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Autore: Khailea    24/11/2022    0 recensioni
Un'avventura action con trame avvincenti e personaggi unici e caratteristici!
Saghe appassionanti e ricche di colpi di scena, special divertenti e di ogni genere!
Unisciti alle stravaganti avventure degli studenti della Werewolf Shadow!
I personaggi di cui si parla in queste storie sono inventati da un gruppo di role chiamato Werewolf's Shadow 2.0.
Questo è il secondo progetto di fiction scolastica del gruppo fatto con l'approvazione dei suo componenti.
Non ci sono collegamenti con il precedente progetto e la trama é molto diversa.
Il logo del lupo appartiene al nostro gruppo esattamente come i personaggi e l'ambientazione.
Se volete unirvi a noi potete fare richiesta qui https://www.facebook.com/groups/660949357417726/members/
Genere: Azione, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Personaggi in questo capitolo: 
Jack
Daimonas 
Ailea
Khal 
Lighneers 
Zell 
Astral 
Lacie 
Hope 
Grace 
Milton 
Seraph 
Alexander 
Johanna 
Samantha 
Nadeshiko 
Ayame 
Ryujin
Yume
Cirno
Vladimir
Annabelle
Wyen
 
 
 
 
 
 
 
 
Jack-Daimonas-Wyen-Milton-Cirno-Vladimir-Annabelle-Yume-Ryujin-Nadeshiko-Seraph-Astral-Lacie- Ailea-Khal-Zell:
 
Forse si stavano avvicinando le tre del mattino. Forse era un pelo più tardi, o forse più presto.
Ailea non ne aveva idea, era stesa nel prato della scuola, assieme ai ragazzi rimasti per il post serata, ed era stretta a Khal, che le accarezzava i capelli.
-Hai alcune ciocche più lunghe delle altre…-
-Non importa.-
-Basterebbero pochi secondi per sistemarle.-
-Sì, ma non mi va.-
Non andava matto per i suoi nuovi capelli, era chiaro, ma ormai il danno era fatto, e sinceramente Ailea preferiva godersi a serata piuttosto che sistemarli.
Tanto mal che andava i parrucchieri aprivano la mattina presto.
Non era tanto il taglio in sé che dava fastidio al ragazzo, quanto il perché l’aveva fatto, ed il non poterli correggere lo stava facendo impazzire.
Di nascosto con le unghie aveva provato a tagliare qualche singolo capello, lasciandoli appena Ailea si muoveva per evitare che se ne accorgesse.
Tra tutte le cose che doveva fare per qualcuno, doveva sceglierne una così visibile, sbattendogliela costantemente in faccia… dalla rabbia avrebbe voluto strapparglieli.
-Dai… non tenermi il muso. È stupido.- borbottò lei, sfregando la testa sul suo petto.
Era stato stupido quello che aveva fatto.
-Scusami… hai ragione.-
Almeno Daimonas non era lì. Sì, era rimasto per la festa, ma era distante, seduto assieme a Jack mentre la sorella era stata trascinata da Cirno in mezzo alle danze.
Il ballo di Wyen era decisamente più timido e posato rispetto all’altra ragazza, che si agitava scatenata senza andare minimamente a ritmo di musica, ma dal modo in cui sorrideva era evidente che si stesse divertendo, ed almeno con lei era andata anche Milton, per farla sentire meno a disagio.
Daimonas la guardava sentendo il macigno nel petto alleggerirsi.
-Sei stato molto coraggioso prima.- disse Jack, spezzando il silenzio.
-Grazie, e… grazie anche per quello che hai fatto.-
-Sai che ci sarò sempre se ne avrai bisogno.-
Sì, stava cominciando a rendersene conto, e stavolta sul serio.
Con Jack non erano mai parole a vuoto.
Dopo la loro rottura non avevano avuto molti momenti da passare da soli, e quella era la prima volta che Daimonas si sentiva come se stessero veramente ricominciando. Sentiva di avere messo da parte tutte le discussioni, che avessero superato quel punto dove tutto poteva ricominciare in meglio, senza più trascinarsi dietro gli sbagli fatti.
Con Jack lì accanto si sentiva leggero, e sereno. Si sentiva al sicuro, ed avrebbe voluto avvicinarsi di più al ragazzo.
Glielo avrebbe lasciato fare? La risposta lo spaventava un po’.
I suoi sentimenti non erano di certo svaniti, anzi erano quasi più forti.
Un giorno probabilmente glielo avrebbe detto, ma almeno per il momento voleva prendere le cose con calma, e godersi i risultati raggiunti.
Ciò comunque non gli impedì di trovare il coraggio per abbassare la testa sulla sua spalla, appoggiandosi mentre guardavano gli altri ballare.
Se avesse alzato lo sguardo avrebbe potuto vedere Jack sorridere.
-E quello vi sembra ballare?- schiamazzò Nadeshiko, fermatasi per bere qualche altro drink, ma appena vide come Wyen e Milton ballavano si lanciò subito nella pista. -Yume, vieni con me!-
-Ohoh, ci divertiamo.-
-Ragazze, non è una gara. Ognuno è libero di ballare come preferisce.- le ammonì Ryujin, temendo potessero mettere solo più in difficoltà Wyen, ed in effetti, tra tutti i membri del gruppo, erano quelle con cui faticava di più a rapportarsi.
Il loro stile era troppo… libertino, troppo eccessivo.
Di fatto il loro ballo era completamente opposto al suo, ancheggiavano piegandosi in ogni posizione possibile, e dall’imbarazzo Wyen guardò istintivamente altrove.
-Andiamo, non fare la suora.- la prese in giro Nadeshiko.
-Trovo solo che dei movimenti simili non siano decorosi…-
-Decorami questi movimenti.- rispose la ragazza scatenandosi ancora di più.
Prima che la situazione degenerasse Milton andò in soccorso di Wyen. -Vieni, andiamo a guardare le stelle da quella parte.-
Le due si allontanarono, lasciando Cirno, Nadeshiko e Yume.
-Poverina… non avremo esagerato?- chiese quest’ultima.
-O mi ami o mi odi.-
-Dubito che ti odi.-
-Io ti amo!- esclamò Cirno infilandosi tra le due, ricevendo qualche carezza da entrambe.
-Il succo è che sicuramente non cambio il mio modo di fare per qualcuno. Non l’ho mai fatto con i miei ex.- concluse Nadeshiko.
Non intendeva certo creare dei problemi con la sorella di Daimonas, però le veniva un po’ spontaneo stuzzicarla visto era così chiusa su certi atteggiamenti.
Non erano certo nel medioevo dopotutto.
La serata comunque stava andando piuttosto bene, anche se alcuni erano già crollati dal sonno.
In realtà Vladimir più che dal sonno si poteva dire che era crollato dall’alcol. Di tanto in tanto borbottava qualcosa, poi tornava ad abbracciare la sua vodka e si girava sul fianco.
-Dite che sta bene?- chiese Annabelle preoccupata.
-Benissimo. Una nottata di sonno gli farà bene.- rispose Zell. -Hai visto che occhiaie ha di solito?-
-Vero… ma ha bevuto molto.-
-Quella è la normalità per lui.- disse Astral. -Credimi, non è la prima volta si finisce una bottiglia di quella roba.-
-È un alcolizzato nyahaha.-
-Non del tutto falso.- annuì Seraph.
Vladimir si rigirò, puntando un dito nell’aria.
-Pwosso smwettere quandoh uoglio…-
-Va bene amico, ora torna a dormire.- disse Astral spingendolo a terra. -Forse dovremmo almeno prendere una coperta.-
-Vado a prenderla dalla mia camera. Tanto dovevo lavarle.- rispose Zell alzandosi.
Nessuno per fortuna era venuto a lamentarsi per gli schiamazzi, ma a giudicare dalle luci in alcune stanze del dormitorio, non tutti erano andati a dormire…
 
 
 
 
 
 
 
 
Sammy-Johanna-Mattia:
 
Sammy era crollata molto prima di quanto avesse voluto, ed era stata riportata al dormitorio nella sua camera.
Johanna era stata felice di potere trascorrere una serata a ballare e divertirsi con i suoi amici, ma la sua batteria era presto crollata, e per quanto amava guardare le stesse, e di tanto in tanto tornare a chiacchierare, aveva colto felicemente la palla al balzo.
Con Sammy tra le braccia aveva raggiunto la camera che condivideva con Milton, ed era stata molto felice quando Mattia l’aveva seguita.
Non che avesse molta scelta, i cancelli erano chiusi, ed avrebbe dovuto dormire lì.
Con Sammy sistemata nel suo letto i due si erano stesi sul tappeto, prendendo un paio di cuscini ciascuno, e stavano guardando un film su Netflix.
O almeno ci stavano provando, visto ogni pochi minuti Mattia le faceva il solletico, o la punzecchiava per rubarle un bacio.
-Ahah, ho perso metà film per colpa tua.- rise la ragazza.
-Possiamo sempre ricominciare da capo. Tanto non ho sonno.-
Nemmeno lei, stare assieme a Mattia la caricava di energia.
Era molto attenta a non svegliare Sammy naturalmente, ma era difficile contenersi.
-Sarà una vera noia qui quando tornerai a Londra.- sospirò giocando con una ciocca dei suoi capelli.
-Ora capisci come è stato quando te ne sei andata.-
Johanna serrò le labbra. Era sempre stato un argomento difficile quello.
Sapeva che Mattia non covava alcun risentimento per la sua scelta, ma era anche vero che aveva reso tutto più difficile.
Era felice, non aveva più le pressioni della sorella maggiore, ma non vedeva da quasi un anno la minore, e poteva vedere Mattia solo per pochi giorni.
Certe volte si era chiesta se non fosse il caso tornare indietro.
-Ehi, scusami. Non intendevo dirlo.- disse Mattia notando la sua espressione.
-Va tutto bene…-
Forse finita la scuola sarebbe tornato tutto come prima. Era in quarta superiore, solo un ultimo anno in quinta e poi avrebbe potuto trovarsi un lavoro, oppure frequentare l’università assieme a Mattia, visto entrambi sognavano di andare a quella di lettere, e sarebbero andati a vivere insieme, costruendosi un futuro.
Lo sguardo le cadde sulla piccola Sammy, ed arrosì.
Forse ci sarebbe stata anche una bambina…
-Dai, ricominciamo da capo?-
-Come scusa?-
Si era talmente persa nei pensieri che non aveva capito la domanda.
-Ricominciamo a guardare il film da capo?-
Giusto, il film. Erano nel dormitorio della sua scuola, e stavano guardando un film assieme.
Annuendo Johanna si morse il labbro, cercando di nascondere un sorriso e quei pensieri tanto piacevoli.
-Certo.-
 
 
 
 
 
 
 
 
Grace-Hope-Alexander:
 
Era stato divertente festeggiare con gli altri, ma domani avevano comunque scuola, e sia Hope che Grace concordarono che ne avevano abbastanza delle feste per quella giornata.
Alexander si era gentilmente offerto di accompagnarle, chiamando una delle sue limousine, ed in quattro e quattr’otto erano arrivati sotto l’appartamento delle due ragazze.
Hope titubò qualche istante sull’uscio, indecisa se chiedere al ragazzo di dormire con lei, ma l’occasione sfuggì rapidamente quando lui si congedò con un bacio sulla guancia.
Non c’era niente fa fare, era proprio un vero cavaliere… ed ogni giorno si rendeva conto che i suoi sentimenti per lui diventavano più forti.
Era sempre così gentile, comprensivo ed amorevole, per ogni cosa che gli diceva lui la sosteneva sempre, perfino le più sciocche.
Forse era anche l’effetto dell’alcol, ma si sentiva le ali ai piedi in quel momento pensando a lui.
-Hope, stai andando al prossimo piano.-
Grace era davanti alla porta del loro appartamento, ed aveva notato che l’amica stava continuando a salire.
L’aveva fermata in tempo, ed ora Hope era tutta rossa. -Non voglio sapere cosa stavi pensando…-
-Ma dai! Che dici!-
-Vado a farmi una doccia, tu magari bevi un po’ d’acqua.- rispose Grace accendendo le luci di casa.
Menomale che avevano fatto le faccende quella mattina prima di uscire, così ora non dovevano preoccuparsi di sistemare.
Grace appoggiò il proprio zaino sul tavolo in cucina, lasciando da sola Hope che prese un bicchiere dalla credenza.
-Non ho bevuto così tanto, sai?-
-Bevi comunque.-
Quando fu sparita dietro la porta Hope sorrise. Anche Grace era una persona gentile, ma provava a nasconderlo sotto una corazza.
Si sentiva molto fortunata ad averla come migliore amica, e coinquilina.
Una persona capace di combattere ti fa sempre sentire più sicura quando si è in casa.
Presa un po’ d’acqua stava per andarsene in camera sua, quando un ronzio la fermò.
Da dove veniva?
Era piuttosto insistente. Il suo cellulare era in tasca, quindi non poteva essere, e non c’erano dispositivi accesi.
Il ronzio cessò, solo per tornare dopo una manciata di secondi.
-… forse ho veramente bevuto troppo.-
Dov’era?
Lo sentiva vicino.
Non dal divano, vicino al frigo… no, dal tavolo. Lo zaino di Grace!
Doveva essere il suo telefono!
Hope rise tra sé e sé, felice l’amica non fosse lì a vederla. -Ok, ho decisamente bevuto troppo se non mi sono accorta era il suo telefono.-
Di solito non curiosava nel cellulare dell’amica, ma vista l’ora doveva essere qualcosa di importante, soprattutto visto a quanto pare la stavano chiamando più volte.
Infilando una mano nello zaino lo prese con tutta l’intenzione di portarlo all’amica, ma vedendo il nome scritto sopra al numero si fermò.
-Oh…-
 
 
 
 
 
 
 
 
Ayame-Lighneers:
 
Era assurdo, totalmente assurdo!
Perché diamine il professor Zero la stava facendo camminare nella foresta andava oltre la comprensione di Ayame.
Una qualsiasi altra ragazza, lei inclusa in verità, avrebbe guardato l’uomo ad una decina di metri dalle prime file di tronchi, ed avrebbe detto “no, io in un bosco con uno schizzato depravato non ci vado”.
Ed invece eccola lì, che stava seguendo quei suoi occhi ambrati, in una direzione non precisa.
Per precauzione aveva mandato la propria posizione ai maggiordomi, in modo potessero venire al primo cenno di pericolo, ma per il momento l’unica cosa che percepiva era la tensione che aleggiava nell’aria attorno a sé.
Se non fosse stato per il pensiero che anche Lighneers forse si trovava lì se ne sarebbe già andata.
Era certa che il suo amato ne stava dicendo quattro al professore.
Come si permetteva di infastidire la sua ragazza?
La sua amata, la sua futura moglie, l’unica ragione della sua esistenza e la futura madre dei suoi figli.
A quei pensieri Ayame ridacchiò divertita.
Oh sì, si sarebbero divertiti tanto a fare una mandria di bambini.
In ogni caso, era certa che stava dando del filo da torcere all’uomo, in un modo o nell’altro.
Dopotutto Lighneers era perfetto, forte, sicuro, impassibile e tenace. Aveva sempre il controllo di tutto e si comportava da vero capo, perfino quando rimaneva in silenzio.
Nella mente della ragazza non c’era dubbio che fosse lui il leader del gruppo.
Si sentiva così fortunata ad avere trovato l’anima gemella così giovane.
Eguagliava la sua bellezza, ed era l’uomo ideale.
Se le sue amiche l’avessero sentita sapeva per certo che avrebbero avuto da ridire, ma non le importava.
Tanto meglio anzi, così non avrebbero provato a portarle via Lighneers.
Per come era cresciuta, era più facile innamorarsi per lei della classica figura da gangster macio e duro piuttosto che del fallito che ti porta un mazzo di rose sotto casa.
Anche suo padre era così, sapeva amare, ma a modo suo, ed era in grado di proteggere tutto ciò a cui teneva.
Forse si era innamorata di Lighneers anche per questo, perché glielo ricordava.
Ogni volta che doveva proteggere qualcosa lo faceva con le unghie e con i denti, non arrendendosi mai.
Più pensava a queste cose più il suo desiderio di trovarlo aumentava, ed i suoi passi acceleravano.
Era stufa di stare in mezzo alla natura, di sopportare le piante che le si infilavano tra i capelli ed i sassi che la facevano inciampare.
Quando cominciò ad intravedere un edificio in lontananza fu più che contenta.
-Finalmente! Amoruccio, arrivo!-
Per una volta non si stava sbagliando.
Da molto prima che arrivasse Lighneers era già entrato nell’orfanotrofio. Conosceva la strada a memoria, ed ormai poteva raggiungerlo anche ad occhi chiusi.
Non si era aspettato che il professore sarebbe addirittura venuto a prenderlo a scuola, anche se in verità aveva solo attirato la sua attenzione poi era svanito, ma il messaggio era chiaro.
Vieni subito, o sei morto.
E così eccolo lì, nel salone principale, in attesa.
Dove diamine era quel tizio?
L’aveva preso in giro?
-Il pulcino sta uscendo dall’uovo, eh?-
Non si sarebbe mai abituato al modo in cui l’uomo gli compariva alle spalle.
-Stai iniziando a capire di essere solo un povero deficiente?-
Ed ecco che partiva con la sua raffica di insulti.
Non importava, poteva sopportare fintanto che presto si sarebbe allenato.
-Oh, attento a quello che chiedi. L’allenamento di oggi sarà leggermente diverso dagli altri… è il momento di una terapia d’urto, per liberarti dalle tue emozioni.-
-Cosa inten…-
Fu troppo rapido, la mano del professore gli perforò il cranio, ma Lighneers non sentì dolore, più un intenso formicolio.
Non ci fu alcuno spargimento di saghe, e le sue cervella non si sparsero sul pavimento.
Per un attimo credette di esserselo sognato, poi la sua vista cominciò a cambiare ed i colori svanirono, sostituiti solo da strane sfumature di rosso e verde, che si alternavano dandogli un forte senso di nausea assieme a dei bagliori che non capiva da dove provenissero.
Anche il mondo attorno a lui cambiò, i muri cadenti ritrovarono la loro solidità, e le voci riempirono le stanze dell’orfanotrofio.
Un dolore lancinante lo colpì alla schiena, più forte di qualsiasi cosa avesse mai provato.
Voltandosi vide degli uomini, in camici bianchi, che lo colpivano con una frusta. I loro corpi informi si muovevano come onde, e le loro voci ovattate e mostruose lo fecero rabbrividire.
No, non era possibile.
Erano tutti morti, li aveva visti con i suoi occhi. Ma allora perché erano lì?
Perché quelle fruste gli tagliavano la pelle come se fosse burro? Perché non era più in grado di contenere il dolore.
Altri colpi arrivarono, talmente violenti da farlo cadere dal letto, in una pozza di sangue.
Sentiva le lacrime rigargli le guance mentre tentava di trattenere le urla.
Lo avrebbero solo colpito più forte, proprio come stavano facendo con gli altri bambini.
-No… basta… basta!-
I volti degli uomini si sciolsero di fronte ai suoi occhi, riempiendolo di panico quando li vide riformarsi come creta nei musi di un branco di cani.
Si trovava stavolta in un minuscolo stanzino, assieme a molti altri bambini, alcuni dei quali stavano già venendo sbranati.
Uno di questi tentò di aggrapparsi alla sua caviglia per farsi salvare, ma Lighneers terrorizzato riuscì solo ad arretrare, abbassando la guardia.
I canini di uno dei doberman gli si conficcarono nella spalla, masticando e tirando con forza.
Lighneers urlò dal dolore, cercando di colpirlo sul muso per liberarsi, ma l’animale era troppo forte. L’avevano drogato, ed era affamato.
Continuò a strattonare l’arto, aprendo dei grossi buchi con i denti. Da alcuni punti addirittura si vedeva l’osso, e Lighneers era certo che da un momento all’altro glielo avrebbero strappato.
Da oltre una gabbia gli uomini in bianco continuavano a guardarli, impassibili, come se non stessero torturando dei bambini innocenti.
Ancora poco ed avrebbe perso completamente il braccio, ma un calcio assestato alle costole costrinse il cane ad aprire la bocca, e qualcuno lo trascinò via.
Erano Dimitri e Leo, i suoi fratelli maggiori, completamente ricoperti di sangue, ma ancora lucidi al contrario suo.
Altri bambini li pregavano di aiutarli, ma non potevano, non finché Lighneers era in pericolo, e lui lo sapeva.
Stavano condannando altre vite per salvare la sua.
-No… no!-
Tento di aggrapparsi ai fratelli, chiedendo aiuto, ma come li sfiorò i loro corpi si tramutarono in melma.
Il mondo non ebbe nemmeno il tempo di ricrearsi stavolta che il suo corpo fu completamente percorso da un dolore angosciante.
Tentò di muoversi, ma era legato ad un tavolo, una luce sopra la sua testa lo accecava, e degli uomini lo circondavano.
Abbassando gli occhi vide uno di loro reggere un bisturi, e lacerargli la carne aprendogli la coscia, inettando qualcosa che gli bruciò i muscoli, rendendo il rumore insopportabile. Nello stesso momento qualcuno aveva appena asportato una costola, appoggiandola su un tavolino sul quale erano stati sistemati diversi organi.
Le voci erano ancora confuse, e tra le sue urla non riusciva a capire cosa si stessero dicendo, ma una cosa la sapeva: stavano facendo degli esperimenti sul suo corpo, per comprenderne i segreti che celava.
Altre parole, un'altra lama che veniva raccolta, ma stavolta gli uomini gli bloccarono la testa, aprendogli l’occhio destro.
-NO! NO!-
Ogni singolo istante, ogni secondo di pura agonia si ripeté all’infinito nella testa del bambino, troppo debole per potersi difendere.
Fu con sollievo e paura che la visione cambiò di nuovo, ma se per il momento non stava provando più alcun dolore era solo perché gli era stato lasciato il peggio per ultimo.
Prima arrivò l’odore di fuliggine, poi un calore sempre più intenso alla pelle, e infine le urla.
Un enorme incendio si propagò nel giro di pochi secondi sotto i suoi occhi, lo stesso incendio che lui ed i suoi fratelli avevano appiccato per porre fine a quell’incubo.
Doveva essere la cosa giusta, avrebbero liberato tutti da quegli uomini malvagi, che rapivano la prole semiumana delle creature che popolavano la terra per studiarli, torturarli e dissezionarli.
Ne era convinto, sarebbe andato tutto bene dopo avere appiccato l’incendio, ma abbagliato dal suo desiderio di vendetta e dalla sua rabbia non aveva pensato a cosa sarebbe potuto succedere agli altri bambini.
Solo quando vide intere pareti crollare sotto le fiamme, schiacciando i loro corpi, e sentì le loro urla riempirgli le orecchie, ritrovò la lucidità.
Era lì, immobile, di fronte all’ingresso dell’orfanotrofio che stava bruciando, con Zob, Maxwell, Leo e Dimitri.
Oltre la porta corpi in fiamme si scioglievano, le vite dei bambini con cui avevano condiviso la prigionia vennero ridotte in cenere, e la colpa era solo loro.
Rendendosi conto di quello che avevano fatto Lighneers cercò di lanciarsi tra le fiamme, per salvarli.
I fratelli gli urlavano di tornare indietro, ma lui non li ascoltava. Vide lungo il corridoio la bambina con cui aveva scambiato lunghi sguardi nei brevi momenti di pace tra una tortura e l’altra schiacciata sotto una trave, immobile, con il volto ormai bruciato.
Gridando il suo nome tentò di liberarla, ma il fuoco ormai era troppo forte, e si bruciò le mani.
Troppe grida lo raggiunsero, troppe voci che chiedevano aiuto, ed a nessuna di loro seppe rispondere.
Era un inferno che lui stesso aveva creato, dal quale non poteva fuggire.
Fuori dalla mente di Lighneers nulla di tutto ciò che stava vedendo era reale.
Si trattava solo di ricordi a cui il professore aveva dato vita, e che ora lo stavano tormentando. Il dolore che il ragazzo stava vivendo era reale, le sue urla graffiavano le pareti lacerandogli la gola.
In preda al dolore Lighneers si era strappato i vestiti, tentando probabilmente nella sua mente di togliersi la carne dopo un altro ricordo delle torture subite in passato.
Il professore era a pochi metri da lui godendosi in silenzio la scena, solo, almeno per il momento.
-… la ragazza è arrivata.- disse con un sorriso, svanendo tra le tenebre.
Il pianto di Lighneers era iniziato poco dopo che Ayame aveva notato l’edificio, e non riconoscendo la voce del ragazzo era avanzata con passo incerto, temendo potesse trattarsi di una trappola del professore.
Nuovamente ebbe ragione, ma mai avrebbe potuto immaginare quello che vide oltre la porta.
Lighneers era a terra, quasi completamente nudo, in lacrime mentre urlava al vuoto.
Si muoveva e contorceva spasmodicamente, flettendo il corpo magro e scarno, provato dal digiuno delle ultime settimane e ricoperto di cicatrici causate dagli allenamenti del professore, ma c’era dell’altro.
Occhi e capelli erano diventati completamente neri, con una minuscola pupilla rosso rubino al centro, che schizzava impazzita come una pallina da ping-pong.
Tra la bocca spalancata, dalla quale usciva un filo di bava, si intravedevano dei canini animaleschi, e l’intero corpo era attraversato da delle vene rigonfie e pulsanti.
Ayame lo guardò, provando un senso di disgusto.
Cos’era quel corpo rivoltante, che scalciava e piangeva?
Non poteva essere quello di Lighneers, il suo doveva essere perfetto.
-L-Lighneers?-
Gli occhi del ragazzo si spalancarono, i fumi svanirono, ed il mondo tornò alla normalità, ma ancora stordito dall’incantesimo del professore Lighneer non si rese subito conto di cosa stava accadendo, e corse a ripararsi in un angolo, tremando terrorizzato credendo che Ayame fosse un altro di quei dottori, e lui solo un bambino.
-V-va via! Ti prego va via!-
Ayame continuò a guardarlo, non sapendo cosa dire.
No, quello non poteva essere il suo Lighneers, il ragazzo che non tremava di fronte a nulla, in grado di affrontare la morte con sprezzo, sempre sicuro di sé e che non si faceva mai schiacciare dalle emozioni.
Non poteva essere la stessa persona per cui aveva passato tante notti insonni, la stessa per cui ora doveva andare da uno psicologo, quella che desiderava al proprio fianco per il resto della vita, che combattesse al suo fianco in ogni circostanza.
Quella persona rannicchiata e piagnucolante non poteva essere Lighneers.
Ayame fece un passo indietro, ma sentì la voce del professor Zero sussurrarle all’orecchio.
-Coraggio… non vuoi raggiungere il tuo amato?-
All’improvviso l’aria sembrò mancarle, le pareti erano troppo strette e presa dal panico la ragazza corse via.
Lighneers riuscì a recuperare lucidità solo quando ormai fu già fuori dalla porta, ma tutti i dolori e le torture subite, per quanto fossero solo nella sua mente, gli impedirono di alzarsi.
Ringhiando guardò il professore, completamente sereno della cosa. -Perché… cos’hai fatto?!-
-Io? Ti ho solo fatto rivivere il tuo passato. È stata una buona lezione?-
-C-crepa…-
-Creta? Sì, bel posto. Sicuramente hai detto così no? Perché se stessi cercando di insultarmi, ucciderei te, quella ragazza e la tua amica dai capelli rossi.-
Lighneers strinse i denti, facendoli stridere tra loro.
-La lezione era proprio questa. Non sei in grado di gestire le tue emozioni, e per questo rovini sempre tutto. Il tuo corpo sta diventando più forte, ma adeso deve esserlo anche la tua mente. Devi imparare a liberarti di questo peso, di smettere di essere così emotivo per qualsiasi cosa, e ad usare solo la testa.-
-Perché hai coinvolto Ayame?-
Lei non centrava nulla, ed ora aveva visto quello che era in realtà.
-Oh, lei? Volevo solo divertirmi un po’.-
Ayame stava ancora correndo nella foresta, con il cuore che le esplodeva nel petto e la mente annebbiata dalla confusione.
Nell’oscurità non riuscì a vedere una radice davanti a sé, che la fece cadere a terra, rotolando per qualche metro sbucciandosi le ginocchia.
Delle lacrime cominciarono a rigarle il viso, ma non era per il male fisico.
Si sentiva come se le avessero strappato il cuore una seconda volta.
Aveva abbandonato Lighneers, e si sentiva uno schifo per questo. Forse il ragazzo stava male o era successo qualcosa di grave, ma lei se n’era andata.
Tuttavia un’altra parte di sé, quella più vecchia, che l’aveva accompagnata per tutta la vita, le ripeteva che quello che aveva visto era un totale schifo.
Un guscio d’uomo, patetico e fragile, che non centrava niente con quello che lei si era immaginata per tutto questo tempo.
Quello era il vero Lighneers? Se avesse continuato ad amarlo, avrebbe dovuto avere a che fare con quella cosa?
Non si riferiva naturalmente allo strano cambio nell’aspetto, era certa che quello fosse solo uno degli inganni del professore, fatto per divertirsi alle sue spalle.
La cosa era semplicemente Lighneers in sé, una persona forse troppo debole e fragile per starle accanto, capace solo di fingere di fronte a tutti di essere forte, ma che da solo crollava come un castello di carta.
Non voleva amare una persona così, le facevano schifo, ma aveva amato Lighneers per così tanto tempo che il pensiero la distrusse.
Tutte le energie ed i sentimenti che gli aveva dedicato sembravano così vani in quel momento.
Era strappata tra due parti: la prima, quella nuova, nata da pochi mesi dopo gli sviluppi delle amicizie con il resto del gruppo, che le ripeteva doveva tornare indietro ad aiutarlo, perché aveva bisogno di qualcuno, ed era la cosa giusta da fare. La seconda invece le ripeteva che lei non era così, che era cambiata per un ragazzo che non era mai esistito, e che al mondo i deboli meritano di essere schiacciati perché solo i forti possono andare avanti.
La confusione le impediva di muoversi e di fare una scelta.
Chi era lei adesso, ora che la visione aveva sempre avuto di Lighneers si stava sgretolando?
La nuova Ayame o la vecchia?
Avrebbe tanto voluto che le sue lacrime potessero risponderle.
   
 
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