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Autore: Carla Marrone    28/10/2022    0 recensioni
[avengers]
Clarissa non avrebbe mai pensato che una semplice passeggiata in collina l'avrebbe portata, un giorno, a fare la conoscenza degli eroi più forti della Terra. Certo, avrebbe sperato fosse in circostanze migliori.
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Kidfic | Avvertimenti: nessuno
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CAMPI DI LAVANDA

 

C’E’ CHI HA I MUSCOLI E CHI UNA MATITA, ANZI, DUE

 

Il sole penetra nei miei occhi e costringe le palpebre a separarsi. Lo faccio così lentamente, che riesco a vedere le ciglia. Capisco di essermi svegliata, dopo aver sentito della musica. Si tratta di un assolo di Taksim, il violino arabo, usato nella danza del ventre. L’ho scaricato ed applicato come suoneria del cellulare. Di conseguenza, devo sbrigarmi a rispondere. Allungo una mano sotto al cuscino ed estraggo la custodia trasparente, decorata da un gatto con tanto di occhiali da sole, intento ad ingoiare i glitter che si muovono nel fluido. Lo giro ed infilo il charm dalle perline color pastello intorno al polso. Compare una colorata ragazza anime con le orecchie feline. Premo sul tasto “accetta”. 

“Brondo.” Biascico.

“Ma come Clarina?!” E’ la voce squillante di Simone a darmi il buongiorno.

“Ciao Simo. Tutto bene?” Il mio tono esce lentamente dall’oltretomba. 

“Ancora nel letto eh? Lo sai che sono quasi le nove? Forza, colazione, esercizio, lavoro e poi vieni dritta al locale a ballare per il mio adorato Manuel!” Dice urlando tutto d’un fiato ed il mio cervello ancora nascosto sotto il trono di Morfeo fatica a processare la mole di ordini che mi impartisce. 

Decido di iniziare con le solite scuse:- Ho lavorato al brand tutta la notte e cercavo di riposare un po’ le stanche membra. Sai, ormai ho una certa età. Quindi stasera avete organizzato qualcosa?- Mi metto a sedere e cerco di concentrarmi. Sposto il guanciale dietro la schiena. - Scusa, ma non ricordo più nessuna coreografia. Saranno quattro mesi che non muovo un passo.- Ridacchio un po’ nervosa. 

“Appunto! Sarebbe ora che ricominciassi. Da quando hai mollato la danza orientale per metterti a lavorare a quelle stupide magliette, non sei più tu. E poi, l’hai detto no? Ormai hai diciotto anni. Se puoi disegnare tutta la notte, puoi anche BALLARE tutta la notte ed ubriacarti e flirtare ed avere degli AMICI. Veri, intendo. Non quei tocchi di manzo che vedo, quando butto l’occhio sui fumetti che leggi. Grassi, flaccidi, barbuti, oppure troppo bassi e mingherlini. Ma, insomma, VERI! Io non credo proprio che ai tuoi amatissimi super eroi diano in dotazione dei genitali, tra l’altro.”

Detesto quando Simone mi buca i timpani. E detesto quando ha ragione. Ma non gliela do’ vinta.

“Solo perché non vedi una cosa, non significa che non c’è. I disegnatori di materiale per bambini non possono creare personaggi che combattono nudi. Anche se credo sarebbe incredibilmente istruttivo. Pensa, potrebbero smettere di insegnare l’apparato riproduttore nelle scuole. Non che creda che i fanciulli non sappiano già benissimo cos’è. Di ‘sti tempi. Comunque, no Simo. Non ce la faccio proprio, per quanto desideri ardentemente una vodka alla fragola e, magari, una alla pesca e, perché no, un digestivo alla liquirizia, per mandare giù tutto.”

“E beh, cosa aspetti allora? Non dirmi che sei ingrassata e i costumini non ti vanno più.”

“Guarda, questo è possibile. L’ultima volta che mi sono pesata ero cinquantacinque chili e, come tu sai, sono alta, si fa per dire, un metro e cinquantacinque. Praticamente, un cubo. Anzi, considerato quanto sto mangiando, ultimamente, direi che sono un parallelepipedo. Quello messo in orizzontale.” Spero che, almeno, rida. Mi piace far divertire la gente.

“Bene.- dice, invece, serio.- Facciamo così: tu ti provi i costumi e, se non te ne va bene neanche uno, te ne presto dei miei.” 

“Davvero Simone.- torno calma pure io. - Non me la sento di uscire. Sono troppo assorbita da questo lavoro sulla grafica del marchio di abbigliamento. Ma, ti prometto che, quando saranno pronte, mi farò mandare un po’ di felpe con le mie stampe ed i miei loghi. So che le adori. Sono sicura ti piaceranno. Anda è un brand piuttosto costoso. Fanno le cose per bene. Ottima qualità. Ok?”

“…Va bene. - Mi dice, infine, deluso, dopo un breve silenzio.- Però da quando sei maggiorenne, sei noiosa.” 

“Eh, eh. Ti voglio bene. Salutami Manu e tutte le ragazze. Ci sentiamo per la prossima.” Concludo.

“Ciao Clarissa. Scrivi sul gruppo!” Mi strilla un ultimo ordine con la consueta voce allegra ed attacca. 

Non è andata, poi, così male. Un po’ mi pento della mia decisione. Ma, il lavoro è lavoro. Come ha detto Simone, colazione ed esercizio. Poi, toccherà al disegno. 

Mi verso un bicchiere di latte di riso e divoro una banana. Riempio le ciotole di Mercoledì e Cassandra, i miei due Sphynx neri, di croccantini. Mando un messaggio alla mamma. Le faccio sapere che sono sveglia, ho preso le medicine e vado a fare due passi in collina. Mi informa che rientrerà da scuola verso le due. Aggiunge un’infinità di cuoricini e così faccio io, accompagnati da adesivi stile anime Kawaii, trovati sul web. 

Mi ravvivo i capelli, davanti allo specchio. Ieri, li ho arricciati. Applico un leggero trucco rosa-beige. Non si sa mai, magari, mentre passeggio per i boschi, potrei incontrare l’amore della mia vita. Come no, continua a sognare Clarissa. Ma cosa sarebbe l’uomo senza sogni? E la donna? Ma, soprattutto, cosa sarei io. Ok, ora di andare. Mi reco nello studio. Apro il primo cassetto del settimanale nero. Quello dove tengo le cose più importanti. Apro il fascicolatore che sta sopra agli altri. Mi perdo, per qualche attimo nei campi di lavanda, dove ho ritratto la mia famiglia al completo, intenta a fare un picnic, quando ero bambina. Uno dei miei primi lavori a colore e, tutt’ora, il mio preferito. Si tratta di una specie di rituale, prima di uscire. Quando vado a trovare i miei cari al sud, me lo porto dietro, persino. Ma ora basta con i sentimentalismi. Distribuisco alcune carezze alle mie signorine nude ed orecchiute, afferro le chiavi e mi avvio verso lo sterrato, in fondo alla strada. 

Respiro aria buona a pieni polmoni. Fumo, quindi, un po’ di sana freschezza mi fa bene. L’unico rumore che sento è il tintinnio delle chiavi… e dei passi alle mie spalle. Credo di sapere di chi si tratta. Dev’essere Monica: la patita di sport e scampagnate del quartiere. Va a lavorare in bicicletta. Si sveglia all’alba. Non so come faccia. Se escludiamo che so ballare, non sono particolarmente sportiva ed invidio chiunque riesca ad esserlo. Direi che Monica è la mia super eroina realmente esistente preferita. Mi volto per salutarla. Nessuno. Il sorriso svanisce dalla mia faccia. Avrei proprio giurato. Continuo a camminare e tiro dritta e tranquilla per il sentiero in salita. E visto come affronto io le salite, direi non sia stata una buona idea truccarmi. Il verde delle foglie si riflette sulle mie iridi, sospinto dai raggi, che filtrano attraverso le fronde degli alberi. Lo sento su di me e mi fa bene. Il vento gioca a nascondino col sole. Analizzo e memorizzo ciò che vedo, già pregustando una magnifica illustrazione. Mi riprometto di portarmi dietro il telefono, per scattare qualche foto, la prossima volta che vengo qui. Sento solo il fruscio incantato della foresta e lo scricchiolare dei ciottoli sotto le mie scarpe da ginnastica nere. E di nuovo quegli strani passi concitati. Stavolta, mi giro di scatto. Non vorrei essere paranoica, ma la prudenza non è mai troppa. Qualcosa mi colpisce alla testa ed in pieno petto. Ho buona vista, di conseguenza, analizzo, in fretta. Si tratta di un uomo. Alto, muscoloso. Porta una tuta bianca con delle bordure particolari ed una specie di passamontagna nero. Su di esso vi è un simbolo. Una sorta di occhio, infilzato da due frecce dalla punta blu. Imprimermelo nella mente è l’ultimo sforzo che riesco a fare prima di cadere a terra. Mi prende un forte dolore al cranio. Fortunatamente, dura solo qualche secondo. Mentre mi rialzo, vedo delle strane lucine azzurre, rotonde, simili a lucciole, davanti alla mia faccia. Salgono verso l’alto e svaniscono. Devo proprio averla presa bella forte la botta alla coccia. Mi guardo intorno. Del jogger impazzito non c’è più traccia. Beh, meno male. Correva con una tale foga da mandarmi al tappeto, senza neanche fermarsi o, che so, scusarsi. Almeno un vaffa ben piazzato se lo meritava. E io che credevo avrei incontrato l’altra metà della mela. A momenti, me la rompeva, la mela.

 “…vieni…”

Chi mi chiama, qualcuno che conosco? Osservo qua e la’, ma il sentiero è vuoto. D’accordo. Questa giornata diventa sempre più strana. Meglio tornare a casa. Sento l’improvviso bisogno di farmi una doccia. Molto. Calda. Più resto qui e più sento freddo. Curioso, è quasi estate. Dev’essere stata la caduta. Inizio a scendere gonfia di rancore per la mia innegabile sfortuna con gli uomini. La storia della mia mia vita. Non fatemi nemmeno incominciare a raccontare. Voglio dire, in prima liceo avevo una cotta per Simone! Adesso è il mio miglior amico. E ho detto tutto. Se soltanto apparisse un bell’omaccione dalla pelle scura, gonfio di muscoli, elegantemente abbigliato, avvolto da un’alone di mistero, dato dalla benda su di un occhio, esattamente come quello che mi aspetta, proprio ora, alla fine della strada. Un momento. E’ reale. Ed è anche molto affascinante. Figuriamoci se mi parla. Arrivata a pochi passi da lui, azzardo un sorriso ed un “buongiorno” biascicato. Sicuramente, non mi degnerà di uno sguardo. Forse, non mi vede neanche, da là in alto. Sono sotto i suoi radar. Ma che ci volete fare, quando vedo i bicipiti, non capisco più niente. 

“Salve, Clarissa Mancini.” Mi dice con voce profonda, in inglese, con un forte accento americano. 

Credevo che il mio compleanno fosse passato da un pezzo!

“Salve.” Gli rispondo. Fortunatamente mia madre è un’insegnante di lingue. E, altrettanto bene, ho un blog, commentato prevalentemente nella lingua più universale. “Ci conosciamo? - divento improvvisamente timida. Mi succede quando mi sento in colpa per aver dimenticato un volto. Di solito, ho un’ottima memoria fotografica. E’ utile, facendo l’illustratrice. - Mi scusi, mi può ricordare il suo nome?” Chiedo piegando il capo. Le mani mi si uniscono davanti allo stomaco. 

“Mi chiamo Nick Fury e sono il direttore dello S.H.I.E.L.D.” Afferma sbrigativo, con le braccia dietro la schiena ed il petto in fuori. 

Dove ho già sentito quella parola?

“Saprà sicuramente di cosa si tratta.” Mi guarda inquisitorio. Meno male che di occhio ne ha uno solo. Che effetto mi avrebbe fatto se li avesse avuti tutti e due? Quest’uomo non ha un alone di mistero, ha un’aura. E non è misteriosa, è autoritaria. Non lo conosco, eppure, riesco già a percepirlo. Comincio ad avere paura, ma cerco di non darlo a vedere. Ho come la sensazione che non gli sfugga, tuttavia. Mi sforzo di spremermi le meningi. Ed ecco!

“Ah, certo. Vi occupate di difesa su larga scala. Al telegiornale ho sentito che avete sede a New York. Beati voi - aggiungo maldestra. Poi, aggiusto il tiro. - E’ un onore conoscerla, signore. Chi stava cercando?” 

Sorride di sbieco. “Proprio te, Clarissa. E se pensi sia una fortuna abitare a New York, sappi che sarà la tua casa, da adesso, fino ad un po’.”

Sento i miei occhi dilatarsi. Ho come paura di doverli raccogliere, dopo che siano rotolati giù. Le mani crollano lungo i fianchi. Stranamente, la testa rimane immobile. Le parole scappano di bocca, senza che neanche mi renda conto di averle pensate:- Perché, cosa ho fatto?- 

Allunga una mano davanti a lui e la apre con gesto solenne. Poi, lentamente, riprende la posa originale. “Oh, nulla. Non preoccuparti. Si tratta, più che altro, di ciò che hanno fatto a te. - Decido di lasciarlo parlare, nella speranza di ricevere una spiegazione che, per fortuna, non si fa attendere. - Come tu, forse, saprai, noi dello S.H.I.E.L.D. ci occupiamo di super criminali. Li contrastiamo formando i e collaborando con i super eroi. Siamo, prevalentemente, un’organizzazione di intelligence. E’ questo il motivo per cui conosco il tuo nome. Eravamo sulle tracce di un individuo sconosciuto e molto pericoloso. Non conosciamo né il suo nome, né l’aspetto. Ma sappiamo, per certo, che portava con sé una merce che dobbiamo assolutamente recuperare. E sappiamo che potresti averlo incontrato. - estrae dal retro del lungo giaccone nero un curioso dispositivo. Ha un piccolo schermo blu ed un lining nero, con un paio di antenne frontali. - Vedi, il motivo per cui vorremmo che venissi con noi, è che crediamo tu sia stata contaminata da questa “merce”.” Quasi a voler provare il punto, il device comincia a suonare fastidiosamente. 

Gli pongo l’unica e sola domanda che si delinea nella mia mente:- Influirà negativamente sulla mia salute?- 

Mi risponde dopo un infinito attimo di silenzio:- Se tutto andrà bene e gli eroi faranno il loro lavoro a dovere, non morirai.- 

E che cacchio, andiamo bene! Penso ed ho quasi paura di averglielo urlato. Va bene che la vittima qui sono io, ma questo mi fa davvero paura. Mi sorprende che non sia già morta di infarto.

Sfortunatamente, non gli bastava. Mi infligge il colpo di grazia:- Ti concedo due ore di tempo per salutare la tua famiglia e fare i bagagli. Mi troverai nel cortile.- 

Quanto vorrei mandarlo a quel paese. Ma non posso, lui è Nick Fury. 

 

Informo mia madre a grandi linee, mentre infilo più cose posso nella valigia. A partire dai materiali da disegno, i miei strumenti di lavoro. Ovviamente, prendo i campi di lavanda. Senza quel dipinto, non ce la farei. Abbraccio le gatte, quasi piangendo. Già che ci sono, le foraggio di croccantini all’erba gatta, il loro premio preferito. Gradiscono. 

Mentre mi vesto mando un messaggio sul gruppo Nefertiti Danzante e controllo se, per caso, non ci sono mail di lavoro. Fortunatamente, lavoro da casa e non sarà un problema continuare a collaborare con Anda anche dagli Stati Uniti. Indosso una gonna corta di pizzo bianco a balze ed una t-shirt con lo scollo a V di colore rosa chiaro. I capelli mi danno fastidio davanti alla faccia, quindi, metto un sottile cerchietto con un piccolo fiocco laterale, dello stesso colore della maglietta. Do’ una rapida ritoccata al trucco. Infine, ai piedi, calzo delle ballerine nere, con una fascetta alla bebè sulla caviglia. In borsetta ricordo gli occhiali, l’accendino e le sigarette, oltre a mezza casa. Scelgo una borsa molto capiente, salmone, con dei disegni di anime girls, che ho acquistato ad un comic-con. Non dimentico la mia consolle portatile, con alcuni giochi e le cuffie. Anche se, ad essere oneste, di games è già pieno il mio cellulare. Ah, già, il lettore e-book. Ok, credo ci sia tutto. E se non c’è, non importa. E’ ora di andare. Se non mi uccide “l’infezione”, lo farà Fury, me lo sento. Nello scendere le scale, mi accorgo, fastidiosamente, che, forse, ho portato con me un po’ troppa roba. Mah, poco importa, del sano movimento fisico non può che giovarmi. 

Mi vengono le lacrime agli occhi, quando vedo mia madre in cortile parlare con Nick. Si è catapultata qui, da scuola, in un baleno, rischiando un incidente. Farebbe questo ed altro per me, la conosco. Mi vede e mi viene incontro. Anche lei è commossa.

La vedo serrare le labbra. “Stai attenta in America, amorino mio.”

“Ti voglio bene. Ti scrivo tutti i giorni.”

“Va bene. Ti mando i video delle gattine.”

“Grazie. Ah, ho dimenticato di dare l’alga spirulina ai pesci!”

“Non preoccuparti, adesso gliela do io.” La voce le si incrina.

 

“Allora, signore, siete pronte?” La voce frettolosa e quasi canzonatoria del dirigente generale ci riporta fuori da noi, alla realtà. So già che mi farà odiare l’America. 

In un attimo solleva la mia valigia, come fosse vuota. Tira fuori un telecomando dalla tasca e preme un tasto. Improvvisamente, appare una sorta di macchina sportiva senza ruote. Ed intendo che fluttua nel vuoto! Mia madre si lascia sfuggire un urletto. Di solito è una tipa tosta, ma, questo è davvero troppo per lei. Carica il mio bagaglio sul non meglio identificato mezzo, con un gesto rapido e fluido. La portiera si apre. Mi fa cenno di salire.

“Ti mando anche le foto dell’acquario, domenica lo pulisco e ti messaggio!” Mi urla Giusy, una volta che sono a bordo, in un soffio più acuto del suo normale.

“Va bene, aspetto anche i filmati.” Le rispondo ad alta voce, poco prima che il portello si chiuda. Mentre prendiamo quota, vedo mia madre farsi sempre più piccola e lontana. Inizia a girarmi la testa. Soffro di vertigini. Ma non è per questo che mi manca l’aria. Non ho mai lasciato l’Italia, prima d’ora. E non l’ho mai fatto a bordo di un’auto volante che infrange la barriera del suono. Davvero, stiamo andando troppo veloci. Non ho mai sofferto il mal d’auto, ma mi ci vuole una certa concentrazione per non dare di stomaco. 

 

Il viaggio si svolge nel silenzio più assoluto. Il comandante apre bocca un’unica volta, all’inizio, solo per dirmi di non raccontare nulla che riguardi il mio incontro con il cattivo, lo S.H.I.E.L.D., o gli agenti e i super eroi che incontrerò. E lo fa in un tono maledettamente convincente. Credo che, se sopravviverò a questa avventura, rimarrò muta a vita. Avrà dato l’alga spirulina ai pesci la mamma? E adesso, che mi invento con i miei amici? Stupidamente, gli ho detto che andavo in America e, adesso, mi stanno tempestando di domande. Mentre invento scusa su scusa, ne approfitto per NON guardare giù dal finestrino. Pena il conato di vomito. Rimango concentrata sul dispositivo mobile e, in un attimo, ci siamo. Così, almeno, dice Nick. Non credevo che gli States fossero così vicini. Ma a che velocità abbiamo viaggiato? Alzo lo sguardo e vedo la cosa più incredibile della mia vita. Un’immensa nave volante, divisa in tre sezioni. La più grande abbia mai veduto, persino nei film. Fa sembrare l’Arcadia di Harlock un giocattolo per bambini. E noi ci entreremo dentro? 

“Nick Fury a base centrale. Aprite il portello. Arrivo col carico.” 

Si riferisce alla mia valigia? Scherzi a parte, davvero funziona così? Cioè, lui dà gli orini in questa maniera? Regalatemelo a Natale, vi prego!

Stranamente, una volta dentro, il mal d’aria mia passa completamente. E’ come stare in una città di discrete dimensioni, a terra. Mi accorgo di non essere in grado di chiudere la bocca, un po’ per la magnificenza della struttura, un po’ per la palettata di ormoni che mi arriva da tutti quegli omaccioni e donnone palestrati che si aggirano con nonchalance da queste parti. Devono essere gli agenti di cui mi parlava il gran capitano. Mi sento un’insulsa lillipuziana che trascina la sua valigetta rosa, in un paese di giganti neri e cattivi. No, ragazzi ma se questi sono i buoni, come sono i nemici? Molti omaggiano il comandante. Altri continuano imperterriti con le loro mansioni. Un po’ come me, quando disegno. E’ solo che le nostre consegne sono un tantino diverse. Eh, eh, mi faccio ridere da sola. Ok, sono nervosa. 

Entriamo in una stanza e la luce intensa, arrivata da una grande finestra, di fronte, mi acceca per un attimo. Non appena riesco a mettere, nuovamente, a fuoco, mi rendo conto di essermi sbagliata sulla palettata di ormoni, datami dagli agenti S.H.I.E.LD. Non avevo ancora visto loro… 

“Sarebbe lei l’obiettivo?” Una voce giovanile e piacevole giunge dalla mia sinistra. Mi volto e vedo un uomo moro col pizzetto abitare un’armatura rossa e gialla. 

Fury gli risponde, ma parla con me:- Clarissa. Ti presento gli Avengers. Saranno loro ad occuparsi di te, da adesso in poi.- 

Cosa? Non devo stare su questa nave volante?

Poi, rivolto, nuovamente, all’uomo:- Il tuo rilevatore ha funzionato a puntino Stark. L’ho trovata prima che fosse troppo tardi.-

Il ragazzo di nome Stark prende nuovamente la parola:- Abbastanza tardi per venire contaminata, tuttavia. Mi hai detto che hai rilevato le tracce di gemma lapislazzuli, venire dall’interno del suo corpo?- 

Cos’è la gemma lapislazzuli e perché sta dentro il mio corpo? Chi ce l’ha messa? Ah… il tizio strano che credevo facesse jogging. Quindi, la faccenda è davvero seria. Potrei morire. Stranamente, non mi sento triste. O, forse, lo sono troppo. E’ che nella vita ho imparato a non piangermi addosso. Certo, non guasterebbe se mia madre fosse qui. Va bene non lamentarsi, ma, è vero, o no, che alla mamma si può parlare di tutto? Peccato che io non possa.

“Non essere troppo duro con te stesso Tony.- prende la parola un uomo in uniforme a stelle e strisce. - L’importante è che la ragazza sia viva. E lo è. Grazie a te. Sarà un gioco da ragazzi per Tony Stark estrarre la gemma dal suo corpo e rimandarla a casa.” Conclude rassicurante e soddisfatto. 

“Temo non sia così semplice, Cap.” Gli fa eco, mesto, l’uomo di nome Tony. 

“Beh, non credete che dovremmo cominciare chiedendole come sta?- Chiede Cap rivolto a tutti gli altri. - Tu parli la nostra lingua?” Mi chiede lentamente e scandendo bene le parole come si fa coi deficienti. 

Abbasso la testa, pur continuando a guardarlo. “Sì, signore. Parlo inglese. Mi scuso, tuttavia, per il mio accento. Il problema è se capite voi.” 

Mi sorride. “Non preoccuparti è quasi impercettibile. Ti senti bene?”

Questo è buono. Mi piace. 

“Sì, signore.” Non so, credo ci si rivolga così ai combattenti. Sembra grosso, meglio essere educata. Non voglio davvero vederli arrabbiati questi fenomeni da baraccone. 

“Chiamami pure Cap, o, Steve, se preferisci. Vivremo insieme all’Avengers Tower, possiamo essere amici.” Mi dice con una naturalezza assurda.

“Grazie Steve.” Meglio fare come dicono. 

Stavolta, è Tony a rivolgersi a me:- Se non hai nulla in contrario, dovrei condurre alcuni esperimenti sulla tua matrice. E’ indispensabile per rimuovere il lapislazzuli dal tuo corpo.- 

Anche lui si dimostra piuttosto disinvolto nel comunicarmi che sarò la sua cavia da laboratorio. Questo mi piace già di meno. “Nessun problema.” Scuoto la testa, con una mezza voce. Vorrei mandarlo a quel paese, nella maniera poco fine, ma, credo sia uno scienziato pazzo. Vanno assecondati. Non mi ha dato il permesso di chiamarlo Tony, quindi, non mi azzardo. 

“Molto bene. Questo mi facilita il compito. Si tratterà prevalentemente di scansioni. Non hai nulla da temere.” Mi sorride, magnifico. Ha i denti più bianchi dei miei. 

E la parte non prevalente? E’ folle, per davvero. 

Continua il suo discorso:- Prima di recarci alla Torre, tuttavia, vorrei che ci fornissi una descrizione della persona che ti ha aggredita e del luogo in cui è avvenuto.- 

Bene, finalmente, una cosa che fa per me. 

“Sono un’illustratrice. Posso provare a disegnare quello che ricordo. Non sono brava a parole. Credo sia meglio.” Suggerisco e comincio a sentirmi sicura di me.

Sembra pensieroso, per un attimo. “Certo, potrebbe essere ugualmente utile.” Mi concede. 

Estraggo due fogli bianchi per sketch dall’agenda-unicorno, nella borsa. Trovo l’astuccio e scelgo due matite HB. Controllo accuratamente la punta. Non c’è bisogno di temperare. 

“Saranno solo delle bozze. Ci vorranno circa cinquantotto secondi.” Annuncio. Mi siedo alla scrivania, davanti agli Avengers.

Guardo i fogli, poi, dentro di me. So cosa fare.

Immagino un reticolato di dieci millimetri. Inizio con le linee di campo, poi, la profondità e la prospettiva. I sipari. Infine, le sfumature, facendo ciò, evidenzio le luci. Lavoro su entrambi i fogli, contemporaneamente, con tutte e due le mani. I miei occhi balzano da un foglio all’altro, veloci. Per circa un minuto, dimentico quanto mi circonda. Adoro disegnare. Mi rilassa tanto. Ho come la sensazione di essere a casa. Ho sempre pensato fosse un luogo più che altro interiore. La magia svanisce. I disegni sono ultimati. 

“A sinistra c’è il luogo e a destra la persona.” Gli comunico, alzando i fogli. 

Nessuno parla. Ma che succede? Hanno tutti delle facce strane. Compreso Fury.

“Sì, l’avevo intuito.- afferma Tony.- Sono piuttosto realistici, per essere degli schizzi.” 

“Signore, ci ha impiegato cinquantasei secondi e mezzo.” Da dove viene questa voce di donna? Non ho visto la ragazza alta, dai capelli rossi, muovere le labbra. Inoltre, sembrava distante e metallica.

“Grazie Friday.” Le risponde Tony. Ma chi ha parlato? 

“Molto bene, grazie Clarissa.” Stark mi punta addosso, all’improvviso, un fascio di luce. Indietreggio. 

“Non c’è bisogno di aver paura. Sto solo scannerizzando le tue immagini.” Mi rassicura.

Quindi, lui lo scanner ce l’ha sul braccio? Perché il mio è così pesante che non riesco a spostarlo da un mobile all’altro? Non mi sono mai posta così tante domande in vita mia. 

“Si tratta di Bassem. Un antico consigliere imperiale egiziano. Risulta defunto, più di tremila anni fa. Il simbolo sulla sua fronte sembra sia stato, un tempo utilizzato da una setta sacra. Non so fornirle informazioni più precise. Tuttavia, su di una roccia, nel luogo rappresentato da Clarissa, vi era lo stesso simbolo. Non credo sia una casualità.” 

Quindi, la voce di donna strana proviene dall’armatura. Dev’essere una specie di navigatore satellitare. Molto, molto evoluto. Strano io non abbia mai notato quel simbolo sulla pietra. Mi capita spesso di disegnare cose che non ricordo di aver visto. Eppure… 

Accidenti. Il nemico è una specie di santone egizio. Spero davvero di essere in buone mani. E io che credevo di essermi già preoccupata abbastanza. Ho come il sentore che queste persone così tecnologiche sappiano il fatto loro, però. 

“Grazie Friday. Dovremo svolgere ulteriori ricerche. Ma, per il momento, questo è più che sufficiente.” Il tizio col pizzetto ringrazia il suo braccio. Un ologramma svanisce nel nulla.

“Almeno, sappiamo cosa stiamo combattendo.” Afferma un ragazzo nero, con un’armatura bianca e rossa. 

“Clarissa, che dire, ti sei rivelata incredibilmente utile.” Lo scienziato mi guarda entusiasta.

“Che dici, molto meglio della tua stampante, Tony!” Scherza un ragazzo dal ciuffo biondo all’insù e gli occhiali viola. 

“Quindi combattiamo zombie?” Tuona la voce di un enorme uomo verde. 

“Direi, più che altro, mummie!” Gli fa eco un grosso uomo biodo dall’elmo alato. 

“Per me è lo stesso. Sono già morti. Sarà una passeggiata spaccarli.” Canzona il colosso. 

“Sì, ma lasciane un pò anche a me, Hulk!” Protesta l’uomo gigante col mantello rosso. 

Ok. Questi due mi fanno proprio paura. 

Una protezione per il viso cala sul pazzoide. Adesso anche lui fa ancora più spavento. 

“Allora sei pronta a salire a bordo dell’Avenjet, Clarissa?” 

Io annuisco per avere salva la vita, anche se non ho ben capito cosa devo fare. 

“Bene, seguici. Fury, lascio il resto a te. Non mi deludere.”

“Dubiti ancora di me, Stark?” 

“Dammi una ragione per non farlo.” 

Fury, di nome e di fatto, lancia un’occhiata furibonda nella direzione del folle cavaliere armato fino ai denti. 

“Almeno abbiamo la gemma. Siamo un passo avanti a loro.” 

“Ne sei convinta Natasha? Io credo che siamo solo diventati un bersaglio più facile. Specialmente…” Il ragazzo occhialuto lascia la frase a metà e mi guarda perplesso.

Non sono stupida. Il bersaglio sono io, lo so.

   
 
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