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Autore: Woody Lee    09/12/2022    0 recensioni
Il lavoro dello scrittore è assai difficile, Aiden Rowe lo sa bene.
Spera che la sua esistenza non sia affatto terribile pur sapendo che dovrà crearsi il lavoro per continuare a mangiare.
Da quando Lewis Lynom, un misterioso scienziato mise sul mercato un nuovo prodotto che sconvolse la vita della popolazione mondiale, Aiden ripercorrerà sui suoi passi e attraverso i suoi ricordi tutta la sua esistenza. Dalla morte di suo padre alle sue avventure da giovane, magari ritrovando la felicità perduta chissà dove.
Uno scritto fantascientifico di cui risulta essere un bel ricordo per i più grandi e un sogno da poter realizzare per i più giovani.
Ogni critica e ogni commento positivo verranno accettati e amati per migliorare di capitolo in capitolo la storia che ne verrà fuori.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il cellulare squillò, assordante e vibrante sul comodino accanto al letto. Mi svegliò da un incubo.
"Pronto" la persona dall'altra parte riconobbe la mia voce rauca e profonda.
"Oh no, ti ho svegliato?" Era una voce femminile. Provai a essere cordiale e negai dicendo di essermi solo assopito al computer.
"...ma chi è che parla?" Mi alzai dal letto sbadigliando.
"Sono Anna, ti ricordi di Ethel? Ti volevo parlare di lei", barcollai brevemente appoggiandomi alla scrivania.
"Anna? Ma chi ti ha dato il mio numero?"
"Steve, di sua iniziativa. Ha detto che potevi aiutarmi"
"Chiaro" mi sedetti sulla sedia impaziente appoggiandomi allo schienale. La mia gamba saltellava sul parquet.
"Sai Ethel, la mia gatta, ecco, sta avendo un brutto periodo. Steve ha detto che con le questioni di cuore sei la persona giusta a cui chiedere"
"Questioni di cuore?" La mia gamba si fermò.
"Non ti disturberei se non fosse importante ma..."
"Non c'è problema, dammi il tempo di collegarmi e ti raggiungo" mi alzai dalla sedia guardando fuori dalla finestra, era una giornata grigia e le acque dell'Hudson parevano irrequiete, come se capissero la mia insolita mattinata.
"Ma aspetta..." Aggiunsi. Anna rimase ad ascoltare. Deglutii. "Dove ti raggiungo?"
"Ti mando l'invito."
"D'accordo"
"Grazie grazie grazie, ti devo un favore gigantesco!" Strillò.
Ci salutammo e chiusi la chiamata.
Mi trovai in bagno, non ricordavo nemmeno di aver camminato. Mi guardai allo specchio e avevo un sorriso stampato in faccia,sembrava forzato, come se i muscoli della mia faccia avessero coscienza propria. Un nodo immenso allo stomaco si scioglieva, sentivo delle note musicali nell'aria, come se qualcuno avesse aperto una finestra che dava su un palcoscenico dove una piccola orchestra suonava ad un ritmo incomprensibile delle note squisite che salivano verso il soffitto dove miliardi di minuscoli violini alati a loro volta suonavano perfettamente in disordine.
Mi sciacquai la faccia, mi lavai i denti e tutto mi sembrava più colorato.
Possibile che fosse tutto reale? Insomma, ero pienamente cosciente di quello che stava succedendo. Nella mia mente facevo schifo ma esteriormente sembravo un pavone.
Che cosa ero diventato?
Con sentimenti di gran lunga fuori posto, una fitta allo stomaco e queste le chiamano farfalle?

"Lux"
E tutto si accese, di nuovo come un sogno.
I gradini in legno della mia casa in riva al fiordo erano freddi ai miei piedi e il sole brillava sull'acqua. Inspirai aria fresca e una notifica apparve davanti a me, una lampadina rossa.
Il display si aprì e lessi "Anna ti ha invitato nella sua stanza". Cliccando su "Partecipa", i miei pixel presero il volo.

Ero a piedi nudi in una foresta. All'inizio pensai a quella amazzone ma parve troppo silenziosa.
I rami degli alberi facevano passare coprivano i raggi del sole e dovetti aspettare qualche secondo affinché i miei occhi si abituassero alla poca luminosità del luogo.
Camminai in avanti per qualche metro, l'aria era fresca, l'erba ancora di più, mi diede conforto alle piante dei piedi. I tronchi degli alberi erano spesso almeno un metro e nulla sembrasse celarsi dietro uno di essi, di Anna nemmeno l'ombra. Provai a chiamarla continuando a camminare finché trovai un sentiero e un cartello.
"L'albero di Anna" e sotto, aggiunto in un secondo momento, "e Ethel". Una freccia verde puntava a destra e io la seguii.
Ci vollero qualche decina di metri affinché arrivassi al luogo esatto.
Non era una casa, ne un palazzo. Era un gigantesco albero, di almeno venti metri di diametro, non riuscivo a vederne la fine. L'entrata era un portone pesante, di legno scuro, c'erano piccole finestre su tutta la corteccia del maestoso albero e i rami, spessi come armadi a quattro ante, dotati di muri e finestre a loro volta, creavano stanze e addirittura quartieri, tutti illuminati di vari colori.
Rimasi affascinato da quella struttura scolpita nel legno, mai nella vita avrei pensato di vedere così tanta creatività in un solo luogo.
Anna uscì dal portone e paragonandola ad esso, era minuscola.
"Buongiorno Aiden, benvenuto alla mia casetta sull’albero. Che te ne pare?" Quasi saltellava.
"Ti dirò che fai bene a tenerlo segreto. Solo Tolkien potrebbe descriverlo"
"Wow, lusingata. Dai entriamo, ti faccio fare un giro"
Seguii Anna all'interno e un milione di luci calde mi avvolsero dalla testa ai piedi. Attorno alle pareti c'erano lanterne accese che seguivano una lunghissima scalinata che portava fino in cima. Centinaia di porte nascondevano chissà quali stanze.
Al centro dell'atrio c'era un ascensore, sempre in legno, illuminato da due focolai e collegato con robuste liane fino alla sommità.
"Ma è pazzesco, Anna!"
"Non è ancora finito, mancherebbero altre quarantasette stanze da creare, ognuna delle quali ha un proprio preciso compito. Per esempio..." Mi indicò la prima porta a sinistra dell'entrata. Aveva una fotocamera intagliata su di essa ed era verniciata di oro.
"Quella è la stanza delle foto dove posso trovare tutte le fotografie che ho scattato nella mia vita, saranno un milione. Andiamo su."
Salimmo sull'ascensore e Anna tirò una leva, iniziammo a salire.
Indicò un'altra porta, questa volta intagliata da un fulmine bianco .
"Quella invece è la stanza elettrica, per darmi le scosse"
"Perché mai vorresti darti le scosse?" Le chiesi.
"Per elettrizzarmi!" Disse.
"Quell'altra invece, quella con la mezza Luna, è la stanza della pittura. Scelgo un posto, una persona o un sentimento nella mia mente e come per magia riesco a svilupparlo in un bellissimo quadro, ne ho fatti 8 fin'ora, ma solo perché la stanza è nuova e non ho molto da dipingere al momento"
"Dovrei provarla"
"Vacci piano Picasso. Non è così facile come sembra, ci vuole maestria e pazienza, tanta pazienza. A te interesserebbe di più... quella"
Indicò un portone a forma di libro aperto con delle parole scritte su tutta la superficie, non riuscivo a leggerle.
"Quella è la biblioteca, ogni libro mai scritto e conosciuto all'umanità è lì dentro."
"Tutti i libri?"
"Tutti, giuro"
"Mi prendi in giro"
“Se oggi andrà tutto bene, ti farò fare un giro.”
Non le credetti.
"Stai scrivendo qualcosa al momento?"
"Io scrivo sempre”
“E di cosa?”
“Di qualsiasi cosa ma è raro che un mio lavoro diventi qualcosa di concreto. Per guadagnarmi da vivere faccio il redattore di una rivista mensile, scriviamo di storie vissute"
" E dove le trovate le storie?"
"Abbiamo i nostri giornalisti sparsi per il mondo a descrivere la vita. Centinaia di nostri lettori, inoltre, ci inviano racconti di storie realmente accadute o leggende dalle loro provenienze, noi ne prendiamo alcune, le stiliamo in qualcosa di più scorrevole, sai, adatto per una rivista e le pubblichiamo"
"Ma è bellissimo! Perché non ne ho mai sentito parlare?"
"Non è molto ricercato come brand, ma una volta trovato non lo si lascia più. Ti invierò una copia."
"Molto gentile. L'hai mai scritto un libro?"
"No, penso sempre di esserne in grado ma è complicato"
"Che cosa lo è?"
"È complicato essere me"
Ci guardammo un attimo negli occhi e ci sorridemmo timidamente. Speravo tanto che non riuscisse a sentire il battito del mio cuore.
L'ascensore si fermò e le sbarre di legno si aprirono. Non eravamo per niente in cima, mancavano ancora un centinaio di metri. Puntai lo sguardo al soffitto e una luce bianca entrava da un foro abbastanza largo per l'ascensore, pensai ad un attico, oppure alla stanza di Anna.
"Di qua" mi disse e la seguii per un corridoio.
"Spiegami il motivo per cui sono qui, cosa intendevi per questioni di cuore?"
"E’ un po' imbarazzante ma davvero, non ti avrei chiamato se non fosse importante. È ormai una settimana che si comporta così"
"Così come?"
Ci fermammo davanti ad una porta, la forma di un gatto era intagliata nel legno, immaginai che fosse la stanza di Ethel.
"Ethel ha conosciuto un micio qualche settimana fa, al forum, e sono diventati molto amici e alla fine si è innamorata. Il problema è che quel micio sia in realtà una persona vera, un utente dell'AU, ciò che lei odia con tutto il suo cuore digitale"
"Aspetta, possiamo diventare gatti?"
Anna roteò gli occhi nelle orbite.
"Puoi decidere di essere una pianta se proprio ti va, si chiama Illimitatore Astrale apposta, non hai limiti su ciò che puoi fare o essere, concentrati! Ora Ethel non si fida di nessuno e non esce dalla sua stanza da una settimana. Non vorrei che continuasse così, tu sei l'ultima speranza prima di doverla... resettare" bisbigliò l'ultima parola per evitare di farsi sentire dalla sua gatta dall'altra parte della porta.
"Ok, ho due domande"
"Spara" incrociò le braccia al petto.
"Esattamente Steve cosa ti ha detto di me?"
Anna arrossì lievemente e abbassò gli occhi.
Me li puntò di nuovo addosso.
"Ha detto che capisci quanto possa essere ferita una persona e che trovi sempre le parole per motivarla verso la strada giusta"
"Ma Ethel non è una persona"
"Ma ha dei sentimenti!"
"Già, a quanto pare. Seconda domanda. Se io fallissi, in cosa consisterebbe il...reset?" bisbigliai anch'io quella parola.
"Niente. Perderebbe la memoria e tutte le esperienze che abbiamo passato sarebbero annullate per sempre, quindi cerca di non farlo."
"Penso che sia una cattiva idea, anzi terribile"
"Ma come?"
"L'hai detto tu stessa che odia gli utenti del programma! Sentirsi dire di quanto l'amore non corrisposto o illuso faccia schifo e che deve cercare una via di fuga dal dolore che prova sono le ultime cose che vorrebbe sentirsi dire"
"Ma tu gli piaci, ha detto che sei un tipo apposto. E poi sai già cosa non dirle. Fallo per me, ti prego!"
"Ha detto che sono un tipo apposto? E questo cosa significherebbe?"
Anna fece spallucce.
Strinsi i denti e il pugno.
"Lo faccio per te". Dissi guardandola. I suoi occhi brillavano, probabilmente anche i miei.
Anna bussò e un miagolio triste in lontananza ci fece da benvenuto nella fantastica stanza di Ethel.

Misi piede in uno spazio aperto, sembrava un giardino zen giapponese con petali di ciliegio che cadevano dal cielo. Nell'aria sentivo profumo di pesche e erba appena tagliata. Un piccolo lago d'acqua cristallina bagnava la riva a destra, a sinistra invece, altalene e scivoli, un albero avente in cima una grossa casa color viola con tegole nere, un piccolo palco per le esibizioni e uno spazio infinito per correre. La riva del lago era circondata da prati immensi, foreste silenziose e le montagne, all’orizzonte, parevano essere alte decine di chilometri.
"L'hai creato tu questo?" Chiesi ad Anna sottovoce.
"È tutta opera di Ethel" mi rispose bisbigliando.
"Sono scioccato" si trattava di una creazione sublime, un luogo mistico, perfetto per stare da soli. In quel contesto non potrei mai sentirmi fuori dal bene.
Entrambi camminammo verso l'albero con la casa viola e Anna mi spinse verso gli scalini a chiocciola.
"Avanti forza" mi disse.
"Si si, vado" non mi piaceva essere comandato ma ormai non potevo più tirarmi indietro.
"Ethel! È venuto a trovarti un amico!" Gridò verso l'alto.
"Coraggio" disse a me.
Deglutii.
Dovetti arrampicarmi a gattoni sulla scalinata poiché i gradini erano assai piccoli e arrivando in cima osservai l'interno della casetta.
Era un mini soggiorno con cuccetta, due ciotole per l'acqua e il cibo e delle palline con un sonaglio all'interno, i giocattoli di Ethel. Mi sarei aspettato chissà quale arredo chic, invece era molto minimalista.
Su una delle pareti una foto di Ethel sulle spalle di Anna. La gatta, sdraiata supina al pavimento, sembrava dormisse serenamente. Il pelo corto e nero si alzava e si abbassava impeccertibilmente.
"Ethel, ciao"
Niente, la gatta non si mosse.
Guardai Anna dall'alto, mi spronó con un movimento di braccia.
Maledizione, pensai, guarda cosa sono disposto a fare per una ragazza, parlare ad una gatta parlante col cuore spezzato. Poteva andare peggio?
Entrai nella casa con non poco sforzo e notai che ci entravo solo se rimanevo con le ginocchia al petto, almeno non dovetti piegare la testa. Senza farlo apposta colpii le palline a sonaglio facendo rumore.
Le orecchie di Ethel rizzarono e si girò dall'altra parte.

"Scusami" dissi. A questo punto iniziai a pensare di mettermi nei suoi panni, o in questo caso, nel suo pelo e iniziai a parlare. Anna non seppe mai ciò che dissi a Ethel, le feci giurare di non raccontare mai della nostra chiacchierata, di tenere il segreto a chiunque, che sia di forma umana o animale o vegetale e di non disperarsi poiché avrebbe vissuto in eterno, almeno finché l'intero programma sarebbe rimasto online.
Anna rimase ad aspettare in riva al lago, giocava con la sabbia guardando l'orizzonte, la chiamai facendola voltare. Mi vide scendere gli scalini lentamente con Ethel sulla mia spalla, arrivati abbastanza in basso da poter balzare senza pericolo, mi diede una leccatina di ringraziamento alla guancia e la gatta, miagolando a
squarciagola, spiccò il volo per correre verso la sua amica che la aspettava a braccia aperte. Rotolarono abbracciate insieme sulla sabbia e quando mi avvicinai notai che stava piangendo.
"Stupida gatta, mi hai fatto preoccupare così tanto."
Poi mi vide accanto a loro.
"Aiden!" Si alzò e venne ad abbracciarmi, forte. Come un peso morto si lasciò cadere tra le mie braccia appoggiando la sua testa al mio petto.
"Grazie, grazie, grazie! Ma che le hai detto?" Mi chiese.
Ethel faceva le fusa tra i nostri piedi, si arrampicò sui i miei vestiti per accoccolarsi sulla mia spalla destra.
"Questo non te lo possiamo dire" le rispose Ethel, "lui ascolta, pensa e dice come un vero sentimento. Avevo bisogno di un cuore nuovo e lui mi ha dato un pezzo del suo, bisogna proteggerlo a tutti i costi".
Chiuse gli occhi e fece le fusa con la mia guancia.
Anna mi guardava come un tesoro appena scoperto, come se sentisse una melodia bellissima mai sentita prima, come se provasse il miglior piatto mai cucinato al mondo. Riconoscerei quello sguardo tra mille.
Cosa avrei dato per avere qualcuno che mi guardasse ancora in quel modo, che qualcuno mi tenesse la mano, che ringraziasse la mia presenza con un timido sorriso.
"Ma dove si nascondono le persone come te?" Mi chiese.
Non le seppi rispondere, non aveva conclusione quella domanda.

Cosa intendeva per 'persone come me'? Come sono le persone come me? Come si diventa una persona come me? Posso scegliere di non essere più me stesso e diventare qualcun'altro?
Cercavo da ormai troppo tempo, un'ultima affermazione per chiudere definitivamente quel rapporto con il ragazzo con la mente al buio. Cercavo quel tunnel per uscire alla luce e vedere finalmente a colori, forse Anna aveva le risposte, non tutte, certo, nemmeno i computer hanno tutte le risposte.
Forse il senso di tutto questo è trovare qualcuno con cui rispondere almeno ad un numero imprecisato delle infinite domande che ci poniamo. Se mai trovassi una persona del genere nella vostra vita, cercherei di evitare le stronzate.
Vorrei avere non solo il coraggio, ma il cuore di far vivere le emozioni tra di noi. È chiaro che ci voglia tempo per essere sicuri che la persona che ho davanti sia quella della mia vita o semplicemente una compagna di avventure, non per forza deve trattarsi di passione.
L'amore è vago. Miliardi di canzoni, film, libri e dipinti ne trattano cercando di trasmettercelo il meglio possibile.
Cosa stavo vivendo in quel momento? Era realtà o solo frutto della mia immaginazione? Anna mi stava veramente abbracciando, quelle piccole mani che tenevo nelle mie, erano veramente le sue? Ricordai il famoso quadro di Magritte, “Gli Amanti”. L’ho osservato per la prima volta al “Museum of Modern Art” di New York quando mi trasferii a Manhattan.
Ricordai anche quella stessa sera, seduto al computer, fissavo la tastiera con paura e non trovavo il coraggio di scrivere la mia verità: quello che i miei occhi hanno realmente visto in quella tela. In un certo senso, provai di nuovo quegli stessi sentimenti osservando l’orizzonte.
Un brivido risalì la mia spina dorsale e inconsciamente strinsi Anna a me.
Riprendemmo a respirare entrambi appena ci lasciammo guardandoci negli occhi....

Quando uscii dal programma, all'esterno pioveva a dirotto, lo scroscio mi cullava mentre sistemavo la mia scrivania. Accesi il computer e iniziai a scrivere di quella mattina. Chissà a cosa stesse pensando Steve in quel momento, a quali film mentali si stesse aggrappando pur di vedermi finalmente felice.
Anna mi apparve di nuovo in mente e così mi feci un espresso.
Era una bella ma alquanto strana sensazione quella che provavo al momento, quella lucidità mattutina in cui esprimi tutto te stesso per un fine simbolico più che concreto. È come scrivere una nuova canzone, registrarla e produrla pur sapendo che alla fine sarai l'unico ad ascoltarla in loop.
Essere così era insolito: ero abituato ad allungarmi in soliloqui silenziosi per intossicarmi la mente con ricordi inutili ai quali cadere di nuovo in ginocchio ma quella mattina no, quella volta era sopportabile.
Il merito era ovviamente di Anna.
Volevo portarla in qualche posto speciale, magari ripercorrendo insieme il viaggio in Europa che feci dopo la laurea, farle vedere i posti che mi hanno ispirato e fatto sognare.
Ma lei non era lì. Almeno, non in carne e ossa. Mi faceva storcere' il naso sapere che tutto quello che vivevo nell’AU fosse un ologramma, una semplice quanto avanzata tecnologia in grado di farmi vedere cose che potrebbero essere reali ma che alla fine, se ci pensi su, sta tutto dentro nella tua testa. Ti confonde, ti opprime, ti illude alle meraviglie di una realtà spietata. Quello che si può avere dentro al programma è impossibile da avere fuori, sono anni ormai che lo dico e quasi tutti sono d'accordo con me.
Come puoi fidarti di qualcuno se non hai la certezza della sua esistenza?
Provai a chiamare Steve ma non rispose.
Provai e riprovai.
Niente.
Strano, di solito ce l'aveva sempre attaccato al culo il telefono, pensai.
L'avrei chiamato più tardi.

Indossai il cappotto ma lasciai l'ombrello. Dovevo correre in ufficio, era comunque un buongiorno per cantare nella pioggia.

 

  
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