- penombra
Si intromette – nelle sue conversazioni, nei suoi affari; si adagia delicatamente nello spazio tra le tende e le finestre, nei muri del suo bagno – lo ascolta cantare di tempi migliori sotto la doccia. Lo ascolta; quando Hajime parla, Nagito lo ascolta, anche se non è partecipe attivo della conversazione.
Magari da lontano, nella penombra; magari seduto ad un tavolo nella mensa, da dietro la porta del suo cottage, sotto una palma sulla spiaggia, o appoggiato sulla porta in ospedale. E per quanto si butti e si trascini dietro di lui come un cadavere, legato a lui da un polso al suo collo – e si morde le labbra, e sospira, nell’intimo, in silenzio – Nagito non smette mai di ascoltare.
Quindi quando Hajime si accovaccia nella mensa in piena notte, e aspetta che si annacqui un attacco di panico, Nagito lo accoglie, e gli porge un bicchiere d’acqua. Sorprendentemente di gusto e rispettoso: mantiene le giuste distanze, non lo assilla.
Hajime si tiene la testa – si tira i capelli – e quando finisce, ha una macchia sudata sotto le ascelle. Balbetta, “Nagito,” senza voce, “Come sapevi che ero qui?”
Lo guarda bere, farsi cadere la sola goccia d’acqua che scivola dalla bocca fino al mento, sul collo, sotto la camicia, e Nagito sorride. “So sempre dove sei.”