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Autore: Demy77    09/12/2022    2 recensioni
Sequel di “Finché morte non ci separi”. Una breve carrellata sulla vita di Ross, Demelza ed i loro figli quindici anni dopo la conclusione della storia precedente.
AVVERTIMENTI: per chi non avesse ancora letto “Finché morte non ci separi”, Valentine e Julia qui NON sono fratelli, in quanto Julia non è figlia di Ross. La cronologia inoltre, volutamente, non rispecchia fedelmente quella della saga di Graham.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demelza Carne, Ross Poldark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima ancora che Ross tornasse a casa Demelza era già al corrente di tutto ciò che c’era bisogno di sapere su Valentine e Julia. La sua primogenita, appena Demelza si era liberata dallo stuolo dei fratellini, le aveva rivelato il tormento del suo cuore. La madre era rimasta sorpresa di quella confidenza, ma la sua sensibilità le aveva impedito di giudicare male i due ragazzi; aveva anzi sofferto per loro, ricordando quanto ella stessa aveva patito da ragazza, cercando di strapparsi dal cuore, inutilmente, i sentimenti che provava per Ross. Certo le due vicende presentavano profonde differenze: Demelza non poteva ambire all’amore di Ross non solo per la differenza di posizione sociale, ma perché lui era già sposato, un ostacolo oggettivamente non sormontabile. Per Julia e Valentine l’unico vero ostacolo era l’opinione del mondo, che li aveva sempre considerati due fratelli di sangue. Demelza ascoltò dalla voce di Julia il resoconto della lite con Jeremy, che le fece toccare con mano come sarebbe stato difficile per chiunque, di famiglia e non, accettare quella relazione. Julia e Valentine non erano fratelli, ma erano stati cresciuti come se lo fossero, tanto che quasi nessuno ricordava che il padre di Julia non fosse Ross. La biondina narrò di come fosse stato improvviso il trasformarsi del legame affettivo con Valentine, che ella aveva considerato suo fratello fin da quando era bambina;  lui aveva cominciato a guardarla in modo differente da un giorno all’altro, senza un perché, e lei aveva scoperto che quegli sguardi la lusingavano e si era sorpresa a considerare che Valentine era affascinante, brillante, le piaceva molto più di qualunque altro ragazzo della zona. Julia rievocò con onestà tutte le sensazioni che aveva provato dopo essersi accorta di amare Valentine, soprattutto i sensi di colpa; aggiunse che i due ragazzi avevano deciso di allontanarsi non per il timore che ci fosse un reale vincolo di sangue tra di loro, ma dopo aver scoperto, in seguito alla reazione di Jeremy, quanto sarebbe stato difficile vivere davanti a tutti  il loro amore, dover dare spiegazioni, doversi quasi giustificare come se fosse un sentimento malsano ed immorale.
Sua madre aveva provato a consolarla, a dire che era molto giovane e che con il tempo avrebbe forse potuto scoprire che quella per Valentine era solo una infatuazione, avrebbe potuto conoscere altri ragazzi, qualcuno che le facesse battere il cuore e che desiderasse avere accanto per la vita. Julia tuttavia aveva dovuto tristemente ammettere che, per quanti sforzi avesse fatto, Valentine era sempre nella sua mente, come un chiodo fisso; disse che dubitava di potersi innamorare di un altro e che era disposta a rinunciare a lui solo perché pensava che fosse il bene di entrambi.
Demelza la abbracciò e le disse che ne avrebbero discusso con Ross e Valentine: tutti insieme avrebbero trovato una soluzione.
A sera quindi, nel momento tradizionale in cui i due sposi si ritiravano nella loro stanza e si confidavano le preoccupazioni della giornata, Demelza sapeva già buona parte di ciò che Ross voleva comunicarle; le mancava solo la parte relativa alla decisione di Valentine di trasferirsi. Sebbene la loro esperienza di vita insegnasse che neppure la lontananza era la soluzione giusta per annullare un sentimento profondo e radicato, Demelza suggerì di assecondare Valentine e lasciare che la separazione ed il tempo consentissero ai due ragazzi di fare luce sui loro reali sentimenti e recuperare un po’ di serenità.
“Se decideranno di stare insieme nonostante tutto, noi saremo dalla loro parte, vero, Ross?” , ed a quelle parole il marito annuì. Non era lieto di quella piega presa dagli eventi, ma non avrebbe mai fatto mancare il suo appoggio ai figli.
Trascorsero dunque le settimane e Ross fece del suo meglio per organizzare la partenza di Valentine. Decisero che si sarebbe trasferito a Londra, dove Ross aveva numerose conoscenze grazie alla sua attività politica, e si sarebbe occupato di commercio, da e per la Cornovaglia. In tal modo ogni tanto avrebbe potuto ritornare a casa e la sua partenza non avrebbe dato troppo nell’occhio. Nonostante tutte le precauzioni assunte, in breve tempo però la notizia divenne di dominio pubblico.
Un pomeriggio Ross e Julia si erano recati a Truro ad acquistare delle stoffe per Demelza, che voleva cucire una copertina per il neonato. Girando tra le botteghe i due si imbatterono in George Warleggan, tronfio come non mai per essere diventato da pochi giorni padre di due gemelle. Ross non poteva esimersi dal fargli gli auguri, e si fermò alcuni istanti a scambiare frasi di circostanza con il suo antico rivale.
“Mi è giunta voce di un imminente trasferimento di Valentine nella capitale, per dedicarsi al commercio - commentò il banchiere, e, dopo che Ross gliene aveva dato conferma: - Credo che sia un ragazzo sveglio, gli auguro le migliori fortune. L’importante è che non segua le orme di tuo cugino Francis! Sappiamo bene come andò a finire la sua disgraziata attività commerciale a Londra, fu l’inizio della fine! Digli comunque che sono a sua disposizione, se ha bisogno di qualche consiglio. Tu sei più uomo di azione che affarista...”
Ross trattenne l’impulso di afferrarlo per il bavero e fargli mangiare la polvere della strada e lo salutò con diplomazia. Una volta allontanatisi, cercò lo sguardo di Julia per commentare quanto era appena accaduto, ma la fanciulla era seria e turbata. Ross pensò che le parole di George l’avessero immalinconita e che le avesse trovate di cattivo auspicio.
“Non dar retta a quell’uccellaccio del malaugurio! Valentine si troverà bene a Londra, e farà grandi cose!” – provò a dirle. Ma non era quello il motivo che aveva rannuvolato l’umore della ragazza. Appena furono sul calesse che doveva riportarli a casa Julia mormorò: “Tuo cugino Francis ha vissuto a Londra per un periodo? Non lo sapevo…” Ross spiegò che Francis aveva cercato fortuna a Londra nel settore della vendita di pietre preziose, perché non aveva mai amato l’attività estrattiva di famiglia. Alla morte di suo padre, tuttavia, aveva dovuto fare ritorno a Trenwith, e non era stato purtroppo in grado di gestire l’eredità; era rimasto strozzato dai debiti, fidandosi eccessivamente dell’ “amico” George, che non aveva invece esitato a rovinarlo. Aggiunse che George era stato ingiusto a fare quelle considerazioni in loro presenza, ma che egli non aveva inteso rispondergli per le rime perché si era reso conto da tempo che non valeva la pena discutere con quel povero mentecatto. Ross si sentiva in imbarazzo a parlare di Francis con Julia e si era limitato a darle notizie molto scarne e sintetiche, ma la ragazza sembrava sempre più interessata ad approfondire l’argomento.
“Tu e lui andavate d’accordo?” “La vedevamo in maniera diversa su molte cose.”
“Non ti aveva parlato mai delle sue difficoltà economiche?” “No, altrimenti lo avrei aiutato”.
“Era una brava persona?” Ross si fermò un attimo a pensare. Francis aveva compiuto degli atti orribili, la sua condotta era stata tutt’altro che ineccepibile, ma in punto di morte aveva scritto una lettera in cui chiedeva perdono a Dio dei suoi peccati. Ross era certo che se Francis avesse saputo dell’esistenza di Julia se ne sarebbe fatto carico, e sarebbe stato capace di volerle bene.
“Sì, lo era. Ha commesso molti errori nella sua vita, ma se non si fosse tolto scelleratamente la vita avrebbe fatto ammenda, ne sono sicuro”.
Ross si accorse che calde lacrime rigavano il volto della fanciulla, ed istintivamente tirò le redini ed arrestò la marcia del calesse.
“Papà…” – mormorò la ragazza, soffocando i singhiozzi sulla spalla di Ross. Dopo essersi calmata, Julia si sciolse dall’abbraccio di Ross e gli disse: “Non dire niente alla mamma… io lo so che era Francis Poldark il mio vero padre. Lo so da parecchio tempo, e non perché me lo abbia confessato la mamma. La verità è che io non ho mai creduto alla storia dell’uomo misterioso di cui nessuno sapeva nulla, morto prima ancora della mia nascita. Mamma ha sempre amato solo te, io la conosco, e per quello che mi ha sempre raccontato del vostro immenso amore so che non sarebbe mai stata capace di darsi spontaneamente ad un altro. Quello che è accaduto è stato sicuramente un atto contro la sua volontà… No, non dire nulla! Non è una cosa che mi fa male, almeno non più… anzi mi fa comprendere quanto grande sia stato l’amore di mamma per me nello scegliere di darmi la vita nonostante tutto, e quanto grande il tuo amore per lei e la tua generosità nell’accogliermi! Mi sono turbata prima, alle parole del signor Warleggan, perché per un attimo ho temuto di essermi ingannata, che Francis non fosse il mio vero padre in quanto viveva a Londra all’epoca, e che mamma fosse stata davvero vittima dell’aggressione di uno sconosciuto. Tu però mi hai chiarito tutto”.
Ross era sgomento per quella confessione, ma sentiva che non poteva più tacere e negare non aveva alcun senso. “Julia, quello che ti ho detto prima è la verità. Mio cugino non era in sé, era disperato, ma ha chiesto perdono per il suo gesto in una lettera scritta prima di morire, che è giunta nelle nostre mani grazie al reverendo Odgers. Tua madre lo ha perdonato da tempo; io stesso, che sul momento avrei voluto ucciderlo con queste mani, oggi provo soltanto pietà per lui; anche tu, devi cercare di dimenticare!”
“Dimenticare non è possibile – rispose Julia – ma questa nostra conversazione è stata importante, perché da ora in poi potrò guardare con maggiore serenità alla mia storia. Non vivo più nell’incertezza sulle mie origini, ed è una gran cosa; e poi mi fido di te, di quello che mi hai raccontato. Tu non sei capace di mentire, Ross. Non sono la figlia di un mostro… e se avete perdonato voi… devo riuscirci anch’io”.
Ross abbracciò la ragazza ed ebbe la sensazione di sentirla più indifesa e fragile di quando l’aveva tenuta tra le braccia per la prima volta, appena nata.
Due giorni dopo la famiglia salutò Valentine: Demelza, Prudie e i due bambini più piccoli a casa, mentre Julia, i gemelli, Jud e Ross lo accompagnarono fino alla stazione di posta della diligenza per Londra. L’ultimo abbraccio, prima di porre il piede sul predellino, fu quello di Julia “Abbi cura di te…” gli sussurrò tra le lacrime, e Valentine le fece eco: “Anche tu”, e le diede un bacio sulla fronte. Jeremy e Clowance, d’istinto, si guardarono. Non sapevano se la decisione improvvisa di Valentine di trasferirsi fosse una scelta propria o gli fosse stata imposta da Ross e Demelza una volta appresa la verità; in ogni caso, percepivano la sofferenza dei due fratelli maggiori e se ne dolevano profondamente.
Il tempo, però, cura ogni ferita e la vita a Nampara riprese a scorrere serenamente come sempre. Due mesi passarono in un lampo, intervallati da lettere di Valentine che annunciava i suoi confortanti progressi nell’ambiente londinese. La stessa Caroline si era adoperata affinché il ragazzo frequentasse i figli di alcuni suoi vecchi amici, in modo da riuscire ad avere notizie sue anche per vie traverse, ed anche queste fonti confermavano che il figlio di Ross si stava integrando molto bene, si impegnava nel lavoro ed appariva sereno e soddisfatto.
Un brutto giorno però, in occasione di una delle solite visite periodiche che Dwight faceva per sincerarsi dello stato di salute di Demelza, il giovane medico uscì dalla stanza molto rabbuiato. Le cose andavano peggio del previsto: occorreva procedere al taglio cesareo il prima possibile, magari l’indomani stesso. Ross obiettò che non erano ancora trascorsi i tre mesi pattuiti, il settimo mese di gravidanza non era ancora compiuto, ma Dwight fu drastico: attendere più di un giorno significava mettere a repentaglio la vita di Demelza. Il sorgere del sole avrebbe garantito condizioni più favorevoli per operare, e solo per questa ragione Dwight non procedeva immediatamente. Inutile dire che quella notte a Nampara nessuno riposò, neppure Prudie che di solito aveva il sonno di un ghiro. All’alba, insieme a Dwight a Nampara arrivò Caroline, che caricò sulla sua carrozza Bella ed Henry ancora mezzi addormentati ed i gemelli, con la prospettiva di trascorrere una giornata insieme a Killewarren. A Nampara rimasero solo Julia e Ross, oltre a Prudie, mentre Jud fu mandato nei campi a svolgere le quotidiane incombenze. Furono ore di angoscia per Ross, cui come sempre non era consentito l’accesso nella stanza della partoriente, e la cui unica compagnia era il cane di casa, mollemente sdraiato davanti al camino. Verso le 9 del mattino giunse a casa l’amico Zacky Martin, con la scusa di aggiornarlo sugli scavi alla Leisure, che si trattenne a fargli compagnia; dopo un’ora buona udirono la voce di Prudie che chiamava dal piano superiore “Padron Ross! Il dottor Enys vi cerca!”. Ross corse le scale a quattro a quattro, mentre Zacky per discrezione si mantenne a metà scala. Dwight era in piedi, con le maniche di camicia ancora rimboccate ai gomiti ed una mascherina di stoffa calata sul mento, i segni della stanchezza sul volto. Ross intravide Prudie che portava dabbasso, in una grossa bacinella, dei lunghi guanti bianchi, un camice e delle lenzuola intrise di sangue.
“Demelza sta bene, sta riposando. Le ho somministrato del laudano. Ho dovuto asportarle l’intero utero, ma non ci saranno complicazioni per questo motivo. Era necessario, perché il tumore era cresciuto a dismisura. Dobbiamo sperare che passi la notte e che la ferita rimargini al più presto…”
Ross si sentì sollevato, anche se le preoccupazioni non erano certo finite. “Il bambino? Sta bene?” Dwight scosse la testa, e gli appoggiò fraternamente una mano sulla spalla “Era un maschio, Ross, ma non ho potuto fare nulla per lui, purtroppo. Era troppo piccolo, e non ha retto allo stress del parto. Mi dispiace davvero, amico mio, credimi”.  
Ross si sentì lacerare l’anima in due. Era come rivivere lo strazio della morte di Ursula, con la differenza che questo bambino era un figlio atteso ed amato, il figlio di una moglie adorata senza la quale Ross si sentiva perduto e che era tuttora in pericolo di vita. E se Demelza avesse avuto la stessa reazione di Elizabeth ed avesse perso anche lei il senno, non sopportando la morte del bambino? In quel momento Julia, con gli occhi gonfi di pianto, uscì dalla stanza di Demelza con in braccio il fagottino con il feto nato morto. Lo tese a Ross, il quale non ebbe il coraggio di aprire l’involto e di guardare. Lo seppellì in giardino accanto all’altra bambina, quella nata morta diciassette anni prima, perché così avrebbe voluto Demelza, ricoprendo il piccolo tumulo con un mucchio di sassi bianchi.
Ross pregò Dwight di ospitare in casa i suoi figli anche per la notte, perché non aveva cuore di affrontarli dopo una giornata del genere. Dwight assentì, disse che sarebbe rientrato per qualche ora a Killewarren e poi avrebbe trascorso la notte lì a Nampara per seguire da vicino la situazione di Demelza. Ci avrebbero pensato lui e Caroline a dare ai bambini la brutta notizia nella maniera più cauta possibile.
Ross rimase solo con Julia. Vegliarono Demelza, senza lasciarla mai sola, alternandosi solo con Prudie fino al ritorno del medico. Dwight disse che i ragazzi erano stati molto tristi nell’apprendere che il fratellino non era sopravvissuto e che Bella aveva deciso di chiamarlo William. Quando li aveva lasciati si erano messi tutti a letto senza fare storie. I gemelli avevano chiesto di tornare a casa il giorno successivo, perché volevano vedere la mamma, ma Caroline li aveva convinti ad aspettare un giorno ancora.
Verso sera Demelza riprese conoscenza , ma le salì la febbre. Nel delirio domandò del bambino, ma nessuno ebbe animo di rivelarle la verità. Soltanto passati alcuni giorni, quando si riprese del tutto, Dwight le raccontò i particolari del parto. Demelza ascoltò pallida come un fantasma e senza versare una lacrima. Ross era presente nella stanza, e le si avvicinò per confortarla; ma la rossa inaspettatamente chiese di essere lasciata da sola. Ross non l’aveva mai vista con lo sguardo così spento. Dwight stesso le disse che doveva farsi forza, doveva essere grata per aver recuperato la salute almeno lei; fin dall’inizio la sua si era profilata come una gravidanza rischiosa e senza garanzie di successo. Le suggerì di riposare, le somministrò alcune gocce di un calmante ed insistette affinchè anche Ross, che sembrava desideroso di restare, lasciasse la stanza. Ross, spronato da Dwight, stava per varcare la porta, ma tornò sui suoi passi, prese le mani di Demelza tra le sue e le baciò, inginocchiandosi ai piedi del letto. “Non affrontare questo dolore da sola – le disse – ricordati che era anche figlio mio”. A quelle parole Demelza si lasciò andare come un fiume in piena, e pianse, pianse, pianse, mescolando le proprie lacrime a quelle del marito.

 
  
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