo sguardo torvo senza troppe esitazioni:
-Per tua fortuna-.
Fu a quel punto che Lorenzo distolse lo sguardo, guardando davanti a sé e sospirando a fondo, in un misto di nervosismo e frustrazione. Lasciò cadere la testa all’indietro, fino ad appoggiare la nuca allo schienale del divano, le mani giunte sul grembo:
-Non avresti dovuto sapere niente- mormorò, sferzante.
-Mi dispiace se ti sto mettendo i bastoni tra le ruote- Caterina non si lasciò prendere dalla pietà: guardava suo fratello, e vedeva solamente qualcuno che aveva cercato di approfittare di Giulia quando era solamente una ragazzina – In fin dei conti, sei tu quello che si è sempre divertito a dare problemi a me con Nicola. Deve essere strano essere dall’altra parte della barricata-.
-Che hai intenzione di fare, ora?- Lorenzo continuò a non guardarla, e a parlare piano come se non avesse più alcuna energia in corpo. Non sembrava davvero preoccupato dalla possibile risposta a quella domanda, non quanto appariva invece irritato per essere stato scoperto.
Caterina ci aveva riflettuto a lungo, nei mesi passati, su quel punto: Giulia le aveva assicurato che al matrimonio era stata abbastanza chiara con lui, ed infatti non c’era stato nessun ulteriore contatto tra di loro. Eppure, per quanto ora potesse sembrarle improbabile, sapeva che prima o poi Lorenzo avrebbe potuto benissimo riprovare ad avvicinarsi di nuovo: non era mai stato uno che mollava la presa facilmente, quando si metteva in testa qualcosa.
-Io niente, sei tu che devi stare al tuo posto- sibilò infine, la voce ferma e gli occhi piantati sul viso del fratello maggiore – Direi che non è il caso che tu vada a dare ulteriore fastidio a una persona a cui non interessi-.
Si alzò dal divano, sentendosi ribollire di rabbia e ben consapevole di non poter urlargli addosso tutto il rancore che sentiva di provare nei suoi confronti. Stavolta Lorenzo la guardò di rimando, le iridi verdi annebbiate da qualcosa che poteva sembrare anche vergogna.
-Stanne fuori-.
Caterina non attese una risposta ulteriore. Mosse qualche passo verso la cucina, cercando di respirare a fondo nel tentativo ultimo di calmarsi prima di entrare nella stanza dove si trovavano i suoi genitori, ignari di tutto. Ignari esattamente come lo era stata lei, per fin troppi anni.
 
*
 
Practiced all my sins
Never gonna let me win
Under everything

Just another human being
I don't wanna hurt

There's so much in this world to make me bleed
(Pearl Jam - "Just breathe")*
 
Il gusto della vodka migliorava sorso dopo sorso. Ormai la sensazione della gola in fiamme stava diventando piacevole; era il bruciore che lo faceva sentire vivo, il sapore forte e pungente dell’alcool che gli ricordava un po’ come anche la rabbia che si sentiva dentro era viva e bruciante.
Alessio si rigirò il bicchiere tra le mani, soppesando se fosse il caso di ordinarne un altro – il terzo in poco più di un’ora-, o se fosse il caso di rimanere furioso com’era con poco alcool in corpo.
Di certo ubriacarsi non rientrava nei suoi programmi per l’immediato futuro, ma anche l’idea di perdere un po’ di lucidità – che in quel momento gli risultava essere solamente scomoda- era piuttosto allettante.
Si guardò un attimo intorno: nessuno agli altri tavoli del bar lo stava guardando, nessuno lo fissava come se si trovasse di fronte all’ennesimo alcolizzato irresponsabile.
Non che gli sarebbe importato sul serio di quel che avrebbe potuto pensare la gente di lui. Potevano additarlo come pareva loro, l’importante era che nessuno gli si avvicinasse.
Si era infilato in quel locale unicamente per necessità: per allontanarsi da casa il più possibile per un po’ di tempo, per sfuggire alla pioggia che aveva cominciato a scendere, per il bisogno di bere assolutamente qualcosa di alcolico, e per impedirsi categoricamente di andare a cercare conforto dove non ne avrebbe più trovato.
Quando era uscito dal palazzo dove viveva, aveva pensato per prima cosa di andare da Pietro. Era stato un pensiero irrazionale, dettato dalla rabbia e dalla disperazione, e dal bisogno di sentirsi protetto contro tutto ciò che stava andando storto – perché, in fin dei conti, Pietro manteneva ancora l’aria di casa, del suo porto sicuro, e dell’unica persona al mondo che riusciva a leggergli dentro anche quando le parole non uscivano. Poco importava il fatto che non si parlassero seriamente da giugno: in quel momento era talmente stravolto che sarebbe passato sopra persino al suo orgoglio, pur di sfogarsi con lui.
Alla fine, invece, aveva desistito: non aveva alcun diritto di cercare Pietro solo quando ne aveva bisogno, solo quando era lui a richiedere la sua presenza. Aveva deviato il suo percorso, aprendo la porta di quel bar, sedendosi al primo tavolo libero, e fermando la cameriera per chiederle un bicchiere di vodka liscia. Il resto non era stato nulla di nuovo: si era odiato per aver ceduto ancora una volta al bere, ma si era sentito sempre meglio ad ogni sorso mandato giù. E poi aveva fermato la cameriera una seconda volta, di nuovo odiandosi e di nuovo sentendosi meglio.
Al secondo bicchiere finito le cose cominciavano ad assumere contorni differenti, meno nitidi e assoluti. Avrebbe voluto prolungare per sempre quell’effetto, rendere la propria memoria offuscata e dimenticarsi di tutto, sentirsi la testa girare leggera come nulla potesse preoccuparlo.
Fu in quel momento, dopo quei pensieri, che chiamò per la terza volta la cameriera, ordinando la terza vodka liscia.
Quasi ammirava la voglia di autodistruggersi che provava in momenti simili: era qualcosa di serio, l’autodistruzione, qualcosa da portare avanti con costanza ed attenzione. Era quello che stava facendo.
 


-Mi stai prendendo in giro, vero?-.
Alice non gli rispose subito. Si limitò a guardarlo in un misto di delusione e rabbia – no, di disgusto, Alessio era sicuro che nel suo sguardo ci fosse disgusto, per la maggior parte-, senza aprire bocca. Era stato il silenzio più tetro e prolungato che Alessio avesse vissuto nell’ultimo periodo.
-L’unico tra noi due che dovrebbe rimproverarsi sei tu-.
Alla fine la risposta era giunta, e Alice non si era tirata indietro dal muovergli quell’accusa. Alessio, in quel momento, avrebbe solamente voluto alzarsi dalla sedia della cucina e andarsene il più in fretta possibile.
Si sentiva soffocare.
“Respira, respira, respira. Respira e basta, cazzo”.


 
La cameriera non ci mise molto a portargli la sua ordinazione. Lo guardò per un lungo attimo, un cipiglio contrariato che Alessio colse ugualmente, nonostante la mente annebbiata. Probabilmente lo stava giudicando tra sé e sé, credendolo uno sconsiderato.
E probabilmente, in fondo, aveva ragione lei: anche lui si sentiva uno sconsiderato, in quel momento, mentre buttava giù in un unico sorso metà della vodka contenuta nel bicchiere.
Sentì la testa prendere a girare ancor più vorticosamente di prima, la sensazione di caldo che lo stava assalendo nonostante nel bar ci fosse freddo quasi quanto all’esterno.
Cercò di tirarsi su le maniche del maglione, in maniera impacciata, nel tentativo di trovare un po’ di refrigerio grazie alla sensazione della pelle nuda delle braccia lasciate scoperte.


 
Sbatteva nervosamente il piede a terra, trattenendosi a stento seduto. Aveva solamente voglia di alzarsi da lì, andarsene il più distante possibile. Si immaginava già ad urlare contro Alice, ed era esattamente quella cosa che voleva evitare più di qualsiasi altra: aveva già perso Pietro, per qualcosa di cui non aveva voluto sapere nulla, e forse era solo questione di poche ore prima di perdere anche lei.
Era lo sguardo che gli stava rivolgendo a farglielo presupporre – a renderlo piuttosto sicuro che di lì a poco tutto sarebbe giunto ad una fine-; gli occhi verdi di Alice che freddi non lo erano mai stati, e che ora erano granitici.
-Te ne saresti potuta accorgere in tempo anche tu- mormorò Alessio, alla fine, messo alla prova da quel silenzio troppo prolungato.
Sapeva che quelle parole avrebbero solamente peggiorato la situazione, ma era stato più forte di lui: non riusciva mai a chinare la testa, nemmeno di fronte alla prospettiva di mandare tutto a quel paese.
Forse era per quello che non riusciva mai a sentirsi in pace con se stesso e il mondo fino in fondo.
Alice chinò gli occhi solo per un attimo, un sospiro stanco che le sfuggì:
-È inutile stare qui ad incolparci a vicenda, ormai è tardi-.
Alla fine era stata lei a cedere per prima, come volevasi dimostrare. D’altro canto era la questione ad essere stupida di per sé: inutile cercare di stabilire chi si sarebbe dovuto accorgere prima di un preservativo bucato.
-Avresti potuto prendere la pillola del giorno dopo-.
Anche quelle parole erano uscite dalla sua bocca prima ancora che potesse rendersi conto di quello che significavano. Forse fu meglio il fatto che Alice rinunciò a rispondere, limitandosi a guardarlo immobile e con sguardo spento.
Sembrava avesse appena ricevuto uno schiaffo dritto in faccia, o forse quello sarebbe stato addirittura meno doloroso.
Alessio aveva di nuovo iniziato a respirare velocemente, in cerca di maggiore ossigeno. Era la stessa sensazione che poteva esserci nell’annegare, quell’incapacità di respirare e la ricerca di aria con cui poter vivere ancora.


 
I polpastrelli delle dita passarono sopra la pelle screziata dall’inchiostro nero, seguendo le linee sottili delle lettere che gli coprivano ora la pelle del polso.
“Just breathe”.
Forse si era tatuato quelle due parole per ricordarsi di non prendere sempre tutto di petto, e che in alcuni momenti bastava prendere un respiro profondo per calmarsi e riflettere meglio sulle situazioni. Respirare, ed aspettare il corso naturale delle cose, prima di giungere agli obiettivi prefissati.
È quello che avrebbe dovuto fare anche in quel momento, anche se si sentiva completamente incapace di farlo sul serio.


 
-Non ho intenzione di avere un figlio. Non ora-.
Alessio parlò a voce appena udibile, eppure nel silenzio della cucina risuonò in maniera quasi sinistra. Strinse le mani tra di loro, abbassando lo sguardo per evitare quello gelido di Alice. Non aveva idea di come lo stesse guardando in quel momento, ma immaginava che i suoi occhi non dovessero aver cambiato espressione.
-Non ora?- la voce di Alice parve più furente di quel che si sarebbe aspettato, tanto da spingerlo ad alzare gli occhi verso di lei – Probabilmente il tuo “ora” riguarda la tua intera vita-.
-Non è una colpa non volere figli-.
Non fu bello dirlo ad alta voce per la prima volta in vita sua.
Forse era qualcosa che non aveva sempre pensato, o qualcosa di cui non era sempre stato consapevole. Eppure l’aveva detto in quel momento, nel momento peggiore possibile, come se in realtà fosse sempre stata una consapevolezza nascosta nel suo animo.
Sapeva di aver ferito Alice, dicendolo finalmente a voce, ma tacerlo sarebbe equivalso anche a mentire.
-Tu non vuoi figli solo per un motivo preciso- Alice si alzò dalla sua sedia, dandogli le spalle e non curandosi di nascondere l’astio con cui gli aveva parlato. Alessio rizzò il busto, guardandola con occhi sgranati, perché quel tentativo di ferirlo mal si addiceva alla Alice che aveva conosciuto fino a quel momento.
-Non sai di cosa parli-.
La sua voce aveva tremato, nascondendo malamente l’insicurezza che lo aveva preso.
Doveva andarsene da lì, il prima possibile.
Doveva andarsene, e rinchiudere in quella stanza quelle parole che si stavano rivolgendo.
Alice si voltò di nuovo verso di lui. Aveva gli occhi lucidi, ma la voce era ferma e lo sguardo furioso:
-Il problema è che cercando di non assomigliare a tuo padre, rischi di sembrare lui in tutto e per tutto-.
L’attimo dopo, senza nemmeno pensarci, Alessio si era alzato in piedi di scatto. Non aveva nemmeno pensato di risponderle: si era diretto verso l’uscita della cucina, a passi lunghi e frettolosi.
Si fermò per un secondo solamente una volta uscito dal palazzo, rendendosi conto di essersi messo la giacca per uscire ed essersi sbattuto la porta di casa dietro di sé senza alcuna remora, senza guardarsi indietro nemmeno una volta.
Aveva il respiro pesante, come se un peso gli bloccasse le vie aeree. Il freddo gli congelava il fiato, bruciandogli la gola e le labbra.


 
Chiuse gli occhi, dopo aver mandato giù l’ultimo sorso della vodka ordinata solo qualche minuto prima. Sentiva di nuovo il cuore accelerare il battito, il respiro che si faceva affannoso nel ripensare a quello che si erano detti solo qualche ora prima lui ed Alice.
Doveva di nuovo cercare di ritrovare un punto di contatto con la realtà, evitare di lasciarsi sopraffare dal terrore e dalla paura di perdere di nuovo la vita che aveva sempre sognato e che aveva finalmente raggiunto.
Respirò a fondo, mantenendo le palpebre abbassate e isolandosi da tutto e da tutti per quei pochi secondi che gli servivano per calmarsi.
Respirò ancora una volta.
Ed una volta ancora.
“Respira, respira, respira. Respira e basta”.
 
*
Guardare la pioggia cadere era rilassante, anche se cominciava a sentirsi sempre più scoraggiato al pensiero che, di lì a non molto, avrebbe dovuto infilarsi sotto quell’acquazzone. Pietro si passò una mano sugli occhi stanchi, sperando che il caffè appena bevuto cominciasse a fare effetto e scacciasse quel torpore e la stanchezza che si sentiva addosso. Negli ultimi mesi aveva cominciato pian piano ad abituarsi al fatto che, ormai, il weekend fosse l’unico momento lasciato libero dal lavoro, ma il suo corpo ancora faceva fatica a sostenere gli orari lavorativi della settimana. Il fatto, poi, di non trovare pace nemmeno a casa a causa di Giada non facilitava il recupero.
-Pensavo di trovarti più in forma, onestamente- Fernando parlò con quella sua voce vellutata, così distante dal tono pieno di gelo e risentimento che Giada gli riservava ultimamente – C’è qualcosa che ti preoccupa?-.
Pietro continuò a guardare fuori dalla vetrina del bar in cui si trovavano, osservando il cielo ormai scuro nonostante fosse ancora pomeriggio:
-Non esattamente-.
-Non hai la faccia di uno rilassato- Fernando sorseggiò tranquillamente il thè caldo che aveva ordinato, tenendo gli occhi scuri incollati su Pietro, che per tutta risposta sbuffò piano alzando le spalle:
-Ho la faccia di uno che si alza tutte le mattine alle sei e rientra a casa alle otto-.
Fernando rimise la sua tazza a posto, sulla superficie scura del tavolino, guardandolo con scetticismo. In quell’istante, Pietro seppe esattamente cosa doveva essergli appena passato per la testa: “Non prendermi in giro, si vede distante un miglio che stai dicendo cazzate”.
-Sai cosa intendo- disse infine Fernando, sporgendosi appena verso di lui – E il lavoro non c’entra-.
Pietro si morse il labbro inferiore, tentando di reprimere una smorfia disperata: come volevasi dimostrare, Fernando non era caduto nel tranello della vaghezza.
Prese un respiro profondo, indeciso sul da farsi. Non aveva voglia di parlare di Giada – non ne aveva affatto voglia-, ma d’altra parte sapeva anche che sfogarsi e confrontarsi con qualcuno gli avrebbe fatto bene. E Fernando era l’unica persona con cui poteva essere se stesso fino in fondo, senza alcuna finzione.
-Credo di essere arrivato ad una conclusione- mormorò infine, abbassando gli occhi e prendendo tempo giochicchiando con la tazzina ormai vuota – Lascerò Giada-.
Quando sollevò di nuovo lo sguardo, Fernando lo stava osservando attonito, un sopracciglio arcuato in segno di sorpresa. A vedersi, quell’espressione sarebbe potuta quasi apparire comica, anche se in quel momento Pietro non aveva alcuna voglia di ridere.
-Hai deciso, quindi?- chiese Fernando, dopo alcuni secondi di assoluto silenzio.
Pietro sospirò a fondo, passandosi una mano sugli occhi stanchi. Avrebbe voluto dire un sacco di cose a Fernando, in quel momento – come che decidere era una parola troppo grossa, o che ancora per qualche giorno di sicuro non sarebbe cambiato nulla, o che ormai erano più le circostanze ad averlo costretto verso quella scelta-, ma tutto ciò che riuscì a fare fu solo alzare le spalle.
-Sto solo aspettando il momento giusto, ma sì, sembra che andrà così- si costrinse a dire infine. Erano settimane che ci rifletteva, che ci rifletteva seriamente. Ed erano mesi che con Giada andava sempre peggio, che la loro relazione cominciava ad essere sempre più artefatta e soffocante; forse, se non fosse stato lui a porvi fine, sarebbe stata lei ugualmente.
-È questione di giorni. Appena si riprenderà un po’, le parlerò- proseguì ancora, senza addentrarsi troppo nella questione riguardante la salute di Giada. Sperava solo che il suo mal di stomaco e il mal di testa che l’avevano colpita da un po’ le passassero il più in fretta possibile: parlarle di una cosa così delicata, mentre era in quelle condizioni, avrebbe solamente reso il tutto più complicato. E lei si sarebbe irritata ancor di più di quel che già era.
Fernando batté le dita sulla superficie del tavolo, con aria pensierosa:
-Le parlerai, nel senso che la lascerai definitivamente?-.
Pietro lo osservò per un po’, prima di rispondere. Fernando aveva parlato con una vena di speranza nella voce, come capitava sempre più spesso ultimamente, quando finivano per parlare della possibile fine della relazione con Giada.
-Le farò presente che ormai siamo arrivati ad un punto morto. Per ora le dirò solo questo e non altro- Pietro sbuffò piano: per quanto ormai fosse difficile da tenersi dentro, non aveva ancora deciso di affrontare il discorso coming out con qualcun altro. Men che meno con Giada.
-Meglio di niente- alzò le spalle Fernando – Ti vedo finalmente deciso, devo dire-.
Pietro lo guardò scettico:
-Dici?-.
-Sì- rispose subito con convinzione l’altro, convinzione che nemmeno Pietro stesso sentiva di avere – Fino a qualche mese fa non avresti mai detto di lasciarla-.
-Credo che ormai sia evidente anche a lei che ormai è finita-.
“O almeno lo spero”.
-Te l’ho detto: ormai litighiamo per qualsiasi cosa, le poche volte che ci incrociamo-.
Fernando se ne rimase in silenzio per diversi secondi, l’espressione impenetrabile del viso. Pietro lo osservò con la coda dell’occhio: avrebbe voluto leggergli il pensiero, in quel momento, sapere esattamente cosa doveva passargli per la testa. Credeva fosse solo l’ennesimo falso allarme, e che Pietro sarebbe tornato sui suoi passi già il giorno dopo? O stavolta era davvero convinto che fosse la volta buona?
Forse l’unico motivo per cui voleva sapere cosa stava davvero pensando Fernando, era solo per avere maggiore appoggio ed un incoraggiamento.
-Non hai nulla da dire?- chiese infine, non riuscendo a trattenersi oltre. Fernando sollevò il capo, un sorriso sghembo ad increspargli le labbra:
-Sono contento- disse semplicemente – Non fraintendermi, so che non sarà semplice: ti sei affezionato a lei, è normale. Ma non puoi nemmeno continuare a stare con lei pur essendo consapevole che non è con lei che dovresti stare-.
“Non con lei, ma con te”: era così che a Pietro era suonata quella frase. Si ritrovò a pensare, per un fugace momento, che forse lui e Fernando come coppia non sarebbero stati poi tanto male: andavano d’accordo, e il carattere di Fernando era decisamente meno inquieto ed accomodante di quanto non era mai stato Alessio, o Giada stessa. Solo, Pietro non era poi così sicuro che lo star bene insieme e l’affetto si sarebbero tramutati automaticamente in amore.
-Detto così sembra che tu abbia già un’idea su chi sarebbe la persona con cui dovrei stare- disse, trasformando in parole i suoi pensieri. Cercò di sorridere all’altro, per non offenderlo né fargli credere di essersi infastidito.
In tutta risposta, Fernando rise scuotendo la testa:
-Non dire idiozie, se tu decidessi a guardarti un po’ intorno troveresti mille ragazzi pronti a provarci con te. Non per forza devi stare con il sottoscritto-.
Lo disse con naturalezza, anche se per un secondo a Pietro sembrò di vedere un’ombra di delusione negli occhi scuri.
Decise di lasciar perdere quel discorso: si sentiva ancora a disagio, nel pensare che di lì a poco tempo avrebbe potuto iniziare a frequentare qualcuno. Qualcuno che sapeva del suo orientamento, e qualcuno con cui iniziare qualcosa di totalmente nuovo, di autentico. Non sapeva ancora se quell’idea gli piacesse davvero o meno.
-Andiamo da te?- chiese, velocemente. Qualche giorno prima, per telefono, Fernando gli aveva promesso una fetta di coca di San Juan, che aveva cucinato quella settimana e che aveva fatto venire l’acquolina in bocca a Pietro al solo sentirla nominare.
-Por cierto- Fernando colse al volo quella via d’uscita da un discorso che si stava facendo troppo spinoso, alzandosi all’istante dalla sedia – Ma prima vado al bagno-.
Pietro si alzò a sua volta, più quietamente:
-Ti seguo anche io-.
 


L’acqua fredda del rubinetto gli gelò quasi le mani, ma non ci badò molto. Si risciacquò anche il viso, sentendosi già meglio. In quel bar faceva troppo caldo, e nonostante l’inverno rigido e il suo odio per l’acqua troppo fredda, Pietro si sentì comunque meglio dopo essersela passata sul volto.
Fernando lo raggiunse ai lavandini qualche attimo dopo, fischiettando un motivetto a Pietro ignoto.
Sembrava spensierato, a tratti felice, Pietro se ne rese conto subito non appena posò lo sguardo su di lui; il suo umore, da quando avevano parlato di Giada fino a quel momento, sembrava essersi risollevato come non mai.
Era bello vedere Fernando con quel sorriso allegro: solitamente le sue labbra erano sempre piegate in una linea scanzonata e maliziosa, pronta a lasciarsi scappare qualche parola avventata per far colpo su chi gli interessava. Non era quello il caso: in quel momento, quel sorriso sembrava più sincero di quanto non fosse in molti altri momenti.
-Che stavi canticchiando?- gli domandò Pietro, passandosi le mani bagnate sui jeans, nel tentativo di asciugarle almeno un po’. Fernando aveva appena smesso di fischiettare, continuando però a muovere il corpo al ritmo di un brano che doveva avere ancora in testa.
-Una qualche canzone commerciale che passano in radio- gli rispose semplicemente, sfregandosi le mani sotto il getto d’acqua del lavandino – Non ha importanza quale. Basta che sia ballabile-.
-Anche questo tuo lato deve essere un retaggio del tuo antico sangue spagnolo- commentò Pietro, riuscendo a stento a trattenersi dal ridere. L’allegria di Fernando riusciva quasi a influenzarlo, tanto era contagiosa spesso e volentieri.
-Non lo confermerò, né lo negherò-.
Fernando si rimise di nuovo a schiena dritta, girandosi verso Pietro e lanciandogli uno dei suoi sguardi astuti, che preludevano sempre a qualche gesto o frase sconsiderati:
-Noi spagnoli siamo sempre molto passionali in molte cose- disse, facendo qualche passo avanti, ed avvicinandosi pericolosamente a Pietro – Nel ballo, nel canto, nel teatro, e nel cinema-.
-E nell’amore?-.
Fernando gli era ormai addosso, il naso di Pietro che toccava quasi il suo.
-Soprattutto nell’amore-.
Ricevere un bacio da Fernando non gli sarebbe dispiaciuto, e non l’avrebbe evitato se si fossero trovati in un qualsiasi altro posto. Ma erano in uno squallido bagno di un bar, e Pietro non aveva alcuna intenzione di ripetere la stessa esperienza che aveva avuto con Alessio, in un posto del tutto simile a quello dove c’era stato quel maledetto loro bacio.
Fernando sembrò contrariato quando Pietro si scostò da lui, a disagio:
-Aspetta- mormorò, posando una mano sulla spalla dello spagnolo – Non qui-.
-Pensavo non ti andasse nemmeno da qualche altra parte- replicò Fernando, la voce roca per aver cercato di parlare a bassa voce.
Pietro avrebbe voluto semplicemente dirgli “Ma certo che mi va, idiota”, ma si limitò a restituirgli il ghigno astuto che pian piano stava tornando a piegare la bocca dell’altro.
-Andiamo da te-.
A quelle parole, Fernando non poté fare a meno di leccarsi le labbra, come pregustando già il sapore che avrebbe avuto quel bacio che Pietro gli aveva appena promesso.
 
*
 
Il tragitto verso l’appartamento di Fernando era stato frettoloso e disordinato, e sebbene non fossero arrivati lì da molto, Pietro ricordava già piuttosto sfocatamente gli eventi che si erano susseguiti da quando avevano lasciato il bar fino a quel momento.
Non ricordava bene quanto poco tempo avessero impiegato nel percorrere la strada che li separava dalla meta, né ricordava esattamente quale era stato il momento in cui si era reso conto che la torta che Fernando doveva offrirgli era stata solo una scusa per giungere lì. Non ricordava nemmeno esattamente quanto tempo era passato da quando Fernando aveva aperto la porta di casa sua, al momento in cui si era letteralmente fiondato sulle sue labbra.
Tutto il resto, però, Pietro lo ricordava, anche se i dettagli e i particolari erano già diventati offuscati. Sapeva solo che, almeno all’inizio, non aveva ricambiato con convinzione il bacio di Fernando. Non era il primo bacio che condividevano negli ultimi mesi – ce n’erano stati molti di più di quanto Pietro stesso avrebbe voluto ammettere-, ma in quel momento era stato diverso: avevano parlato di Giada fino a poco prima, e anche se ormai era solo questione di pochi giorni prima di lasciarla definitivamente, si era sentito più colpevole del solito nei suoi confronti. Poi quel pensiero era stato sostituito da quello di Fernando – di Fernando che continuava a baciarlo, baci che sembravano differenti da quelli che avevano condiviso finora-, e solo alla fine anche Alessio aveva fatto capolino nella sua mente. Negli ultimi mesi il ricordo di Alessio era diventato sempre più sfumato, anche se ancora presente; forse era stato proprio il ricordare lui e i suoi baci amari che aveva spinto Pietro a ricambiare finalmente gli approcci di Fernando.
Fernando non era il primo uomo che baciava, ma era l’unico che aveva mai baciato con la piena consapevolezza di essere un uomo a desiderare i baci di un altro uomo. Con Alessio era sempre stato troppo confuso ed inaspettato, ma con Fernando c’era quella presa di coscienza che era sempre mancata prima.
Il profumo femminile e dolce, la pelle liscia del viso di una donna erano le cose più distanti e diverse che si potessero associare a Fernando, e Pietro preferiva di gran lunga così. Si era chiesto come aveva fatto per gran parte della sua adolescenza a non rendersi conto prima che non erano le ragazze ciò che desiderava: adesso, dopo aver provato la sensazione di voler stare con un altro uomo, di baciarlo e toccarlo, sapeva che non sarebbe più potuto tornare indietro. Forse era anche per quello che, ormai, non riusciva quasi nemmeno più a sopportare l’idea di restare con Giada.
I baci di Fernando erano proseguiti a lungo – sulla sua bocca, sulla linea della mascella, lungo il collo, in un tragitto che aveva fatto vibrare Pietro-, quasi a volerlo preparare al nuovo contatto delle mani sui suoi fianchi. Fernando le aveva appoggiate cautamente, perché fino a quel punto si erano spinto solo qualche altra volta; nei mesi passati non c’era mai stato nulla di più fisico dei baci che si scambiavano al sicuro tra le mura dell’appartamento di Fernando.
Pietro non si era divincolato, come se tutti gli iniziali timori fossero finalmente scomparsi. Cominciava ad avere la mente annebbiata, troppo eccitata per pensare razionalmente che stava sbagliando – di nuovo, per l’ennesima volta-, che al posto di Fernando, in fondo, voleva ancora ci fosse qualcun altro, anche se ormai era quasi riuscito del tutto a mettere a tacere quella voce. Aveva accettato quel contatto, e non aveva impedito che Fernando lo guidasse verso il salotto. Non si ribellò nemmeno quando inciamparono tra i piedi l’uno dell’altro, finendo lungo distesi sul divano. Pietro aveva riso, e dopo un breve momento di tensione, anche Fernando si era lasciato andare ad una risata meno ansiosa.
Da quell’ultimo passo, fino al momento in cui si trovavano ora, Pietro non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato: sarebbero potuti essere cinque minuti come un’ora, tanto il tempo sembrava essersi dilatato.
Diversamente da come avrebbe pensato non si sentiva in trappola, con la schiena contro la superficie morbida del divano e sotto il peso del corpo di Fernando. Era insolito poter pensare di sentirsi a suo agio, a suo agio per davvero.
Non si era vergognato, poco prima, di aver artigliato le mani al bordo del maglione di Fernando, né di averlo fatto passare lungo la schiena fino a sfilarlo. Quando si era ritrovato a torso nudo, Fernando l’aveva guardato sorpreso, forse perché non se l’era minimamente aspettato, né sapeva come reagire a quel gesto; quell’occhiata insicura era durata comunque poco, perché Pietro gli si era di nuovo avvicinato, tornando a baciarlo come aveva fatto fino a quel momento.
Non si era fatto prendere dal panico nemmeno quando Fernando gli aveva ricambiato il favore, spogliandolo della felpa. Pietro aveva rabbrividito, sia per il freddo pungente che ora sentiva, sia per la scia umida di baci che Fernando gli aveva lasciato subito dopo lungo il torace e l’addome.
Cominciava a sentirsi sicuro di sé – forse fin troppo-, così sicuro e deciso come non si sentiva da tempo. Iniziava quasi a pensare che quella sensazione sarebbe durata ancora a lungo, se non per sempre, almeno fino a quando Fernando non si stese di nuovo su di lui, e la sua erezione premette inequivocabile contro la sua coscia.
Bloccarsi fu quasi istintivo, ma Pietro si dette ugualmente dello stupido quando interruppe repentinamente il bacio che Fernando stava cercando di ottenere da lui.
Fernando lo guardò in un misto di panico e colpa, dopo essersi fermato, il fiato ancora corto e il viso arrossato. Pietro aprì e richiuse la bocca più di una volta, prima di rendersi conto che non riusciva a trovare qualcosa di vagamente decente da dire. Aveva ancora la mente troppo annebbiata, e si sentiva ancora troppo stranito; cercò di pensare a qualsiasi cosa da dire, anche la più banale – “Non preoccuparti, sto bene”, “Non hai fatto nulla di sbagliato, sono io che ancora non mi sono abituato a tutto questo, “Ehi, in fin dei conti sono un uomo anch’io, mi sarei dovuto aspettare una reazione fisica simile”-, ma non riuscì a spiccicare parola. Era uno dei momenti più imbarazzanti della sua vita, non solo perché si stava rendendo conto di apparire indifeso e ingenuo agli occhi di Fernando, ma soprattutto perché lo stava facendo sentire in colpa per un errore che non aveva commesso.
Calò un silenzio che a Pietro sembrò assordante, e totalmente fuori posto. Cercò di mettersi meglio a sedere, dopo che Fernando gli si fu allontanato maggiormente, sedendosi a sua volta all’altro lato del divano.
Per la seconda volta da quando lo conosceva, Pietro vide un Fernando spogliato di qualsiasi maliziosità e sfrontatezza: sembrava solo un ragazzo in preda ai sensi di colpa, stretto nelle spalle e senza alcuna barriera atta a nascondere quel suo lato insicuro.
Pietro allungò una mano verso la spalla nuda di Fernando, toccandolo appena:
-Scusami, io … - riuscì finalmente a dire qualcosa, anche se era solo una minima parte di ciò che gli stava vorticando nella testa. Il silenzio venne riempito da Fernando, che si girò verso di lui quasi subito:
-No, scusami tu- gli rivolse un sorriso, che però non aveva nemmeno la pretesa di apparire anche solo lontanamente convincente – Stiamo correndo troppo, e non è giusto nei tuoi confronti. Mi sarei dovuto fermare molto prima-.
Pietro annuì, capendo perfettamente come si doveva sentire Fernando in quel momento. Gli parve estremamente ingiusto che, per una sua esitazione, ora fosse l’altro a sentirsi colpevole.
-Se non mi andava, ti avrei fermato io stesso. E ora … -.
-Ora ti sei fermato- concluse Fernando, al posto di Pietro – E io per primo mi sarei dovuto fermare molto prima-.
Pietro si morse il labbro inferiore, incapace di gestire al meglio quella situazione. Comprendeva quel che voleva dire Fernando: si sentiva responsabile per avergli messo fretta, per aver cercato di accelerare quella sua prima volta. Forse in parte aveva ragione, avevano corso troppo, Pietro se ne rese conto; allo stesso tempo, però, non poté fare a meno di ripensare a quanto fosse stato liberatorio quello che c’era stato tra di loro.
-Non devi sentirti in colpa. Non stavamo facendo nulla di male- la carezza sulla spalla di Fernando si fece più decisa; le parole di Pietro sembrarono sortire qualche effetto, perché stavolta Fernando sorrise meno malinconicamente:
-Mi piace sentirtelo dire- ricambiò la carezza posando a sua volta la mano sopra quella di Pietro – Ma non voglio ferirti, né metterti alcuna fretta, e io per primo so che cosa vuol dire fare certe cose contro la propria volontà. Non avrei dovuto spingermi così in là con te, non in questo momento-.
-Non sono arrabbiato- replicò Pietro, chiedendosi per un attimo cosa volesse davvero intendere Fernando con quello che aveva appena detto – Ok, per me è ancora insolito trovarmi in situazioni del genere con un ragazzo … Ma mi stava piacendo. Sul serio-.
Si sentì arrossire, mentre faceva quell’ammissione. Non gli veniva così naturale esprimere ad alta voce quelle consapevolezze, ma si sforzò per togliere il peso della colpa all’altro. Per tutta risposta, Fernando rise piano, lanciandogli uno sguardo divertito: per un attimo, sembrò essere tornato tutto come sempre.
-Lo prenderò come un complimento-.
-Dovresti-.
Anche Pietro rise, stemperando la tensione che si era creata. Rimasero in silenzio ancora un po’, prima che Fernando si girasse ancora una volta verso Pietro, tenendo ancora la sua mano nella sua. Si sporse verso di lui, lasciandogli un bacio leggero sulla spalla ancora nuda.
-Un passo alla volta, va bene?- mormorò, a pochi centimetri da lui, con una tale serietà che Pietro quasi si agitò – Non c’è alcun bisogno di correre. E poi prima devi chiudere la storia con Giada-.
Pietro ricambiò la stretta della mano, sorridendo piano:
-Un passo alla volta-.
 


Rimasero lì ancora un’ora; dopo essersi rivestiti, Fernando gli aveva finalmente offerto una fetta di coca di San Juan, come gli aveva promesso qualche giorno prima. Avevano mangiato restando in silenzio, un silenzio che però Pietro non avrebbe definito imbarazzante. Era più un silenzio fatto di parole sottintese, di frasi che stavano pensando entrambi ma che nessuno dei due avrebbe detto a voce.
Era stato strano trovarsi in una situazione così intima, ma era stato uno strano piacevole; era altrettanto strano, doveva ammettere Pietro, pensare che Fernando era ormai diventando da tempo un punto di riferimento per lui. Era qualcuno con cui sfogarsi, qualcuno con cui confidarsi ed avere un punto di vista più esterno di quanto non avrebbero mai potuto fare i suoi amici; ed era, soprattutto, qualcuno con cui non doversi nascondere.
Non si illudeva di poter sostituire Alessio con lui – per quanto pensasse molto meno a quel che provava per lui, l’amore per Alessio era ancora tutto lì, meno idealizzato e più doloroso che mai, sepolto sotto metri di ricordi dolceamari-, ma perlomeno era pur sempre qualcuno con cui essere il vero Pietro.
E ora che era venuta sera e la notte era definitivamente calata, sempre accompagnata dalla pioggia, stava anche venendo il momento di tornare al solito Pietro, quello che tutti pensavano di conoscere e che ormai cominciava a stargli fin troppo stretto.
-Devo tornare a casa- mormorò, passandosi le mani su un tovagliolo, prima di controllare l’ora sul display del telefono.
-Non sembri molto contento- commentò Fernando, con quel suo sorriso con cui sembrava sempre saperla lunga. Pietro sbuffò, esasperato: era abbastanza ovvio che la sua faccia dovesse sembrare la stessa che si aveva ad un funerale.
-Non lo sono, infatti- confermò, alzandosi dalla sedia e facendo qualche passo distante dal tavolo su cui avevano mangiato – Non è più un ambiente molto sereno-.
-Puoi ancora fare qualcosa per farlo tornare così, però- Fernando si alzò a sua volta, seguendolo verso l’ingresso, dove all’appendiabiti c’era la giacca dell’altro.
Pietro si fermò a guardarlo, mentre si rivestiva, pronto a lanciarsi fuori nell’aria piovosa e fredda di quella sera.
-Lo so- Pietro si concesse di sorridere ancora una volta, mentre si avvicinava a Fernando un’ultima volta, per lasciargli un ultimo bacio – Credo che la prossima volta che ci vedremo sarò cambiato qualcosa-.
“O forse sarà cambiato tutto”.
 
 



 
[1] da "The Perks of Being a Wallflower"
*il copyright della canzone appartiene esclusivamente alla band e ai suoi autori.
NOTE DELLE AUTRICI
Vi avevamo promesso un capitolo scoppiettante, e in effetti 😂
Dopo un piccolo salto temporale di più di un mese dall’ultimo capitolo, e che ci catapulta nel cuore dell'autunno a cavallo tra la fine di ottobre e i primi giorni di novembre, ci ritroviamo a Venezia, dove scopriamo un Alessio piuttosto preso male e il motivo non è altro che la probabile gravidanza di Alice. Il difficile rapporto di Alessio con la paternità non è di certo una cosa inaspettata, e rende la situazione ancora più complicata.
Altra situazione non poco semplice è quella tra Caterina e suo fratello. Caterina alla fine non ha mantenuto la promessa fatta a Giulia, perchè di fronte a Lorenzo non è riuscita a trattenersi e a fare finta di nulla. Lorenzo ha ricevuto il cazziatone dovuto, e chissà se questo dettaglio cambierà qualche equilibrio in questa faccenda... Chissà!
E veniamo infine a Pietro: viste le premesse con Giada, forse non sorprende molto che finalmente abbia deciso che sia meglio troncare con lei definitivamente. E la prima persona a sapere di queste sue intenzioni è proprio Fernando … Il legame tra di loro si sta rafforzando sempre di più, anche se qualche momento d'indecisione e timore da parte di Pietro c'è ancora ... Ma chissà, magari da questo momento in avanti la loro relazione potrà avere una marcia in più, soprattutto tenendo conto del fatto che, in pochi giorni, Pietro lascerà Giada.
Nel prossimo capitolo molte cose potranno cambiare, esattamente come ne è convinto Pietro ... Sarà davvero così?
Lo scopriremo mercoledì 9 novembre!
Kiara & Greyjoy
   
 
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