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Autore: May Jeevas    31/10/2022    0 recensioni
"Alfred guardava con attenzione lo scorrere dell’acqua scura del fiume, mentre si mordicchiava nervoso il labbro.
Si era ritrovato con i suoi amici per la notte del 31 Ottobre e come da tradizione si stavano raccontando storie dell’orrore. Kiku era già alla terza, e Alfred sperava smettesse presto perché le leggende giapponesi erano terrificanti. Cercava di non dare troppo peso ai racconti. Non avrebbe mai ammesso che a lui quelle storie facevano davvero paura e che quella notte probabilmente non avrebbe chiuso occhio. "
Lieve UsUk
Genere: Demenziale, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Canada/Matthew Williams, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alfred guardava con attenzione lo scorrere dell’acqua scura del fiume, mentre si mordicchiava nervoso il labbro.
Si era ritrovato con i suoi amici per la notte del 31 Ottobre e come da tradizione si stavano raccontando storie dell’orrore. Kiku era già alla terza, e Alfred sperava smettesse presto perché le leggende giapponesi erano terrificanti. Cercava di non dare troppo peso ai racconti. Non avrebbe mai ammesso che a lui quelle storie facevano davvero paura e che quella notte probabilmente non avrebbe chiuso occhio.
“Ma nessuno conosce qualche leggenda locale?” chiese Matthew, guadagnandosi un’occhiataccia da parte del fratello.
“Io una la conosco. Davvero non avete mai sentito la leggenda di Sleepy Hollow?”
Di solito Alfred trovava l’accento inglese di Arthur Kirkland anche carino, ma nel sentirlo pronunciare quella frase gli sembrò solamente molto inquietante. Affondò la mano destra nella terra di fianco a lui, ne prese una zolla e la lanciò nel fiume, giusto per scaricare un poco della tensione che sentiva.
Arthur cominciò a raccontare del terribile cavaliere senza testa e della sorte toccata a Ichabod Crane. Alfred dovette contenersi per smettere di tremare. Maledetto Arthur. Perché aveva dovuto raccontare quella storia?
“E sapete la cosa più interessante di questa storia?” il gruppo di amici si strinse di più attorno all’inglese, che parlava con voce suffusa e misteriosa. “La leggenda narra che Sleepy Hollow… sorgesse proprio qui. Nella contea di Westchester. Quindi state attenti quando tornare a casa… dicono che il cavaliere senza testa infesti ancora… QUESTI LUOGHI!” Le ultime parole vennero urlate, facendo sobbalzare tutti e qualcuno gridò di paura. Alfred ringraziò di essersi tenuto a debita distanza e che nessuno lo avesse visto saltare sul posto. Il cuore gli batteva all’impazzata e il fiato corto come se avesse corso a perdifiato. Scocciato e arrabbiato si alzò e andò verso suo fratello.
“Mattie. Forza, andiamo, mamma e papà ci aspettano.” disse secco, grato di avere la scusa del coprifuoco.
Il più piccolo annuì, un po’ controvoglia, ma prese la bici e si mise di fianco al fratello. Mentre salivano in sella Arthur ghignò, sapendo perfettamente della paura che l’americano aveva per queste storie.
“Attenti a non perdere la testa, ragazzi.” mormorò, la voce tornata soffusa e un sorriso strafottente sulle labbra.
Alfred alzò la testa. “Finchè non devo vedere la tua faccia con quelle sopracciglia da paura andrà tutto bene.” e gli fece una linguaccia, spietato. Gli arrivò un ghigno di approvazione da parte di Francis, e un vago senso di colpa cominciò ad artigliargli il petto. Lo cacciò via scrollando la testa. Era terrorizzato, doveva tornare a casa al buio e c’era quel maledetta galleria da attraversare, che a pensarci bene aveva un po’ troppe similitudini con il tunnel dove Ichabod Crane aveva incontrato il cavaliere…
Cominciò a pedalare, sentendo la bicicletta di Matthew al suo fianco. Almeno non era da solo.
“Arthur ha detto di mandargli un messaggio quando arriviamo a casa.” lo informò il fratello. Alfred fece una smorfia, ancora preso dall’ultimo racconto.
“Se mi ricordo lo mando, sennò si arrangia.”
Matthew sorrise e cominciò a fare zig zag con la bici. “È solo un racconto, Al. Probabilmente se l’è inventato di sana pianta perché sapeva di questa tua paura.”
Alfred non si sentì rincuorato. Rispose con un grugnito, mentre avevano raggiunto la galleria. Cominciò a pedalare più deciso: voleva attraversarla nel minor tempo possibile. In più non si vedeva nulla e, come da cliché, né lui né Matthew avevano le luci sulle loro bici.
Continuò a pedalare, rifiutandosi di rallentare, fino a che non sentì la voce di suo fratello.
“Alfred, aspetta!”
Inchiodò con la bici, facendo una sgommata e un cigolio che risuonò per le pareti, dandogli i brividi.
“Mattie? Tutto bene? Mattie?”
La risposta fu il silenzio, solo qualche rumore e un lamento strozzato. Alfred, con il cuore che sembrava esplodergli nel petto, tirò fuori il cellulare e accese la luce, ignorando la notifica di un messaggio di Arthur.
“Matthew?” il fascio di luce illuminò il fratello chino per terra. Alfred corse vicino a lui.
“Sei caduto? Ti sei fatto male? Ma che dia…”
Matthew gli rivolse un sorriso di scusa mentre si alzava. Tra le braccia teneva stretto qualcosa.
“Scusami, non volevo spaventarti, non ho urlato perché non volevo spaventarlo…” mormorò.
Alfred sbatacchiò gli occhi, dirigendo la luce del cellulare verso la creatura.
Un gattino nero tremava contro il petto di Matthew, aprì gli occhi verdissimi e Alfred se ne innamorò. Dimenticò la paura e il cuore che batteva ancora forte, dimenticò la galleria e cominciò ad accarezzare quel cucciolo.
“È tutto bagnato, poverino, e guarda quanto è magro. Pensi che possiamo portarlo a casa? Non possiamo lasciarlo qui!”
Alfred non sapeva dire di no al fratello. Ma c’era un problema. I loro genitori erano stati categorici, non potevano avere animali domestici. O selvatici: Matthew portava a casa un cucciolo almeno due volte a settimana, supplicando di poterlo tenere. Fosse dipeso da lui avrebbero adottato tutto il bosco vicino a casa loro.
“Per stasera non diciamo niente, ci pensiamo domani mattina. Ma non tornerà per strada, Mattie, tranquillo.”
Il più giovane sorrise e si sistemò il cucciolo nella giacca in modo che non cadesse, e proseguirono la strada verso casa.
Una volta arrivati misero nella camera che condividevano dei fogli di giornale e due ciotole, una piena di latte e una di acqua. Dopo aver pensato al gatto, Alfred si fece una doccia veloce e si preparò per andare a dormire. Si sedette sul letto dando le spalle alla finestra. Diede un’occhiata al cellulare e lesse il messaggio di Arthur mentre Matthew era in bagno.
Fammi sapere quando arrivi a casa. E attendo alla testa, muahahah!
Alfred sbuffò. Era quasi tentato di non rispondere, né a quello né al tentativo di chiamata che aveva trovato sempre dell’inglese. Guardò sul pavimento per cercare il gatto e il cuore smise di battere.
Dalla luce che entrava dalla finestra vedeva la sua ombra, e di fianco a lui un’altra.
Sudore freddo cominciò a scendere sul collo. Cosa poteva fare? C’era qualcuno, o peggio qualcosa, fuori dalla finestra. Prendendo coraggio, si alzò con movimenti lenti, stringendo il cellulare nella mano. Si costrinse a girarsi e a fronteggiare la creatura.
Rimase a bocca aperta quando vide che fuori dalla finestra c’era il volto imbronciato di Arthur.
Afred si diresse alla finestra per aprirla. “Che diavolo ci fai qui? Vuoi farmi prendere un infarto?” sibilò arrabbiato.
Ma Arthur non fu da meno. “Cosa ci faccio qui?! Ti ho chiesto di farmi sapere quando arrivavi a casa e nulla! Non rispondi né ai messaggi né alla chiamata…”
Alfred ghignò. Sì, era perfido e un po’ si stava divertendo a vedere Arthur in ansia.
“Oh, che carino che sei stato a preoccuparti per me!” provocò, girando il dito nella piaga.
L’inglese avvampò e distolse lo sguardo. “Mica ho detto che ero preoccupato, stupido. E impara a usare quel cellulare e a rispondere. Me ne vado!”
Alfred rise.
“Ma resta! Metto un materasso per terra tra il letto mio e di Mattie e passiamo la notte di Halloween insieme!”
Arthur lo guardò, scettico.
“Alfred, dov’è il mici..? Oh, ciao Arthur! Che ci fai qui?”
Matthew era uscito dalla doccia e si era affacciato anche lui alla finestra. Non sembrava stupito dalla presenza di Arthur. Alfred allargò il sorriso.
“Era venuto perché era preoccupato. Per me.” quelle ultime parole le disse come se sotto sotto fosse fiero di questo. Arthur avvampò di nuovo.
“Non ho mai detto che ero preoccupato! E la prossima volta mando un messaggio a Matthew, lui sì che è affidabile!” continuò a borbottare contro l’americano, le braccia incrociate sul petto, però poi senza dire nulla scavalcò la finestra e entrò in camera dei ragazzi.
Il gatto gli si avvicinò, annusò l’orlo dei jeans e cominciò a strusciarsi ai sui piedi, facendo fusa.
Arthur si sciolse. Prese in braccio l’animale e lo accarezzava, mormorando parole dolci prima di rivolgersi a Matthew.
“E questo piccolino?”
Matthew sorrise e raccontò l’avventura nella galleria.
“Ma che carino!” trillò l’inglese continuando a coccolarlo.
Alfred lo guardò, notando che sia lui che il gatto avevano gli occhi verdissimi. Gli vedeva bene insieme.
“Hey, Arthur… hai mai pensato di adottare un gatto?!”
 


Angolino di May
Buon Halloween a tutti! Dolcetto o scherzetto? ;)
Questa storia era nata per la raccolta del Writober, ma all’ultimo mi sono resa conto che con il prompt non c’entrava nulla, quindi l’ho riciclata per una oneshot di Halloween. Mi sono divertita a torturare il povero Alfred che ha paura di queste cose. Me lo ci vedo Arthur con un gatto, soprattutto con gli occhi verdi. Così, a caso ovviamente.
E niente, spero non faccia troppo schifo.
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

   
 
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