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Autore: BellaLuna    14/12/2022    10 recensioni
Storia Vincitrice del Premio per il Miglior Primo Piano agli Oscar della Penna 2024 indetti sul forum Ferisce la penna.
Helaena!Centric | Helaemond | Helaegon
Quando la principessa chiude gli occhi e il drago si risveglia, Helaena incontra il Corvo.
Lui le svelerà le sue oscure verità, lei tutti i suoi desideri appesi nel buio.
Aegon mendica amore – "Dimmi che mi ami..."
Aemond mendica uno scopo – "Dimmi che sei solo mia..."
E che cosa mendica, invece, Helaena?

[Storia partecipante ai 72 prompt in attesa del Natale.]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aegon II Targaryen, Aemond Targaryen, Altri, Helaena Targaryen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate, Triangolo
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NOTE IMPORTANTI: ho dovuto alzare il rating della storia ad arancione per via della presenza di relazioni incestuose. Tuttavia, all’interno del testo, non troverete riferimenti sessuali espliciti di alcun genere. Il tutto è infatti accennato a malapena e reso molto, ma molto vago (il livello, per intenderci, è quello di una storia rating giallo classica, senza incest!), per non andare contro le regole di questo sito.
Seconda nota importante: all’interno della storia noterete molte parentesi, e i dialoghi presenti in esse rappresentano voci e pensieri intrusivi nella mente della protagonista.
Questo è tutto, vi lascio alla lettura nella speranza che possa per voi rivelarsi piacevole!

 

 



Sogna e canta (o prega e dispera)
 
 
§
 
 
Il corvo con tre occhi è stato il primo che Helaena abbia mai sognato.
“Qual è il tuo nome?”
“Ne ho avuti molti, zaldrīzes[1].”
Prima ancora del drago e dei suoi figli mortali, prima ancora dei ragni e delle lucciole del palazzo, persino prima ancora delle orde di ombre dagli occhi glaciali.
Nei suoi sogni, a sollevare il suo spirito da terra è Dreamfyre.
“I tuoi sono sogni di drago, sogni di fuoco, zaldrīzes. I miei sono solo sogni di ghiaccio.”
Mentre a permetterle di precipitare nell’abisso, giù lungo alte torri di rovina, è sempre e solo il Corvo.
Ali oscure, oscure parole, amava ripeterle, e se un tempo Helaena aveva provato a sfuggirgli, a rifugiarsi dentro i meandri di una fortezza in fiamme dove una bambina danzava in eterno con i suoi spettri, oggi invece lascia che lui si riposi sul suo grembo.
Lascia che lui le reciti le sue profezie. Lascia che le baci le mani e le palpebre e le ripeta che quella è l’unica terra che mai potranno davvero possedere.
Che il loro destino può solo essere quello di imparare a volare – oppure precipitare e impazzire di conseguenza.
“Non possiamo farlo insieme, allora, zaldrīzes?” le chiede, ed Helaena chiude gli occhi, si sveglia e, nelle terre che mai le apparterranno, prova a vivere le sue verità.
Prima che il vuoto venga a reclamarla.
 
*
 
La Principessa Helaena Targaryen non spera mai.
Ha capito che continuare a farlo sarebbe stato inutile, il giorno in cui ha recitato il suo primo canto e nessuno era giunto a prestarle ascolto.
Quando le luci si erano accese, i ragni avevano iniziato a tessere, i venti del nord a ululare, e nessuno aveva capito.
Nessuno aveva ascoltato.
(“Perderai la testa, se continuerai a provarci, zaldrīzes.”)
È la prima verità del mondo che non le appartiene che Helaena finalmente impara: la speranza è per chi non ha orecchie per sentir ragione e occhi per vedere al di là del velo dell’inganno.
Spera chi quelle orecchie e quegli occhi può permettersi di tapparli, e pronunciare così parole dal suono dolce come andrà tutto bene, parole con cui il Corvo banchetta sui corpi dei loro morti.
Sperare è per tutti quelli che attraversano le strade del mondo alla cieca (niente corvi, niente draghi) e per tuti quelli che non vedono la fine spalancarsi sotto i loro piedi, finché è troppo tardi anche solo per chiedere misericordia.
La speranza era per gli ignari, e quella grazia – di questo ne era certa – a lei non era mai stata concessa.
 
*
 
Nelle terre che appartengono solo ai sognatori, una notte è il volto della bambina mortale che indossa da sveglia a rivelare un oscuro segreto all’orecchio del Corvo.
“Volevo essere vista e ascoltata e amata” canta, e lui la guarda con quei suoi occhi al contempo giovani e antichi e risponde che l’amore è il motivo per cui, in uno dei mille tempi in cui hanno viaggiato, il suo corpo è andato in pezzi e le sue ali si sono spalancate.
Helaena gli chiede se abbia fatto male, lui le risponde dicendo che gli avevano fatto più male tutti i se e i ma e i forse con cui si era crucciato quando il suo corpo era ancora umano. Quando si era illuso di poter ancora cambiare le cose.
“Imparerai presto, riña[2], che noi siamo spettatori, non giocatori.”
Ali oscure, oscure parole.
 
*
 
Sebbene tutti siano convinti del contrario – cioè che il suo vagare fra le sale del castello, sia solo un eterno sogno ad occhi aperti – la Principessa Helaena Targaryen non sogna mai.
A che serve, si domanda, se già sa che ogni sua speranza è vana e che ogni suo desiderio è un’illusione destinata a infrangersi?
Sogna – e questa è la seconda lezione che in quel mondo impara – chi non conosce la verità, chi può permettersi il lusso di stringere promesse con un futuro sconosciuto.
Sognare è per chi, i propri sogni – i propri incubi – non li vede avverare mai.
Tutti quelli di Helaena invece si avverano (“Posso salvarli?” “No, zaldrīzes. La ruota ha già iniziato a girare.”), e allora forse la colpa è sua –  è la loro –, che sogna i sogni sbagliati, e che per questo condanna ogni notte coloro che appartengono alla terra a cui lei invece non apparterrà mai, a soffocare nel loro stesso sangue, nel loro stesso orrore.
(“È così che le cose devono andare, zaldrīzes. E noi siamo spettatori, non giocatori. È il nostro anatema.”)
 
*
 
Il Corvo adora i suoi alberi.
Nelle terre che gli appartengono, ne ha uno tutto per sé, che assomiglia a una casa che un tempo ha amato e poi perduto.
I figli della foresta non vengono a far loro visita spesso, ma a volte succede.
E quando come pioggia, come vento, come fuoco scivola giù sui volti dei loro alberi, Helaena vorrebbe poter sentire anche le loro verità.
Ma la terra e le sue radici non sono il regno dei draghi.
“Questo non è il tuo posto, zaldrīzes.”
E quelle sono le uniche volte in cui le voci tacciono e le sue orecchie restano sorde.
 
*
 
Tutti sanno che gli Hightower sono una casata ferventemente devota, ma la Principessa Helaena Targaryen non prega mai.
Sua madre ha provato a insegnarglielo, quand’era bambina, così come anche numerose Septe.
Più e più volte, la Regina si è presentata alla sua porta, chiedendole se volesse seguirla nel Tempio, accendere candele insieme a lei, ed Helaena ha provato spesso a trattenere quel pizzico in fondo alla sua gola che le usciva fuori a metà fra un singhiozzio e una risata.
“Chi dovrei pregare, madre? vorrebbe chiederle, lei che è stata condannata a non poter sperare in niente, a non poter desiderare niente.
A camminare su una terra a cui mai apparterrà. A non avere un posto, se non quello che l’attende alla fine di un buio precipizio.
“Esiste un solo Dio...” vorrebbe poter spiegare al volto triste della Lady sua madre, che si cruccia nel cruccio di tutti i suoi desideri rimasti appesi nel vuoto e di tutte le sue preghiere rimaste inascoltate.
“E un giorno verrà per ognuno di noi...”
 
*
 
Nei suoi sogni, Helaena non è che uno spettro vagante. Il suo corpo muta in base allo scorrere dei secoli che l’attraversano. E un giorno è polvere di stelle che precipita come cometa sulle teste dei suoi discendenti, l’altro cenere e neve che piove e si deposita su un trono che è solo rovina.
Nei suoi sogni, nessuno può davvero toccarla, nei suoi sogni non esiste corpo mortale, scheletro, guscio di carne che possa contenerla.
Nei suoi sogni, Helaena è madre e sorella di tutte le cose viventi.
Nel mondo in cui non appartiene, invece, è solo un’estranea.
È il nostro anatema, zaldrīzes.”
Il Corvo gliene parla come se il loro fosse un dono.
Come se il solo saperlo non facesse già male.
 
*
 
Con il tempo, diviene risaputo in tutti i Sette Regni che quando la Principessa Helaena Targaryen è nata, il volto della moneta doveva essersi fermato sul lato sbagliato.
Alle sue spalle, la gente bisbiglia parole come stramba, idiota, folle.
Ed Helaena battezza ognuno degli insetti suoi amici con quei nomi, perché no, in fondo?
(“Sempre meglio di essere un Corvo senza più alcun nome, vero, zaldrīzes?”)
Da bambina il suo difetto era meno evidente, ma più cresceva e meno parlava e più urlava al tocco degli altri, più era diventato evidente il fatto che ci fosse come una mente infantile intrappolata nel corpo di un’adulta.
E non è così, ma Helaena non conosce le parole per spiegare a chi vive in quel mondo di traballanti speranze, che il suo corpo è il bozzolo vuoto di un insetto, la muta lasciata a seccare di un serpente, il recipiente di uno spirito altro, potente e antico che alle volte prende il controllo e la abita.
Non riesce a spigare loro che, dopo aver danzato ogni notte insieme a spiriti senza forma – informe anche lei – tornare ed avere a che fare con braccia, gambe, piedi, muscoli e grasso, è una sfida alquanto difficile.
Alle volte, il peso del suo corpo le sembra così eccessivo da darle la nausea.
Ma il più delle volte è il tocco degli altri a crearle sobbalzi e disagio, a spaventarla perché in quei momenti il drago non c’è più, e a sentire tutto il peso della sua umanità gravarle addosso – ogni respiro, ogni battito, ogni dolore – è solo Helaena.
(“Vola via, zaldrīzes. Non perdere la testa.”)
Certe volte, però – e su questo il Corvo non ha nulla da dire – quel contatto con la sua carne aiuta.
Succede quando l’inverno avanza ed Helaena si sveglia dai suoi incubi, temendo di trovare ghiaccio a scorrerle sotto la pelle, neve al posto del sangue e buio dentro le sue ossa – Estranea.
In quei momenti ha bisogno di calore, ha bisogno che un altro corpo l’ancori al suolo, al qui e ora del mondo degli altri.
E allora corre da Aemond – l'unico che abbia almeno tentato di afferrarla – e lo prega di baciarla, di tenerla stretta a lui, così vicina da non poter più distinguersi dal suo corpo, da aprire voragini dentro il suo petto e riposare al suo interno, uniti per sempre.
Suo fratello non le nega mai nulla: l’accoglie nel suo letto, la spoglia con dita delicate, e mentre sprofonda in lei un centimetro alla volta, le comanda: «Dimmi che sei solo mia.»
Helaena si morde le labbra. Esita. Non può.
(“Gli spettatori non recitano inganni, zaldrīzes.”)
Perché, altre volte ancora, è Aegon a trovarla, a reclamare i suoi diritti, a premerle addosso ordinandole di toccarlo, di compiacerlo.
«Dimmi che mi ami...» la supplica quando con ardore e prepotenza entra in lei, e il suo sguardo è così sperduto, così diverso da quello con cui Aemond le chiede «Dimmi che sei solo mia» che Helaena non ha cuore per dirgli di no.
«Ti amo...» dice, e non è una bugia.
Helaena ha sempre amato tutti i suoi fratelli – anche Rhaenyra.
Per questo, sapere fa ancora più male.
 
*
 
“È buffo, non è vero?” ha chiesto una volta al Corvo senza più un nome. “Avere tutto questo potere e non poter lo stesso fare niente...”
Lui le risponde come sempre.
Ali oscure, oscure parole.
“È il nostro anatema.”
 
*
 
Il drago non ha un futuro in cui sperare.
Il drago non ha illusioni da sognare.
Il drago non ha Dei da pregare.
Ma Helaena non è che umana.
Per questo, nel suo piccolo, piccolo cuore, continua di nascosto a coltivare ognuna di essa.
Continua a coltivare il desiderio che, per una volta, i suoi sogni di drago non si avverino, e le parole oscure del Corvo possano restare solo quelle: parole e nulla di più.
Rhaenys e Meleys sono le prime a ricordarle una lezione che già sa. Ossia che non importa quanto la voce del drago in lei risuoni forte e potente, –  “Bruciali, bruciali tutti![3] –  perché nemmeno lo spirito delle sue sorelle è in grado di udire il suo canto.
E allora nessuna fiammata splendente arriva a mettere fine al suo tormento. Nessun Dracarys mette fine alle danze prima ancora che siano cominciate.
(“Oh, riña...”)
Fa male come il Corvo le aveva detto – riempire quell’ingenuo organo vitale con tutti i se e i ma e i forse, che mai potranno essere –, ma Helaena va avanti, e torna a rinchiudersi nel suo mondo di voci che solo lei può udire.
«Se mi guardo indietro, sono perduta[4]...» bisbiglia fra sé, nella solitudine e nell’oscurità di quelle notti in cui si autoimpone di non chiudere gli occhi, di non permettere a nessun sogno di raggiungerla – perché se solo, forse, non fosse più capace di sognare allora...
(“Non puoi fermare la ruota, zaldrīzes.”)
«Se mi guardo indietro, sono perduta...»
 
*
 
Per alcuni, i sogni sono desideri che l’uomo plasma e poi la vita distrugge.
Per altri, la realtà crea l’incubo, l’incubo è la realtà.
Per Helaena, la zaldrīzes che viaggia nel tempo e nello spazio insieme a un Corvo come unico raqiros[5], i sogni sono solo futuri in divenire.
Non sono buoni né cattivi, di per sé.
Sono fatti.
Sono scelte non sue, mai sue.
“Volare, oppure precipitare e impazzire, zaldrīzes. E allora, non possiamo farlo insieme?”
 
*
 
«Non sei nemmeno un po' contenta per me? Per noi...?»
Ciò che legge nello sguardo di Aegon, dopo l’incoronazione, è un altro desiderio che la vita di Helaena distrugge.
Perché lui non lo sa, lui non può saperlo, ma un giorno esisterà un altro drago che come lui aspetterà l’acclamazione della folla e che come lui morirà per non aver saputo rifiutare una corona maledetta.
“Questo è tutto ciò che ho sempre voluto[6]...” recita il suo sguardo, e con esso anche il peso del suo corpo premuto contro il suo sotto le coperte, dopo averla presa più volte e averla supplicata ancora e ancora di pronunciare le parole di sempre.
«Dimmi che mi ami...»
«Oh, Aegon...» quella notte, Helaena piange e non ha voce e non ha potere per dare a suo fratello tutto ciò che vuole –  essere amato solo per quello che è, e non come pura arma di distruzione di Rhaenyra.
«Vinceremo noi. Vincerò io.» dice, lui che quella corona non l’ha mai voluta, lui che l’avrebbe volentieri posata sul capo di Rhaenyra e baciato con affetto le sue mani, se solo lei, per timore e insicurezza, non avesse negli anni scavato crateri di disprezzo fra loro.
Il bambino che sognava solo di essere il prediletto, e la prediletta che sognava solo di essere il bambino promesso.
(“Si desidera sempre ciò che non si ha, vero, zaldrīzes?”)
Mentre osserva suo fratello rivestirsi e andarsene con il fuoco dell’alcool e dell’insofferenza a bruciargli negli occhi, Helaena si tira su a sedere e prova a recitargli l’unica, assoluta verità.
«Tu non sai niente, Aegon Targaryen.» gli dice, e invece di ascoltare il suo “fermati, fratello, ti prego!”, Aegon la guarda dai piedi del letto con occhi sbarrati, immobile per qualche istante.
Poi tira indietro la testa e, nel silenzio della notte, ride di lei.
Ride del suo destino.
 
*
 
“Non ti sei ancora stancata, zaldrīzes? Non l’hai ancora accettato?”
 
*
 
 
Proprio come il Corvo le aveva mostrato, alla fine è Aemond a fare a pezzi ogni sua speranza, ogni suo desiderio umano.
Va a trovarla nelle sue stanze, la notte prima di partire per Capo Tempesta, verso quel cielo che piangerà presto pioggia e sangue innocente.
Il loro.
«Un figlio per un figlio...» recita, fra lacrime bollenti che le scavano tragedie indecifrabili sul volto, mentre suo fratello la stringe fra le braccia, le accarezza i capelli, la nuca, e nel mezzo della sua disperazione cerca e trova le sue labbra.
Nel tocco delicato della sua lingua e delle sue mani, per un attimo Helaena prova a perdersi, a respingere in ogni modo le sue voci.
Come sono belle le mani di Aemond, pensa. Così eleganti, così sottili. Di quali prodezze sono capaci, di quali incanti, di quali gioie.
E di quali atroci, innominabili gesti.
Un giorno, con quelle stesse mani così belle, l’ultimo drago comporrà il canto mortale che li condannerà tutti.
(“Il nostro canto, zaldrīzes. Il canto del ghiaccio e del fuoco.”)
Quando Aemond si stacca da lei e cerca ansante di incrociare il suo sguardo, però, Helaena può leggere in esso ogni verità che da sempre la tormenta.
È una ballata che conosce a memoria: il canto dolce e terribile della guerra che verrà, della guerra che Aemond vuole, che il suo cuore desidera.
Non è diversa da quella che aveva letto negli occhi, nel riso, nella disperazione di Aegon.
“Questo è tutto quello che ho sempre voluto...”
Aegon mendica amore.
Aemond è un’altra cosa.
Aemond mendica uno scopo.
«Helaena, ascoltami, guardami...»
Scambia la sua disperazione e la sua rabbia impotente per paura, ma nemmeno di quella Helaena – il drago – ha mai saputo che farsene.
La paura è per chi non sa dare un volto ai mostri che strisciano sotto i letti, alle bestie che si nascondono sotto i tavoli.
Mentre Helaena conosce i nomi di ognuno di loro.
Alcuni, in quel momento, dormono appena poco lontano da lei.
«Madre di draghi, madre di mostri[7]...» bisbiglia disperata, mentre Aemond torna a stringerla forte fra le sue braccia, bacia via le sue lacrime dal volto, e le promette ancora e ancora e ancora che mai nessuno potrà farle del male.
"Ve lo giuro. Tutti quelli che proveranno a farci del male, moriranno urlando[8].”
“Oh fermati,” vorrebbe dirgli, vorrebbe urlargli. “Fermati, fratello, ti prego!”
Ed invece può solo continuare a recitare i suoi canti e parlare con una voce che non è la sua.
«Madre di draghi, madre di mostri...»
(“È la storia di sempre, zaldrīzes. Volare, o precipitare e impazzire. Non possiamo farlo insieme, allora?”)
«Ascolta me, Helaena... solo me... andrà tutto bene! Tornerò presto e la vittoria allora sarà nostra!»
(“I giocatori mentono?” “Oh, riña, i giocatori mentono sempre...”)
Inganni.
La verità è che Aegon mendica amore, Aemond mendica uno scopo.
E che cosa mendica, invece, Helaena?
(“Solo per una volta. Fa che sia io a scegliere solo per una volta.” “Lo sai, zaldrīzes. Spettatori, non giocatori.”)
«Tu non sai niente...» mormora ancora, soltanto, prigioniera dell’abbraccio, dell’amore, dell’ambizione di Aemond – prigioniera del suo tempo.
Suo fratello la bacia un’ultima volta e poi va a compiere il suo destino.
Ed Helaena resta sola, muta, immobile.
Un'altra bambina che danza nel suo castello, sola con i suoi spettri.
Nessuna speranza a farle luce.
Nessuna preghiera a cui aggrapparsi.
Nessuna scelta da poter compiere per sé.
Solo fuoco e sangue, e ali oscure e oscure parole.
 
 

Nel suo mondo, il Corvo sorride, il Corvo piange.
È il nostro anatema, zaldrīzes.”
 
 




 
FINE
 
 




N/A: Salve a tutti, e se siete arrivati vivi fino alla fine di questo mio viaggio nel regno del delirio, tanti complimenti a voi!
Di solito, nelle mie note finali, tento a parlare troppo, dilungandomi e perdendomi in tutti i mille mila dettagli che mi hanno portata a dare, alla fine, questa determinata forma alla mia storia.
Stavolta, invece, voglio lasciare totale interpretazione a voi lettori di questo “viaggio onirico” di Helaena, che io ho voluto un po' rendere la Cassandra Mitologica della Danza dei Draghi di Westeros.
Se vi va, quindi, non esitate a lasciarmi il vostro parere. Mi renderebbe davvero molto felice poter leggere le vostre “teorie” a riguardo!
Concludo, ringraziando di cuore LadyPalma e BlueBell che hanno letto questa storia in anteprima e mi hanno dato il loro incoraggiamento e i loro consigli! <3
Alla prossima storia,
BellaLuna
 

[1] “Drago” in Alto Valyriano. È il modo in cui il Corvo chiama Helaena durante i suoi sogni, per simboleggiare il fatto che molto spesso lei non ha sembianze umane, ma assume lo spirito, appunto, del drago. La scelta di usare il termine “drago” in Alto Valyriano, invece di quello della lingua comune, è dovuto al fatto che i draghi rispondono solo a quella lingua.
[2] “Bambina” in Alto Valyriano, stavolta il Corvo chiama così Helaena perché lei sceglie di presentarsi a lui, nel mondo dei sogni, con il volto della bambina che è. Userà questo termine per lei solo in questa occasione, e solo quando Helaena può sentire la sua voce anche nel mondo “da sveglia”.
[3] Citazione del Re Folle.
[4] Citazione di Daenerys.
[5] “Amico” in Alto Valyriano.
[6] Citazione Viserys III.
[7] Citazione Daenerys.
[8] Citazione Daenerys
  
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