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Autore: Kimando714    07/12/2022    0 recensioni
La vita da ventenni è tutt’altro che semplice, parola di sei amici che nei venti ormai ci sguazzano da un po’.
Giulia, che ha fin troppi sogni nel cassetto ma che se vuole realizzarli deve fare un passo alla volta (per prima cosa laurearsi)
Filippo, che deve tenere a freno Giulia, ma è una complicazione che è più che disposto a sopportare
Caterina, e gli inghippi che la vita ti mette davanti quando meno te lo aspetti
Nicola, che deve imparare a non ripetere gli stessi errori del passato
Alessio, e la scelta tra una grande carriera e le persone che gli stanno accanto
Pietro, che ormai ha imparato a nascondere i suoi tormenti sotto una corazza di ironia
Tra qualche imprevisto di troppo e molte emozioni diverse, a volte però si può anche imparare qualcosa. D’altro canto, è questo che vuol dire crescere, no?
“È molto meglio sentirsi un uccello libero di volare, di raggiungere i propri sogni con le proprie forze, piuttosto che rinchiudersi in una gabbia che, per quanto sicura, sarà sempre troppo stretta.
Ricordati che ne sarà sempre valsa la pena.”
[Sequel di "Walk of Life - Youth"]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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CAPITOLO 34 - IN MY FEELINGS



 

Aveva smesso di piovere da poco, ma l’aria era ancora impregnata dell’odore della pioggia. Le luci dei lampioni di Venezia erano l’unica fonte luminosa che interrompeva la distesa di cielo plumbeo della notte.
Nicola richiuse la finestra del piccolo salotto dell’appartamento, cercando di non far troppo rumore e senza sbattere i vetri. Aveva aperto la finestra unicamente per controllare che non si fosse messo addirittura a nevicare, e pur rimanendo con il naso fuori solo per pochissimo, ora lo sentiva comunque intirizzito.
Si avviò con passo stanco verso la camera da letto, dove Caterina aveva lasciato accesa solo la lampada sul comodino. Prima di arrivare alla meta, si fermò sulla soglia della camera di Francesco, la porta tenuta socchiusa e la persiana che lasciava filtrare un po’ di luce dall’esterno.
Pur nella semioscurità, riusciva a distinguere il profilo addormentato del figlio, nel suo lettino, un peluche stretto tra le braccia. Nicola si lasciò sfuggire un sorriso intenerito: gli sembrava quasi impossibile che in un anno Francesco fosse già cresciuto così tanto.
Solo un anno prima, in quella stessa data e a quell’ora della sera, lui e Caterina si trovavano in ospedale, a qualche ora dal parto. Ricordava ancora abbastanza bene com’era stata logorante quell’attesa, e anche quanto gli tremassero le gambe e le braccia la prima volta che aveva tenuto Francesco in braccio. All’epoca lo vedeva minuscolo, fragile e pronto a rompersi letteralmente tra le sue mani.
Quando era nato tutti avevano avuto l’impressione che Francesco avesse ereditato per la maggior parte i tratti di Nicola: ora, ad un anno di distanza, il sospetto si era tramutato in certezza. Francesco rideva sempre quando Nicola gli scompigliava i capelli biondi e mossi, e Caterina non perdeva mai occasione per sottolineare quanto avessero un sorriso simile. Cercava sempre di non darlo a vedere, ma un po’ di orgoglio nel vedere suo figlio così tanto somigliante a lui un po’ lo sentiva.
Da Caterina, invece, aveva ereditato unicamente il colore degli occhi. Niente iridi azzurre: dopo i primi mesi dalla nascita, si erano scurite sempre di più, fino ad arrivare al castano scuro ed espressivo di sua madre.
Erano parecchie le cose che in un anno erano cambiate, e nonostante la fatica che in certi momenti lo portavano quasi all’esasperazione, Nicola non poteva dirsi che felice. Sentiva la serenità anche in momenti simili, in cui prima di andare a dormire si fermava sulla soglia della camera di Francesco, ad osservarne il profilo da distante.
-Ecco dov’eri-.
Nicola sussultò appena: preso dai suoi pensieri, non aveva nemmeno sentito i passi felpati di Caterina. Era già vestita per andare a dormire, il viso dall’aria assonnata. Sembrava piuttosto stanca: nonostante l’inizio dello svezzamento, e le ore decisamente aumentate per riposarsi la notte, Caterina aveva comunque le giornate sempre piene. Non era sempre facile nemmeno per lei.
-Stavo cominciando a domandarmi dove fossi finito- proseguì lei, accostandosi a sua volta alla porta, lanciando un’occhiata all’interno – Sta dormento?-.
-Tranquillo e beato- le rispose a bassa voce Nicola, sorridendo.
Caterina gli si avvicinò, posando il capo contro la spalla di Nicola, ed intrecciando le dita della mano con le sue. Se ne rimasero in silenzio per un po’, prima che Caterina parlasse di nuovo:
-Sembra strano pensare che tra qualche ora compirà già un anno, no?-.
-Già. Almeno quest’anno sarà una notte più tranquilla -.
Difficilmente Nicola si sarebbe scordato com’erano state le prime ore del 5 gennaio 2018. Non credeva di essere mai stato più nervoso in vita sua; nulla a che vedere con quella serata.
Lui e Caterina si erano ritagliati quel venerdì sera per festeggiare da soli con Francesco il suo compleanno. L’avevano fatto in anticipo, almeno di qualche ora, ma avevano preferito così; la vera festa, in ogni caso, sarebbe stata il giorno dopo, con Giulia, Filippo, Alessio, Alice, Pietro e Giada a cena.
Anche Caterina sembrava essere in preda ai ricordi dell’anno prima: strinse un po’ di più la mano di Nicola, sospirando con malinconia.
-Però quella dell’anno scorso non la dimenticheremo mai- disse infine, alzando il viso verso quello di Nicola. Nonostante la stanchezza e la difficoltà dell’ultimo anno, Caterina sembrava serena.
Nicola le sorrise di rimando, venato da una punta di malizia:
-Magari ci saranno altre notti che ricorderemo per lo stesso motivo-.
L’occhiataccia che gli rifilò Caterina subito dopo lo fece ridere inevitabilmente. Non aveva previsto una battuta del genere, ma gli era venuta spontanea: forse cominciava addirittura a prenderci gusto, nell’immaginarsi in futuro con altri figli, oltre a Francesco.
-Con calma- replicò Caterina, incrociando le braccia contro il petto, con cipiglio severo – Per ora goditi il primo compleanno del tuo primogenito-.
-Va bene- Nicola fece un passo verso di lei, portandole le mani sui fianchi con lentezza calcolata – Però nel frattempo potremmo tenerci in allenamento-.
Non l’aveva detto con sensualità calcolata, né con premeditazione: gli era venuto naturale, guardando Caterina con i capelli scomposti ricaderle sulle spalle, e trattenendo a stento la voglia di baciarla.
Lei sembrò piuttosto spiazzata: lo guardò dapprima sorpresa, poi con sguardo fintamente minaccioso. In realtà Nicola sapeva bene che stava cercando di trattenersi dallo scoppiare a ridere.
-Allenamento? Lo chiami allenamento, adesso?- gli chiese, facendo un passo indietro. Non riuscì comunque a scappare dalle mani di Nicola, che in un gesto veloce l’aveva attirata di nuovo a sé.
-Potrei chiamarlo così, in effetti-.
Risero assieme, mentre lui la sollevava di peso, mentre si dirigeva verso la loro camera. Nonostante quello fosse l’anniversario di una nottata che era stata fin troppo lunga e difficile, in quel momento Nicola si sentiva solamente felice, mentre sentiva risuonare tra le mura del corridoio le risate divertite di Caterina.
 
*
 
Continuava a picchiettare il piede a terra, insistentemente. Pietro si portò un’altra volta la sigaretta alle labbra, aspirando e buttando fuori il fumo. Nemmeno le sigarette sembravano sortire un buon effetto: si sentiva agitato esattamente quanto prima.
Prese il telefono in mano, guardando l’ora sul display: ormai non gli rimaneva più molto tempo, e di lì a poco avrebbe dovuto incamminarsi verso casa di Caterina e Nicola.
Forse non sarebbe venuto.
Ripensò un’altra volta a quella possibilità, tutt’altro che improbabile. D’altro canto non vedeva Fernando da due mesi, e lui non avrebbe avuto alcun motivo per volerlo vedere dopo tutto quel tempo passato in silenzio.
Pietro si guardò attorno, furtivo: gli aveva chiesto di raggiungerlo in una piccola piazza di Venezia, nella zona di Dorsoduro. Aveva preferito non andare direttamente a casa di Fernando: troppi ricordi che gli avrebbero riportato alla mente la breve sensazione di libertà che aveva respirato lì, con lui, prima di scoprire che era solo l’ennesima illusione. Preferiva vederlo in un luogo neutrale, totalmente slegato da ricordi troppo dolorosi.
A quell’ora di sera non c’era molta gente in giro, pur essendo sabato. Rimase a fissare ogni passante, attento a scorgere tra loro Fernando, ma per l’ennesima volta non lo riconobbe in nessuno di loro.
Non sarebbe venuto.
Pietro lasciò andare la sigaretta, ormai finita, a terra, pestandola nervosamente. Era stato uno stupido a pensare che avrebbe accettato di rivederlo così, senza una spiegazione o un buon motivo per farlo. Era stato uno stupido in tutti quei due ultimi mesi, in cui aveva rotto qualsiasi contatto con lui quasi a forza, per impedirsi di avere ripensamenti e dire tutto a Giada in ogni caso.
Si girò intorno per un’ultima volta, già pronto ad andarsene. Fu solo allora che notò una figura dai capelli castani e la barba a coprirgli le guance venirgli incontro. Si bloccò sul posto, chiedendosi se quella fosse solo un’allucinazione dovuta alla speranza, o fosse veramente Fernando in carne ed ossa che stava camminando verso di lui, scuro in volto e teso come non l’aveva mai visto.
Qualche secondo dopo Pietro ebbe la certezza che Fernando si era appena fermato davanti a lui, gli occhi scuri freddi e ben diversi da com’erano sempre stati quando erano insieme.
-Pensavo non saresti venuto-.
Pietro aveva la voce arrocchita per essere rimasto troppo a lungo in silenzio nel freddo di gennaio. Cercò di dissimulare il nervosismo, ma seppe sin da subito di risultare tutt’altro che convincente: gli tremava appena la mano che teneva fuori dalla tasca del cappotto, e continuava a non riuscire a restare con le gambe ferme.
-Sono rimasto indeciso fino all’ultimo- rispose Fernando, indifferente. Teneva le mani fuori dalle tasche del cappotto pesante, lungo i fianchi, e Pietro intravide una fasciatura che copriva l’intero dorso della sua mano sinistra. Poteva essere nulla di che – una semplice scottatura, e non sarebbe stato nulla di insolito per uno che si dilettava così spesso in cucina come Fernando-, ma il solo rendersi conto di non saperne nulla, di vedere Fernando ferito ed esserne rimasto inconsapevole, gli fece provare un vuoto all’altezza del petto.
-Che hai fatto a quella mano?- gli chiese, a mezza voce.
Fernando scrollò le spalle:
-Non è niente- liquidò semplicemente la questione. Era strano vederlo così freddo, si rese conto Pietro: Fernando poteva essere appassionato, entusiasta, furioso o triste … Ma l’indifferenza era la cosa che più si allontanava da lui, e che meno gli si addiceva. Era anche la cosa che più gli faceva male: avrebbe preferito sentirlo urlare, piuttosto che vederlo così controllato e distante.
Fernando rimase fermo immobile, le labbra serrate e tutt’altro che intenzionato a cedere per primo. Pietro gli leggeva l’ostinazione in faccia: non avrebbe parlato fino a quando non sarebbe stato lui a fare la prima mossa. D’altro canto, glielo doveva: era Pietro a dovergli delle spiegazioni, non il contrario.
Il senso di colpa si fece più presente, più sottile: si insinuava negli ultimi ricordi che aveva di Fernando, degli ultimi istanti che avevano condiviso prima di dividersi.
Erano stati anche gli ultimi istanti di libertà che Pietro aveva vissuto, nell’ingenua illusione che le cose sarebbero potute migliorare sul serio.
-Mi dispiace-.
Abbassò lo sguardo, tirando su con il naso. Si sentiva un idiota, oltre che un pezzente: cosa poteva farsene Fernando di scuse così squallide?
Non c’erano scuse giustificabili per chi aveva scelto di essere un codardo senza remore.
Fernando lo guardò ancora una volta con la stessa freddezza di prima:
-Per cosa?-.
-Per tutto-.
“Sono patetico”.
Pietro non riuscì a reprimere quel pensiero. Si stava rendendo ridicolo, e il problema era che l’aveva voluto lui: era lui che aveva scritto a Fernando una settimana prima per chiedergli di parlare. Fernando aveva smesso di cercarlo a poco a poco nel corso di dicembre. Alla fine Pietro non era stato nemmeno sicuro di trovarlo lì, pronto ad ascoltarlo.
-Sei consapevole che non ti basterà dire questo, vero?- per la prima volta da quando era arrivato, un filo di rabbia contorse i lineamenti del viso di Fernando – Sono mesi che rifiuti di vedermi, e di spiegarmi perché. Voglio una spiegazione che sia decente-.
-Sono successe delle cose. Cose impreviste- farfugliò Pietro, che per quanto si fosse aspettato una frase simile, non si sentiva ancora pronto a parlare a Fernando in tutta sincerità di tutto quello che era successo.
Parlarne con Alessio era stato facile, perché per quanto potesse avercela con lui, tra di loro certe cose le avevano sempre capite al volo. E poi condividevano lo stesso destino – che Pietro non aveva ancora digerito né nel suo caso né in quello dell’altro-, cosa che non poteva dire di Fernando.
-Del tipo che hai avuto l’ennesimo ripensamento?- Fernando lo guardò con un sorriso sarcastico, finto – Beh certo, immagino sia difficile mollare la vita perfetta da finto etero che hai-.
-Non ci ho ripensato- Pietro parlò più duramente di quanto si sarebbe aspettato, ferito dal dubbio che Fernando aveva insinuato – Semplicemente non ho potuto, e non avevo il coraggio di dirti perché-.
-E ora all’improvviso l’hai trovato?-.
La voce di Fernando era stata tagliente, tutt’altro che conciliante. Pietro non si aspettava nulla di diverso, e d’altro canto non pensava nemmeno di meritarsi qualcosa di meglio: doveva puntare il dito solamente contro se stesso per quella situazione.
-Mi mancava parlare con te. E vederti- disse, senza riflettere – Anche se d’ora in poi credo che dovremmo smetterla di ... Di … -.
-Di andare sul lato fisico della cosa? Eppure mi sembrava non ti dispiacesse affatto- concluse per lui Fernando, lo stesso tono sarcastico in cui non c’era assolutamente nulla di divertito.
Se possibile, tra tutto quello che gli era mancato della loro amicizia, Pietro avrebbe giurato che il lato fisico, come l’aveva definito Fernando, fosse all’ultimo posto. Parlare con lui con la serenità di non doversi nascondere e fingere di essere qualcun altro era qualcosa che gli sarebbe mancato più di qualunque altra cosa, addirittura più dei baci e delle carezze che si erano scambiati durante i loro incontri.
-Giada è incinta-.
Non aveva previsto di dirlo così, senza nemmeno una premessa, ma ormai l’aveva fatto e il silenzio calato subito dopo fu la dimostrazione piena del macigno appena lanciato.
Il viso di Fernando cambiò impercettibilmente, i tratti si fecero più tesi e gli occhi fino a quel momento freddi vennero adombrati da quello che Pietro credette di poter definire vero e proprio dolore.
-È per questo che non volevo vederti- continuò, a mezza voce, consapevole che ogni parola equivaleva ad una pugnalata – Mi sentivo troppo in colpa-.
Fernando aprì la bocca per replicare, ma la richiuse subito dopo. Di colpo tutta la freddezza e la durezza con cui si era posto verso Pietro fino a quel momento vennero a mancare: con lo sguardo vitreo e le spalle afflosciate, sembrava solo un ragazzo troppo giovane per vedersi sbattere in faccia l’ennesima porta.
-È incinta? Sul serio?-.
Nonostante il silenzio quasi totale della piazza, Pietro riuscì a distinguere a malapena ciò che gli aveva appena chiesto Fernando. Si ritrovò ad annuire, il groppo in gola che gli impediva di parlare.
Avrebbe voluto avvicinarsi a Fernando, in quel momento. Forse l’avrebbe abbracciato, o forse se ne sarebbe rimasto lì, di fronte a lui: gli sarebbe bastato anche solo quello per sentirsi un po’ meno solo, anche solo per pochi minuti.
Rimase fermo, senza accennare a muoversi, immobile di fronte agli occhi scuri e sgranati dell’altro.
-Che intendi fare?- Fernando abbassò ancor di più le spalle, in un’aria talmente abbattuta che Pietro non avrebbe creduto possibile.
-Per ora non voglio allontanarmi da lei. È anche mio figlio quello che nascerà- mormorò, incolore. Quello era l’unico motivo per cui riusciva ancora a sopportare la vicinanza di Giada e l’idea di rimanerle accanto: l’intenzione di esserci per quel bambino. Non gli era rimasto altro a cui aggrapparsi.
Fernando annuì, cereo in viso:
-E poi, quando nascerà?-.
-Ci penserò-.
Pietro non aveva ancora davvero pensato al dopo. Era questione di mesi, eppure gli sembrava un futuro ancora talmente lontano e talmente irreale che faticava a pensare con quella prospettiva.
Sperava solo di non rischiare di scoppiare poco dopo la nascita del piccolo, o perlomeno di essere sufficientemente preparato psicologicamente ad un momento simile.
-Non so se riuscirò o vorrò continuare a vederti solo come amico, Pietro-.
Fernando parlò all’improvviso, dopo che il silenzio era calato di nuovo per diversi secondi. Aveva parlato quasi con dolcezza, in un modo che prometteva tutt’altro che cose che Pietro avrebbe trovato positive.
Alzò gli occhi verso di lui, ritrovandosi di fronte un Fernando quanto mai provato.
-Ero convinto che stavolta saresti davvero riuscito a liberarti di tutte le bugie che ti sei costruito intorno finora-.
-Lo credevo anche io. E ci ho sperato- ammise Pietro, le mani contratte nelle tasche del cappotto, fuori dalla vista di Fernando – Ma non posso neanche fare finta di niente e non pensare che sto per avere un figlio … Non riesco ad anteporre il mio bene al suo. Neanche sforzandomi-.
Non era stato facile da ammettere, e probabilmente per Fernando non era nemmeno stato facile da ascoltare. Pietro lo poteva capire: in un certo senso era come si era sentito lui nello scoprire che anche Alice era incinta, e che anche Alessio si sentiva intrappolato in una paternità che non aveva voluto, non in quel momento.
-Lo posso capire-.
Nonostante la poca visibilità nell’aria serale, a Pietro quasi sembrò di notare gli occhi di Fernando farsi lucidi:
-Ma nemmeno io posso prometterti niente da parte mia. Non stavolta-.
In quel momento Pietro avrebbe voluto baciarlo. Baciarlo per un’ultima volta, prima di tornare al loro rapporto più ascetico e meno fisico che avevano avuto un anno prima.
Rimase di nuovo immobile, incapace di muoversi: l’ultimo bacio tra di loro c’era già stato, poco prima di scoprire che era tutto finito. Non ce ne sarebbero stati altri.
 
*
 
-Tra poco dobbiamo andare-.
Giulia ignorò quasi del tutto le parole di Filippo. Si limitò a sistemarsi un po’ meglio sul divano, cercando una posizione non troppo scomoda per tenere in mano il libro che stava sfogliando, senza che il pancione – ormai enorme e fin troppo ingombrante quando doveva restare seduta- le fosse troppo d’impedimento.
Era sera, e ormai l’ora di cena si stava avvicinando, e con essa anche l’ora di uscire di casa alla volta dell’appartamento di Nicola e Caterina.
Nonostante l’aver passato un sabato piuttosto tranquillo e lineare, Giulia si sentiva comunque affaticata: gli ultimi mesi della gravidanza le avevano portato gambe gonfie e spesso mal di schiena, dovuto al peso delle due bambine che portava in grembo. Aveva quasi cominciato ad agognare il parto solo per non dover soffrire più di dolori per tutte quelle ore ogni giorno.
-C’è ancora tempo- Giulia sfogliò pigramente un’altra pagina, senza staccare lo sguardo – E poi non dobbiamo nemmeno fare tanta strada. Possiamo uscire quindici minuti prima del ritrovo-.
Fosse stato per lei non si sarebbe mossa da casa, ma l’idea di festeggiare il primo compleanno di Francesco era stata sufficiente per convincerla ad uscire. Era strano pensare fosse già passato un anno intero, ed era altrettanto strano pensare a tutto ciò che era successo nel frattempo: le venne quasi naturale passare una mano sul grembo, ormai alquanto prominente, come a voler dare un saluto a quelle che – come aveva scoperto durante un’ecografia qualche mese prima- sarebbero state le sue bambine.
Ora che mancavano praticamente due mesi al parto Giulia cominciava ad accumulare ansia; iniziare il corso preparto con Filippo, poi, non era servito a farla stare più rilassata. Era in un costante miscuglio di entusiasmo ed agitazione, che probabilmente non si sarebbe smorzato fino al giorno in cui sarebbero nate le figlie.
-Hai letto qualcosa di interessante?- le chiese Filippo, trattenendo a stento uno sbadiglio.
-Qualche nome lo è-.
Uno degli ultimi acquisti natalizi era stato il dizionario dei nomi che Giulia aveva preso a sfogliare solo quel giorno. Realizzare di non aver ancora nessuna idea per i nomi le aveva dato così tanta ansia che si era messa a sfogliarlo quel pomeriggio stesso. Erano quasi tre ore che lei e Filippo si trovavano su quel divano, e a malapena erano riusciti a trovarsi d’accordo su qualche nome.
-Fammi un altro esempio, forza- la incoraggiò lui, accoccolandosi con il mento appoggiato alla spalla di Giulia.
-Mi piace Emma- iniziò lei, recuperando il telefono, lasciato sul bracciolo del divano, e leggendo sulle note i nomi che si era appuntata – Anche Martina non è male, lo stesso vale per Francesca e Noemi. Ma nemmeno Chiara … -.
-Sono troppo semplici- bofonchiò Filippo, aggrottando la fronte – Perché non nomi forti come Angelica e Vittoria? Qualcosa di evocativo … Anche Aurora non è male-.
Giulia strabuzzò gli occhi all’istante:
-Aurora, come la tua adorabile cognata che non credeva nemmeno fossi davvero incinta?- scosse il capo, sentendo già il nervoso crescere al pensiero di quell’arpia – Grazie del suggerimento , ma penso punteremo ad altro-.
-Hai altre idee?-.
Giulia lesse altri nomi dalla lista:
-Che ne dici di Viola o Rosa?-.
Filippo sorrise divertito, prima di risponderle prontamente:
-Dico che rilancio con Azzurra e Bianca- rise ancor di più, dopo l’occhiataccia minacciosa che gli riservò Giulia – Decisamente più eleganti di quelli suggeriti da te, non credi?-.
-Di questo passo non ci decideremo nemmeno quando saranno già nate- sbuffò Giulia, esasperata. Non si era aspettata di avere gusti così lontani da Filippo in fatto di nomi, e la cosa un po’ la destabilizzava: voleva trovare nomi significativi e importanti per loro, che pronunciandoli avrebbe potuto attribuire senza incertezze alle sue figlie … Si stava rendendo conto solo in quel momento che sarebbe stato tutt’altro che un processo semplice.
-Non dobbiamo certo scegliere per forza ora- Filippo le passò un braccio sulle spalle, lasciandole un affettuoso bacio sulla guancia – Credo che quando troveremo i nomi giusti lo sentiremo-.
-Ma non hai mai pensato ad un nome in particolare?- gli chiese d’un tratto Giulia, curiosa.
Filippo se ne rimase in silenzio per diversi minuti, l’aria pensierosa che si fece più esitante:
-Qualcuno sì- disse infine, prima di riportare lo sguardo su Giulia – E tu?-.
Quella era una domanda che Giulia si sarebbe aspettata anche prima di quel giorno. In fin dei conti aveva sempre avuto nomi preferiti, ma solo pochi davvero significativi. I nomi delle sue figlie dovevano rientrare nella seconda categoria: dovevano aver quel qualcosa in più rispetto a tutti gli altri nomi che le piacevano. E forse, in fondo, qualche idea precisa l’aveva sempre avuta.
-Caterina-.
Per i primi secondi nessuno disse nulla. Giulia guardò perplessa Filippo, mentre lui aggrottava la fronte con fare confuso:
-Caterina la nostra amica, compagna di Nicola?-.
-No. Cioè, c’entra anche lei- farfugliò Giulia, chiudendo di colpo il dizionario dei nomi e appoggiandolo sul bracciolo del divano – Dico solo che mi piacerebbe dare il suo nome ad una delle nostre bambine. Avrebbe un significato speciale, perlomeno-.
-Come sei sentimentale- la prese in giro Filippo, ridendo di fronte all’ennesimo sguardo torvo dell’altra – Però mi piace l’idea. Anche se non avevo mai pensato a Caterina sotto questa luce-.
-E poi è anche un nome dal significato profondo. Come piacciono a te- lo canzonò a sua volta Giulia, che a quel punto era altrettanto curiosa di sentire il nome che avrebbe detto Filippo:
-Tu a cosa avevi pensato?-.
Filippo si sistemò meglio sul divano, lasciandosi andare ad un sorriso beffardo:
-Avevo pensato anche io ad un nome lungo e dalla lunga storia, ma ora che mi ci fai pensare potremmo virare su altri nomi. Nicole non mi piace molto, ma a Petra ed Alessia darei una possibilità-.
Giulia afferrò il primo cuscino che le capitò sottomano, e percosse Filippo alcune volte, prima di fermarsi perché rischiava di soffocarlo dalle troppe risate.
-Stavo parlando seriamente!- sbottò lei, mentre lo osservava continuare a ridere a più non posso. 
Filippo si ricompose solo dopo qualche minuto, rosso in viso come un frutto maturo e completamente senza fiato. Giulia aveva atteso che la smettesse di ridere in completo silenzio, continuando a guardarlo malamente e tenendo le braccia incrociate contro il petto. Forse erano istinti guidati solo dagli ormoni della gravidanza, ma in quegli attimi aveva accarezzato l’idea di defenestrarlo definitivamente.
-Anche io parlavo seriamente, comunque- disse infine Filippo, dopo aver ripreso sufficiente fiato. Bastò lo sguardo feroce di Giulia per convincerlo a correggere il tiro:
-Ok, scusa- disse, alzando le mani – La smetto-.
-Ottimo- Giulia cercò di ammorbidire l’espressione, anche se a causa del nervoso le risultò difficile – Non hai ancora risposto alla mia domanda, in ogni caso-.
Filippo annuì silenziosamente, e per qualche attimo non rispose, assumendo un’aria pensierosa. Giulia rimase ad osservarlo comunque, chiedendosi quale nome avrebbe detto: forse era un nome che in un qualche modo implicito aveva già proposto, o che derivava da qualcuno facente parte della sua vita. Per un attimo Giulia ebbe il timore di avere qualche brutta sorpresa, ma già il secondo dopo si dette della stupida: dubitava che Filippo avrebbe scelto un nome che avrebbe potuto in qualsiasi modo ferirla.
-Premetto che non ho motivazioni personali e profonde come le tue per il nome che dirò- iniziò lui, infine, dopo almeno un minuto di silenzio – Ma come nome lo trovo comunque particolare. Credo mi sia cominciato a piacere da quando alle superiori abbiamo studiato Dante-.
Giulia aggrottò la fronte, prima di esclamare, sorpresa:
-Beatrice?-.
Filippo annuì di nuovo, a confermare che Giulia aveva appena indovinato sul serio. Lei si ritrovò ad annuire a sua volta: non aveva mai davvero pensato a Beatrice come nome da dare ad una delle sue figlie, ma più se lo ripeteva in testa, più riusciva a farci l’abitudine.
-Caterina e Beatrice- disse a mezza voce, quasi tra sé e sé, come ad assaporare il suono dei due nomi insieme – Suonano bene, devo dire-.
-Infatti- Filippo le sorrise, portandole di nuovo un braccio a cingerle le spalle.
-Anche se visto il tuo livello di conoscenza della letteratura, non avrei mai detto che ti saresti messo a scegliere nomi danteschi per le tue figlie-.
Stavolta fu Filippo a guardarla in cagnesco, e ad afferrare il cuscino per farlo atterrare – pur se più dolcemente-  sul capo di Giulia. A lei non rimase altro che ridere, cercando di ripararsi con le mani, sentendosi leggera e con un pensiero in meno in vista del parto.
 
*
 
-Sto per rotolare come una palla- Alessio tirò un sospiro profondo, la voce insolitamente strascicata – Forse ho mangiato troppo-.
-Ehi, guarda che quella che dovrebbe sentirsi una mongolfiera sono io- Giulia gli lanciò addosso lo straccio che stava usando per asciugare i piatti.
-D’altro canto tu non stai portando avanti una gravidanza gemellare- le dette corda Caterina, rivolta ad Alessio, scuotendo il capo come se avesse appena detto qualcosa di deplorevole.
-A meno che … - Giulia lo guardò con fare fintamente innocente – Sei incinto, per caso? Tu e Pietro ci state nascondendo qualcosa?-.
Alessio arrossì come non mai, rispondendo un cupo “No” che non bastò a calmare le risate di Giulia e Caterina.
In quel momento si trovavano nella cucina dell’appartamento di Caterina e Nicola, dopo la cena per il primo compleanno di Francesco. Dopo tutte quelle ore passate a star seduta, Giulia non ci aveva pensato due volte prima di offrirsi a dare una mano a Caterina per lavare i piatti. Per un motivo o per un altro, anche Alessio era rimasto lì con loro, distaccandosi dal resto del gruppo, riunitosi nel piccolo salotto dell’abitazione.
-Ecco fatto- Caterina passò a Giulia l’ultimo piatto, appena dopo averlo sciacquato sotto l’acqua del lavandino – Ora possiamo anche tornarcene di là-.
-Dobbiamo proprio?- chiese Alessio, con la stessa aria tetra che aveva mantenuto per gran parte della serata.
-Preferisci passare il resto della serata a lavare altri piatti?- gli si rivolse Giulia, guardandolo scettica.
Alessio si limitò ad alzare le spalle, prima di staccarsi dal tavolo della cucina, dove se ne era rimasto fino a quel momento, ed andarsene verso il salotto. Giulia rimase a fissarlo stranita fino a quando non lo vide oltrepassare la soglia, sparendo dalla sua vista.
-Non trovi che sia un po’ strano ultimamente?-.
Caterina si voltò verso di lei, scrollando le spalle:
-Alessio? Non solo lui, se è per quello- disse, a mezza voce, per non farsi sentire da coloro che si trovavano nel salotto in quel momento – Tra lui, Alice, Giada e Pietro non so chi sia il più strano, negli ultimi mesi-.
Quello che aveva appena detto Caterina era del tutto vero, anche Giulia l’aveva notato. Non era questione solo di quella sera – in cui Alessio e Pietro si erano lanciati strane occhiate che Giulia non aveva saputo interpretare-, in cui nessuno dei due aveva quasi interagito con la rispettiva compagna, ma di tutto l’ultimo periodo in generale: Pietro era apparso più sfuggente, ed Alessio, se possibile, ancor meno incline a distrarsi dal lavoro. Entrambi non avevano dato spiegazioni, e non sembravano nemmeno in vena di darle a breve.
Asciugato e sistemato l’ultimo piatto, sia Giulia che Caterina si avviarono verso il salotto. Giulia dovette trattenersi a stento dal ridere, nel trovare Filippo seduto per terra, intento a giocare con Francesco; immaginava tutto rientrasse nel suo programma di preparazione in vista della nascita delle gemelle.
-Stai facendo pratica, per caso?- lo prese in giro, mentre raggiungeva il divano, sistemandosi accanto ad Alice.
-In un certo senso- bofonchiò Filippo, un po’ impacciato, mentre allungava a Francesco uno dei suoi giochi.
-Temo ne dovrai ancora fare parecchia- aggiunse Nicola, che stava osservando la scena da vicino, in piedi accanto al figlio.
-Dagli tempo, tu hai un anno di esperienza sulle spalle- Pietro prese le difese di Filippo. Se ne stava anche lui in piedi, dall’altro lato rispetto a dove si trovava Giada, come a volere mantenere una certa distanza tra di loro.
-A proposito, tu come ti senti?- Alice si voltò verso Giulia, facendo un cenno verso il pancione – Ormai mancherà poco-.
-In effetti sì- annuì Giulia – Mi hanno fissato il cesareo a fine febbraio-.
-Come ti senti all’idea del cesareo?-.
Anche Giada si era avvicinata, rivolgendo a Giulia uno sguardo allo stesso tempo curioso e preoccupato.
Giulia alzò le spalle, indecisa sulla risposta da dare: sin dall’inizio della gravidanza, quando aveva scoperto di aspettare due gemelle, era stata piuttosto sicura che sarebbe finita per dover partorire con il cesareo. Non aveva nemmeno fatto in tempo a porsi la domanda se lo preferisse al naturale.
-Forse avrei preferito il naturale, ma con un parto gemellare è un po’ complicato- disse infine, incerta.
-Immagino- annuì Giada, stringendosi le braccia incrociate contro il petto – L’importante è che vada tutto bene-.
-Ma avete scelto i nomi, almeno? O aspettate l’ultimo minuto?- Caterina si sedette a sua volta sul divano, dall’altro lato di Alice, rivolgendo a Giulia un sorriso divertito.
-Stai cercando di metterle ansia?- la riprese Alessio, aggrottando la fronte. Caterina si voltò verso di lui con espressione ovvia, come se non riuscisse a capire la rilevanza della questione:
-Ma è vero, è una cosa importante!-.
A porre fine alla discussione nascente ci pensò Filippo, ancor prima di Giulia:
-Li abbiamo decisi, comunque- lanciò uno sguardo d’intesa alla moglie, arrossendo appena – O almeno così sembra-.
-Diciamo che abbiamo due nomi che sembrano convincerci- aggiunse Giulia, vaga – Ma non li diremo prima della nascita-.
-Vuoi mantenere l’effetto sorpresa?-.
Giulia si voltò verso Caterina: cercò di immaginarsi la faccia che l’amica avrebbe assunto nello scoprire che una delle sue figlie avrebbe ereditato proprio il suo nome. Alla sola idea, dovette trattenersi dal ridere: era sicura che, quando l’avrebbe scoperto, la sua reazione sarebbe stata impagabile.
-Esattamente-.
Prima che Caterina o chiunque altro potesse anche solo pensare di replicare qualcosa, la voce di Nicola si impose sulle altre, tesa ed emozionata allo stesso tempo:
-Cate- richiamò Caterina in un modo talmente strano che Giulia, come tutti gli altri, si ritrovò a girarsi nell’immediato – Guarda-.
-Cosa … - Caterina volse lo sguardo interrogativo verso Nicola, prima di rendersi conto che non era a lui direttamente che doveva guardare – Oh-.
Così come Caterina, anche Giulia si era voltata verso Nicola, per poi rendersi conto che lui stesso stava guardando nella direzione di Francesco. Il tempo sembrava essere rallentato fino a fermarsi, mentre si era alzato in piedi, inaspettatamente.
Trattennero tutti il fiato, senza dire una parola; Giulia era sicura che sia Caterina che Nicola si stessero trattenendo a stento dall’alzarsi ed avvicinarsi al figlio, con la paura di vederlo cadere di nuovo a terra facendosi male.
Francesco fece un primo passo incerto, e poco dopo un secondo. Fu al terzo che si ritrovò a barcollare, ma prima che potesse sul serio cadere rovinosamente, Nicola si era sporto in avanti, ancor più veloce di Filippo, nonostante fosse più distante.
-Oddio!- Caterina si scaraventò giù dal divano, verso Nicola e Francesco. Nel trambusto generale del momento, Giulia non riuscì a capire se l’amica fosse più emozionata dai primi passi del figlio, o più preoccupata che si fosse fatto male mentre ricadeva a terra.
Lei, per contro, si sentiva rientrante decisamente più nella prima categoria: era scoppiata a piangere, quasi senza accorgersene, probabilmente da quando si era accorta che Francesco aveva appena preso a camminare da solo.
Filippo intercettò il suo sguardo, sorridendole divertito:
-Non dirmi che ti sei già fatta prendere dall’emozione-.
Giulia gli fece una linguaccia, asciugandosi le lacrime sotto gli occhi:
-È pur sempre un evento unico-.
-Se piangi già adesso con Francesco, non oso immaginare con le tue figlie il prossimo anno- aggiunse Caterina, che si trovava seduta a sua volta sul pavimento, con le braccia a circondare Francesco. Giulia era stata l’unica a scoppiare a piangere, ma nonostante non ci fossero lacrime a rigarle il viso, Caterina aveva comunque gli occhi lucidi.
-Probabilmente scoppierà sempre a piangere- rincarò la dose Filippo, che sembrava sinceramente divertito dalla crisi di pianto di Giulia. A quella frase risero un po’ tutti, persino Nicola che, fino a quel momento, era rimasto ad osservare il figlio e a sorridergli come non mai.
Giulia puntò un dito accusatore verso Filippo, la voce ancora un po’ incerta:
-Quando sarai tu a commuoverti riderò parecchio, lo sai?-.
-Questa te la sei cercata, Pippo- rise Pietro, che a sua volta si era seduto sul divano, nel posto lasciato vuoto da Caterina.
Giulia si limitò ad asciugarsi meglio gli occhi, ammettendo tra sé e sé che, forse, Filippo non aveva tutti i torti: se si era fatta prendere in quella maniera dalle emozioni nel vedere i primi passi di Francesco, poteva solo immaginare cosa avrebbe potuto fare nell’udire il primo pianto delle sue figlie quando sarebbero nate.
Era decisamente fregata.
 
 




 
NOTE DELLE AUTRICI
Questo nuovo capitolo si apre con un lieto evento: il primo compleanno di Francesco! Il primo pargolo dei "magnifici 6", infatti, cresce giorno per giorno, capitolo dopo capitolo. Le emozioni sono tante e qualcuno, un biondino di nostra conoscenza, sembra voler ipotizzare, in un futuro non ben collocato, di voler fare la doppietta, venendo però fermato da Caterina.
Il cambio di scena ci porta poi in compagnia di Fernando e Pietro. Quest'ultimo, a quanto pare, aveva evitato l'amico per ben due mesi... Alla fine la loro conversazione è stata piuttosto civile e sincera, anche se la loro amicizia sembra essere parecchio in bilico dopo i recenti sviluppi ... Vedremo se riusciranno a mantenere un rapporto perlomeno amichevole, o se Fernando preferirà prendere definitivamente le distanze.
La seconda parte del capitolo, invece, torna ad avere toni decisamente più tranquilli: Giulia e Filippo, infatti, sono alle prese con la scelta dei nomi delle gemelle che nasceranno tra poche settimane. Un'impresa facile solo sulla carta, perché in realtà i due sembrano parecchio in disaccordo 😂  Alla fine i futuri genitori sembrano aver trovato un punto di incontro per le gemelle, e uno dei due nomi ci è piuttosto conosciuto: quale sarà la reazione, da qui a qualche mese, di Caterina nello scoprire che l'amica ha pensato a lei e al suo nome come "nome prescelto" per una delle due piccole? Che effetto fa avere un'omonima in miniatura nei paraggi?
Quello appena concluso si è infatti rilevato essere un capitolo di passaggio, ma gli sviluppi per il futuro non mancano. Qui sono stati accennati e attendono solo il prossimo aggiornamento, che arriverà puntuale mercoledì 21 dicembre (prendetelo come un regalo di Natale in anticipo di qualche giorno 😂).
Kiara & Greyjoy
   
 
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