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Autore: Sky_7    04/12/2022    0 recensioni
Perché qualcuno sceglierebbe mai di essere il cattivo di una storia? Da che esiste la divisione tra bene e male, nessuno si è mai definito cattivo, esistono solo due schieramenti dovuti a due opinioni contrastanti. è sufficiente questo a definire chi è il cattivo e chi il buono? E chi lo decide? Perché, da che mondo è mondo, sono i vincitori a scrivere la storia, che siano buoni o cattivi.
Se non fosse mai stato capitan Hook il cattivo? Se fosse solo stato una vittima delle circostanze, reso folle dai pensieri che non gli fanno trascorrere notti serene, dalla ricerca di quella vendetta contro un demone immortale che gli ha portato via non solo la mano destra ma anche la vita.
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Una storia in cui le cose sono andate diversamente rispetto a come le conosciamo.
Una storia che racconta il passato, presente e futuro del capitano James Hook, con tutti i retroscena e elementi inediti che racconteranno la sua storia e aspirano a dare un lieto fine a questo personaggio che nella sua lunga, lunghissima vita ha conosciuto solo dolore.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Wendy Darling
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 16

Non parlarono tra di loro di quel piccolo diverbio, c’erano altre cose a cui pensare e indagare sui motivi per cui James era stato tanto brusco con sua figlia non era nelle priorità di Charles, sebbene avesse in mente di aprire il discorso una volta che tutto fosse stato più tranquillo. Camminarono quindi in silenzio ognuno perso nei propri pensieri, ma capitan Hook era nervoso. Charles lo vedeva dalla rigidità delle spalle fasciate nella giacca rossa e dal fatto che più e più volte aveva controllato che l’uncino fosse ben avvitato nell’apposito spazio della protesi. Non faticava a credere che dovesse anche fargli male il polso mutilato e, come aveva avuto modo di capire, non era mai di buon auspicio.
“Dov’è Wendy?” esordì Israel Hands, l’uomo che avevano messo a capo dell’operazione che era la prima parte del pano, raggiungendoli a passo svelto.
“Non qui” fu la secca risposta del capitano. Hands storse la bocca, ma si trattenne dal rispondergli come avrebbe voluto, optando invece per cambiare argomento. Era sì un uomo del suo tempo, ma era del parere che se una donna si fa valere come un uomo dovrebbe poterne frequentare l’ambiente. Conosceva James Hook abbastanza bene da sapere quanto fosse dura la sua testaccia, non sarebbe riuscito a fargli cambiare idea. 
“I due ragazzi di Londra hanno provato a seguirci, li abbiamo seminati nella giungla ma non credo che abbiano desistito. Potrebbero essere un problema”
“Direi più un intralcio” intervene Charles, leggermente in dispare con le braccia incrociate al petto “A me non importa, ma Wendy avrebbe da ridire se gli uccidessimo o mutilassimo i fratelli”
“Soprattutto dopo aver tolto di mezzo i mocciosi per evitare che gli venisse fatto del male durante il combattimento” replicò il suo braccio destro poco lontano. Charles intanto aveva cominciato a guardarsi intorno con la fastidiosa sensazione di essere osservato, se avesse dovuto descriverla avrebbe detto che fosse come uno spillo che lo punzecchiava sulla nuca.
“E non sono solo loro sulle nostre tracce, vero?” chiese capitan Hook ignorando la conversazione, Hands si limitò a sollevare le spalle con disinteresse intercettando il suo sguardo, non servì che dicessero altro. Hook aveva trascorso tanto tempo a Neverland, troppo a dire il vero, non ricordava più come fosse la vita nel mondo reale. Era successo così tante volte: i Bimbi Sperduti erano sulle tracce di Peter, i pirati erano sulle tracce dei Bimbi Sperduti, i pellerossa erano sulle tracce dei pirati e le belve erano sulle tracce dei pellerossa. Continuavano a girare in tondo per l’isola, ma non si incontravano mai perché andavano tutti alla stessa velocità. Questa volta, con l’intervento di Wendy, avevano eliminato una voce dall’equazione e cambiato le carte in tavola. Di questo avrebbe dovuto dare atto alla ragazza, rifletté James, se non fosse tornata non sarebbe mai cambiato niente.
“Pan è mio. Di tutti gli altri non m’importa, agite come meglio credete” e su quelle parole i suoi occhi da color non di scorar di me, si tinsero di rosso, il colore del sangue che era pronto a versare. Era il momento di mettere fine a quella faida una volta per tutte, solo uno di loro sarebbe sopravvissuto.
Erano preparati alla battaglia che sarebbe iniziata da lì a breve, Wendy aveva detto loro che in casi normali Peter e i bimbi sperduti sarebbero arrivati alla carica in volo e per questo aveva scelto di combattere a poche miglia dalla sua casa sull’albero, in un’area vuota circondata da quello che sembrava un campo minato di trappole che i loro nemici avanzando a terra sarebbero stati contretti ad attraversare. Aveva sussultato al pensiero di qualcuno che sarebbe inevitabilmente caduto in una delle fosse riempite di lance di legno, ma dissimulò in fretta quel momento di debolezza.
“Pan è in buoni rapporti con gli indiani, non escludo che potrebbero affiancarlo in questa battaglia in assenza di altri alleati”
“Chi altro abita l’isola?” chiese in signor Hands. Wendy non dovette pensarci molto
“I cannibali, le sirene e il coccodrillo, almeno finora. Le sirene non saranno un problema, non possono muoversi dalla loro baia, ma se dovessero capitarvi davanti tenetevi ben alla larga”
Come la giovane aveva previsto, gli indiani avevano affiancato Peter Pan, ma erano stati i cannibali a correre in prima linea e cadere per primi nelle trappole. L’inferno si scatenò nel giro di pochi minuti, le urla penetravano nel cervello e il sangue scorreva a fiumi, nulla a cui i pirati non fossero già abituati. Il folletto, invece, ignorava tutto, volando sopra gli uomini evitando i rami degli alberi e diretto verso l’unico uomo che in quel momento non stava combattendo: James Hook. 
 
Il capitano Vane era solito dire, quantomeno a se stesso,che niente avrebbe potuto sorprenderlo, un’affermazione che dal giorno della propria morte si trovò spesso a rinnegare. Da allora, infatti, era stato recluso in un limbo privato con la sola compagnia della moglie di Woodes Rogers, il governatore che firmò la sua condanna; aveva ritrovato una persona a lui così cara da essere arrivato un tempo a chiamare Fratello; quella stessa persona lo ha poi portato su un’isola in cielo raggiungibile solo seguendo una rotta tra le stelle. Dimentichiamo qualcosa? Oh sì, naturalmente raggiunse Neverland volando sulla propria fottutissima nave persa molto tempo prima. Se non era morto, sicuramente era impazzito e fin dopo il suo arrivo sull’isola non avrebbe saputo dire quale fosse l’opzione migliore. Questo finché non incontro lei, quella giovane donna dalla sorpresa continua che con il proprio caos interiore riuscì a mettere in ordine la vita del capitano. A quel punto, morto o impazzito che fosse, gli andava bene comunque a patto che avesse potuto continuare a vedere la luce che alimentava gli occhi chiari di Wendy Hook. E doveva dargliene atto: quella ragazzina era scaltra! In poco tempo aveva ideato un piano per incastrare Pan e l’aveva messo in atto, mentre combatteva contro un uomo molto poco vestito e con i denti appuntiti non poteva fare a meno di pensare che l’avrebbe volentieri voluta avere a combattere al proprio fianco.  Senza i bimbi sperduti tra i piedi, il capitano non doveva fare troppa attenzione a chi uccideva, del resto non che vi avesse mai davvero fatto caso. I cannibali e gli indiani combattevano con tecniche diverse: i primi prediligevano il corpo a corpo che li metteva a portata di spada, gli indiani restavano per la maggior parte a distanza preferendo scagliare frecce, chi invece combatteva in prima linea lo faceva con rudimentali lance e asce. Più volte Charles aveva sentito le frecce fendere l’aria intorno a sé, ma aveva cercato di non distrarsi, neanche quando una di queste gli si piantò nella coscia.
Hook, distante da quel campo di battaglia, combatteva la propria guerra con il suo demone personale, il folletto che gli aveva rovinato la vita. Ogni volta che volgeva lo sguardo nella sua direzione, Charles aveva l’impressione che Hook fosse in difficoltà, sperava di sbagliarsi ma aveva i suoi dubbi che fosse stata una buona idea escludere Wendy. Ci aveva riflettuto molto negli ultimi giorni ed era arrivato a pensare che non fosse un caso che solo ora, solo con la giovane dalla sua parte, James Hook riuscisse ad avere la meglio contro la sua nemesi. La stessa strategia che avevano adottato poteva definirsi banale, il piano di bambini che giocano a fare la guerra escogitando i metodi più fantasiosi per spuntarla. Sapeva che già una volta Hook aveva deciso di rapire i bimbi sperduti per mettere in trappola Pan, scegliendo però come campo di battaglia la Jolly Roger che sicuramente era un ambiente conosciuto ai pirati, ma sopra di se aveva solo il cielo aperto. Ma non era questa, ora, la parte importante. Anche in quella prima occasione Hook era riuscito ad avere la meglio perché Wendy era dalla sua parte ed era stata sempre lei ad impedire che quella guerra secolare finisse con risultati ben diversi. Eppure c’era qualcosa che gli sfuggiva, ma che cosa?!
Il capitano Vane con le sue elucubrazioni non si era discostato molto dalla realtà, almeno con le informazioni in suo possesso.  Quel lontano giorno in cui per la prima volta le posizioni si ribaltarono, qualcosa era cambiato, qualcosa di forse troppo impercettibile per essere notato sul momento ma che cominciò a cambiare tutto. Nei termini odierni potremmo definire quello che è successo come l’effetto farfalla: piccole variazioni nelle condizioni iniziali producano grandi variazioni nel comportamento a lungo termine. Quel giorno Wendy, la bambina che più di tutti Peter aveva voluto con se su Neverland, si ribellò a lui schierandosi sul fronte opposto. Per prima volta Wendy vide Peter Pan per quello che fosse davvero e d’ora in avanti quella frattura non fece che ingigantirsi. Wendy cominciò a cambiare e la manifestazione di magia in lei non fu che la punta dell’iceberg di questo cambiamento radicale. Al contrario di Hook, Pan aveva notato tutto e, seppur in primo momento inconsapevolmente, trovò in lei un nuovo nemico.
“Questa volta non c’è la tua nuova balia? Paura di essere battuto di fronte a lei?” esordì Peter attaccando con un affondo di sciabola evitato da James che allontanò la lama agganciandola con l’uncino.
“Questa cosa riguarda me e te. Wendy non c’entra niente” tra gli alberi era difficile per Pan voltare come avrebbe fatto combattendo sul ponte della Jolly Roger, i rami erano decisamente più fitti dei pali e le vele degli alberi di una nave.
“Ti sbagli, uncino. Ormai c’è dentro fino al collo” un attimo di distrazione fece sì che la lama della spada lacerasse la stoffa della giacca sulla manica del capitano, imbrattando il ferro di un sottile rivolo di sangue che entrambi osservarono. James fu il primo a distogliere lo sguardo e spostarlo sul suo avversario, il cui volto non aveva più niente di umano: le orecchie si erano allungate di un paio di centimetri, gli occhi spalancati erano totalmente neri senza alcuna traccia del verde che colorava le sue iridi, la bocca era distorta in un ghigno malvagio e per niente divertito. L’ombra l’avvolgeva creando una sagoma molto più grande di un uomo adulto e nel momento in cui proferì di nuovo parola sembrò che più voci si sovrapponessero in un verso gutturale.
“E quando avrò finito con te sarà il suo turno!”  
 

L’isola che non c’è era ciò di più unico avesse e avrebbe mai visto in vita sua, lo pensò dal primo istante in cui vi mise piede. Eppure in quel momento le appariva diversa. Il verde del fogliame aveva sempre avuto tutte quelle sfumature? La luce del sole filtrava tra i rami rimbalzando sulle superfici e permettendole di vedere minuscole particelle di polvere portate dalla brezza che attraversavano i coni di luce. L’aria profumava di fiori e salsedine ma non vedeva né petali né il mare lì vicino. Si sentiva così leggera che avrebbe potuto volare e, lo notò solo ora, non sentiva il suolo sotto i suoi piedi.  Solo allora abbassò lo sguardo, indossava gli stivali e i pantaloni, sembravano essere quasi trasparenti, lei sembrava essere trasparente. Sgranò gli occhi mentre il respiro le si mozzava in gola ricordando ciò che era successo, dopodiché i rumori della battaglia le giunsero alle orecchie come se fossero dall’altra parte di una fila d’alberi.
“Il tempo ti è nemico, Wendy”  la voce di Imogen le entrò nella testa come fosse un ricordo o un pensiero “Il potere che l’ombra esercita sull’isola è forte ed è ovunque, io non potrò aiutarti laggiù. Fidati del tuo istinto, di tutto ciò che hai imparato, di ciò che hai visto e vissuto. Forse non lo ricordi, ma tu sei già in possesso di tutto ciò che serve per batterlo”  
Non aveva tempo da perdere e iniziò a correre passando attraverso gli alberi e talmente veloce da non distinguere ciò che aveva intorno. Quando si fermò, una singola ciocca di capelli più rossi che mai le svolazzò davanti agli occhi, ma non vi badò, come di tutto il resto neanche di questi sentiva il peso. La sua attenzione, invece, slittò immediatamente su due figure familiari poco distanti in linea d’aria, ma a separarli c’era un muro di uomini che combattevano. Vi passò in mezzo senza badarvi ma loro, per qualche strana ragione, si interrompevano il tempo necessario per lasciarla passare. Lo stesso Charles, coperto di fango e sangue, non avrebbe saputo dire se fosse suo o meno, volse brevemente lo sguardo nella sua direzione, ma non sembrava averla vista. Sembrava fosse in un sogno, o forse un incubo era più credibile, uno di quelli in cui vedi manifestarsi la paura di essere invisibile agli occhi delle persone care. Wendy fermò il proprio intercedere quando notò il capitano rischiare di cadere a causa della gamba destra che aveva ceduto, su una di queste infatti c’era una ferita aperta da cui fuoriusciva una freccia spezzata. L’arma era conficcata nel muscolo e sebbene evitasse un’emorragia, doveva fare molto male. Così si trovò ad agire prima ancora di pensarci bene: tese una mano nella direzione del capitano con le dita ben tese circondate da una miriade di scintille rosse e bianche e dopo il tempo di un battito di ciglia la punta della sfreccia saettò nella sua mano, lasciando alle sue spalle una ferita ormai vecchia e rimarginata che Charles avrebbe notato solo dopo diverse ore. Distrattamente ripose la punta di pietra in tasca e ricominciò ad avanzare verso i due duellanti in disparte senza sapere il perché ma percependo solo la necessità di raggiungerli, di fare qualcosa.  Eppure, una volta giunta a qualche metro da loro, per qualche ragione si ferma. C’è qualcosa che non va, qualcosa di diverso che non riesce a spiegarsi. Strizza gli occhi e di nuovo analizza il campo di battaglia, i due schieramenti e persino i morti nelle trappole e i feriti che strisciano per allontanarsi. Osservò tutto con attenzione, quasi si trattasse di un’opera d’arte da analizzare alla ricerca di un significato. Poi finalmente lo vide. Il signor Hands combatteva contro un indiano con un braccio tagliato di netto da metà dell’omero, conosceva la fama del vecchio pirata costruita in anni di abbordaggi al fianco di Barbanera e non faticava a intuire che doveva aver tagliato quell’arto senza il minimo scrupolo. Ma perché questi continuava a brandire l’ascia? Come fosse un prolungamento del braccio mancante, un fumoso tentacolo nero avvolgeva l’arma che lanciava fendenti sempre più difficili da evitare per il pirata che cominciava ad accusare la stanchezza.  
“Lui non era d’accordo sull’equilibrio. Voleva caos e l’ha ottenuto”
Ma certo, l’equilibrio! La storia è scritta dai vincitori e perché ciò avvenga una fazione deve prevalere sull’altra, quindi un disquilibrio. Ma questo non era normale, come potrebbero dei guerrieri indigeni avere la meglio contro pirati armati e abituati alla lotta? Al che Wendy aprì ancora di più gli occhi, come fosse nel buio assoluto con la convinzione di poter vedere meglio e in qualche modo ci riuscì, richiamò il proprio potere e vide meglio. Lo scenario cambiò sotto il suo sguardo che scorreva rapido da un punto all’altro: laddove prima vedeva semplicemente uomini combattere ora c’era auree grandi e scure intorno ai loro nemici che li animava di nuova e continua forza. Era uno scontro impari, la rottura dell’equilibrio che genera il caos.  
Di scatto, come se qualcuno avesse urlato il suo nome, sollevò lo sguardo di nuovo verso i duellanti che, come tutti gli altri, non avevano notato la sua presenza, qualcun altro invece se ne accorse. Un gigantesca ombra nera avvolgeva Peter Pan, un essere scheletrico e ricurvo come avesse la gobba con le braccia lunghe e sottili, così come le dita aperte, protese verso i due combattenti. La bocca era una mezzaluna vuota contornata di denti appuntiti e gli occhi e i suoi occhi, grandi e gialli, erano rivolti verso la giovane.  
Lui ha paura di te, ti teme perché mentre il suo potere nasce dall’odio, il tuo nasce dal troppo amore
Guardandolo, Wendy avrebbe giurato di avergli visto cambiare espressione, a patto che le ombre avessero una faccia su cui poter cambiare espressione. Fatto sta che, da spavaldi, i suoi occhi si fecero terrorizzati.
“Lascialo” la voce di Wendy vibrava di un tono di comando a cui l’essere non poté sottrarsi, trovandosi a ritrarre le dita ossute che erano ormai a poca distanza dal capitano. Intanto la rabbia e la magia sprigionavano con sempre maggior forza dal fragile corpo di Wendy, ad ogni clangore di spada.
Tutte le volte in cui si è scatenata la magia è stato quando ero arrabbiata!
E da cosa era provocata questa rabbia, se non dall’amore. Tutte quelle volte non hai mai attaccato per tua volontà, solo per proteggere
In qualche modo, tutto sembrava aver senso. Quella creatura avrebbe potuto essere uscita dai suoi incubi peggiori eppure non aveva paura, invero da molto aveva smesso di avere paura di Peter. Chiamatela follia se volete, ma la prospettiva di perdere le persone a lei care, in primis suo padre ma anche Emily, Charles, Spugna, Spanky e tutti gli altri membri dell’equipaggio che erano diventati la sua famiglia, faceva molto più paura di quell’essere frutto dell’immaginazione dei bambini.
Non ti sei mai chiesta perché Neverland ti accolto nonostante fossi una femmina già pronta a lasciare la stanza dei bambini? Perché Peter tra tutte le storie ascoltasse proprio le tue, perché ti vorticasse intorno come la luna con la Terra? Non ti sei chiesta perché ora ti odi così tanto?
...
Cosa devo fare?
Combattere. Sfruttare tutta quella disciplina che ti ha insegnato James e usarla con astuzia contro un avversario arrabbiato e impulsivo. Salvare l’isola che non c’è, è un posto incantevole e per troppo tempo è stata sotto il giogo di un despota bambino
 Le sembrò di essere rimasta lì ferma per ore, quando invece non trascorse che il tempo di un battito di ciglia. Sfoderò quindi la propria spada che per qualche ragione portava legata in vita anche in quella forma aurica.
“Loro non ti riguardano. Combatti con me” l’ombra non se lo fece ripetere e le si avventò contro brandendo una lama di fumo che si scontrò con forza contro quella della giovane, invece, circondata di luce e magia.
 
Peter Pan sgranò gli occhi e per un momento sentì le forze venirgli meno quando percepì l’ombra lasciare il suo corpo. Continuando a combattere si guardò discretamente attorno a cercarla, ma sembrava sparita.
“Perso qualcosa, moccioso?”
“Oltre all’interesse per questo scontro, intendi?” fortunatamente, o sfortunatamente, la spavalderia era un suo tratto caratteristico, alimentato da secoli di vittorie schiaccianti contro quello stesso avversario. Il clangore delle spade gli riempiva le orecchie, seppur ovattato dal battito forsennato del proprio cuore. Era strano, non ricordava l’ultima volta che l’aveva sentito battere così forte, né ricordava l’ultima volta in cui si era trovato a combattere senza l’ombra attaccata a sé, ma accantonò velocemente il pensiero. Ignorando che se ci avesse pensato meglio si sarebbe reso conto che non fosse mai accaduto nella sua lunga esistenza. Perché l’ombra si era allontanata? Più il tempo passava più si trovava a cercarla distraendosi dal duello e provocandosi sempre più ferite superficiali. D’altro canto, James Hook sembrava diventare più forte a ogni graffio che riusciva a procurare al suo avversario.
 
I minuti passavano lenti durante quello scontro tra esseri ultraterreni, più lento che per tutti gli altri combattenti presenti in quella giungla. Per le due entità gli alberi e le trappole non erano un ostacolo, vi passavano attraverso scontrandosi solo tra di loro. Ogni minuto che passava l’ombra si faceva meno spavalda, costretta a dover ricorrere più spesso ai pezzi di sé che aveva sparpagliato tra le fila delle proprie pedine, sempre più avversari si arrendevano nello scontro per aver salva la vita, rimanendo confusi e spossati quando quella rabbiosa energia estranea abbandonava i proprio corpo, incapaci di capire anche solo come fossero finiti lì o perché stessero combattendo. Come da richiesta di Wendy, nessun pirata aveva tolto la vita a un avversario che si era arreso, anche in sua assenza nessuno di loro aveva intenzione di deluderla.
Wendy combatteva spavalda e sicura si sé, inebriata e sempre più elettrizzata da quello scontro avvincente. Avrebbe dovuto pensarci che non fosse mai un bene cedere alla superbia.
“Hai intenzione di arrenderti? Non mi sembra che tu sia molto in forze, Ombra” dalle fauci del suo avversario proruppe un  ruggito bestiale che fece tremare la terra. La gente intorno a loro perdeva l’equilibrio e alcuni cominciarono a urlare quando il terreno si aprì sotto i loro piedi. Sembrò che l’isola si spaccasse a metà, attraversata da un canyon a cui centro c’era solo un atollo, come un’isola nell’isola, e lì c’erano James e Peter ancora intenti a cercare di uccidersi a vicenda. Non era facile per il capitano mantenere l’equilibrio su quella terra che continuava a ballare e il rischio che quella struttura di roccia cedesse era molto alto, se così fosse stato James non avrebbe avuto modo di salvarsi, precipitando tra macerie di pietra e coperto di terra. Che brutto modo di morire per un marinaio, così lontano dal mare che aveva e la propria nave, l’unica donna a cui fosse mai stato fedele. Eppure a James Hook non importava, se fosse morto così, allora avrebbe portato con sé quel demonio dalle fattezze infantili, non gli avrebbe permesso di averla vinta. A Wendy bastò guardarlo negli occhi per capire l’esatta linea dei suoi pensieri e quando si voltò di nuovo verso l’ombra i suoi occhi erano di un rosso vivo e brillante.
“Non oserai”
“Impediscimelo” la risposta dell’ombra fu un sussurro che le diede la stessa sensazione del respiro freddo sul collo. La furia continuò a montare e le mani tremavano così forte da farle quasi perdere la presa sulla spada. Chiuse gli occhi sperando di calmarsi, cosa assai difficile con il battito del proprio cuore che martellava forsennato nelle orecchie.
“Sei in gamba ragazzina, hai talento” aveva esordito Charles allontanando la spada dal proprio petto con la mano, incurante del rischio di tagliarsi.
“Ma non fare troppo la spaccona”
“Perché rischio di ferire il tuo fragile ego?” chiese Wendy non quel tono tra lo spavaldo e lo strafottente di chi sa di avere le spalle coperte.
“Va bene sfiancare l’avversario, ma non quando questi ha più esperienza di te. Potresti vincere, è vero, ma non vale la pena quando non sei più in grado di reggerti in piedi” Wendy quindi sbuffò rinfoderando la spada.
“Hai vinto questa volta, ma hai ignorato troppi dettagli che avrebbero potuto farti perdere. Ti concentri solo sull’avversario senza avere una visione d’insieme”
“Perché vincere se non posso gongolare almeno un po’? Tu e papà trovate sempre il modo di farne venir fuori una lezione di vita!” e così dicendo si diresse sottocoperta con le mani intrecciate dietro la nuca.
“Non capisco!” sbottò tra sé e sé stringendo i denti “Cos’altro c’è?!” e a quel punto, finalmente, lo vide. Come fu per il tentacolo che usciva dal braccio di quell’uomo, vide anche quel piccolo insignificante dettaglio. Un sottile filo dorato legava Peter all’ombra, Wendy aveva dimenticato questa cosa ma era stata proprio lei a cucirli insieme. I ricordi la illuminarono come un lampo nell’oscurità: rivide Peter nella propria stanza dell’infanzia, l’ombra nascosta nel cassetto tra le cose dei cucito come fosse un vecchio straccio inanimato e che riprese vita solo dopo che riuscì a riunire le due parti. L’ombra alimentava l’energia di Peter, ma allo stesso tempo si nutriva della sua forza vitale. Un’altra volta, raccogliendo tutte le energie che le erano rimaste, si lanciò sul proprio avversario, ma era una finta: all’ultimo secondo si scostò per passargli solo accanto e con un salto umanamente impossibile atterrò sullo scoglio su cui combattevano Pan e Hook. Il capitano era a terra ma, nonostante la preoccupazione, Wendy non si lasciò distrasse. Con un calcio all’elsa della spada che l’uomo aveva perso gliela fece arrivare a portata di braccio, dopodiché, mentre l’ombra la caricava come un toro infuriato, recise il filo. L’esplosione luminosa che ne scaturì l’accecò per un attimo, ma ciò che la fece invece tremare fu il boato di un tuono vicino. Un tonfo vicino le fece però voltare il capo verso il capitano che, esausto e ferito, aveva lasciato cadere il braccio sul manto erboso.
“Papà”
 
 
Indietreggiò finché poté, ma a un certo punto inciampò, probabilmente nei suoi stessi piedi tanto era concentrato sull’avversario che aveva davanti. Nel cadere all’indietro vide nero per un momento quando batté la testa contro una radice.
“Abbiamo finito qui, Hook” lanciando il pugnale lo riprese al volo con la lama verso il basso, pronto ad affondarlo nel corpo del suo avversario e non esitò buttandosi su di lui. Accadde molto velocemente, al punto che Hook non seppe come la spada persa poco prima si trovasse abbastanza vicino da essere afferrata e sollevata. Peter Pan si trafisse da solo sulla sciabola del capitano, il sangue iniziò immediatamente ad inondargli le vie aeree e presto si trovò un rivolo di sangue a scivolargli sul mento, nel mentre il boato di un tuono fece tremare di nuovo la terra.
“Tu sei finito” fino all’ultimo secondo osservò gli occhi di Pan mentre si faceva sempre più evidente la consapevolezza di esser stato sconfitto. Raggi di luce argentata partì dalla ferita e in pochi secondi il corpo del folletto si dissolse in una manciata di polvere che si disperse nel vento. Il braccio armato gli ricadde sul terreno erboso e, esausto, chiuse gli occhi. 
Ci era riuscito, aveva ucciso Peter Pan, aveva compiuto la sua vendetta, ma a che prezzo... La ferita al fianco gli fece stringere gli occhi dal dolore e la pressione del sangue nelle orecchie gli impedì di sentire persino le urla di giubilo della sua ciurma. Era stanco, ma la sua non era solo la stanchezza per la lotta all’ultimo sangue. Quanti anni aveva perso dando la caccia a una fastidiosa mosca che gli aveva rovinato la vita? Ora, semplicemente, si sentiva svuotato e la cosa più logica che gli venne in mente di fare fu cadere sulle ginocchia, poiché le gambe non sembravano più in grado di reggerlo.
“Capitano!” “James!” “Papà” tre voci preoccupate, preoccupate per lui, che gli arrivarono alle orecchie come coperte da un fastidioso ronzio? Forse era caduto vicino a un alveare, o era la pressione sanguigna oppure ancora era solo morto e tutto il resto era stato un sogno. I morti sognano? Concluse che no, non era morto altrimenti non avrebbe continuato a sentire così tanto dolore. Respirò profondamente per poi pentirsene un attimo dopo, dal dolore alle costole che sentiva in quel momento molte dovevano essere incrinate se non rotte del tutto, in quest’ultimo caso sarebbe stato tutto più faticoso.
Ricapitolando: era vivo mentre Peter Pan era morto dissolvendosi in una nube di polvere nera. Era vivo e bloccato dall’altro lato di una fottuto dirupo e aveva avuto la brillante idea di tagliare le liane che ancora legavano le due zolle di terra per non essere raggiunto ed evitare l’arrivo dei rinforzi del suo avversario. Era vivo, ferito gravemente e bloccato su uno scoglio in mezzo alla foresta. Bello schifo, ma almeno era vivo. Perché l’essere vivo era un bene, vero?
Facendo appello a tutte le sue forze, riuscì a rimettersi in piedi e poggiarsi con la schiena contro il tronco più vicino, fisicamente era a pezzi ma la sua mente era vigile più che mai.
“Wendy. Wendy” inizialmente fu solo un sussurro ma fece accrescere la sua consapevolezza man mano che lo ripeteva, fino a diventare un vero urlo
“Dov’è Wendy?” Charles e il signor Hands, dall’altra parte, si scambiarono un’occhiata
“Non è con noi, Hook. Le hai ordinato di tornare sulla nave. Non ti ricordi?” il maggiore scosse il capo, ma non per rispondere alla sua domanda.
“Era qui, era una sagoma di luce che combatteva contro l’ombra” spiegò guardandosi attorno, ma entrambi erano scomparsi.
“Cerca di stare fermo lì, potresti aver sbattuto la testa. Io vengo a prenderti” potrebbe avere ragione, era caduto all’indietro e la nuca aveva impattato contro le radici di un albero. Tastandosi il punto leso constatò di sentirsi confuso, ma non abbastanza da non riconoscere sua figlia. Non prestò attenzione neanche a Charles che in qualche maniera era riuscito a raggiungerlo e lo stava aiutando a sollevarsi e reggersi in piedi, poi una cosetta lucente poco più lunga di quanto potrebbe esserlo la mano di un bambino, ma dalla figura longilinea. Fin dal suo arrivo a Neverland, il capitano Vane non aveva mai visto una fata e quando questa gli si piazzò davanti agli occhi chiari ci mancò poco perché perdesse la presa su Hook che sarebbe potuto cadere faccia a terra.
“Che cazzo è quest’affare?!”
“Regina Mab?” alle orecchie dei presenti giunse solo un suono di campanellini, solo Hook comprendeva le parole nascoste dietro quella musica e non poté evitarsi di sgranare gli occhi e impallidire paurosamente.
“Dov’è? Che cosa è successo?” lo shock e l’adrenalina gli diedero nuovo vigore e nonostante le ferite si erse in piedi in tutta la sua altezza camminando più velocemente che poteva.
“Hook che succede?” un brutto presentimento si fece strada nell’animo del più giovane che accelerò il passo per stare dietro al capitano.
“Wendy è al lago delle anime. È proibito! Chi vi entra ne paga il prezzo con la vita” ogni parola che pronunciava traducendo il discorso della regina delle fate era una pugnalata al cuore dei due uomini che presero a correre dietro le fate che gli facevano strada illuminando il sentiero.
Scesero dalla montagna più velocemente che poterono, a causa della stanchezza e le ferite procurate nello scontro, Charles lo superava di diversi metri. Raggiunta la riva James sgranò gli occhi e perse tutto il colore dal viso alla vista di quella chiazza rossa fin troppo estesa che circondava Wendy. Scosse il capo, quasi avesse la vana speranza che negare l’evidenza l’avrebbe resa meno reale, Charles, invece, non perse tempo: si tuffò, la raggiunse in poche bracciate e la trasse a riva, senza nessuna intenzione di mollare la presa. Il viso della ragazza era pallido, le labbra quasi blu a causa dell’acqua gelida in cui era rimasta immersa per chissà quanto tempo.
“Respira, ma è molto fredda” disse Charles sedendosi per terra e posizionando il corpo della giovane in modo che fosse con la schiena contro il suo petto, in questo modo poteva frizionare le mani sulle sue braccia nella speranza di infonderle calore più velocemente. Intanto James esaminò con occhi attenti tutta la superficie di pelle visibile per trovare la ferita da cui era uscito così tanto sangue, ma trovò solo una cicatrice obliqua sul braccio sinistro che, era certo, non aveva quella mattina. Appurato ciò, si tolse la giacca e la usò per coprire la giovane che, già dal momento in cui il suo corpo aveva lasciato le acque del lago, stava riprendendo velocemente colore.
“Wendy?” esordì con voce tremante toccandole il viso, spaventato alla vista di tutta quell’immobilità.
“Capitano faccio portare una barella. Dobbiamo portarla via da qui” il capitano non reagì e Vane rispose al suo posto.
“Non occorre. La porto io” ciò detto si alzò in piedi reggendo la giovane tra le braccia “Non pesa per niente” James annuì, lo sapeva bene perché lui stesso pochi giorni prima l’aveva portata in braccio fin nella sua camera dopo aver trascorso la serata a chiacchierare nella propria cabina. 
“Andiamo ragazzina. Ti riportiamo a casa”
Il viaggio fino alla nave fu lento, gli uomini erano stanchi ciononostante Charles non volle per nessuna ragione cedere a qualcuno il compito di portare Wendy, se anche avesse avuto le forze per portarla non l’avrebbe lasciata neppure a James.
Sulla spiaggia, Emily corse loro incontro trafelata blaterando di fulmini, degli uomini venuti da Londra e di Wendy sparita, ma s’interruppe quando riconobbe la giovane dai capelli rossi tra le braccia di Vane. Solo allora, controvoglia, i due uomini si costrinsero a lasciarla andare e, per quanto poco importasse al loro spropositato ego, dovevano farsi medicare anche loro.
“Venga capitano” esordì Spugna, ma James gli rivolse solo uno sguardo assente “Quelle ferite vanno ricucite” mogi i due seguirono il nostromo senza emettere un fiato finché non furono sul ponte della Jolly Roger, solo allora Hook riuscì a sussurrare
“Non posso perderla, Charles. Non con quelle parole come le ultime che le abbia rivolto” Charles non rispose, non avrebbe neanche saputo cosa dirgli. Il suo sguardo sulla giovane inerme che due mariani stavano portando via seguita da Emily, dal suo viso non traspariva nessuna emozione e sembrava stesse semplicemente dormendo.
 
Si diedero il cambio anche con Emily per non lasciare mai Wendy da sola, quasi sperando che la loro presenza bastasse per svegliarla. Il medico che avevano portato da Nassau l’aveva visitata ma non trovò in lei nulla di strano, persino la ferita sul braccio era ormai magicamente rimarginata. Hook quindi aveva chiesto consiglio alla regina Mab,rimasta appollaiata sulla sua spalla fino a quel momento, ma il suo verdetto piacque ben poco ai due uomini di mare. Disse che il lago delle anime era una porta per un mondo di esseri ultraterreni che non poteva essere raggiunto dai mortali o anche dalle fate, le sorti di Wendy erano quindi alla volontà degli spiriti.
In quel momento era Charles a stare seduto su quella scomoda sedia in stile barocco che era più decorativa che utile. Si era dato una ripulita dopo la battaglia e aveva ancora i capelli umidi sulle spalle e la polvere di fata sparsa sulle ferite per farle guarire in fretta. Le teneva la mano, così piccola e delicata rispetto alle proprie grandi e piene di calli e cicatrici.
“Non sono una brava persona, Wendy. Sono ambizioso, feroce e spietato, ho ucciso e non ho paura di rifarlo, non c’è niente in grado di impedirmi di ottenere ciò che voglio... Non ho idea di cosa tu mi abbia fatto, forse semplicemente aveva ragione il coccodrillo quando diceva che eri magica, sta di fatto che tutto questo, tutto ciò che sono, perde d’importanza quando di mezzo ci sei tu... Ti ho detto che il mio nome per molto tempo è stato tutto ciò che possedessi, che ne diresti di farlo diventare anche il tuo? Per te sono disposto a rinunciare a tutto, ma devi svegliarti per dirmi di sì”


SPAZIO AUTRICE
Ok, questo capitolo è stato un parto e lo so che lo dico quasi a ogni capitolo. Inizialmente avevo deciso di prendermi ottobre come pausa per studiare e scrivere il capitolo con calma, data la mia incapacità di scrivere scene di combattimento. Quindi sicuramente non solo è venuto un disastro da capogiro, ma ho anche ritardato la pubblicazione di UN ALTRO MESE INTERNO!!!!! Infatti mi scuso infinitamente per questo disagio.
Beh, ho deciso che il prossimo capitolo sarà l'ultimo, alla fine dei conti ho scritto già il finale il giorno in cui ho steso anche il prologo e va bene così. Non è mai un bene scrivere una storia in un tempo così esteso perchè lo stile cambia, il disegno della trama cambia nella mente dell'autore e il risultato finale non sarà mai come quello che si pensava all'inizio. Comunque, finito questo pippone che non interessa a nessuno, spero che il capitolo vi sia piaciuto, che questa versione di Wendy "combattiva" sia all'altezza delle aspettative.
Al prossimo capitolo

 
   
 
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