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Autore: _Zaelit_    21/11/2022    0 recensioni
È trascorso qualche mese dal termine della lotta per la libertà dei guerrieri originati dal Progetto Jenova e Progetto Yoshua.
Sephiroth è partito in cerca della sua redenzione, mentre Rainiel vive con Zack ed Aerith nel Settore 5. Un altro nemico, però, intende portare avanti la guerra che loro credevano terminata. Quando un vecchio amico porterà discordia nelle vite dei due ex-SOLDIER, quando un angelo dalle piume nere tornerà a cercare il dono della dea, Rainiel e Sephiroth, e tutti i loro compagni, dovranno ancora una volta confrontarsi con un male più pericoloso del precedente e che, come se non bastasse, sembra conoscerli molto bene.
Libertà, amore, pace: tutto rischia di essere spazzato via ancor prima di poter essere ottenuto... e il Dono degli Dèi è più vicino a loro di quanto pensino.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genesis Rhapsodos, Nuovo personaggio, Sephiroth, Zack Fair
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Crisis Core, Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'Heiress of Yoshua'
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Capitolo 41
FALSA VERITA'
 
Il rumore di una tazzina che collideva con il piattino di ceramica sottostante risvegliò bruscamente Rainiel da un momento di riflessione, catturando il suo sguardo fino a poco prima perso oltre la finestra della sua stanza da letto.
Genesis si era offerto spontaneamente di prepararle un buon tè caldo per aiutarla a riprendersi. Rain aveva trascorso l'intera giornata precedente a dormire per rimettersi in sesto e, benché ora si sentisse più riposata, il suo senso di confusione non si era affatto mitigato.
Le bastò guardarsi attorno per avere l'emicrania. Cos'era quella stanza, così lussuosa e spaziosa? Non le sembrava adatta a una SOLDIER di terza classe come lei. E da quando Genesis si dimostrava così premuroso nei suoi confronti? Non aveva mai dimostrato particolare interesse verso di lei, anzi non si era proprio creato problemi a ignorarla, il più delle volte.
Lo guardò prendere posto al tavolo rotondo, con un sospiro e lo sguardo un po' perso.
Jadin gli aveva espressamente ordinato di essere gentile con lei, ma questo Rain non poteva saperlo. Era trascorso un giorno intero dalla sua perdita di memoria e Genesis aveva usato tutto il tempo a disposizione per pensare a un discorso sensato da fare a Rainiel per convincerla di un mucchio di menzogne che presto sarebbero diventate la sua verità. In quelle ore, la scienziata aveva orchestrato tutto perfettamente, inventandosi una storiella che giustificasse il ritorno di Rain, Genesis e Sephiroth alla Shinra, una in grado di convincere non solo loro, ma anche di essere credibile per i media cittadini.
Rain afferrò timidamente il manico della tazzina e si specchiò sulla superficie tremula della bevanda calda.
«Avrai molte domande, immagino.» Genesis ruppe il silenzio, inspirando a fondo. Era il momento di iniziare quel patetico teatrino.
Rainiel non lo guardò direttamente. «Molte, in effetti.» La sua fronte si corrugò, le sopracciglia basse, «Ma in realtà non saprei nemmeno da dove iniziare. Un attimo prima ero nel mio alloggio, alle caserme, e poi...»
«Ti sei risvegliata,» la precedette lui, «Senza ricordare più nulla.»
La ragazza alzò di scatto la testa, la schiena curvata e le labbra socchiuse. «Esatto. Non capisco cosa sia accaduto. È tutto... così diverso. Io mi sento diversa.»
Genesis osservò il suo sguardo vagare di nuovo. Si appoggiò allo schienale e la studiò attentamente. «Hai perso la memoria, Rain.» Questa non era una menzogna, ma avrebbe preferito che lo fosse. Oppure, avrebbe voluto piuttosto raccontarle tutta la verità.
Rain restò immobile per qualche secondo, l'espressione sofferta. «... Quanto ho dimenticato?» gli domandò.
Genesis intrecciò le braccia e accavallò le gambe sotto al tavolo. «Da quanto tempo pensi di essere mia allieva?»
«Qualche mese... non ricordo di preciso.»
«Hai dimenticato all'incirca quattro anni. Tranquilla, potresti recuperare i tuoi ricordi. Devi solo riposare e riprenderti dal trauma subito.» Questa, invece, era una falsità.
Rainiel aveva voglia di piangere. Aveva vent'anni. Praticamente aveva saltato buona parte della propria adolescenza. In più, era rimasta una SOLDIER di terza classe per tutto questo tempo e non conosceva altre persone se non Genesis, il che significava che non aveva concluso poi molto in quel lasso di tempo. Sì, voleva recuperare ogni memoria perduta.
«È sicuro che ricorderò tutto?» domandò, speranzosa.
Genesis fece ricorso al lato più tenace e impassibile del suo animo per restare imparziale davanti a una scena del genere. Per quanto avrebbe solo dovuto detestarla, Rain finiva quasi per intenerirlo, suscitare la sua compassione.
«No, ma puoi comunque provare a ricordare le cose più importanti.»
Infilò una mano in tasca e ne estrasse un contenitore metallico tondo, che poggiò sul tavolo accanto alle dita pallide della ragazza.
«Prendi questi farmaci, è stato il dipartimento scientifico a consigliarmeli. Te li fornirò di settimana in settimana. Aiuteranno la tua memoria a ristabilirsi.» le spiegò.
Rain aprì la scatoletta d'alluminio e vide piccole pillole bianche dall'aria innocua, come se fossero semplici antidolorifici.
Genesis sapeva benissimo che non erano nulla del genere, e nemmeno pillole per stimolare la memoria. Quei medicinali avrebbero solo tenuto a bada il dono di Rain che, se manifestato inconsciamente, rischiava di rivelarle la natura delle bugie su cui stava per fondare la sua nuova vita.
«Grazie.» pigolò la ragazza, richiudendo il barattolo e straziando il cuore di Genesis, che non voleva neppure trovarsi lì. Tornò a guardarlo, e lui abbassò lo sguardo mentre lei gli parlava, per evitare che notasse il senso di colpa nei suoi occhi.
«Posso chiederti... com'è accaduto?» riprovò Rain. Aveva bisogno di scoprire quei dettagli.
Genesis ripeté velocemente nella propria mente i punti su cui si era accordato con Jadin per la creazione di quella storia-esca.
«Tu e un gruppo di altri SOLDIER siete partiti per una missione, non molto tempo fa. L'obiettivo era liberare un prigioniero dai nemici di Wutai che lo avevano intrappolato. La missione è andata a buon fine, ma i soldati della nazione nemica hanno usato contro di voi un'arma sconosciuta per confondervi e sconfiggervi. Credo che la perdita di memoria sia una diretta conseguenza del suo impatto. Sei fortunata a essere sopravvissuta.» s'inventò quindi.
Rain sgranò gli occhi. Una cosa del genere era incredibile. «Accidenti... e cosa ne è stato del prigioniero?» volle sapere. Sperava almeno di aver completato la missione.
Genesis abbassò il capo, e anche la voce. «Sono io quel prigioniero.» Con l'eccezione che continuava a esserlo ancora, ma non si trovava tra le grinfie di Wutai, solo in quelle di una folle scienziata con manie di grandezza.
Rain si coprì le labbra. «Mi dispiace moltissimo... per quanto sei stato lì?»
«Un paio d'anni.» Questo avrebbe giustificato la sua assenza per tutto quel tempo.
La sua allieva restò in silenzio per una quantità indefinita di secondi. Aveva un'espressione triste in volto, e sembrava così genuinamente dispiaciuta per lui che osservarla stava diventando sempre più fastidioso ogni secondo che passava.
Infine, il suo sguardo bluastro, che ancora risentiva della luminescenza della mako, si fissò su quello dell'uomo.
«Sono lieta che tu sia tornato, e che stia bene.» mormorò, non senza un certo imbarazzo. Era sincera più che mai.
Genesis si morse l'interno di un labbro con forza. Rain per caso si considerava sua amica, ai tempi in cui era stato suo compito addestrarla? E per quale motivo? L'aveva allontanata con ogni mezzo possibile... eppure lei continuava a vedere del buono in lui. Lo aveva fatto fino all'ultimo secondo. Perché non poteva semplicemente odiarlo, così da rendere le cose più semplici?
«Anch'io... sono contento di essere tornato.» mentì, cercando di non tradire la sua sceneggiata con una microespressione troppo rivelatoria o qualcosa del genere.
Seguirono dei secondi di silenzio interrotti solo dai pochi, ovattati rumori al di là della porta, dal ticchettio di un orologio sulla parete che non segnava l'ora esatta, e dal basso suono di due respiri incerti.
«Genesis...» Fu Rainiel a parlare, dopo quell'eternità di attesa che in realtà era stata forse fin troppo breve, «Posso fare una domanda?»
Il giovane uomo sollevò un sopracciglio. «Di che si tratta?» Era pronto a propinarle un'altra menzogna, ma non vedeva l'ora di andarsene. Aveva fatto il suo lavoro, quello che gli avrebbe permesso di vedere l'alba del nuovo giorno. Jadin aveva resettato la degradazione con molto ritardo, il giorno prima, e non voleva esagerare con le provocazioni.
Eppure, Rain intrecciò le dita e lo spiazzò. «Riguarda...» deglutì, forse preoccupata, «... Sephiroth.»
Genesis spalancò gli occhi e si spostò scomodamente sulla sedia, stavolta trasudando agitazione.
Ricordava forse qualcosa di lui? Forse, allora, potevano collaborare. O sarebbe stato troppo pericoloso?
«Cosa vuoi sapere di Sephiroth?» le domandò, ma non poté nasconderle, questa volta, il proprio nervosismo.
Rainiel lo scrutò a lungo, cercando di carpire un cenno, un segnale, un minimo gesto che potesse aiutarla a ricordare, ma non ci riuscì.
«Ieri notte, quando l'ho incontrato nei corridoi del piano dei laboratori, lui... mi ha chiamata Rain, come se mi conoscesse bene. Ha cercato di portarmi via. Tu sai perché?» domandò. Nelle sue orecchie risuonava ancora una parola in particolare. "Ricordami". Cosa doveva ricordare di lui, esattamente?
Genesis doveva pensare rapidamente a una risposta efficace. Si calmò, e in parte gli dispiacque anche, quando comprese che in realtà Rain aveva perso tutti i ricordi che Jadin aveva voluto cancellare. L'operazione era stata un successo.
«Il Generale Sephiroth era in missione con te, quando siete stati attaccati.» ricostruì dunque quel finto ricordo, «Tu e lui siete i soli a essere sopravvissuti. Per quanto ne so, siete stati trasportati in infermeria d'urgenza una volta arrivati qui a Midgar. Forse lui, come te, aveva ripreso conoscenza e si trovava in uno stato di confusione. Voleva portarti al sicuro.»
Rainiel trovò sensata la sua spiegazione, ma essa non spiegava quello che lui le aveva detto in quel corridoio. Il suo sguardo, la sua voce... c'era una strana familiarità nel suo comportamento. Come se fosse accaduto qualcosa, tra loro due. In più, il pensiero che tutti i loro compagni di missione avessero perso la vita la scosse parecchio.
Provò a osare di più. «Mi piacerebbe incontrarlo, per parlargli.» richiese. Sapeva che Sephiroth era un uomo importante, impegnato, e che difficilmente avrebbe trovato tempo per una semplice SOLDIER di terza classe come lei, ma tanto valeva provarci. Forse anche lui aveva vuoti di memoria.
Genesis, però, la folgorò con lo sguardo. Il pensiero di loro due che si incontravano in quello stato, nel rischio che ripristinassero i loro ricordi, lo tormentò. In tal caso la colpa sarebbe ricaduta su di lui, e Jadin gli avrebbe fatto pagare quell'errore donandogli una lunga, terribile agonia. Il solo pensiero lo fece alzare con un movimento brusco dal tavolo.
«Sephiroth ha bisogno di riposare, esattamente come te. Non vi siete ancora ripresi del tutto. E tu devi ritornare al più presto ai tuoi allenamenti.» negò rapidamente.
Rain lo guardò, disorientata. «Sarebbe solo per qualche domanda, non è mia intenzione disturbarlo e...»
«Prendi le tue pillole, Rainiel Chanstor,» tuonò seppur a tono contenuto il falso mentore, «e torna a letto. Dei medici verranno a visitarti tra qualche ora. Se dovessi aver bisogno di me, contattami.»
Le girò le spalle, avvicinandosi alla porta. Era ancora voltato di spalle, quando le parlò per l'ultima volta.
«Cerca di pensare un po' di più a te stessa.» le consigliò, «Scoprirai che essere egoisti a volte è l'unico modo che si ha per sopportare i periodi più bui.»
Si stava chiaramente riferendo a Sephiroth, e a tutte le altre preoccupazioni della ragazza. Non aspettò risposta, lasciò la stanza e si richiuse la porta alle spalle, lasciando Rain da sola con i suoi pensieri.
Aveva l'impressione che, una volta, quei pensieri fossero addirittura assillanti, che non la lasciassero riposare in pace. Ora, invece, non sapeva più nemmeno a cosa pensare. Era stato rimosso qualcosa di importante dalla sua mente, ma non solo. Un vuoto significativo se ne stava lì, nel bel mezzo del suo petto, e la pregava di trovare una soluzione.
Rainiel guardò di nuovo all'interno della tazza di tè che a malapena aveva assaggiato.
La superficie dell'acqua era ancora tremula. La pace di quel limpido piano sconvolta da ignote onde d'incertezza.
 
 
   
 
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