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Autore: hakkaisan    12/11/2022    0 recensioni
"Non gli era mai successo di desiderare così tanto un po’ di riposo. Quasi mai. Se c’era mai stato un periodo in cui avesse avuto bisogno di una vacanza, era proprio quello."
[...]
"Sam gli aveva rotto le uova nel paniere. Ai suoi occhi aveva calpestato anche uno dei ricordi che conservava gelosamente della rude gentilezza di papà."
[...]
"Quel ragazzo era in grado di toccare i suoi nervi ogni qualvolta non ne sentiva il bisogno e questo, se possibile, lo alterava ancor di più."
Genere: Angst, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: Incest, Spoiler!, Tematiche delicate | Contesto: Settima stagione
Capitoli:
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La confusione lo pervadeva in ogni fibra. Non gli capitava spesso di non sapere che fare, dove mettere le mani o che la forza lo abbandonasse per l’eccesiva tensione, coi muscoli che cedevano, scossi dai tremiti.

Anzi non era mai successo. Specie in situazioni simili a questa.

Ma qui si trattava di Sam.

Dean chiuse gli occhi per evitare di smarrirsi, rapito da quelle sensazioni. Il peso del fratello su di lui lo sprofondava nel letto, confortante. Dietro le palpebre vedeva i flash rossi e verdi del sangue che scorreva nei capillari; gli tornò alla mente un’immagine vivida. Ore di viaggi, scandite da ogni genere di musica – e dalle lagne di Sam che lamentava che fosse sempre la solita, come se non conoscesse tutte le parole a menadito o come se non imitasse mai Dean quando le cantava a squarciagola – quella ereditata da John. C’era tutta la rosa di artisti di almeno tre generazioni – le migliori secondo la sua modesta opinione – di rock, country, metal e tutti i pilastri dei generi più svariati, più qualche aggiunta tardiva del Dean adolescente ritrovatosi finalmente solo con l’Impala, di cui gli erano state consegnate di diritto le chiavi.

Quello dei Pink Floyd era il nastro meno consumato. Dean non aveva mai ben compreso il perché, finché non si trovò ad ascoltare e contemplare, quegli infiniti minuti di note e voci fluttuanti, assoli di chitarra di una delicatezza e, al tempo stesso, un’energia estenuanti. Tante volte aveva immaginato un giovane John acquistarlo in un piccolo bugigattolo adibito a negozio di musica a Lawrence, col benestare di Mary, da poco al suo fianco. Erano melodie e parole che costringevano a riflessioni da cui, aveva pensato ascoltandole, John avrà desiderato spesso di tenersi lontano, e a parte quei due o tre pezzi più famosi di altri album che il padre faceva mangiare alla radio di tanto in tanto, Dean aveva sempre sentito dentro sé, che proprio quello, fosse alla stregua di un pezzo proibito della collezione.

Run, rabbit, run / Dig that hole, forget the sun / When, at last, the work is done / Don't sit down, it's time to dig another one / Long you live and high you fly / But only if you ride the tide / Balanced on the biggest wave / You race towards an early grave.

Nella solitudine della macchina, senza l’ingombrante presenza della volontà di John, Dean si era sentito libero di provarlo. Si aspettò quasi di venir bruciato, come da un tizzone ardente, quando lo raggiunse curioso nella catasta di altre cassette, la cui forma era decisamente più familiare, in confronto alle quali si stagliava. Scoprì, non solo che non aveva nulla da temere da quelle canzoni, ma che le amava.

And you run, and you run to catch up with the sun but it’s sinking / Racing around to come up behind you again / The sun is the same in a relative way but you’re older / Shorter of breath and one day closer to death. 

Le ascoltò tutte, interamente, volta dopo volta, assorbendole e facendole proprie; elevando l’album a uno dei suoi preferiti e rendendone la forma consueta, non più estranea, come per tutte le altre cassette. Condivideva con Sam quel piacere, al contrario di molti altri gruppi e generi che il fratello aveva sempre disprezzato o di cui non ne poteva davvero più

Us and them/ And after all we’re only ordinary men/ Me and you/ God only knows/ It’s not what we would choose to do.

Sam per lui era come il cristallo che ingoiava il fascio di luce bianca, saltando fuori oltre il buio nero del fondo in copertina. Quella luce rispecchiava invece le proprie emozioni, che attraversando il prisma veniva tagliata nello spettro delle sette radiazioni colorate: completamente differenti l’una dall’altra, ma coesistenti, sperimentabili al tempo stesso unite nel bianco puro del sole e distinte nell’arcobaleno.

Dean le sentiva tutte, insieme e separate allo stesso modo, fin troppo; tanto che poteva addirittura scegliere in quale parte dello spettro indulgere: desiderio, paura, affetto, inquietudine, piacere, frustrazione, dolore. A causa di Sam e del modo in cui lo toccava, risuonavano in lui così forte che voleva urlare. Si percepiva troppo piccolo per contenere tutta quella vibrazione dentro sé. Oppresso, quasi soffocato.

Aveva appena deciso di lasciarsi andare, ma era costretto a trovare un equilibrio tra l’annaspare di poco prima e l’annegare completamente di ora. Gli sembrava di indagare davvero nell’ignoto, nel lato oscuro della sua luna.

“Sam” gli sfuggì in un sospiro il nome del fratello e subito si pentì del tono che udì, sgranando gli occhi.

Implorante. Anche Sam se ne accorse e staccò le labbra dal suo collo per guardarlo meglio in viso.

“Sì Dean? Cosa vuoi?” disse con un impercettibile ghigno nel buio, che gli piegava appena le labbra e che Dean distinse perfettamente.

Figlio di puttana, pensò, Sam voleva sentirgli dire...Beh, avrebbe dovuto sudare parecchio per tirarglielo fuori, visto il tono saccente. Perciò Dean gli rivolse uno sguardo pieno di risposte nascoste, fece per aprire la bocca prendendo un respiro come a voler iniziare a parlare e poi la chiuse all’improvviso, facendo spallucce mentre sorrideva, contento di vedere l’aspettativa di Sam, di una confessione bell’e pronta, completamente disattesa.

Sam si fece serio: era guerra. Mentre lo guardava portare un braccio fra loro, facendolo scivolare in basso, Dean provò a immaginare come Sam gliel’avrebbe fatta pagare, perché ne aveva tutta l’aria. Non ebbe il tempo di reagire prontamente: una scossa lo attraversò, gli contrasse la spina dorsale dalla base e gli contorse le budella e le dita, che si serrarono spasmodiche attorno a quello che trovarono.

I capelli di Sam da un lato, le coperte dall’altro.

Sam gemette di dolore, mentre Dean emise un suono più simile a chi aveva appena ricevuto un pugno nello stomaco, la bocca spalancata, il respiro e la voce trattenuti in gola.

Sam lo aveva raggiunto tra le gambe, oltre il tessuto dei boxer e aveva stretto con forza, togliendogli il fiato. Non faceva male, ma era una sensazione troppo intensa e la mano che lo avvolgeva ruvida e molto più forte di quelle a cui era abituato. Il sorriso era tornato sul volto di Sam, constatando la reazione del fratello sotto di lui, che cercava di compensare il fiato che gli mancava respirando a fatica tra i denti.

Dean divenne impaziente, notando che Sam rimaneva fermo per stuzzicarlo, così si aggrappò al suo collo e mosse il bacino verso di lui, nel vano tentativo di trovare sollievo, quasi istintivamente, a causa delle scosse che quel piacere negato provocava nei suoi muscoli.

Voleva essere una sfida, ma fallì miseramente, perché si rendeva conto che stava mostrando solo la sua umiliazione, malcelata nella fronte corrugata e negli occhi supplichevoli, nella bocca che a stento tratteneva i versi con cui avrebbe dimostrato volentieri la sua condizione, se solo Sam glielo avesse permesso. Senza giochetti.                          

Sam sembrava essersi leggermente placato alla vista di Dean che chiedeva silenziosamente pietà e allentò la presa; si chinò di nuovo su di lui, nascondendosi sempre nello stesso punto, baciandolo. Dean sospirò di sollievo, grato di averlo così vicino, ma al tempo stesso cosciente che, quegli sbalzi di inquietudine nel desiderio del fratello, significavano che l’attesa stava diventando una tortura per entrambi.

Sam si sollevò da lui e dal letto, allontanandosi per cercare qualcosa nel borsone. Dean aveva intuito cosa, non era la prima volta che la usavano, ma si sentì come impotente: era sempre stato lui a preoccuparsi di tutto. Soprattutto che la responsabilità di qualsiasi cosa avvenisse fosse sua, così Sam non avrebbe pensato di avere colpe, ed entrambi avrebbero potuto rassicurarsi, raccontandosi questa storia. Non che ora Dean non sentisse alcun peso su di sé nella faccenda, ma Sam ne aveva preso le redini ben prima che lui la accettasse col proprio consenso.

“È nella tasca interna” disse Dean guardando il soffitto, sentendo Sam rovistare invano.

Dean tornò a pensare lucidamente. Ora si accorgeva che al rilassante calore di Sam si sostituiva l’aria, che lo ammantava invisibile; sulla sua pelle infuocata era gelida come una lama poggiata di piatto sull’ addome. Tirò a sé le gambe sollevando le ginocchia e si osservò: preso da un moto di pudore, mai avuto in vita sua, all’idea che il suo caro fratellino lo vedesse in quello stato bestiale, si coprì con entrambe le mani. Lo spettro di emozioni ora risuonava stonato dentro di lui. Puntò di nuovo lo sguardo al soffitto striato dalla luce che veniva dalla finestra: non voleva guardare Sam e provare la fame che provavano i mostri – della cui esistenza tanto si vantava di liberare il mondo – per la carne umana.

Proseguiva imperterrito a fissare in alto, ma gli occhi abituati al buio scorgevano tutto. Doveva distrarsi. Fuori dalla finestra oltre la luce dei lampioni, faceva capolino tra le tende, la luna, che quella notte era bassa e quasi piena nel cielo limpido. L’indomani avrebbe dovuto sghiacciare i cristalli di Baby, che noia.

Quando si voltò seguendo ­quel pensiero sciocco se lo ritrovò di fronte: Sam in tutta la sua giovinezza. Era un pensiero assurdo anche questo, ma gli sembrava di avere quarant’anni in più e non quattro.

Quei quarant’anni. Sam aveva l’età che aveva ai suoi occhi; Dean non avrebbe mai accettato il divario che l’Inferno aveva scavato tra loro. Era il suo piccolo fratellino e lo sarebbe rimasto per sempre.

Sentì pungere gli occhi e il naso. Deglutì a fatica, ma Sam non ci fece caso: stava guardava il barattolino che teneva in mano mentre camminava piano verso il bordo del letto e poi si voltava, dando le spalle a Dean per sedersi. Vedendolo così calmo, in contrasto con le sue riflessioni, la bussola dell’agitazione di Dean si spostò e tornò a concentrarsi su ciò che temeva avrebbe provato: gli si prosciugò la bocca e poté giurare di aver percepito le proprie iridi espandersi per inondarsi di quella vista. Quello che tentava di nascondere tra le mani presto non avrebbe più potuto ignorarlo e gli parve che il materasso si stesse aprendo per inghiottirlo nelle tenebre eterne per punirlo dell’unico peccato da cui non sarebbe mai stato mondato.

Poiché ingiustificabile.

Dean allungò una mano verso quella grazia che aveva davanti. Pose il palmo aperto sulla schiena di Sam, dove c’era stata un tempo la ferita che aveva guarito vendendo sé stesso. Nessuno dei due ne aveva quasi più, vecchie ferite né cicatrici, tutte quelle che indicavano che avevano vissuto un’infanzia inquieta e piena di paura, ma anche felice e spensierata di tanto in tanto; una crescita faticosa e sacrificata.

E che lo avevano fatto insieme.

Avevano solo nuovi segni, che spesso tracciavano storie che divergevano l’una dall’altra, quelle di Dean da quelle di Sam. Non c’era pensiero che potesse consolarlo a riguardo.

Sam si voltò senza commentare quel gesto, ma accogliendolo come una ricerca di attenzione da parte di Dean verso cui si protese, mostrandogli il barattolino di glicerina che usavano per lenire il gonfiore della pelle in via di cicatrizzazione o il dolore quando si spaccava sulle mani, quand’era troppo freddo e passavano le notti a profanare tombe: era quasi vuoto.

“Sta finendo.”

Sam si preoccupava che non sarebbe stata sufficiente e che gli avrebbe fatto male. Dean non aveva tutto il coraggio che tentava di mostrare, ma una piccola parte dentro gli diceva che andava bene così, se lo sarebbe meritato.

“Basterà” disse semplicemente, prendendo il barattolo che Sam gli porgeva e mettendolo da parte. Lo tirò a sé per un braccio facendogli perdere l’equilibrio e lasciando che caracollasse sul suo petto di traverso, abbracciandolo come un bambino, schiena contro petto.

Sam glielo lasciò fare e mentre ridacchiava il nome del fratello maggiore, Dean guardava di fronte a sé intonando piano una canzone:

Homeward bound… Canta con me, dai…I wish I was…”

“Wow…Simon & Gurfunkel, Dean, quanto sei tornato indietro? Mi lamentavo dei Metallica, ma almeno quelli risalgono al periodo in cui siamo nati.”

“Quel concerto non è così vecchio come pensi tu, scemo!” Disse Dean, ignorandolo, strattonando Sam in tono giocoso facendo ballonzolare entrambi sul letto “Non far finta di non saperla.”

“Ok, ok! Ahaha…Homeward bound” gli fece eco Sam, provando a intonare più seriamente possibile, indicandogli di proseguire con un gesto impaziente della mano.

Home!”   si limitò ad aggiungere Dean, continuando a sorridere sapendo che avrebbe costretto Sam a cantare le parti più lunghe e cingendolo come se volesse cullarlo, ottenendo solo di farlo ridere per via di quel gioco sciocco che aveva appena inventato.

“Where my thoughts’ escapin’”

“Home!”

“Where my music’s playing”

“Home!”

“Where my love lies waitin’ silently for me” Dean lo accompagnò sull’ultima strofa, bisbigliandole direttamente all’orecchio dell’oggetto di quelle attenzioni.

John aveva il vinile del Live at Central Park, Dean lo ricordava perfettamente. Uno dei pochi averi sfuggiti all’incendio. Ricordava allo stesso modo che suo padre lo teneva come un gioiello nel bagagliaio e lo tirava fuori in una specie di tradizione consolidatasi nel consenso comune, solo quando si fermavano da Bobby o dal Pastore Jim – cioè spessissimo. Ricordò ancora, che quello stesso amorevole padre, in un accesso di rabbia, un giorno sbatté a terra il borsone dove aveva messo il disco per scaricarlo dall’auto. Dean cancellò all’istante dalla mente l’oggetto della discussione tra Bobby e suo padre, causa di quel gesto improvviso, perché troppo impegnato a correre verso il borsone a terra, per aprirlo e controllare che il vinile fosse integro.

Ripercorse nella memoria lo sguardo prima frustrato, perché interrotti nel bel mezzo della diatriba, e poi sconfortato, che i due adulti gli riservarono all’unisono, quando lo videro, con i grandi occhi verdi sgranati, contemplare i pezzi di disco che teneva in mano, diviso esattamente in tre parti nette, e rivolgersi a loro per cercare aiuto, un aiuto che non potevano dargli.

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Con un sospiro John si rivolse a Bobby, la controversia accantonata. “Devo andare” disse affettato, ma senza seguire a ciò che aveva appena annunciato, come se attendesse il permesso del vecchio amico. Bobby espirò con forza dal naso e stringendo le labbra, annuì. “D’accordo. Chiederò alla vecchia Dorothy di farmi il favore di passare a controllare i ragazzi quando potrà, appena avrò finito di preparare il necessario. Non posso abbandonare…”

John lo interruppe, frettoloso. “D’accordo Bobby, tranquillo. I ragazzi saranno comunque al sicuro qui. Se la sapranno cavare.” Poi chinandosi di fronte a Dean gli pose una mano incoraggiante sulla spalla, attirandone l’attenzione sul suo viso, aggiungendo: “Vero Dean? Posso contare su di te?”

Dean annuì, ma era pieno di dubbi. Come avrebbe fatto a far addormentare Sam?

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“Vuoi farmi addormentare?” chiese Sam interrompendo furbamente quell’imbarazzante botta e risposta.

“Ah, ma allora te lo ricordi, razza di…!” esclamò Dean tirandogli un orecchio.

Sam lo scacciò ridendo e confermò quasi in un bisbiglio: “Mh-mh vagamente. Ricordo di averti sentito accennare a papà che la mettevi sempre quando mi agitavo e iniziavo a fare domande, quando una volta era passata in radio e avevi fatto caso all’effetto che faceva, evidentemente...”

“Evidentemente, parlavi talmente tanto che era impossibile non accorgersene.” Riprese Dean per usare la frase di Sam contro di lui.

“Mh! Idiota…” Sam sbuffò divertito, ma in attesa che Dean riempisse il vuoto nella sua memoria. troppo giovane e che aveva permesso a quei primi anni di vita di scivolare nel marasma di ricordi infantili, ormai più simili a sogni.

Dean annuì, rapito dalla tranquillità che percepiva nella voce del fratello che vibrava contro il suo petto, poi ricordò che Sam non poteva vederlo: “Sì. Funzionava alla grande, però dovevo cantartela anch’io nel frattempo, così stavi zitto e chiudevi gli occhi. La cosa più assurda era che sapevi perfettamente quando e dove potevi ascoltarla e solo da Jim o da Bobby urlavi come una sirena se non mettevo quel maledetto disco.”

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Sicuramente papà non avrebbe notato il problema e lo avrebbe scansato come un nonnulla, perché aveva fretta di partire, ma Dean provò a farsi ascoltare: gli serviva qualcosa che il padre non avrebbe potuto ignorare o per cui non avrebbe avuto la risposta pronta: “Papà aspetta! Se Sam vedrà il disco rotto, scoppierà a piangere!” John si voltò a metà e come Dean sospettava, non gli diede corda.

“Puoi sempre cantargli la sua canzone preferita tu stesso, Dean. La conosci a memoria.”

Dean sapeva che non avrebbe funzionato. A Sam piaceva mettere il vinile nel giradischi e vederlo partire, per poi aspettarsi che anche il fratello maggiore desse spettacolo insieme ai due cantanti, convinto che fosse uno di loro o chissà cosa.

“Si, però…”

A quel punto la pazienza di John, inversamente proporzionale alla resistenza che Dean gli opponeva con la sua insistenza, si stava esaurendo. “Hey. Lo so che ti dispiace per il disco e ti dispiace per Sammy. Ma prima o poi dovrà imparare ad addormentarsi senza il tuo aiuto, Dean. Lo sai questo, vero?”

Dean annuì di nuovo, stavolta senza dubbi, ma pieno d’ansia, perché non immaginava come avrebbe fatto a deludere le aspettative di Sam quella sera. Sperò solo che non tirando fuori il disco, Sam l’avrebbe magicamente scordato; ma non si illuse a riguardo.

“Ora va’ a prendere in macchina tuo fratello. Finisci di scaricare le vostre cose e aiuta Bobby a preparare i letti. Ok Dean-o?” era una richiesta gentile, ma ferma. Il nomignolo giocoso, aggiunto quasi a ripensamento finale, non fu abbastanza per mascherare l’irremovibilità del tono. Dean ci era abituato.

“Sì, signore.”

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“Già. La tua voce ha sempre avuto quell’effetto.”

“Soporifera?”

“Quasi” scherzò Sam, ridacchiando “Calmante.” aggiunse riflettendoci. Dean non lo vedeva in faccia, ma sentì chiaramente il sorriso che gli tendeva la bocca a quella parola.

“Meglio dell’erba?”

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John lo precedette fuori. Dean aveva ancora i pezzi del vinile distrutto in mano e la sua mente viaggiava come un treno per trovare la scusa migliore, quando Sam gli avrebbe chiesto che fine avesse fatto.

Bobby, che aveva fissato lui e suo padre tutto il tempo, serio e in religioso silenzio, aveva atteso che John fosse fuori dall’uscio per dirgli: “Forse ho un’idea per quel disco rotto, ragazzo, dallo a me.” Dean gli porse i pezzi, speranzoso. Non gli fu concesso di sapere in anticipo quale fosse la soluzione, ma gli interessava poco a dire il vero. Era solo sollevato che un adulto gli avesse scaricato di dosso il peso di quella responsabilità. Era raro per lui ricevere una mano quando si trattava del gravoso compito di aiutare Sam a crescere e lasciarsi alle spalle le vecchie abitudini. Un brivido gli risalì la schiena rammentando cos’era stato fargli abbandonare il ciuccio.

Trotterellò fuori dalla porta seguendo i passi del padre e prese la borsa con tutte le cose di Sam, sganciando il fratello dal seggiolone e aiutandolo a scendere dall’imponente Chevy. Lo salutarono entrambi tenendosi per mano sull’uscio, mentre venivano sommersi dal polverone che lo sgommare delle ruote aveva sollevato. Bobby, dietro di loro, una presenza solida e rassicurante.

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“Ancora con questa storia?! Te l’ho detto Dean! È successo una sola volta, ed ero al college!”

“E sta’ zitto…Ho il pass per rinfacciarti certe cose, se non lo uso che figura ci faccio? Guarda…”

Gli mostrò il palmo della mano aperto poco sotto il mento e Sam istintivamente chinò il capo per seguire ingenuamente l’indicazione del fratello maggiore. Dean colse la palla al balzo e gli passò l’indice sotto il naso, sollevandoglielo con forza e senza pietà, ridendo e tormentandolo con quel genere di stupidaggini, com’era suo vero compito di fratello maggiore fare.

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Quella sera, Sam puntualmente chiese che venisse messa su la sua canzone preferita. Ma prima che Dean potesse spiccicare parola, Bobby lo anticipò. “Sam, io e tuo fratello dobbiamo farti vedere una cosa.”

Non fu traumatico come Dean aveva temuto. Con l’aiuto di Bobby e della sua voce calma e razionale, Sam aveva accettato il ragionevole fatto che il disco era caduto e si era fatto male. Potevano curarlo, rimettendolo insieme con un po’ di scotch, ma avrebbero dovuto aspettare che guarisse, - almeno tre o quattro giorni, secondo lo sguardo saggio e acuto di Bobby. Dean non era stato consultato sui dettagli, ma sapeva che quello era il tempo stimato per il rientro di John; si sperava che Sam avrebbe cancellato dalla sua memoria il tanto adorato concerto serale in quel lasso di tempo, lasciando il compito di fare tabula rasa alla gioia per il ritorno del padre.

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Sam agguantò il polso di Dean e glielo morse senza ritegno alcuno; Dean per tutta risposta lo strattonò con tale forza da rischiare di strappargli qualche dente, per poi afferrarlo con una presa micidiale del gomito intorno al collo, pizzicandogli il fianco con la mano libera, facendo letteralmente squittire Sam dalle risate. Dopotutto era in una posizione svantaggiosa, circondato dal corpo di Dean senza poterlo fronteggiare.

“Basta! Basta!” riuscì a malapena a chiedere Sam tra gli spasmi, senza fiato, contorcendosi nella presa.

“Ti arrendi?” gli chiese Dean soddisfatto all’orecchio, solleticandolo con il naso.

Sam annuì, sorridendo e scattando, incapace di fidarsi di lui ad ogni pizzicotto che diventava inaspettatamente un lieve tocco. La risata, incontrollabile, gli spirò piano in gola fino a diventare un mugugno divertito e poi silenzio.

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Una volta tanto, John fu puntuale. Dean e Bobby si aspettarono che Sam puntasse subito dritto a intontirlo di discorsi sul vinile - rotto, riparato e in attesa di miracolosa guarigione - una volta varcata la soglia, senza neanche salutarlo, come il bambino tendeva a fare con qualsiasi cosa fosse di suo interesse. Ma furono disattesi guardando come Sam solcava la soglia coi suoi passetti veloci per correre incontro al padre; quando fu certo che Sam non stava spendendo mezza parola sull’accaduto, Dean cercò incredulo lo sguardo di Bobby che non poté che limitarsi a fare spallucce. In effetti, nessuno aveva più nominato il disco in quei giorni, e neanche Sam a dire la verità. Si era addormentato ogni notte senza troppe storie, appositamente sfinito dalla sessione di lotta e solletico che Dean dirigeva a sua discrezione, fermandosi solo quando il fratellino rischiava di strozzarsi dalle risa. L’unico particolare degno di nota, che Dean tenne per sé, fu solo che Sam aveva deciso, senza chiedere il permesso – e senza essere respinto, come se sapesse esattamente che nessuno si sarebbe permesso di farlo – di dormire nello stesso letto del fratello, stretto a un lembo del suo pigiama esattamente come il pupazzo di koala, portato sempre con sé al momento, si aggrovigliava attorno al proprio ramo di stoffa imbottita.  

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Dean ancora con le braccia intrecciate attorno al petto di Sam, allentò appena la presa dalla stretta vivace. Poggiò le labbra su una spalla, stringendole contro la pelle di Sam, senza spingere oltre quel contatto, ma dandogli un sapore tutt’altro che platonico, prolungandolo fino a renderlo intimo e straziante: voleva essere un bacio oppure un morso? Ma Dean si limitava solo a far scivolare il proprio respiro sulla pelle, osservando come si ritraeva solleticata, restando in ascolto. A peso morto contro la schiena di Sam, ne assecondava i movimenti del torace, incastrandosi perfettamente nella curva tra il collo e la spalla.

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John aveva una sorpresa per Dean. Lo prese in disparte e gli mostrò cos’aveva nel giaccone di pelle scura: la musicassetta del Live at Central Park! “Papà…!” cominciò Dean con foga, mente gli brillavano gli occhi. John lo zittì sorridendo con un dito davanti alle proprie labbra. Adesso se Sam avesse fatto i capricci Dean non avrebbe più avuto nessuna preoccupazione, papà aveva pensato a loro e…

Però quei giorni era cambiato qualcosa; doveva dirglielo: “Grazie papà, davvero! Però Sam è riuscito a dormire senza, sai? È stato bravo e non ha più insistito, come avevi detto che sarebbe stato meglio.” Si affrettò ad aggiungere quell’ultimo particolare, perché immaginava quanto papà si fosse risentito del gesto impetuoso che aveva rotto il disco, tanto da cercare di fare ammenda in quel modo. Chissà quanto tempo aveva perso dietro quella ricerca; Dean non voleva renderla futile. Osservò il padre in attesa della reazione seccata.

Ma papà non lo guardò offeso, tutt’altro; curioso, forse anche un po’ triste quando sorrise di nuovo: “Non preoccuparti Dean-o…sei stato bravo anche tu, quindi questo sarà un regalo per te, allora. La tua prima cassetta.” Senza ulteriori preamboli gliela infilò nel taschino della giacca. Dean strizzò il viso e lo chinò per seguire quel gesto e John gli passò il dito sotto il naso, sollevandoglielo di forza. “Ow!”. John accennò appena una risata e scompigliandogli i capelli si diresse verso Bobby, per scambiarsi i reciproci resoconti di fronte ad una tazza di caffè, possibilmente corretto.

Dean osservò gli adulti che parlavano seduti al tavolo nello studio e poi Sammy, che ignaro di tutto giocava a terra con le costruzioni. Nonostante quella poteva essere una vittoria per Dean, qualcosa gli diceva che non doveva esultare. La serietà con cui Sammy aveva preso la fine del disco; la forza della stretta nelle sue piccole dita, quelle notti passate da soli, senza papà e senza Bobby, mantenendo il segreto con la signora Dorothy che passava a controllarli solo a ora di pranzo – su specifica richiesta di Bobby che l’aveva impalmata per bene con moine e promesse di favori futuri, glissando e mentendo spudoratamente sulla reale motivazione e i tempi della mancata supervisione dei bambini – e ultimo, ma non per importanza, lo sguardo di papà quando gli aveva appena confessato che avrebbe potuto risparmiarsi quello sforzo, perché Sam era cresciuto senza di lui, di nuovo. Tutto questo non gli permetteva di pensare alla fine dell’era d’oro del disco di Simon & Gurfunkel, come una vittoria: il sapore che gli lasciava in bocca era troppo amaro.

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La voce matura di Sam gli arrivò lontana, forzandolo via dalle ultime molliche che restavano di quella memoria dai bordi sbavati: “Dico sul serio. Hai una voce meravigliosa.”

Lo stesso sapore dolce amaro, dopo tanti anni, lo sentiva pungergli la lingua di nuovo: avere Sam per sé, così come pretendeva di fare, non poteva considerarla una vittoria, come non l’aveva considerata una vittoria quando sedendoglisi accanto, il fratellino gli aveva sorriso e porto le costruzioni, invitandolo a giocare con lui.

Non era necessariamente una cosa giusta, tutt’altro, però restava il fatto che ora aveva Sam tutto per sé. Da piccoli poteva dargli quasi tutto quello che gli serviva…Poteva farlo ancora, forse.

“Lo so. Al contrario di te. Qualcuno doveva prendere sulle spalle il talento di famiglia”. Udì la propria voce e pensò che Sam avrebbe sospettato cosa avesse in mente: era troppo spenta per suonare come una battuta.

“Davvero? Pensavo fosse la caccia.” Ma nel tono di Sam c’era solo sincera curiosità. Dean avrebbe voluto dirgli di smetterla di pendere dalle sue labbra, così sciocco e fiducioso a volte, tanto quanto scettico e scostante per ogni singola stupidaggine che usciva dalla sua bocca. Ne diceva tante, Sam avrebbe dovuto saperlo.

“Ah…No, in realtà non ne ho idea Sammy. Stavo solo scherzando. Ne so quanto te”.

Ma non era vero. C’erano stati altri rari momenti, legati sempre alla musica, che conservava gelosamente per sé; alcuni passati quasi spensieratamente in macchina con John. Il padre aveva fatto un gioco simile al loro, per testare i gusti musicali di Dean, durante i lunghi viaggi senza Sam, ancora troppo piccolo per seguirli. John l’avrebbe preso in giro quando non avrebbe riconosciuto le note di qualche chicca passata mezza volta in qualche radio sperduta nelle campagne del Kansas prima che lui nascesse, mettendolo sotto esame, dimostrandogli di non avere un’oncia di cultura. Ricordava bene il proprio stupore vedendo il padre così rilassato. Era anche piuttosto intonato.

Dean rammentava come fosse ieri quando papà, dopo anni, aveva ripreso quel gioco; quando Sam era andato via, a Stanford. Persino lui si era accorto di quanto diventasse pericoloso lasciare Dean a macerare nel proprio dolore, solo e rinchiuso nella sua testa coriacea.

Mary invece aveva sempre cantato per entrambi i fratelli, anche se Dean ne ricordava pochissimo. Gli era rimasto impresso come anche la sera dell’incendio per mettere a letto il piccolo Sammy c’era voluta una ninna nanna. I preferiti di mamma erano stati sicuramente i Beatles, perché papà evitava accuratamente quelle cassette pur senza essersene mai liberato davvero. Di quella manciata di anni precedenti lo scadere del primo patto con Occhi Gialli, Dean aveva a stento qualche memoria che si distinguesse dai falsi ricordi di un sogno. Ma tutto quello che era successo quel giorno viveva vivido dentro la sua mente. Era un effetto di cui aveva letto su qualche rivista scientifica che avevano consultato in occasione di una ricerca.

Dean sorrise, nonostante tutto, accarezzando le spalle del fratello. Decise di seguire l’istinto, perché era stanco e stufo di sentirsi una specie di album vivente dei ricordi di famiglia. Un depositario di memorie, destinato a riviverle nei momenti peggiori e meno opportuni, come adesso. Pensava a sua madre e suo padre, mentre toccava suo fratello, lascivo. Quei pensieri forse volevano farlo desistere dalle peggiori intenzioni che aveva; ma ormai era già troppo tardi.

Proseguì con quelle carezze arrivando all’elastico dei boxer di Sam; col naso e le labbra che ne sfioravano il collo, senza osare andare oltre, lo strinse a sé e la curvatura dei suoi fianchi collimò quasi perfettamente con quella del fratello che schiacciava tra il bacino e la sua mano. La sensazione della pelle sulla pelle contro l’addome e il petto lo sconquassarono nuovamente: un’onda di calore gli risalì dal ventre, che si trasformò in pungente bruciore nello stomaco e poi di nuovo in vampate, una volta arrivato sul viso e alle orecchie. Si immobilizzò percependo ciò che stava cambiando in lui; lo sentiva anche Sam, che gli bloccò le mani e si protese leggermente, spingendosi indietro, trattenendo il fiato.

Dean si sentì d’improvviso, ancora, sporco e malato. Forse non doveva seguire l’istinto. Pensare alla sua famiglia e avere quella reazione per suo fratello, il suo sangue, non poteva essere normale. Era quasi disgustoso e incomprensibile, persino per uno come lui.

Certo non era una cosa così improbabile che accadesse; in alcuni stati era quasi legale o talmente comune da essere tollerato. Ma per lui era sempre stato qualcosa che aveva vissuto in un remoto angolo del suo cervello, come una fantasia innocua, qualcosa a cui si può non far caso, a volte con un certo impegno, ma si poteva. Però era sempre stata lì. Ci era rimasta e in effetti, aveva occupato sempre più spazio.

Dean non era innocente, non lo era mai stato. C’erano state altre volte, ma lui aveva sempre fatto in modo, o perlomeno ci aveva provato, che le cime dal porto non venissero mai sciolte. Invece adesso…

Probabilmente, però, accadeva proprio per questo. Perché aveva creduto di aver arginato qualsiasi pericolo ed era convinto di aver agito con cautela, nel piccolo porto sicuro che si era ritagliato. Forse non si era accorto che molte barche gli erano sfuggite e navigavano sole e in balia degli eventi, dove si agitava la tempesta, mentre lui si preoccupava di quelle rimaste attraccate. E lo vedeva con la coda dell’occhio, lo percepiva, che la situazione gli stava sfuggendo di mano, ma decideva di ignorarlo, a stento in grado di tenere quelle poche barchette che poteva, ancorate. Se si fosse voltato sul piccolo molo nella sua fantasia, avrebbe visto che non era solo: ci sarebbe stato Sam, che gli porgeva alcune cime snodate, mettendone una nelle sue mani.

Si era ciecamente preoccupato solo di un minuscolo margine di quella baia immensa che era la loro vita insieme e il resto l’aveva lasciato a Sam, perché non aveva mai voluto davvero affrontare quella responsabilità, per quanto se ne lagnasse. E adesso Sam, la volontà di Sam, non era più legata alla sua come era sempre stato sicuro che fosse.

Che avessero già valicato l’invalicabile? Era così inevitabile saltare nelle profondità di ciò che gli era sconosciuto e lo chiamava?

“Dean?”

La voce apprensiva di Sam lo riportò bruscamente alla realtà prosciugandogli il sangue dal viso. Sam si spostò per fronteggiarlo e lo fissò: prima leggermente confuso, poi Dean vide stringerglisi le labbra e le sopracciglia distendersi, mentre lo guardava realizzare cosa stava turbando il fratello maggiore.

Sam si fece avanti e caricò ancora una volta il proprio peso sulle spalle di Dean, buttandolo giù disteso.

“So cosa stai pensando, Dean. Smettila.”

La baia fu inondata dalla tromba d’acqua furiosa che non aveva visto sollevarsi dal mare. In lui si scatenò il panico.

“Sam, questa volta non è uno scherzo, non è un gioco, non è solo una scusa per stare vicini…” Dean provò a esprimersi, a giustificarsi con una cascata di parole che Sam raccolse prima che si schiantassero su di loro, spingendolo contro il cuscino mentre parlava: “Non è mai stato solo questo, Dean.” Lo interruppe.  “Hai paura, lo so. Anch’io. Anch’io, Dean, sono terrorizzato. Ma lo voglio più di quanto non ne abbia timore”.

Dean lo guardò più stupito e perso in lui che mai. Oh, se un talento era il canto, l’altro era certamente convincere con la sola potenza delle parole. Il lampo di una figura gli ferì la mente: una sirena, su uno scoglio lambito dalla schiuma delle onde impazzite che vi si infrangevano.

“Stavi provando a distrarmi, l’ho capito. Ma ti rendi conto anche tu che è impossibile per entrambi a questo punto ignorare...” Sam non concluse la frase, ma Dean aveva afferrato fin troppo bene.

Tra un delirio e l'altro stava ancora mentendo a sé stesso. Non era solo grazie al talento che Sam poteva circuirlo. Se qualsiasi re dei demoni o super arcangelo fosse stato Sam e gli avesse chiesto anima e corpo, gli avrebbe detto quel “sì”, che tutti avevano faticato come mai per estorcergli e senza successo, ancor prima di sentirlo spiccicare una sillaba.

Dean annuì, soggiogato, deglutendo il nodo che gli serrava la gola, che fece solo su e giù restando esattamente dov’era: “Sì, non ce la faccio più” ammise quasi strozzandosi.

“Allora, dimmi, cos’è che vuoi?” gli bisbigliò Sam avvicinando talmente i loro visi da poter contare le lentiggini che puntigliavano come una maschera il naso e gli occhi del fratello.

Dean non esitò, seguendo la propria natura. “Te”. Le labbra di Sam si erano già poggiate sulle sue, mentre il maggiore scandiva col respiro quella piccola sillaba in modo tale che sembrasse infinita. Sam aveva vinto, Dean gliel’aveva confessato, ma lo aveva fatto con piacere, anche se con tutta quell’apparente riluttanza. Non voleva altro che gettarsi in quel bacio che Sam gli stava promettendo.

Sam lo lasciò languire solo un secondo e poi diede a Dean quello che stava elemosinando con tutto il corpo, completamente inarcato contro di lui: un bacio lungo e assetato, pieno, come se stessero respirando l’uno nell’altro, dopo un’apnea bruciante. Non era famelico come era stato poco prima. Più carezzevole, più profondo e attento. Piu doloroso. Una lama che penetrava lentamente lo sterno e scavava la via d’uscita nelle costole sottostanti.

Come scavare la propria fossa e trovare la cassa.

Dean si staccò da quel martirio solo per sussurrare a Sam che non ne poteva più. Per tutta risposta Sam si allontanò e prese il barattolino di glicerina, mai dimenticato; lo studiò qualche secondo e affondò sapientemente due dita quanto bastava, secondo i suoi calcoli.

“Spogliati” gli ordinò con calma glaciale, mentre richiudeva il coperchio senza guardare Dean, che dal canto suo si contorceva per cercare di nascondersi quanto più possibile, obbedendo. Di nuovo si coprì con una mano, una volta completamente nudo. Finché non obbedì del tutto, Sam non gli rivolse lo sguardo e mentre Dean si voltava per gettare i boxer in qualche angolo dimenticato della stanza, il fratello lo raggiunse e gli tappò la bocca, facendolo sobbalzare. Scostandogli poi le gambe, irrigidite dall’aspettativa, Sam si fece spazio tra esse e Dean lo vide serio ed eccitato abbassarsi su di lui senza staccare gli occhi dal suo viso, finalmente.

Sam fece scivolare la mano che aveva preparato tra loro: Dean sentiva il suo cuore battere come quello di un coniglio catturato tra le mascelle di un cane da caccia sadico e diligente, che non gli avrebbe concesso il colpo di grazia finché non l’avesse riportato, vivo e sanguinante, ai piedi del proprio padrone, facendo della sua morte un trofeo.

E poi arrivò. Doveva essere bollente la sua pelle lì sotto, perché le dita di Sam sembrarono gelide. Dean sussultò teso, poi sentì le dita muoversi per massaggiarlo e qualcosa in lui sembrò risvegliarsi. Un punto non del tutto inaspettato, ma di cui aveva ben poca esperienza: avrebbe certamente cacciato un urlo se non fosse stato cosciente della mano di Sam sulla sua bocca.

Sam era impaziente e lo toccava con forza e irrequietezza. La glicerina aiutava perché leniva l’attrito e anzi lo rendeva piacevole: ogni rotazione delle dita era un brivido caldo e freddo nel corpo di Dean che faceva rizzare ogni pelo sul suo corpo e gli precipitava il cuore nello stomaco. Serrò gli occhi per tentare di raccogliere tutta la concentrazione che gli sfuggiva come sabbia tra le dita, ma li riaprì per vedere Sam che lo fissava attento, come se lo stesse studiando.

Lo percepì cambiare velocità e rallentare per cercare il punto che gli interessava e poi, senza ulteriori indugi, spingere per entrare. Questa volta Dean perse il controllo sulla propria voce e sul respiro che si mozzarono e divennero tutt’uno nell’affanno della sorpresa. Era assurdo se si fermava a rifletterci, ma non fece quell’errore: la congiunzione di dolore, intrusione e piacere in un unico punto del corpo, non glielo permisero. Il suono che ne venne fuori fu tenuto a bada a dovere. Dean strinse le ginocchia contro i fianchi di Sam, istintivamente; avrebbe voluto chiuderle, ma fu grato di quell’ostacolo.

Sam approfittò di quella stretta per lasciare la bocca di Dean e usare la mano per sollevargli una delle gambe su di sé, così da potersi abbassare sul fratello che non obiettò in altro modo se non emettendo un lieve mugolio stupito. Dean accolse volentieri quella vicinanza raggiungendo il volto e le spalle di Sam con le proprie mani: “Prometti di non urlare?” Gli chiese questi sorridendo.

Dean sbuffò trattenendo una risata sarcastica. Voleva rispondergli che non era una verginella alla sua prima volta, ma non sarebbe stato vero, così si limitò a scuotere la testa, ma poi annuì, anche se riluttante: non si sentiva in grado di promettere nulla in quella posizione. Nemmeno che ricordasse il suo nome, se solo Sam non avesse continuato a ripeterlo.

“E tu…tu invece promettimi di non allontanarti, d’accordo?” Sussurrò lui tra i brividi.

“Promesso.” rispose subito Sam, affondando di nuovo la mano tra le sue cosce, lasciata solo un attimo in disparte, cercando di aumentare la pressione e la frizione dentro Dean.

Dean si stava abituando bene a quel contatto e riprese subito il controllo sul proprio respiro. Adesso sapeva dove concentrarsi: se prima gli sembrava di essere sballottato dalla marea di percezioni, come particelle di gas disperse nell’etere, per quanto piacevole, ora tutto si era condensato in un punto definito su cui si reggeva tutto il resto. Lo spettro di emozioni era tornato ad essere di nuovo un fascio, ma stavolta più concentrato. Tanto polarizzato da convogliare tutto in sé e non permettergli di distinguere nient’altro, rendendolo ipersensibile a ogni contatto. Infatti, che Sam lo mordesse fino a fargli male o gli accarezzasse le labbra con le proprie, il risultato era lo stesso: una scarica elettrica partiva da quel punto in fondo alla schiena e rispondeva sempre nel cuore e nello stomaco. Spirali di spine lo circondavano e schiacciavano, i suoi arti scattavano come se fossero lambiti da tagliole che volessero azzannarlo, costringendolo ad emettere ansiti sempre più veloci e affettati.

Dopo poco Dean aveva colto il ritmo che Sam gli aveva imposto con la mano e nella sua mente c’era spazio per divagare: ad esempio, su come fargli capire che si sentiva bene o come ricambiarlo.

Prima portò una mano tra loro, raggiungendo quella di Sam fra le sue gambe, cercando di fare suo quel movimento quanto più possibile: voleva sentirsi quasi un prolungamento stesso di Sam. Poi con l’altra afferrò sé stesso massaggiando piano, guardando Sam dritto negli occhi, il mento proteso verso di lui e la bocca appena aperta, con l’intento preciso di provocarlo.

Sam non tentò nemmeno di resistergli: puntellandosi su un gomito, scese sulla bocca di Dean, che sentendolo trattenersi per non strappargliela a morsi, fu catturato di nuovo in un bacio senza respiro.

Dean raggiunse i boxer di Sam e fece saltare la molla sulla sua pelle; fuggendo dal bacio, chiese in un sussurro estatico:

“E tu?”

“Io…cosa?”

A quanto pareva era il turno di Sam di perdere colpi, mentre Dean ritrovava la sua verve. Con un grugnito quasi rabbioso gli sfilò i boxer per scoprire quel tanto di pelle che bastava e lo schiacciò su di sé.

Sam fu costretto a sfilare le dita dal corpo caldo del fratello per puntellarsi meglio sul letto, con un leggerissimo lamento di quest’ultimo che però aveva in mente altro: Dean prese entrambi in una mano e strinse.

Le braccia tese di Sam quasi cedettero e la sua capacità di trattenersi anche con la voce, che aveva tanto cercato in Dean torturandolo disperatamente finora, si era quasi persa in quell’unico attimo. La recuperò immediatamente. Cercò ancora il barattolino e lo porse a Dean, che prese una porzione generosa del contenuto e la usò su entrambi per far scivolare meglio la pelle sensibile all’interno della propria mano.

Indirizzò Sam senza usare parole, verso quello che voleva: senza forzare, lo spinse sulla schiena verso sé e lo invitò a muovere liberamente i fianchi, sfregandoli contro i propri, mentre Dean stringeva ancora entrambi tra le dita, uno sospeso sull’altro.

Alcune esperienze passate apparvero come un fantasma nella coscienza. Di solito era lì che lui e Sam si fermavano, in quei momenti dove la loro vicinanza era stata più intensa. Era sempre stato Dean a segnare i confini entro i quali spostarsi; ma l’impetuosità di Sam stava cambiando le carte in tavola e a Dean non restava che proseguire nella sua opera diplomatica. Solo che stavolta, temeva che avrebbero ridisegnato la cartina. E che non gli sarebbe davvero importato, perché in fondo, c’erano solo terre selvagge dritte di fronte a loro; esplorarle insieme non sembrava desolante, anzi spegneva come un stoppino la solitudine che aveva fatto tanto per soffocare, immancabilmente, senza successo.

Mentre lo stringeva a sé, gli parve incredibile che solo con Sam - sempre solo con lui - trovasse ristoro lungo il viaggio. Era una malattia da cui non sarebbe mai guarito.

Quella pressione. Dean vedeva ogni singolo effetto che aveva sul volto e sul respiro del fratello e questo peggiorava solo le cose. Già sentiva la mancanza di Sam che lo riempiva e non osava immaginare come sarebbe stato quando…

Quando?

“Dean, basta.”

Ecco, adesso. Quella richiesta era così lontana da quella di una manciata di minuti prima, quando Dean gli aveva punzecchiato la vita alla ricerca di una risata facile e meccanica, che smorzasse la tensione.

“Sì.” Asserì lui deglutendo aria, nervoso.

Sam si sollevò su di lui e si scambiarono uno sguardo, l’ennesimo, velato di tristezza e desiderio.

Dean non riuscì a sostenerlo: “Non guardarmi così.” Lo pregò.

Non erano i vestiti a lasciarlo nudo. Non si vergognava della propria pelle, in fondo si erano visti mille volte, in mille motel privi di qualsiasi privacy. Ma così? Quante volte Sam gli aveva concesso quello sguardo in vita sua? Rari momenti, momenti di pericolo o da dimenticare. Ora invece dall’inizio di quella notte, da quando avevano discusso, Sam lo fissava. E non era il solito sguardo da cucciolo; non aveva mai avuto il potere di turbarlo tanto.

Tutte le cicatrici che narravano la loro storia e che fino a poco prima Dean aveva rimpianto nella loro assenza, erano racchiuse lì, negli occhi di Sam, quando lo afferrava con quello sguardo. Tutta la loro storia era conservata lì, depositata nelle iridi brillanti di suo fratello che invece di posarsi sui libri di scuola, garantirgli una carriera e vagare sulle curve dolci di una ragazza, gli scavavano dentro proprio ora, mentre sprecava la sua vita nel peggiore dei modi, lì con lui. Dean provava a sfuggirgli, perché non si sentiva solo nudo, ma scarnificato, da quello scrutinio, un imbarazzante mucchio d’ossa sotto quegli occhi affiati, indagatori; giudicato dal riflesso di sé stesso che vi scorgeva dentro…Non avrebbe saputo descrivere lo schiacciante effetto che aveva su di lui. Ci vedeva il loro amore fraterno o meno che fosse, il fascino e l’orrore del proibito attorno al quale avevano danzato come nel gioco della campana, saltando dentro e fuori i margini segnati col gesso, netti, ma fragili e sempre più sbiaditi. Rischiava di perdercisi e non ritrovarsi mai più.

Lo amava, perché era suo fratello; ma non avrebbe dovuto farlo troppo, per lo stesso motivo…solo che, voleva. E Sam lo pregava di non resistere più a quella spinta, non solo col suo sguardo, ma con tutto il corpo. Ne avevano vissute insieme così tante. Perché non potevano lasciarsi andare? Mollare il freno. Si meritavano un po’ di sfogo, no? Si meritavano di consolarsi, avvicinandosi tanto da farsi sparire l’uno nell’altro, giusto? La loro vita era dura e crudele e per sopravvivere avevano sempre potuto contare solo sul reciproco sostegno.

Una vita passata a fare quello che chiunque altro non avrebbe mai avuti il coraggio neanche di pensare. Senza sosta, addestrati a resistere e affrontare terrore e dolore, ignorando il trauma, la fatica, i dubbi.

Incesto. Co-dipendenza. Qualsiasi definizione perdeva di senso di fronte alla loro storia.

Dean rabbrividì. Voleva lasciarsi andare, lo desiderava con tutto il cuore, ma il velo del tabù infranto aleggiava tra loro, ad ogni gesto, anche il più innocente. Ingombrante.

Sam non aggiunse altro e continuando a fissarlo, scese su di lui. Incastrò le braccia sotto le gambe del fratello così da tenerle sollevate, puntellandosi all’altezza dei fianchi, rubando un respiro strozzato a Dean che si aggrappò alle coperte come se Sam lo stesse per scaraventare a terra:

“Dean non preoccuparti. Vieni.” Disse indicandogli le proprie spalle su cui, docile, pose le sue mani Dean.

“Così. Aggrappati a me”.

Dean fece una smorfia di stizza, stranamente intenerita dalle sopracciglia aggrottate, che lo smascheravano, inevitabilmente, per quello che era: un uomo, insignificante e nudo, pieno di paura. Dean scettico per natura, avrebbe voluto fidarsi di Sam, ma aveva sempre fatto immensa fatica a dimostrarglielo. Adesso pur sentendosi un pezzo di legno, ci provava. Sperò che bastasse, che Sam lo perdonasse e lo amasse anche così.

Con questa preghiera in mente Dean si alienò, eliminandolo dal proprio campo visivo ciò che succedeva sotto il suo addome, guardando il soffitto; nel frattempo sentiva Sam che si posizionava tra le sue gambe tese, aiutandosi con le dita per trovare la giusta strada. Dean lo aiutò a sua volta con una mano, sempre fissando il vuoto sospeso in alto su di lui.

Quando sentì Sam spingere nel posto giusto Dean lo lasciò fare, cercando poi le sue spalle per aggrapparvisi, come gli aveva appena chiesto, per non cadere in nessuno dei baratri che si aprivano per lui: pentimento, colpa, ripugnanza di sé, l’Inferno stesso. Adesso era davvero troppo tardi per ripensarci.

Sam spinse forte e questo stirò tutti i muscoli di Dean, che con ogni brandello di volontà rimastagli, mantenne il controllo totale su ogni fibra: cercò di rilassarsi per evitare di spingere fuori Sam, come istintivamente il suo corpo gli urlava di fare. Inarcò solo il collo, evitando di assecondare la molla che bramava di far scattare all’indietro tutta la spina dorsale, evitando così di far del male al fratello, affondando con la testa nel cuscino. Nel frattempo Sam stava trattenendo il respiro, anche lui vinto dalle sensazioni inaspettate, sospeso in equilibrio su Dean.

Sam testardo com’era non ci badò troppo a lungo e affondò completamente in lui, bruciando Dean dall’interno, per quanto lentamente; poi si fermò. Dean si era sforzato così tanto di non emettere suoni che per ogni piccola divergenza rischiava di perdere tutta la concentrazione. Per questo non permetteva a Sam di spostarsi: con le braccia gli cingeva le spalle e lo stringeva come se ne andasse della propria vita.

Sentì Sam provare a forzare quella stretta, ma Dean, trattenendolo, lo pregò di restare per un po’ così, in un sussurro rubato alla propria resistenza. Muovendogli le labbra sul collo e lasciandosi sfuggire un sospiro tremulo gli lasciò in quel punto un morso, lieve come il singulto che ne seguì, sintomo della fatica di evitare ancora di urlare. Sam firmò quella tregua rilassandosi sul corpo che si stava sciogliendo sotto il suo, trascinando le braccia sotto la schiena di Dean; tirandolo leggermente a sé, gli strappò un altro lievissimo singhiozzo di sollievo, più leggero e libero di legarsi meglio attorno a Sam.

Quella posizione cambiava completamente le carte in tavola: ora che il bruciore del primo attrito si era dissipato, in quella immobilità rotta solo dai reciproci respiri, potevano godere del pulsare del sangue dentro ognuno di loro. Dean, allora sciolse la presa e tanto bastò a Sam, che non si fece sfuggire l’occasione per testare ancora il loro autocontrollo.

Fissando in viso Dean, uscì quasi completamente per poi affondare di nuovo in lui, inaspettatamente, con forza, mozzando il fiato a entrambi. Dean gli regalò uno sguardo completamente sopraffatto dalla sorpresa del piacere, allacciato indissolubilmente al dolore, in un’unica forza, ignota e risucchiante.

Capì che Sam non ne aveva abbastanza di quella vista, perché senza pietà si immerse in lui, in quello stesso modo, ancora e ancora. Quando Sam si placò, si addossò ansimando nuovamente su Dean, allacciandogli le braccia attorno ai fianchi come una cintura di sicurezza, anche se era perfettamente chiaro al maggiore dei due, mentre si sentiva sollevare, che si erano schiantati da tempo contro la loro totale irragionevolezza, senza scampo. Non c’era modo di soffermarsi a riflettere su quanto fossero condannati alla dannazione. Dean seguì l’esempio del fratello, aggrappandosi di nuovo al suo collo. Sapeva cosa sarebbe successo: Sam lo avrebbe trascinato nella sua furia infuocata e niente lo avrebbe più fermato, nemmeno le urla e lo sconquassamento delle loro ossa, delle travi del letto e del muro oltre le loro teste.

Gli aveva fatto promettere di non fare rumore e ora toccava a Dean obbedire per entrambi.

Ma Dean non era pronto, nonostante tutto: Sam aumentò il ritmo degli affondi e, inesorabile, si conficcava in Dean come se volesse punirlo e al tempo stesso curarlo dalla sua malinconia autodistruttiva, non lasciando spazio per null’altro se non per Sam. Fare l’amore con Sam. Sentire solo Sam. Toccare Sam, farsi toccare solo da Sam. Era così tremendamente difficile non urlare al soffitto quanto stesse godendo e soffrendo, che Dean usò l’unica arma a sua disposizione per sfogare la frustrazione: mordere.

Quasi a caso, senza intenzionalità. Oh, al pensiero che chiunque avrebbe potuto scorgere quei piccoli marchi arcuati dal colletto della camicia – o che qualche ragazza senza volto gliene avrebbe chiesto spiegazioni – la febbre che pervadeva Dean peggiorava, non faceva che infiammare quella smania di abbandonare un lembo di pelle per prenderne un altro tra i denti, stringere di nuovo e lasciare un altro segno.

Dean pensò che non avrebbe resistito ancora per molto, ma Sam non sembrava intenzionato a permettergli di adagiarsi nella fretta di concludere. Non aveva avuto il tempo di formulare quella riflessione, che Sam si scostò dai sui morsi, rallentando l’ondeggiare ritmico dei fianchi per poterlo osservare: Dean lo guardò sfiorarsi il labbro inferiore con la lingua, muovendosi talmente piano fuori e dentro di lui da farlo impazzire. Si sentì improvvisamente inappagato. Lesse, nello stringersi degli occhi affilati, che Sam cercava qualcosa di preciso: la somma di tutto ciò che stava provando Dean, dispiegata in un spettacolo che veniva recitato solo per lui. Sam voleva vedere, voleva capire, voleva studiare.

E non era sempre stato così?

Sam la testa d’uovo, il nerd, lo strambo. Che guardava avidamente ogni documentario su qualsiasi aggeggio, invenzione, civiltà, museo, luogo naturale o animale che passassero alle tre di notte quando papà era lontano e l’insonnia li colpiva. Sam, che cercava e imparava, tra le leggende - che lo spaventavano e lo allontanavano dalla vita in cui era immerso - quanto più e meglio poteva, per aiutare padre e fratello a tornare sani e salvi, il prima possibile. Sam che studiava tutto quello che gli capitava sotto il naso all’Università, per avere i voti più alti e le scuse ancora migliori affinché nessuno gli facesse domande sulla sua famiglia.

E Dean non gli aveva sempre dato tutto?

Tutto quello che Sam non aveva neanche bisogno di chiedergli. Tutto quello che poteva dargli. Anche quando non aveva voluto. Anche quando gli aveva detto no. C’erano voluti anni in qualche caso, ma anche quelli più ostinati si erano trasformati in . Come ora. Non era necessaria una parola di troppo tra loro, già più spesso che volentieri, ancor di più in quel momento, dove i loro sensi erano interconnessi e i corpi perfettamente incastrati, l’uno nell’altro.

Così non gli restava che soddisfare il bisogno voyeuristico di Sam di poterlo osservare, finalmente, come una specie rara, completamente alla sua mercé, spoglio di ogni finzione, abbandonato alle sue cure, alle sue mani e ai suoi fianchi che lo lambivano a ritmo costante, a tratti irregolare, come le onde contro lo scoglio della sirena che cantava ancora nella sua testa.

Sam si impossessava di lui, ora più rapidamente – allora Dean sollevava il mento, sbattendo le lunghe ciglia sui grandi occhi sorpresi, le labbra schiuse in gemiti silenziosi, ansiti rapidi, ruotando i fianchi per mostrarsi meglio al proprio carnefice e ricambiare il piacere che gli dava; ora più lentamente – allora Dean lo cercava e si agganciava a lui, mentre spingeva il bacino oltre il limite invalicabile delle ossa di Sam in cui desiderava svanire, unendosi fino a eliminare ogni millimetro di distanza tra loro, inspirando a fondo mentre il fratello si faceva strada dentro lui, per poi buttare fuori tutta l’aria dai polmoni in un sospiro estatico quando raggiungeva il punto giusto. Mantenevano, entrambi così le promesse scambiate poco prima.

Forse Dean lo aveva viziato e gli stava dando troppo, più di quanto suo fratello potesse sostenere. Notò tornando in sé, che Sam aveva perso la sua spavalderia e si era fatto serio.  

Gli si gelò il cuore: che si fosse pentito? Se Sam si fosse ritirato in quell’esatto istante, Dean lo avrebbe lasciato andare senza pensarci due volte, ma sarebbe morto di vergogna. Poi però scorse il sorriso tenero che piegava le labbra del fratello su di lui. Dean non capiva: vedeva gli occhi di Sam dardeggiare su tutto il suo corpo; lo osservò trattenere una risata nervosa che fu solo uno sbuffo. E poi accarezzargli il viso, fino al petto, forse anche per placare quella confusione che Sam aveva involontariamente generato e che si mostrava sincera sul volto di Dean, visto quanto gli era impossibile nasconderla in quello stato.

“Dean, sei davvero tu…Sei bellissimo.”

Il sorriso si era allargato seguendo le parole, un sussurro stupito. Dean continuava a non comprendere, limitandosi a guardare il fratello come se gli si fosse rivolto in un idioma sconosciuto. Non poteva replicare, non ne era in grado. La sua testa gli gridava di rispondergli qualcosa, qualsiasi cosa, ma niente gli sembrava giusto o abbastanza; non sapeva che fare di quelle parole. Provò ad afferrare cosa implicassero e questo lo destabilizzò, come provare a immaginare l’infinito. Però Sam era lì con lui, presente in quello che succedeva. Non si stava pentendo; la paura, in apparenza, solo un ricordo lontano, dissipata. E fin lì poteva arrivarci.

Dean temette di non saper più parlare, mentre perdeva tempo a pensare che non aveva abbastanza forza per non farsi sopraffare dalle lacrime che minacciavano di inondargli gli occhi. Era una frase così idiota…In una situazione normale Sam si sarebbe meritato uno schiocco ben assestato di dita contro l’orecchio. Poteva ricattare il fratello per tutto il resto della vita con quella frase imbarazzante e avrebbe voluto prenderlo in giro anche ora e dirglielo, ma temeva che la voce l’avrebbe tradito. Sam aveva ancora una mano sulla sua guancia e Dean si voltò per sfiorare il palmo col naso, provando a nascondercisi, chiudendo gli occhi, rifiutando la lusinga. Bellissimo? Sam era un pazzo e uno stupido se lo vedeva così. Dean era stanco e si sentiva solo vecchio e sporco. Cosa c’era di bello? Sam gli afferrò il viso e glielo voltò di nuovo verso il suo sguardo. Il sorriso tenero non gli abbandonava le labbra. Sam sapeva. Sapeva cosa attraversasse la mente di Dean, e come a volerlo persuadere che la sua convinzione fosse irreversibile e Dean non avrebbe potuto farci niente, ripeté scandendo la parola, sorridendo ancora: “Bellissimo.” Dean riuscì a trattene le lacrime, mentre scuoteva lievemente il capo per dissentire; ma erano troppo vicini: Sam avrebbe capito che effetto gli facevano le sue parole.

Però voleva vedere tutto, giusto?

Allora Dean si fece coraggio e non si nascose oltre. Gli concesse l’indizio di un mezzo ghigno incerto e lo affrontò con lo sguardo lucido che non cedeva terreno: “Se dici un’altra cazzata del genere, ti uccido.” Non era affatto credibile. Il bisbiglio tremante che venne fuori voleva essere una minaccia, ma fu piu simile alle fusa di un gatto. Doveva tenere botta contro la principessa che apparentemente aveva preso il comando del suo cervello e lo faceva commuovere alla prima moina sdolcinata che gli veniva rivolta.

Ma chi voleva prendere in giro…quale principessa? Era tutta farina del suo sacco.

Suo fratello avrebbe dovuto farsi bastare quella come risposta.

La sirena nella sua mente, ora si era voltata verso di lui e tentava di trascinarlo nell’oceano inquieto.

Sam, divertito, si fece di nuovo spudorato e si mosse di nuovo brusco dentro di lui. Stavolta Dean non ebbe nessun controllo sulla propria voce e sentì, come dissociato, i gemiti che venivano dalla sua gola, liberi.

“Scu-sa.” riuscì solo a formulare senza fiato.

“Oh, Dean…” Sam si abbassò su di lui abbracciandolo, incapace di attendere oltre lontano dal calore che quegli ansiti promettevano. Dean si coprì la bocca nascondendosi nell’incavo del collo di Sam, ma questo non accennava a rallentare, quindi poté a stento riprendere il controllo su sé stesso.

Adesso li avrebbero sentiti ed era tutta colpa di Sam.

Era tutta colpa di Sam.

Da quando era nato, Dean si era legato a lui, con tutto sé stesso, deliberatamente; gli era sempre parso naturale. Suo fratello gli era caro più di qualsiasi cosa possedesse o desiderasse. Più in là, anche dell’avere una vita normale. Era solo colpa sua.

Mamma e papà nutrivano quell’inclinazione, quasi increduli di quanto fosse facile crescere il nuovo arrivato con l’aiuto insperato del primogenito. Da piccoli era diventato un istinto incontrollabile e Dean non aveva mai avuto desiderio di combattere contro quella spinta, tantomeno dopo l’orribile morte della madre. Quella no, non era stata colpa di Sam.

Crescendo, quell’indole era rimasta lì dov’era, ma la volontà di Dean era cresciuta a sua volta intrappolata, intrinsecamente incastonata nelle spire della devozione che provava per John; d’altro canto, la necessità di autodeterminarsi e trovare un’identità in mezzo a tutto quel casino che era - che è - la loro famiglia, urlava disperata e lui l’ascoltava solo a metà. Dean si sentiva tirare da ogni parte, ma tutti i principi e i valori da ottemperare, nella sua mente si distorcevano, come lo spazio attorno a un corpo troppo pesante, inevitabilmente gravitati da quell’amore che rimaneva immutabile al centro. Era colpa di Sam.

Dean ricordava bene i disastri che aveva combinato, sentendosi costantemente tra l’incudine e il martello: per questo era stato delle volte iperprotettivo con Sam e altre distante, anche crudele. Tante, troppe volte, anche nell’arco della stessa giornata; più di quante riuscisse ad ammettere volentieri. Se ne rendeva conto. Pensava, non senza rimorso, che Sam a quel punto lo sopportasse a mala pena.

L’idea che suo fratello potesse odiarlo lo scarnificava dall’interno come un parassita, non poteva accettarla, eppure viveva comunque dentro di lui. Per questo, Dean era in continua contraddizione con sé stesso e col mondo, anche quel mondo i cui margini non coincidevano esattamente con suo fratello.

Era tutta colpa di Sam se non riusciva a smettere di amarlo tanto. Se questo li stava distruggendo nel frattempo.

Nell’ebrezza del piacere, la confusione che generavano in lui quei ricordi ammassati era frastornante. Dean in preda al delirio di quella febbre, sentì il bisogno di tirare fuori il pensiero martellante che non gli dava tregua, ma non riuscì a formulare meglio ciò che pensava se non con poche parole frastagliate, sussurrate tra i gemiti: “È tutt-a…colpa tua…Sammy, ah!”

Sam si immobilizzò e disse “Cosa?”. Ansimava rumorosamente contro la spalla di Dean, quasi completamente affondato nel suo corpo. Rimase così per qualche secondo, poi anche il suo respiro si placò. Dean si riprese in fretta e gli accarezzò la nuca e i capelli, con urgenza e il sentore crescente di aver detto qualcosa di terribilmente sbagliato.

“Dean…”

Cristo. Sam aveva una voce così triste. Lo vide scansarsi leggermente da lui: aveva dipinta addosso quell’espressione maledetta da cane bastonato. Dean doveva rimediare; chiuse gli occhi incapace di sopportare quelli che lo cercavano disperati:

“È colpa tua…se non riesco a fermarmi.” Spiegò a stento.

Non avrebbe mai voluto sentirsi così vulnerabile e permettere a quelle parole di prendere vita, ma questo era quello che voleva Sam, giusto’? Aveva provato a tirarglielo fuori in tutti i modi. Allora perché non gettargli anche l’ultimo briciolo di sé che gli aveva tenuto avidamente nascosto?

Sam aggrottò le sopracciglia, confuso.

Era costretto a spiegarsi meglio di così. Il fatto era che non poteva ferirlo ora, per un malinteso tanto stupido. Doveva rimediare; dargliela vinta fino all’ultimo. Così Dean deglutì quel nodo che gli chiudeva la gola da anni, quel sortilegio che si era auto-imposto per non dire l’indicibile, ogniqualvolta che lasciava languire lo sguardo qualche secondo in più sul suo fratellino e cominciava a desiderare l’indesiderabile. Così sputò quel nodo e parlò:

“…Se ti amo.”

Lo stupore era un’emozione che Dean aveva potuto osservare dipingersi sul volto del fratello e di tante altre persone, infinite volte. Ma chiamare stupore quello che vedeva ora era riduttivo: un bambino che non aveva mai vissuto un Natale vero, che riceveva, in un solo istante, tutto quello che non aveva mai avuto, che aveva sempre chiesto a gran voce fino a perdere l’uso delle corde vocali e che non sperava più di poter avere – o peggio, desiderare – per sé.

Per un attimo temette di averlo rotto.

“Sam?” lo chiamò, quasi preoccupato.

Sam fu su di lui in un lampo: senza permettergli di comprendere oltre l’espressione che gli sconvolgeva i lineamenti, avvolse Dean con tutto sé stesso, cingendolo con le braccia sotto la schiena. Dean lo sentì quasi staccarsi da lui tra le cosce, ma Sam si stava solo bilanciando meglio per ciò che stava per fare.

Si aggrappò con forza al collo di Sam quando si sentì sollevare; quel movimento improvviso rischiò di piegarlo in due come un giunco sull’acqua immobile di un lago. Sam era sempre troppo impetuoso e improvviso. Era sempre stato un ragazzo calmo e controllato, tanto che forse non sapeva neanche che fare con quelle emozioni così forti quando lo travolgevano.

Dean ingoiò la voce, perché erano ancora uniti e quei movimenti gli stavano facendo vedere le stelle. Letteralmente, poteva scorgerle dietro le palpebre mentre si appoggiava con le braccia sulle spalle di Sam, sedendosi su di lui. Quando i loro petti si schiantarono uno contro altro, Sam inspirò a fondo il suo odore ed espirando, tremante, diede a Dean la sua parte di vittoria: “Anch’io, Dean. Anch’io ti amo”.

Dean era frastornato. Voleva dire che lo sapeva, ma non sarebbe stato vero. Sam era tutt’uno con lui. Si nascondeva dentro di lui, chino col naso e le labbra nella curva del collo di Dean, i capelli che ne sfioravano morbidi il volto. Dean guardava la stanza senza vederla, oltre la spalla di Sam, poggiandovi il mento mentre vi si strusciava come un gatto. Abbracciati così, potevano riposarsi, finalmente? Non pensare più a nulla.

Ma Sam non trovava ancora la sua pace. Fu ovvio, quando Dean si sentì accarezzare la schiena dalle braccia del fratello che si aprivano dietro sé, per lasciare posto alle grandi mani che lo reggevano senza sforzo e scivolavano sempre più giù, posandosi sulle natiche. Quando quello sfiorarsi si trasformò in carezze sempre più profonde, che reclamavano attenzione, Dean sciolse l’abbraccio ed entrambi si confrontarono.

Sam sembrava volersi avvicinare alla sua bocca aperta, ma Dean si tirava indietro e lo stuzzicava, permettendo solo ai loro nasi di sfiorarsi. Allora Sam, con un verso frustrato e quasi rabbioso, strinse le dita sui glutei di Dean sollevandolo. Lo lasciò poi sprofondare sulle sue gambe per farsi avvolgere di nuovo completamente, con forza guidando Dean sui propri fianchi fino a farglieli ricoprire del tutto, grazie al suo peso. Dean era immobile, senza fiato e lasciava che Sam lo manovrasse a sua discrezione; ansimava piano al ritmo dei loro movimenti curvilinei e così distratto, Sam poté catturarlo in quel bacio che il fratello maggiore gli aveva negato solo per il puro gusto di un dispetto, come sempre.

Dean si sostenne sulle spalle di Sam, permettendogli di muoversi a suo piacimento dentro e fuori dal proprio corpo. Chiuse gli occhi e si concentrò su tutto il piacere che provava, in pace col proprio immondo desiderio. Non riusciva a smettere di tremare mentre si muovevano sempre più veloci.

Sam aveva deciso che era giunta la fine di quel combattimento. Esattamente come se fosse stato un ring, la lotta li spinse di nuovo giù, schiena sul letto per Dean, placcato da Sam che con mosse fluide sollevava un ginocchio del fratello sulla sua spalla e si prendeva tutto lo spazio necessario per far arrivare entrambi al culmine. Prese Dean in una mano seguendo il ritmo dei propri fianchi, spasmodici, risvegliando il fratello maggiore dall’estasi in cui si era rinchiuso. Dean capì e lo guardò, facendogli un lieve cenno del capo: anche lui era esausto dalla tensione di giungere verso un momento che sembrava inarrivabile.

“Sammy, più vicino.” Dean sorrise vedendo Sam obbedirgli come rapito da un richiamo irresistibile e gemette quando il fratello uscì piano, quasi dolorosamente, da lui, come controvoglia, lasciandolo a fare i conti con una mancanza che, seppe in quell’istante, avrebbe cercato di colmare per tutto il resto della vita. Lasciandolo più assetato ora, dopo averne assaggiato qualche goccia, rispetto a quando non sapeva nemmeno d’aver sete. Ma Sam non lasciò molto spazio a quel pensiero perché si accasciò su Dean, stringendosi a lui più che poteva e con una mano che teneva l’erezione del fratello, ora schiacciata tra loro, prese anche sé stesso e portò entrambi all’estatica fine della corsa, tra gemiti repressi e profonde contrazioni incontrollabili.

Non era certo la prima volta per Dean, ma fu come se lo fosse. Non aveva posto per formulare pensieri articolati e vedeva solo colori. I colori dell’arcobaleno, luce e buio, la faccia scura della luna.

Sam era diventato tutto per lui.

E Dean era completamente suo.

********

I'll be your father
 I'll be your mother
 I'll be your lover
 I'll be yours

I'll be your liquor
 Bathing your soul in juice that's pure

I'll be your anchor
 You'll never leave these shores that cure

I've seen you suffer
 I've seen you cry
 For days and days

So I'll be your liquor
 Demons will drown and float away


 

I’ll be yours

Sleeping with ghosts, Placebo


 

  
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