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Autore: pampa98    08/12/2022    3 recensioni
[Questa storia partecipa ai “72 prompt in attesa del Natale” indetti da Mari e Sofifi e alla Challenge "To Be Writing 2022" indetta da Bellaluna sul forum Ferisce più la penna]
~ Aegon/Jace, accenni Cregan/Jace. ~
Canon divergence 1x08: Rhaenyra rimane ad Approdo del Re dopo la cena.
Jace lo spinse via. «Smettila, idiota! Ero solo preoccupato perché temevo che volessi baciarmi.»
Aegon sgranò gli occhi. «Baciarti? E perché cazzo dovrei farlo?» Non che il pensiero non gli avesse mai sfiorato la mente, soprattutto nell’ultima settimana, in cui vi aveva fantasticato più di quanto sarebbe stato lecito fare, ma in quel momento non aveva fatto niente perché Jace lo sospettasse. Dev’essere a causa della mia reputazione, pensò con una punta di amarezza. Probabilmente anche Jace pensava che si sarebbe scopato qualsiasi essere vivente si fosse avvicinato a lui.
«Be’, continuavi a tenere il vischio sopra di noi» rispose Jace, riprendendo a decorare la tavola.
«E quindi?»
Jace gli lanciò uno sguardo accusatorio, ma notando la sincera incredulità sul suo volto si ammorbidì. «Non… Non conosci la tradizione legata a quella pianta?»
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aegon II Targaryen, Jacaerys Velaryon
Note: Soulmate!AU, What if? | Avvertimenti: Incest
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Prompt: Vischio
Citazione: “Temevo mi volessi baciare.”

AU: Soulmate!AU: vedi i colori solo dopo aver baciato la tua anima gemella.

Mi sono presa la libertà di invertarmi che al Nord esiste una festa simile al Natale. Spero che la storia vi piaccia, buona lettura ^^

 

Tradizioni che riuniscono una famiglia




 

Aegon si riempì un altro calice di vino, mentre osservava Jace intento ad allestire il tavolo con decorazioni a forma di fiocco di neve. 

Sapeva che il re stava male da mesi, ma credeva che la sua sanità mentale fosse ancora intatta e che il massimo della follia fosse stata l’assurda cena di famiglia che aveva deciso di organizzare dopo aver confermato il diritto di successione di Luke e aver chiarito, ancora una volta, che Rhaenyra era la sua unica erede. Già il fatto che lei e i suoi figli fossero rimasti ad Approdo del Re aveva dell’assurdo, ma suo padre aveva anche deciso di costringere tutti loro ad allestire la Fortezza Rossa secondo una festa tradizionale del Nord, qualcosa che celebrava l’amore e l’unione all’interno di una famiglia. In pratica, aveva portato l’ipocrisia della settimana precedente a livelli estremi. 

Aegon guardò in direzione del corridoio in cui erano spariti Luke, Aemond e Helaena, diretti ad addobbare le colonne con delle ghirlande. Si chiese se il piccoletto fosse ancora vivo, ma a giudicare dall’assenza di urla doveva procedere tutto bene. La presenza di Helaena era probabilmente la sua salvezza: Aemond non avrebbe ucciso nessuno davanti a lei.

«E che cazzo! Se ti lancio lassù, restaci!»

«Bravo, continua a dargli ordini, prima o poi quella pianta ti ubbidirà.»

Quel commento gli fece guadagnare un’occhiataccia da parte di Jace. Rise, vedendo il ragazzo fare a pugni con una ghirlanda da appendere intorno alle finestre. Rhaenyra l’aveva portata prima dicendo che si trattava di vischio e spiegando che i pallini che comparivano tra le foglie erano rossi. Sembrava che i colori che avrebbero campeggiato nel palazzo al termine dei preparativi sarebbero stati verde, rosso e nero – i colori Hightower e Targaryen, intrecciati insieme come se fossero un’unità indistruttibile. Aegon era lieto di non poter assistere a quel trionfo di ipocrisia. 

Dopo l’ennesima esclamazione frustrata di Jace, Aegon decise di interrompere il suo meritato riposo – che andava avanti da quando non c’era più Aemond a costringerlo a collaborare – per aiutare suo nipote a vincere quella difficile lotta. 

«Da' qua» disse, togliendogli bruscamente una ghirlanda dalle mani. Si allungò per appenderla sopra la finestra e, quando quella rimase al suo posto, rivolse un sorriso compiaciuto a Jace. Prese un’altra ghirlanda, sollevandola sopra le loro teste, abbastanza in alto perché l’altro dovesse alzarsi sulle punte dei piedi se voleva raggiungerla.

«Cosa mi avevi detto l’altro giorno? Che eri cresciuto?» rise. «A me sembra che tu sia rimasto lo stesso piccoletto che mandavo con il culo a terra durante ogni allenamento.»

«Mi spiace deluderti, ma sono cambiato molto. E lo sapresti, se ogni tanto venissi ad allenarti anche tu» disse, con una sicurezza che male si abbinava al rossore sul suo viso e i continui sguardi lanciati verso il vischio sopra di loro. «Comunque… che stai facendo?»

Aegon inarcò un sopracciglio. «Sto evitando che tu debba spiegare ai nostri parenti perché le pareti non sono addobbate. E che hai paura del vischio.»

«Paura? Di una pianta?»

«Dal modo in cui la fissi, direi proprio di sì» disse, sventolandogliela in faccia. 

Jace lo spinse via. «Smettila, idiota! Ero solo preoccupato perché temevo che volessi baciarmi.»

Aegon sgranò gli occhi. «Baciarti? E perché cazzo dovrei farlo?» Non che il pensiero non gli avesse mai sfiorato la mente, soprattutto nell’ultima settimana, in cui vi aveva fantasticato più di quanto sarebbe stato lecito fare, ma in quel momento non aveva fatto niente perché Jace lo sospettasse. Dev’essere a causa della mia reputazione, pensò con una punta di amarezza. Probabilmente anche Jace pensava che si sarebbe scopato qualsiasi essere vivente si fosse avvicinato a lui. 

«Be’, continuavi a tenere il vischio sopra di noi» rispose Jace, riprendendo a decorare la tavola.

«E quindi?»

Jace gli lanciò uno sguardo accusatorio, ma notando la sincera incredulità sul suo volto si ammorbidì. «Non… Non conosci la tradizione legata a quella pianta?»

«Non conoscevo proprio questa pianta fino a un’ora fa.»

«Oh.» Jacaerys sospirò e il suo volto si rilassò in un sorriso, espressione a cui Aegon non era più abituato. «Molto semplicemente, se due persone si trovano sotto il vischio, devono baciarsi. Cregan mi ha raccontato che una volta sua sorella aveva riempito Grande Inverno di vischio per ottenere un bacio dal ragazzo di cui era innamorata – riuscendoci, anche più di una volta.»

Aegon guardò la ghirlanda che aveva in mano. Il Nord doveva essere proprio freddo se si inventavano simile idiozie per ottenere un po’ di calore. Tuttavia, doveva ammettere che era una storia interessante – ma non quanto il nome pronunciato da Jace.

«Cregan Stark, intendi?» disse. «Il figlio del Protettore del Nord?»

Jace annuì.

«Come lo conosci?»

«Sono stato in viaggio da lui un paio d’anni fa» spiegò. «Mia madre dice che è importante mantenere buoni rapporti con tutti i Lord del regno e, dal momento che Cregan è poco più grande di me, mi ha suggerito di iniziare con lui. È un ottimo cavaliere e un grande amico, ma anche se mi manca non sono proprio entusiasta all’idea di tornare al Nord: lassù il clima è davvero gelido, anche in estate.»

Aegon aveva smesso di ascoltare dopo i complimenti che aveva rivolto a quell’individuo. Dal modo in cui ne parlava, era evidente che tenesse a quel ragazzo – aveva usato lo stesso tono con cui un tempo parlava di lui

Da quel poco che sapeva di Cregan Stark, doveva essere un uomo serio, pacato e rispettoso, e con un palo infilato su per il culo come tutta la gente del Nord. Il tipo di persona retta e giudiziosa che avrebbe potuto far breccia nel cuore di Jace. 

Non lo tollerava. 

Girò intorno al tavolo per raggiungerlo. Jace spostò lo sguardo verso di lui, aggrottando le sopracciglia. Senza dire una parola, Aegon sollevò la ghirlanda sopra di loro, afferrò il suo volto tra le dita e lo baciò. Il ragazzo si irrigidì, scioccato, ma bastò un momento perché riprendesse controllo del suo corpo e lo spingesse via. Aegon rise e si preparò a dirgli che stava solo seguendo la tradizione del suo caro Cregan, ma le parole gli morirono in gola insieme al sorriso quando prese atto del mondo intorno a sé. 

I capelli di Jace, che aveva sempre visto neri, in quel momento apparivano castani, così come i suoi occhi, mentre metà della sua giacca era diventata rossa. Anche l’ambiente circostante appariva molto più luminoso e colorato rispetto a prima. Titubante, Aegon abbassò lo sguardo sulla ghirlanda di vischio, che gli diede l’ultima conferma: verde e rosso brillavano tra le sue dita. 

«Non avresti dovuto farlo» disse Jace, stringendo le dita sullo schienale di una sedia. La flebile protesta e il suo evidente disagio gli fecero capire che anche il suo mondo aveva subìto lo stesso mutamento.

«No» concordò Aegon. «Decisamente no.»
 


Si guardò allo specchio, aggiustando il colletto della giacca che aveva già sistemato almeno sette volte quella sera. Aveva detto a Luke di precederlo, che lo avrebbe raggiunto subito, ma non riusciva a trovare la forza di aprire quella porta, attraversare la fortezza e raggiungere la sala da pranzo dove avrebbe incontrato lui.

Sospirò, passandosi una mano dietro la nuca. Sei anni prima avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere che lui e Aegon erano stati legati dal destino; in quel momento avrebbe solo voluto dimenticarlo. 

Da tempo aveva accettato l’idea che non avrebbe mai trovato l’anima gemella: quando Cregan lo aveva baciato, non era cambiato niente, né attorno né dentro di sé; quando Baela lo aveva baciato, la sera dopo il loro fidanzamento ufficiale, aveva scoperto che nemmeno lei era la sua metà. 

“A me va bene lo stesso” gli aveva detto e Jace aveva concordato. Gli piaceva molto sua cugina, la rispettava e la considerava un’ottima amica: il loro sarebbe stato un matrimonio felice e tanto bastava. 

Aegon si era dovuto mettere in mezzo, ovviamente. E solo per uno scherzo – Jace aveva notato il suo sorrisetto divertito subito prima di realizzare cosa fosse accaduto. 

Se fosse stato zitto, se avesse ignorato il vischio intorno a loro e non gli avesse raccontato di quella tradizione…

Scosse la testa. Non aveva senso rimuginare sul passato, chiedendosi cosa sarebbe potuto andare diversamente – lo aveva già fatto troppe volte, fantasticando su Ser Harwin come suo padre, da sapere che al presente non importava niente dei suoi desideri.

Si diede un’ultima sistemata e uscì dalla stanza. Si incamminò verso la sala da pranzo a passo spedito, consapevole di essere in ritardo. Quando svoltò lungo il corridoio che lo avrebbe portato a destinazione, per poco non andò a sbattere contro qualcuno. Aegon, ovviamente.

«Credevo che la cena fosse iniziata da un pezzo, ma se il perfetto Jacaerys Velaryon è ancora qui, devo essere arrivato in orario» commentò, con minor brio del solito. E con il fiato che sapeva eccessivamente di vino.

«Siamo in ritardo tutti e due» disse Jace, decidendo che non gli andava di rimproverare lo zio per il suo abuso di alcol. Riprese il suo cammino, deciso ad allontanarsi da lui il prima possibile, solo per ripensarci un istante dopo e tornare sui suoi passi. «Quello che è successo oggi…» cominciò.

«Jace…» 

«Non avresti dovuto baciarmi!» esclamò, guardandosi poi attorno per assicurarsi che non ci fossero orecchie indiscrete nei paraggi. «Né per gioco né per… Non volevo saperlo, Aegon, non volevo!»

«Credi che io lo volessi?» rispose, massaggiandosi le tempie con le dita. 

«Sei stato tu ad agire, avresti dovuto sapere che c’era la possibilità…»

«Avrei dovuto saperlo?» Aegon rise. «Al contrario, ero sicuro che non fosse possibile. Gli Dei ti hanno già fatto bastardo, Jace, pensavo che avessero almeno la decenza di legarti a qualcuno più degno di me.»

L’accusa sulle sue origini gli fece ribollire il sangue, che si placò nell’istante in cui Aegon pronunciò l’ultima parte della frase. 

«Che intendi dire?» gli chiese e, per la prima volta da quando lo aveva rivisto, non cercò di ignorare quel velo di disgusto e tristezza che adombrava i suoi occhi. L’ebbrezza data dal vino lo mascherava in parte, ma non abbastanza perché Jace non potesse notarlo.

Aegon gli rivolse un sorriso triste. «Speravo che almeno tu non mi avresti odiato, ma capisco che sia impossibile non farlo.» Sospirò. «Non importa. Forza, andiamo a quest’ennesima farsa di famiglia felice.»

Provò a superarlo, ma Jace lo afferrò per un braccio, trattenendolo accanto a sé.

«Aegon, io non ti odio» disse, cercando i suoi occhi. «Non mi hai rivolto una parola o uno sguardo gentili da quando sono qui, ma io… Insomma… Non ti odio.» Avrebbe voluto dirgli che gli voleva ancora bene, che ogni volta che si trovavano nella stessa stanza sperava che avrebbero riso e scherzato come un tempo. Che se lo avesse baciato sei anni prima, la sua reazione sarebbe stata totalmente diversa.

«Non mi odi» ripeté Aegon. «Per ora.»

Jace strinse la presa sul suo braccio. «Né ora né mai. Perché dovrei farlo? Sei mio amico, sei la mia famiglia, sei…»

«Non ha importanza» lo fermò lui, scuotendo la testa. «Noi non… Le cose tra noi potranno solo peggiorare, Jace.»

«Perché?»

«Perché…» Sospirò, passandosi una mano sul viso. Sembrava esausto. «Perché è così.» Gli sfiorò una guancia con le dita e Jace fremette – per il gelo della sua pelle, per il calore del suo tocco. «Raggiungiamo gli altri.»

La sua guancia tornò a scontrarsi con l’aria della Fortezza, ma Jace non intendeva lasciare che se ne andasse così. Lo afferrò per il bavero della giacca e lo tirò a sé, posando le labbra sulle sue. Rimase fermo in quella posizione finché non sentì Aegon ricambiare il bacio. In un attimo si ritrovò stretto tra le sue braccia, mentre la bocca del ragazzo si avventava famelica su di lui. Jace gli portò le mani intorno al collo, per impedirgli di allontanarsi, per sentirlo ancora più vicino. 

Fu Aegon a interrompere il bacio, ma non sciolse il loro abbraccio e le sue labbra rimasero sospese appena sopra le sue. Jace aprì gli occhi, beandosi del biondo dei capelli di Aegon e delle sue iridi porpora. 

«Non avresti dovuto farlo» disse suo zio, ripetendo le stesse parole che aveva pronunciato lui poche ore prima.

«Sì, invece» rispose. Gli scostò i capelli dal volto, sistemandoli delicatamente dietro le orecchie. «Questo… Questo legame che condividiamo, potrebbe essere una benedizione, sai? Non intendo distruggerlo, Aegon. E magari – no, sicuramente – riuscirà a ricucire il legame tra le nostre famiglie.»

Aegon sollevò un angolo della bocca. Posò la fronte contro la sua, lasciandosi sfuggire un lungo sospiro. Gli diede un bacio a fior di labbra, prima di fare un passo indietro.

«Sembri molto convinto.»

«Lo sono» rispose, sostenendo il suo sguardo. 

Aegon rise e, per la prima volta in quei giorni, Jace sentì una nota di sincerità in quel suono.

«Allora cominciamo ad aggiustare le cose da stasera» disse. Gli mise un braccio intorno alle spalle, avviandosi insieme a lui lungo il corridoio addobbato con i colori della loro famiglia – uniti, come doveva essere. «Sai, credo che Aemond non conosca la tradizione del vischio.»

Jace inarcò un sopracciglio. «Non sono sicuro che mi piaccia dove vuoi andare a parare.»

«Potremmo mettergli una ghirlanda in testa, così sarà costretto a baciare chiunque gli si avvicini.»

Jace nascose la sua risata dietro un colpo di tosse. «Credo che ci taglierà le mani prima ancora che riusciamo a raggiungerlo.» Giunsero davanti alla sala da pranzo, dove trovarono Ser Harrold ad attenderli. Mentre il cavaliere apriva le porte, Jace avvicinò le labbra al volto di Aegon.

«Però potremmo spargere le ghirlande per la Fortezza e fare in modo che Aemond ci passi sotto insieme a qualcuno.»

Aegon rise di cuore. Raggiunsero la loro famiglia come avevano fatto molte volte in passato: sorridenti, complici e insieme.


 
   
 
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