Storie originali > Giallo
Segui la storia  |       
Autore: MollyTheMole    12/11/2022    0 recensioni
Londra, 1934: il crimine di Londra ha un nuovo James Moriarty. Quest'uomo, però, ha una nemesi: il nuovo ispettore capo di Scotland Yard, per il quale ha in serbo una triste ed amara sorpresa.
Londra, 1936: il rinnovato castello sul lago Loch Awe, in Scozia, apre i battenti ai turisti. Il passato, però, è come la ruggine: incrosta ed imprigiona. Gli ospiti del castello si troveranno, loro malgrado, a fare i conti con esso, con l'oscuro futuro ormai alle porte e con lo spettro di un criminale che infesta i loro ricordi.
Genere: Mistero, Noir, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

3. 

 

Non sono invalida, capitano. E’ soltanto una vecchia ferita.

 

La stanza che le era stata riservata era ampia e luminosa. Affacciandosi alla finestra, in posizione centrale sulla facciata dell’edificio, il lago si estendeva sotto di lei, fino a perdita d’occhio. L’aria muoveva un paio di candide tendine bianche, mentre le pareti, chiare ed intonacate di fresco, riflettevano la luce che entrava attraverso i vetri. Alcuni mattoni originali, antichi come solo il tempo sapeva scolpirli, erano stati lasciati a vista, con sua grande gioia. 

Non c’era granché nella sua camera. Il letto era ampio e spazioso, e le lenzuola bianche profumavano di bucato fresco. Era tutto molto pulito e si sentiva un leggero aroma di fiori per profumare l’ambiente. La struttura del letto, il comò, lo scrittoio, le sedie, l’armadio, tutto era stato ricavato da legno scuro, forse castagno. Alcune candele erano state sparse in giro per la stanza e un grosso lampadario di vetro pendeva dal soffitto, illuminando l’ambiente e riflettendo la luce ancora di più. Sul suo comò era stata messa una bella lampada, che Danielle apprezzò, soprattutto per leggere un poco prima di dormire. 

In bagno, le bastò notare la bella vasca con acqua corrente per essere pienamente soddisfatta e ringraziare l’insistenza di Ruth Marston, che l’aveva fatta partire nonostante tutte le sue remore e la sua pignoleria. 

Quello che aveva scambiato per un tavolo, vicino alla parete, in verità era un giradischi, e nello sportello sottostante vi era un vasto assortimento di musica. Non si stupì di trovare una buona collezione di musica scozzese e cornamuse, anche se era certa che, per gusti personali, non ne avrebbe mai ascoltato nemmeno un pezzo, e scorse con il dito le copertine di vari dischi di musica classica, chiedendosi, invece, quale avrebbe messo su per primo. 

La vera stranezza, però, era il leggio, delicatamente disposto accanto a quel meraviglioso pezzo di ingegneria.

Un leggio in un albergo?

Perché, si può suonare uno strumento in albergo senza essere presi a pedate dal vicino della stanza accanto?

Un tossicchiare leggero alle sue spalle la distrasse.

Everard Smith era il classico maggiordomo che chiunque si sarebbe aspettato di incontrare in un albergo o in una casa lussuosa. Raffinata divisa bianca e nera, un farfallino nero al collo. Alto e allampanato, con i capelli castani sempre in ordine, gli occhi rotondi e tranquilli, e un paio di spessi occhiali a fondo di bottiglia che gli ingrandivano le iridi. Nel complesso, aveva l’aria di un insetto lungo e magro con gli occhi grandi.

- Il suo baule, signora.-

Il buon costume avrebbe voluto che lei lo correggesse, definendola signorina, ma Danielle si era sempre infischiata dell’etichetta e preferì aiutarlo mentre quel poveruomo arrancava da solo sotto il peso dei suoi bagagli, armeggiando con la maniglia del baule. 

- Può lasciarlo qua, lo sistemerò io con tutta calma.-

Il maggiordomo insistette un poco, e Danielle ebbe la sensazione che l’uomo non fosse lì semplicemente per il baule. 

C’era anche un’altra categoria di persone, un terzo gruppo che non includeva né chi la canzonava o la derideva, né chi la stimava, ovvero il mucchio dei curiosi. Buona parte della gente che aveva incontrato non aveva espresso alcuna opinione su di lei, non aveva discusso quanto le era accaduto. Si era semplicemente limitata a puntare il dito e a dire guarda c’è Danielle Peters. Di per sé, non facevano niente di male, ma Danielle si sentiva comunque a disagio, come un fenomeno da baraccone. 

All’improvviso, di fronte a quel maggiordomo che si dondolava sui talloni, forse in attesa di dire qualcosa, la sua stanza le sembrò troppo grande, il letto enorme per una persona sola, e lei piccola piccola in quel grande vuoto che la circondava. 

Inspirò ed espirò, cercando di non perdere il controllo. C’erano momenti in cui aveva paura della folla e detestava il contatto fisico. C’erano altri attimi, come quello, in cui invece le prendeva l’horror vacui. Non era sempre stata così, e sarebbe tornata volentieri ad essere una persona normale, sana. Avrebbe solo dovuto credere in quella possibilità che si era data. Crederci fino in fondo.

Al diavolo il maggiordomo.

Everard Smith, però, era pronto a sorprenderla. 

- Chiedo scusa, il signor O’Brennon mi ha detto che lei è Danielle Peters.-

Eccoci qua. 

Sapevi che te lo avrebbero chiesto tutti una volta uscita dal tuo buco sull’Embankment, quindi smettila. 

- Sì, signor Smith.-

Il viso del maggiordomo si riempì di orgoglio.

- Nostra figlia Serena vuole fare proprio quello che ha fatto lei!-

Non era esattamente ciò che si era aspettata di sentire. 

Rimase a fissare il maggiordomo, senza sapere che cosa dire, con la bocca semiaperta per lo stupore. 

- Io sono senza parole, signor Smith.-

- Se non è chiedere troppo, signora, avrei tanto piacere di farle incontrare mia figlia, così potete parlare un po’ di questa cosa, di Scotland Yard.-

- Si aspetta che io la dissuada?-

- Oh, no, assolutamente!- disse quello, scuotendo le mani come se avesse sentito una enorme assurdità.- Mia figlia deve fare quello che le piace, ma vorrei che si rendesse conto di quello che significa essere quello che è stata lei. Sa, sui giornali è tutto bello, ma il lavoro vero è diverso.-

I suoi genitori avevano provato a convincerla del contrario. Sotto sotto, forse avevano avuto ragione, a quel tempo. I Peters avevano sempre creduto in lei, o non le avrebbero mai permesso di studiare, ma sapevano che il prezzo da pagare sarebbe stato caro, forse troppo alto per poterlo sopportare. Una parte di sé si era sempre domandata se non sarebbe stato meglio crescere in una famiglia di vedute più ristrette, che non ammettesse deroghe allo status quo. 

Avrebbe sofferto meno? Oppure tutta la sua energia repressa l’avrebbe travolta, facendole vivere una vita infelice ed insoddisfatta?

Nonostante le conseguenze, che ancora stava pagando, non rimpiangeva un solo giorno passato a Scotland Yard, e non lo avrebbe cambiato nemmeno per la luna. 

Che cosa avrebbe dovuto fare con la piccola Smith? Avrebbe dovuto dirle l’amara verità, che il mondo, forse, non era ancora pronto per una donna al comando? Avrebbe dovuto dirle una bugia a fin di bene, dissuaderla, o lasciare che inseguisse il suo sogno? 

Chi era lei, in fondo, per impedirle di fare le sue scelte?

- Scotland Yard non è facile, signor Smith. Per niente. Un lavoraccio. Bello, ma un lavoraccio.-

- Lo so, ma lei è testarda come un mulo, e non vuole sentire ragioni!-

- Forse, se è così convinta, allora è la sua strada. Se si presenterà l’occasione, le parlerò volentieri.-

Il maggiordomo si profuse in mille moine, garantì che le avrebbe fatto trovare i panini dolci appena tolti dal forno quando lei fosse venuta a trovarli e che la moglie Emily avrebbe preparato la sua tisana speciale ai frutti di bosco, che faceva essiccare proprio con le sue mani. Danielle sorrise, leggermente in imbarazzo, e guardò la schiena di Everard Smith allontanarsi dopo diversi inchini con un certo sollievo. Poi, come ricordandosi all’improvviso di qualcosa, tornò sui suoi passi e fermò il maggiordomo.

- Ah, signor Smith, prima che vada, due domande!-

L’uomo si fermò sulla soglia.

- Esattamente, dove dovrei raggiungervi?-

- Al piano inferiore, vicino alla sala da pranzo, ci sono le nostre poche stanze private. Sarò ben lieto di accompagnarla e…-

- Grazie, signor Smith. Infine, perché c’è un leggio nella mia stanza?-

Sul volto del maggiordomo esplose un sorriso sornione.

- Ce n’è uno in ogni stanza, nel caso in cui gli ospiti fossero dei musicisti ed intendessero suonare. Alcuni hanno addirittura richiesto degli strumenti musicali ben precisi.-

Danielle aggrottò le sopracciglia, pensierosa.

- Non credevo che fosse possibile, in un albergo.-

- Mia cara signora - disse, abbassando lo sguardo a metà tra l’imbarazzato e l’impertinente.- Imparerà a sue spese che il signor O’Brennon è un tipo assai curioso.-

Detto questo, uscì dalla sua stanza e tornò ad occuparsi degli ospiti.

Danielle si guardò in giro, le mani posate sui fianchi e il cappellino appeso scompostamente alla testiera del letto.

Come inizio non era di certo niente male.

Spinse il baule contro il muro, infilò la valigia e la cappelliera dentro l’armadio vuoto, senza nemmeno disfare i bagagli se non per togliere l’essenziale per la toeletta. Al resto, avrebbe pensato dopo. 

Sporse la testa fuori dalla porta giusto in tempo per vedere il signor Smith portare i bagagli di Mercedes nella stanza accanto, alla sua destra.

Ne fu molto lieta. Almeno, durante le sue serate vuote, avrebbe potuto parlare con qualcuno e divertirsi un po’. 

Alla sua sinistra, invece, c’era Mariah Rogers, le braccia conserte e l’aria imbronciata, che batteva il piede contro il pavimento in attesa del suo bagaglio.

La cosa la convinse ancora di più ad evitare musica tradizionale scozzese e cornamuse. Dopo la scenata al molo, Danielle non aveva intenzione di confondersi troppo con la signora. Era chiaro che le era antipatica, e anche lei provava un certo sentimento di repulsione nei confronti dell’istitutrice. Era certa che Mariah Rogers non avrebbe avuto nulla in contrario se non le avesse rivolto la parola, né in quel momento, né mai, e se invece la cosa l’avesse indispettita, poco importava. 

Proprio davanti a lei, il dottor Dietrich stava sistemando i suoi effetti personali. Le altre due stanze, invece, erano occupate rispettivamente alla sua sinistra dalla coppia vestita di scuro e alla sua destra da quello che Danielle riteneva essere uno studente. Una sottile scala a chiocciola di ferro battuto a destra, in fondo al corridoio, portava alle due stanze rimanenti, situate nella torre, ovvero quella dei due signori distinti e del capitano Collins. 

La donna vestita di nero stava portando da sola su per le scale un grosso baule. Faceva i gradini a ritroso, trascinando con le braccia esili quella grossa cassa rivestita di cuoio. 

A dire la verità, agli occhi di Danielle la donna sembrava una canna da giunco, cava e senza peso. Era sottilissima, magra tanto da sembrare malata. Le lunghe dita aguzze artigliavano la maniglia del baule come un naufrago si attacca al salvagente. Aveva l’aria di essere molto pallida, e i suoi bellissimi capelli neri, lucidi ed intrecciati con eleganza dietro la nuca parevano leggermente fuori posto. Il baule era un oggetto di gran classe, decisamente, rivestito di un ottimo materiale scuro e rinforzato da borchie qua e là, ma doveva pesare una tonnellata, mentre la povera donna sembrava potersi librare in volo alla prima folata di vento, e la gonna ampia la impacciava nei movimenti. 

Danielle provò pietà per lei e decise di aiutarla, anche se le restava un mistero il motivo per cui non avesse aspettato il celere signor Smith.

Così, si avvicinò a lei e le sfiorò la spalla per catturare la sua attenzione. 

La donna sobbalzò, colta di sorpresa. Sembrava quasi spaventata e smarrita. 

Danielle si sentì in colpa. Non era quello l’effetto che avrebbe voluto suscitare.

- Chi è?-

Il volto della donna gelò il sangue nelle vene di Danielle. Era molto peggio di quanto avesse intravisto fino ad allora. Non solo era pallida, ma estremamente scavata in viso, le guance svuotate e le borse sotto gli occhi gonfie, scure e violacee. Le labbra erano sottilissime, continuamente nascoste tra i denti e spellate dal troppo mordere. Aveva uno sguardo intenso, profondo, buono e molto emotivo, di una tristezza infinita, che quasi la commosse. Non aveva mai visto delle iridi così grigie, messe in risalto dal lieve rossore delle palpebre e dalle ciglia lievemente appiccicate.

Sembrava che avesse pianto.

Danielle pensò che una donna così dovesse aver subìto un dolore indicibile e ne ebbe ancora più pietà. Guardarla le dava quasi fastidio, come se avesse ricevuto un pugno nello stomaco. Abituata a vedere se stessa allo specchio tutti i giorni, non riusciva a percepire la differenza che gli altri avevano notato in lei, tanto tempo fa. Si domandò se il volto disperato della donna che aveva davanti era stato anche ciò che i suoi genitori avevano visto quando l’avevano trovata sola, in casa sua, in condizioni che preferiva non immaginare. 

Le ricordava tanto se stessa fino a poco tempo prima. 

La donna posò gli enormi occhi buoni sul volto di Danielle, quasi dispiaciuta di aver reagito in quel modo.

- Chiedo scusa.- si affrettò a dirle, ritirando la mano dalla sua spalla.- Mi dispiace di averla spaventata. Volevo soltanto aiutarla.-

La donna distese le labbra in un sottile sorriso senza gioia e scosse il capo, tornando a guardare la cassa con aria pensierosa.

- Mi chiamo Danielle Peters.- continuò, stendendo la mano.- Piacere di fare la sua conoscenza.-

Gli occhi della donna saettarono di nuovo sul suo volto ed improvvisamente si accesero di una luce che Danielle non seppe identificare. Rimase a guardarla, come incantata, per un lasso di tempo che le parve interminabile, occhi grigi dentro occhi pervinca. 

- Peters, ha detto?-

Danielle annuì, cercando di sorridere cordialmente.

La donna parve riaversi dall’improvviso stupore e si affrettò a stringerle la mano con quella libera, restando in equilibrio sulle scale e reggendo miracolosamente il baule con una mano sola. 

- Piacere, il mio nome è Eveline Northwood e tra breve farà la conoscenza anche di mio marito Carl. E’ molto gentile a volermi aiutare!- disse, mentre Danielle afferrava la maniglia e cercava di tirare quell’oggetto pesantissimo su per l’ultimo gradino, prima che trascinasse Eveline con sé giù dalle scale. - Mio marito è un po’ suscettibile e proprio non ne voleva sapere di aspettare il maggiordomo. Inoltre, dovrà fare su e giù per le scale con così tanti bauli che quasi mi dispiaceva lasciargli pure il mio!-

Danielle commentò positivamente la sua presenza di spirito, e con Eveline trascinò il pesante baule fin dentro la stanza dei signor Northwood. 

Come aveva ipotizzato inizialmente, era stata assegnata loro la stanza vicina alle scale, la prima accanto al dottor Dietrich e di fronte alla signora Rogers. 

Si accorse che le stanze non differivano molto le une dalle altre. Anche l’ambiente dedicato esclusivamente ai signori Northwood era uguale al suo. Armadio, letto, comò - due, questa volta - scrittoio, giradischi, un leggio, qualche sedia, e candele a non finire. Lampadario, tende, lampade da tavolo al loro posto, e Danielle azzardò l’ipotesi che anche il bagno fosse uguale. In fondo, Steven O’Brennon si era dimostrato ragionevole. Stanze simili, adattabili con poche modifiche all’inquilino, singolo o coppia che si volesse, senza troppi sforzi da parte del personale. 

L’unica differenza era un vasto assortimento di liquori, là dove lei, invece, aveva stivati i dischi di musica scozzese. 

Eveline, nel frattempo, si era messa a girare per la stanza, esplorando l’ambiente e chiacchierando a ruota libera.

- E’ stata così gentile! Posso offrirle qualcosa per ricambiare il favore? Mio marito è un appassionato di liquori, sono certa che troverà qualcosa di suo gradimento!-

Danielle scosse la testa, gentilmente.

- La ringrazio, ma declino l’invito. Non sono un amante del bere, soprattutto a stomaco vuoto.-

- Nemmeno un bicchiere d’acqua?-

- Se proprio insiste, all’acqua non si dice mai di no.- 

Danielle in verità aveva avuto sete sin da quando era scesa alla stazione, ma non era così scortese da approfittare della gentilezza della signora. Tuttavia, la donna accorse a versarle un bicchiere d’acqua e glielo consegnò con sollecitudine. Sembrava contenta di avere qualcuno con cui fare due chiacchiere, e Danielle pensò che non le sarebbe dispiaciuto dare una mano a quella creatura persa, se solo lei fosse stata forte abbastanza da poter dispensare buoni consigli. La riteneva una persona davvero molto dolce.

- Sa, l’ho riconosciuta.- le disse, mentre le porgeva il bicchiere colmo d’acqua. Danielle pensò subito al peggio, ma Eveline pareva non riferirsi alle stesse cose.- Mi dispiace molto di averla colpita, oggi, alla banchina, lei e quella ragazza. Carl sa essere molto, come posso descriverlo? Trascinante.-

Danielle si lasciò sfuggire un sorrisetto divertito.

- Direi che l’aggettivo è calzante.-

- E questa chi è?-

La sua voce era acuta e fastidiosa, quasi gracchiante, e Danielle ne fu disturbata. Si voltò a guardare il piccolo uomo vestito di scuro, fermo sulla soglia, l’aria di chi aveva appena beccato un ladro nella sua proprietà. L’atmosfera distesa che si era creata tra le due donne divenne all’improvviso fredda ed indisponente. Danielle dovette attendere un poco per essere certa che fosse stato proprio lui a parlare. Tutto sommato le ricordava un carlino, grasso e con quello stridulo modo di abbaiare, tipico dei cani piccoli. Era davvero un ometto curioso, piccolo e rotondo, che sostava con le braccia conserte sulla soglia della stanza. Era stempiato, ma per coprirlo aveva creato un ridicolo riporto, nero come la pece e impomatato. Un folto paio di baffi neri, perfettamente curati, trovavano il loro posto sotto un piccolo naso a patata sproporzionato rispetto al resto del volto. Occhi scuri, anche quelli piccoli e porcini, saettavano da un lato all’altro della stanza, quando non erano fissi su Danielle, guardandola con odio.

Osservò attentamente la pelle, scura, come se fosse stata esposta al sole, e segnata in più punti. Per un uomo come lui, che, per quanto ridicolo, ostentava un tenore di vita molto alto - almeno a giudicare dalla patacca dorata che portava al polso al posto dell’orologio - era un fatto molto inusuale. 

Più che un ricco signore londinese, sembrava un operaio arricchito. 

Forse non aveva avuto una vita facile. 

Danielle decise che non era dell’umore giusto per tenere il broncio e decise di scusarlo per la scortesia dimostratale.   

- Oh, Carl caro, voleva solo aiutarmi con il baule.-

- Mi scusi per l’intrusione.- disse Danielle, cercando di togliere Eveline dagli impicci. - Se preferisce, me ne vado subito. -

- Preferirei, grazie.-

Vita difficile o no, la scortesia può anche tenerla per sé.

Danielle, mentre si dirigeva verso la porta, fu lì lì per dirglielo, ma si trattenne dal farglielo notare. 

Non aveva voglia di litigare e per quel giorno le era bastato quanto già aveva ricevuto dalla signora Rogers. 

- Danielle Peters.- disse, tendendo la mano verso l’uomo, in un estremo tentativo di essere cordiale. - Sono qua in vacanza anche io.-

L’uomo divenne rosso come un peperone mentre la rabbia montava dentro di lui, e si rivolse alla moglie, abbaiando, il graffio nella voce tipico di chi fuma da anni sempre più acuto.

- Quante volte te lo devo dire!- disse, sputacchiando saliva ovunque.- Quante volte ti devo dire di non lasciar entrare nessuno! La gente non viene ad aiutarti, Eveline, viene solo a curiosare! A nessuno importa delle tue crisi isteriche, hai capito?-

La donna ribatté qualcosa che Danielle non riuscì a carpire, e Carl Northwood si gonfiò talmente tanto che credette di vedere saltare i bottoni del piccolo panciotto.  

- Ma quale baule e baule! Hai presente chi è questa qui?- disse, puntandole il dito al petto e calcando bene il questa, con disprezzo. 

- Questa è quella spostata che ha fatto l’ispettore capo a Scotland Yard!- abbaiò di nuovo, muovendo il dito accusatore verso il volto di Danielle.- Pensi davvero che le importi di te, Eveline? O forse le importa solo ficcare il naso negli affari altrui?-

Danielle, esasperata, si chiese - con buona pace di Ruth e di chi l’aveva aiutata - se fosse venuta in vacanza in Scozia o se l’avessero fatta ricoverare a tradimento in un ospedale psichiatrico. 

Pensò che fosse meglio troncare la discussione.

- Mi dispiace molto se la mia presenza ha creato tanto scompiglio. Tolgo immediatamente il disturbo. Vi auguro una buona giornata, signori.-

Carl Northwood, però, non sembrava assolutamente intenzionato a lasciarla perdere. 

- Dove pensi di andare tu! Devo dirti due paroline.-

Danielle sostò sulla porta e sospirò. Il tu non prometteva niente di buono, significava non avere rispetto per una persona che non si conosce. Un registro a cui si era abituata, ed era già pronta a recitare lo stesso copione utilizzato con la signora Rogers.

Carl Northwood si rivolse di nuovo alla moglie e con un gesto sgarbato le gettò un flacone.

- Ecco qua, prendi le tue gocce e vattene a dormire! Smettila di frignare!-

A quel punto, Danielle aveva soltanto voglia di dargli un pugno e schiacciargli ancora di più quel naso a patata, ma si trattenne. 

Inspira, espira. Il copione della signora Rogers, preparati a recitarlo.

- Tu.- le disse, avanzando con falcate decise verso di lei, per quanto glielo permettessero le sue tozze gambe striminzite.- Sarà bene che non ti faccia più vedere da queste parti, carina.-

Non fu tanto la minaccia, ma essere chiamata carina a farle perdere la bussola definitivamente. 

- Prego?-

- Hai capito benissimo. Qui non siamo a Scotland Yard. Va a giocare al poliziotto da qualche altra parte.- 

Le venne da ridere.

- Tutta questa storia per un baule? Non si preoccupi, signor Northwood, non succederà più. Mi auguro solo che la prossima volta se lo porti su per le scale da solo, invece che appiopparlo a quella povera donna di sua moglie.-

- Non osare mai più parlarmi in questo modo!- disse, afferrandole il polso ferito e premendo con le dita tozze sul nervo.

Danielle avrebbe tanto voluto urlare di dolore, ma non aveva intenzione di dargliela vinta. Strinse i denti e cercò di non cambiare espressione, fissando intensamente con i suoi occhi pervinca il piccoletto, che continuava a stringere con forza crescente il polso.

- Mi lasci andare. Adesso!-

Carl Northwood, a quel punto, non solo non l’ascoltò, ma la apostrofò con dei termini che Danielle non avrebbe mai avuto il coraggio di ripetere. Urlava quelle parole, scuotendole il braccio, come se lei avesse commesso chissà quale sgarbo a suo carico.

Infine, arrivò la minaccia.

- Puoi ritenerti fortunata se qualcuno non ti ha ancora fatto sparire, carina, ma prima o poi qualcuno ti troverà e ti darà quello che ti meriti.- 

Danielle non poteva credere alle proprie orecchie. Le minacce di morte non erano nuove, nella sua vita, e dopo la sua disavventura in polizia molti si erano sentiti autorizzati ad augurarle tanti mali per il semplice fatto di essere Danielle Peters e di esistere, ma mai le era capitato che qualcuno la minacciasse di morte per un baule

- Per un baule? Sta scherzando?-

Northwood non sembrava intenzionato a demordere. 

- E’ l’ora che qualcuno ti riporti su questo pianeta e ti dimostri la forza e la virilità di un uomo.-

- Quindi, di certo non lei.-

La voce baritonale del capitano interruppe il fluire di parole scurrili del signor Northwood.

William si trovò davanti una situazione surreale. Danielle, decisamente più alta di quell’uomo volgare, sovrastava il piccoletto, che però la teneva in scacco torcendole dolorosamente il polso. I due si guardavano in cagnesco, con la donna che sovrastava Northwood con tutta la testa. L’una meravigliata ed oltraggiata, l’altro imbestialito oltremisura. In mezzo, acquattata sotto la finestra con la testa tra le mani, c’era la povera Eveline, pallida come la cera, che piangeva disperata e borbottava parole incomprensibili, con il flacone di tranquillanti poggiati poco lontano da lei.

Gli occhi color miele di William, di solito grandi e pacifici come quelli di un cerbiatto, adesso erano severi ed accigliati, conferendogli un’aria incredibilmente perentoria che parve travolgere anche Carl Northwood. 

- Le consiglio, signore- disse il capitano, senza scomporsi, ma con un velo di minaccia nella voce.- Di lasciare andare immediatamente la signorina Peters.-

Tuttavia, Northwood non era tipo da lasciarsi sottomettere, e tentò un’estrema difesa.

- Questa donna ha invaso la mia libertà personale!- disse, e le torse il polso ancora una volta. Una smorfia di dolore trattenuto tradì Danielle.

Il capitano alzò un sopracciglio.

- Anche sua moglie la pensa così? Da quello che riesco a capire dai suoi balbettii, l’aveva semplicemente aiutata a portare in camera il baule.-

Carl Northwood guardò con astio la moglie. 

- E di grazia, chi saresti tu, biondino, per farmi la morale?-

- Sir William John Collins, capitano della Reale Marina di Sua Maestà Re Giorgio.- disse, inchinando lievemente la testa.- Al vostro servizio, signori.-

Alla menzione della sua carica ufficiale, Carl Northwood parve ricomporsi definitivamente. Lasciò andare - non senza un ultimo sguardo di odio - il polso dolorante di Danielle e indietreggiò di un passo.

- Resta il fatto che non voglio più vederla in giro.-

William sorrise beffardo.

- Da questo punto di vista, signore, temo che dovrà farci l’abitudine.- disse, scortando Danielle fuori dalla porta.- La signorina è in vacanza qui.-

Poi, con una mano sulla maniglia, lanciò un ultimo sguardo dentro la stanza. Northwood era ancora furente di rabbia, ed Eveline giaceva ancora disperata sul pavimento, i capelli scomposti e gli occhi gonfi di pianto. 

- Signore.- disse, inclinando lievemente la testa con aria di disappunto.- Buona permanenza.-

Poi, lasciò che il suo sguardo scorresse sulla figura piagnucolante di Eveline Northwood. I suoi occhi nocciola incrociarono quelli grigi ghiaccio e arrossati della donna.

- Signora.-

E chiuse la porta.

In corridoio, tutti, inclusa la signora Rogers, si erano affacciati per guardare la scena. La cosa la infastidiva un poco, sentendosi ancora una volta un oggetto posto sotto i riflettori. Cercò di mantenere la calma e comportarsi come se niente fosse successo, ma evidentemente non ci riuscì. Il capitano le aveva passato un braccio attorno alle spalle, e lei non era riuscita a liberarsene in tempo. Mercedes aveva preso a borbottare qualcosa in spagnolo e Danielle non era certa di voler sapere il significato di quelle parole, mentre la testa bianca del dottor Dietrich aveva fatto capolino da dietro lo stipite della porta. 

- Was ist los?- chiese in quella sua lingua dura e gutturale. 

Il capitano non capì, mentre Danielle, invece, desiderosa di scrollarsi di dosso tutte quelle attenzioni non richieste, fu celere a rispondere. 

- Nichts Ernstes. Eine unhöfliche Person.-

Il fatto che parlasse tedesco fluentemente non fece altro che incrementare il comune stupore. Anche il dottor Dietrich sembrò sorpreso. Annuì, pensieroso, per poi concentrare la sua attenzione sul polso che la donna reggeva il modo malcelato.

- Fa male?- chiese, con l’accento ancora tedesco, ma in lingua inglese.

- Solo un po’. Del ghiaccio risolverà il problema.- concluse lei, gli occhi bassi e il capo chino per non vedere quelle facce che la osservavano assiduamente. 

- Aspetti!- proruppe il capitano, illuminandosi.- Lei è medico, giusto?-

- Medico legale, sì.-

- Potrebbe darle un’occhiata? Non sono sicuro che sia sincera.- disse, guardandola in tralice.

Danielle non sapeva se William stesse facendo tutta quella commedia perché era convinto di doversi accertare della sua salute o semplicemente per infastidirla. Più lei cercava di sottrarsi a quelle attenzioni non richieste, più lui trovava un modo per lasciarla alle luci della ribalta. 

Sbuffò, contrariata.

- Non sono invalida, capitano. E’ soltanto una vecchia ferita.-

- Che tipo di ferita, se posso chiedere?- fece il dottore, guardandola di sottecchi e prendendo il polso tra le dita delicate.

Danielle non voleva e non poteva mancare di rispetto a nessuno, se non voleva peggiorare la situazione. Così, rispose, sospirando:

- Ferita da arma da fuoco.- disse.- Smith and Wesson.-

Il capitano e il dottore si guardarono, intendendosi.

- Quanto vecchia?- fece questo, calcando pesantemente il suono gutturale.

- Quasi due anni.-

Il dottore le mosse la mano, giusto per fare ancora qualche accertamento. Poi, dopo aver scambiato quello che pareva uno sguardo d’intesa con il capitano, disse:

- Penso anche io che trenta minuti di ghiaccio possano bastare.-

Poi, allontanandosi, aggiunse, di nuovo in tedesco:

- Ich erinnere mich gut. Es tut mir sehr leid.-

Danielle sorrise.

- Sie sind sehr nett. Danke.-

 

TRADUZIONI DAL TEDESCO

 

Che sta succedendo?

Non è niente. Solo una persona maleducata.

Mi ricordo bene. Mi dispiace molto.

Lei è molto gentile. Grazie.

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Giallo / Vai alla pagina dell'autore: MollyTheMole