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Autore: Milly_Sunshine    17/11/2022    3 recensioni
Novembre 2002: al termine di una serata con gli amici, Mark ha un appuntamento con la fidanzata Ellen, ma lei rimane ad attenderlo invano, senza ricevere sue notizie. Il giorno dopo, l'amara realtà: è stato brutalmente assassinato, mentre si trovava in un luogo in cui già fu consumato un atroce delitto. Il mistero legato alla sua morte non viene svelato, ma provoca la morte di altre persone. Novembre 2022: a vent'anni di distanza, Ellen e gli amici di Mark si ritrovano di nuovo nel loro paese natale per commemorarne la scomparsa, senza sapere che chi ha già ucciso vent'anni prima è ancora in agguato. Li aspetta un mistero fatto di lettere anonime, identità scambiate e intrighi di varia natura. // Scritta nel 2022/23, ma ispirata a un lavoro adolescenziale.
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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[31 ottobre]
Steve guardò l'orologio. Erano le dieci e un quarto. Quella mattinata era estremamente tranquilla. Stava valutando la possibilità di uscire dal negozio e andare a fumare una sigaretta sul marciapiede, quando all'improvviso la voce di Kevin lo fece sussultare.
«Ehi, Steve, puoi venire?»
Era un tono assolutamente concitato, che non lasciava presagire nulla di buono.
Steve si diresse verso l'ufficio sul retro, chiedendosi cosa potesse essere accaduto di tanto preoccupante.
Kevin teneva gli occhi fissi sul computer, quindi Steve ipotizzò che si trattasse di qualche genere di inconveniente tecnico.
«Se c'è qualche programma che non va, prova a riavviare.»
Kevin alzò lo sguardo.
«Come?»
«Se c'è qualcosa che non va, non c'è bisogno di allarmarsi. Non...»
Kevin lo interruppe: «Va tutto benissimo, è solo che abbiamo appena ricevuto uno strano messaggio su Forever Net.»
Steve sbuffò.
«Mi darai del vecchio, ma credo che i social abbiano fatto più danni che altro.»
Kevin ignorò il suo commento.
«Vieni a vedere.»
Steve azzardò: «Insulti? Gente che ci scrive per farci sapere che lavoriamo male, quando magari quando è venuta da noi ci ha fatto i complimenti?»
«Si chiama Mabel» si limitò a dire Kevin.
«La nostra detrattrice? Non mi sembra il caso di preoccuparsi. Dopo ci do un'occhiata, prima però vado un attimo a fumare. Credo di averne bisogno, prima di dedicare tempo a gente che non sa cosa fare.»
«Vieni qui a leggere questo cazzo di messaggio.»
Il tono secco di Kevin convinse Steve ad avvicinarsi al computer. Gli fu necessario leggere il messaggio della fantomatica Mabel due volte, prima di riuscire a spiccicare parola.
«Ma... è uno scherzo?»
«Non so se sia uno scherzo, ma io non scherzerei su certe cose» obiettò Kevin. «Ho provato a guardare il profilo di questa Mabel, non c'è nulla. Probabilmente l'ha aperto solo per scrivere messaggi di questo tipo.»
Steve lesse, ad alta voce: «"Caro Steve, stanotte sarà l'anniversario dell'omicidio di Mark Forrester. So che cerchi di dimenticare, ma sei sicuro che chi l'ha ucciso si sia dimenticato di te? Fai attenzione." Che cosa dovrebbe significare? E perché sul profilo dello studio?»
«Forse non ti ha contattato sul tuo profilo personale perché non lo aggiorni tanto spesso» azzardò Kevin. «Chiunque sia, voleva essere sicura che tu lo leggessi.»
«Può darsi, ma comunque non ne capisco il senso. Chi l'ha ucciso si ricorda di me? Perché dovrebbe? Chissà che fine ha fatto, ormai, l'assassino di Mark. Dopo il novembre del 2002 non è più successo niente a Goldtown, né nelle immediate vicinanze. Se fossi stato nella sua lista, probabilmente sarei morto da quasi vent'anni.»
«Cosa faccio?»
«In che senso?»
«La blocco? Oppure vuoi fare denuncia?»
«Ma quale denuncia. Sarà una megalomane. O un megalomane, non siamo sicuri che sia una donna. Bloccala. Anzi, no, fai finta di non avere mai visto il messaggio.»
Kevin annuì.
«Va bene, farò come dici.»
«Se ne manda altri, fammi sapere.»
«Tu, però, stammi a sentire, se dovesse esserci un prossimo messaggio.»
Steve accennò un mezzo sorriso.
«Hai ragione, mi dispiace se ti ho dato l'impressione di non prenderti sul serio. Pensavo fosse capitata qualche cavolata. Non che questa non lo sia, ma hai fatto bene a farmi vedere il messaggio. Adesso, però, vado a fumare. Ne ho ancora più bisogno di prima.»
Tornò nell'ambiente nel quale accoglieva i clienti e andò verso l'attaccapanni. Stava cercando nella tasca della giacca le sigarette e l'accendino quando la porta si aprì. Era entrata una cliente, o quantomeno una potenziale cliente.
Portava un soprabito beige, aveva jeans attillati con stampe floreali e indossava un paio di scarponcini con il tacco. Aveva lunghi capelli castani, ma distinguere i lineamenti del suo volto non era molto facile. Era in parte coperto da una mascherina chirurgica e gli occhiali da vista si erano appannati.
«Buongiorno signora» la salutò Steve. «In cosa posso esserle utile.»
La presunta cliente rise.
«Steve, da quanto tempo!»
La sua voce gli era familiare, anche se vederla comparire nello studio, per giunta proprio quel giorno, aveva in sé qualcosa di assurdo.
La vide sfilarsi la mascherina e allora non ebbe più dubbi.
«Ellen?»
«Temevo non ti ricordassi più di me. Ci sono rimasta male quando non mi hai riconosciuta.»
«Non eri molto riconoscibile. Comunque, a cosa devo l'onore di averti qui nel mio negozio?»
Ellen prese fuori da una tasca una chiavetta USB.
«Avrei delle fotografie da sviluppare. Le ho messe tutte qui. Non c'è altro, a parte le foto da stampare.»
Steve prese in mano il supporto che Ellen gli porgeva e lo appoggiò accanto al telefono.
«Che formato?»
Ellen non gli rispose, gli domandò piuttosto: «Come stai?»
«Bene, e tu?»
«Bene anch'io.»
«Cosa ci fai a Goldtown?»
«Per il momento mi sono trasferita qui.»
«Per il momento? Nel senso che te ne andrai?»
«Non lo so. Avevo bisogno di un posto dove stare e una mia collega che abita a Goldtown mi ha proposto di diventare la sua coinquilina.»
«È da molto che sei qui?»
«No, sono arrivata ieri.»
«E ti sei già ritrovata nel mio negozio per puro caso?»
Ellen sbuffò.
«Non posso far sviluppare delle foto? Che problema hai esattamente?»
«No, nessun problema» la rassicurò Steve. «Solo, sono un po' spiazzato. Non mi aspettavo di trovarti qui. Anzi, non mi aspettavo proprio di rivederti. Sei sparita totalmente, da quando hai lasciato Goldtown molti anni fa.»
Ellen alzò le spalle.
«Avevo le mie buone ragioni per andarmene. Non sopportavo l'idea di rimanere qui. Adesso, però, le cose sono cambiate. Sono passati molti anni, posso superare il passato, un po' come avete fatto voi che siete rimasti.»
Steve non sapeva cosa dire, quindi decise di non fare commenti.
«Quante sono le foto?»
«Una ventina.»
«Formato standard?»
«Va bene.»
«Puoi venire stasera. Sono aperto fino alle sette.»
«Verrò dopo le sei.»
Si salutarono ed Ellen gli voltò le spalle e uscì. Steve la guardò andare via, cercando di dare un significato a quanto era appena accaduto.



"PS. Dillo anche al tuo collega" recitava il secondo messaggio, che Kevin fissava ormai da alcuni minuti senza staccare gli occhi dal monitor. "L'assassino di Mark Forrester potrebbe ricordarsi anche di lui. C'eravate entrambi, la sera in cui è stato ammazzato."
C'erano entrambi, era vero, avevano incontrato Mark, ma era stato ore e ore prima del delitto. Avevano ormai fatto ritorno tutti quanti alle loro abitazioni, quando il loro amico era stato assassinato. Che cosa stava insinuando quella Mabel, chiunque fosse? Cosa voleva da loro?
Era immerso in quelle riflessioni, quando Steve entrò in ufficio, tanto che non si accorse di lui fintanto che l'altro non parlò.
«Come mai non sei venuto di là?»
Kevin sussultò.
«A fare cosa?»
«A salutarla.»
«Chi?»
«Non ci credo» ribatté Steve. «Va bene, non l'hai vista, ma non puoi non avere riconosciuto la sua voce.»
«Non stavo ascoltando» puntualizzò Kevin. «Non ho fatto caso alle voci. Ho sentito che parlavi con qualcuno, ma non me ne sono preoccupato.»
«Mi sembra difficile» replicò Steve. «Avresti potuto venire a salutarla.»
«C'è già Mabel che è impegnata a salutarmi» rispose Kevin. «Non riesco a occuparmi più di una persona per volta.»
«Mabel?»
«Sì, la persona che ci ha scritto quel messaggio.»
«Ho capito di chi stai parlando. Stai ancora pensando a lei?»
«È lei che sta pensando a noi» chiarì Kevin. «Ha scritto di nuovo.» Gli lesse il contenuto del secondo messaggio. «Questa Mabel sa dove ci trovavamo vent'anni fa, prima che Mark fosse ucciso.»
«Non mi sembra tanto sorprendente» obiettò Steve. «Voglio dire, è una faccenda che ha avuto una certa risonanza mediatica.»
«I nostri nomi non sono mai comparsi sui giornali» gli ricordò Kevin. «Nessuno ha mai avuto dei dubbi su di noi o messo in dubbio che c'entrassimo qualcosa con il delitto. La stampa ci ha lasciati in pace. O meglio, ha lasciato in pace tutti quanti noi, tranne Danny. Come fa questa Mabel a conoscere certi dettagli?»
«Non è difficile arrivarci in fondo. Basta chiedere alla maggior parte della gente che abitava a Goldtown già vent'anni fa. Chiunque sarebbe in grado di fare i nostri nomi. Quindi o Mabel è una persona che era già qui nel 2002...»
Kevin lo interruppe: «Se era qui nel 2002, perché si è svegliata solo adesso?»
«Stanotte saranno passati vent'anni dall'omicidio di Mark.»
«Okay, va bene, è il ventennale, ma perché svegliarsi proprio dopo vent'anni? E non dopo dieci, o cinque, o quindici?»
«È una bella domanda» ammise Steve, «Ma siamo con tutta probabilità di fronte a una pazza megalomane, una persona che non sa cosa fare e che con tutta probabilità ha deciso di passarsi il tempo tormentandoci. Vedrai, si stancherà.»
«Ti vedo tranquillo.»
«No, per nulla, mi servirebbe una sigaretta, dato che è da un po' che sto rimandando.»
«Allora vai» gli suggerì Kevin. «Dopo che avrai fumato, magari, avrai più voglia di starmi a sentire.»
«Va bene. Allora ci vediamo tra un po'.»
Steve stava per allontanarsi, ma a Kevin venne in mente che avevano lasciato in sospeso un discorso.
«Chi era?»
«Chi era chi?»
«Sei venuto di qua chiedendomi perché non fossi venuto a salutare una cliente o sbaglio?»
Steve alzò le spalle, con indifferenza.
«Non era nulla di importante. Schiarisciti le idee su quella Mabel, piuttosto.»
Non aggiunse altro e uscì.
«Schiarirmi le idee» borbottò Kevin. «Come se potessi farmi davvero venire in mente qualcosa.»
Steve rientrò oltre un quarto d'ora più tardi. Le sigarette dovevano essere stata più di una, oppure non era rientrato subito. Kevin, nel frattempo, aveva considerato l'ipotesi che poco prima fosse entrata nello studio fotografico una delle Robinson. Steve non aveva mai messo da parte i vecchi pregiudizi nei loro confronti, non c'era da sorprendersi che ci tenesse a informarlo. Chiaramente la faccenda di Mabel doveva preoccuparlo più di quanto desse a vedere e, di conseguenza, aveva pensato che informarlo dell'incontro con Jennifer o con una delle sue parenti non fosse fondamentale.
Kevin gli domandò: «Possiamo parlare di Mabel, adesso?»
«Ne parliamo tra un attimo» replicò Steve. «Mi è appena venuto in mente che avrei alcune commissioni da svolgere oggi, nel tardo pomeriggio.»
«Va bene, non c'è problema, ti posso sostituire» rispose Kevin. «Cercherò di fare del mio meglio.»
Steve obiettò: «Il problema è che devono venire alcuni clienti con cui preferirei avere a che fare di persona.»
«Quindi» dedusse Kevin, «Mi stai chiedendo se a quelle tue commissioni posso pensarci io.»
«Esatto, sapevo che avresti capito.»
«Va bene, non c'è problema.»
«Diciamo dalle cinque e mezza in poi.»
«Ci sto.»
«Sicuramente finirai prima delle sette, ma non importa che torni. Ti segno comunque giornata intera.»
«Va bene. Allora verso le cinque e mezza me ne vado e penso a tutto io.»
«È perfetto. Ti ringrazio tanto.»
«A proposito, cosa devo fare?»
«Te lo spiego dopo con calma. Adesso possiamo parlare di Mabel?»
Parlarono di Mabel, senza concludere nulla. Ne parlarono occasionalmente anche quel pomeriggio, prima dell'orario in cui Kevin avrebbe dovuto andarsene. L'incarico che gli aveva affidato Steve gli portò via pochissimo tempo. Avrebbe fatto tranquillamente in tempo a tornare allo studio, ma ne approfittò per tornare a casa in anticipo. Per un attimo gli venne il dubbio che Steve, per un motivo o per l'altro, desiderasse a tutti i costi sbarazzarsi di lui, ma valutò che non vi erano ragioni per cui avrebbe dovuto farlo.
Non ci pensò più. Del resto, nei giorni a venire ci sarebbe stato molto altro a cui pensare.
   
 
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