Osservando il mercante strattonare la bestia all’interno della cinta della Fortezza Rossa, Aegon ebbe l’idea. Di più: vide la scena davanti agli occhi. Aemond, isolato, tagliato fuori, l’inutile impiastro che non assomigliava a nessuno; loro, forti, compatti, uniti, invincibili, irraggiungibili. 

Non avrebbe mai permesso che Jace diventasse suo amico. Essere contro di lui era un modo per essere insieme. 

«Facciamo uno scherzo a Aemond» disse Aegon.

Luke sorrise. Era il più piccolo, ma era sempre quello che osava di più. Aegon aspirava ad essere come Jace, ma era Luke quello che gli assomigliava. 

«Uno scherzo, uno scherzo!»

Figlio maggiore contro figlio maggiore, pensò Aegon. È giusto: no, di più, è l’ordine delle cose.

Sapeva cosa dirgli, eppure si ritrovava stupido e ammutolito come era sempre stato. 

«Fallo» disse soltanto, in ginocchio. 

Anche con la spada del diritto in pugno, Jacaerys esitava. La mano della sua giustizia tremava come quella di un diciassettenne qualunque. 

Avrebbe dovuto finire allora, pensò Aegon. A Luke. 

«Non sei stato tu ad ordinarlo» mormorò Jace. 

«Cosa importa?» La voce di Aegon traboccava di ira e disgusto. «Lui è morto.»

«Importa a me.»

Aegon rise. Era un suono spezzato, riarso. «Se non lo fai, che tu sia dannato, Jace.»

La spada cadde a terra.