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Autore: Quasar93    17/12/2022    0 recensioni
Raccolta di fanfiction sul periodo della guerra jōi, delle cronache dal fronte appunto. E' un lungo missing moments dove Gintoki, Katsura, Takasugi e più avanti anche Sakamoto si confrontano con gli orrori della guerra mano a mano che crescono sul campo di battaglia. Inizia poco dopo l'incendio alla Shoka Sonjuku quando Shoyo viene portato via e finisce poco prima della fine della guerra.
Le fanfiction sono collegate tra loro in ordine cronologico quasi come se fosse una long e i temi e i generi sono i più disparati, dall'angst al comico.
[Spoiler Shogun Assasination arc (flashback)] [canon compliant]
Genere: Angst, Comico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gintoki Sakata, Kotaro Katsura, Sakamoto Tatsuma, Takasugi Shinsuke
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La missione stava durando più a lungo del previsto.
I quattro Re Celesti si erano addentrati con le loro truppe scelte in profondità nel territorio nemico con l’obbiettivo di attaccare il cuore di una delle loro basi e riconquistare così una vasta area, approfittando della confusione tra i loro ranghi una volta eliminato il loro quartier generale. Purtroppo però le cose non stavano andando come speravano e da fin troppi giorni alloggiavano in piccoli accampamenti di fortuna, nascosti al meglio dalla vista degli amanto, temporeggiando nell’attesa di elaborare sul campo una strategia vincente. Erano ormai lontani dal loro campo base e questo, col protrarsi della campagna, stava diventando un rischio via via crescente in quanto le risorse a loro disposizione si stavano esaurendo e, se qualcuno di loro si fosse ferito gravemente, sarebbero serviti almeno 3 giorni a piedi o 1 a cavallo prima di poter raggiungere il loro ospedale da campo più vicino.
Quella notte tutti e quattro, insieme ai loro soldati più fidati, stavano tenendo una riunione strategica nella tenda comune, per decidere come muoversi al meglio per concludere velocemente la missione e ritornare verso il loro campo base. Solo allora infatti avrebbero potuto unirsi al resto delle loro truppe e agli altri plotoni per attaccare in massa l’esercito nemico indebolito dall’incursione che stavano preparando. Ma, nonostante le loro migliori intenzioni, stavano faticando a trovare la base centrale del nemico. Dovevano studiare un piano di esplorazione che gli consentisse di individuarla a breve o avrebbero dovuto battere in ritirata e concludere l’operazione con un nulla di fatto.
La tenda in cui si trovavano era la più grande del campo improvvisato, al centro c’era un tavolo con diverse mappe della zona e alcune figure in legno che rappresentavano loro e i nemici. Lì attorno Katsura, Sakamoto e un paio di altri uomini stavano discutendo animatamente sulla prossima mossa. Tutto attorno Gintoki, Takasugi e gli altri uomini formavano un cerchio intorno a loro, intenti ad ascoltare. In totale non si contavano più di una quindicina di uomini, tutti soldati scelti di fiducia e con esperienza sul campo di battaglia.
Katsura poi era partito con un discorso molto lungo sul perché la sua proposta fosse la migliore e tutti gli uomini attorno al tavolo lo ascoltavano con interesse. Dopotutto lui era Kotaro Katsura, noto per essere la vera mente dietro ai quattro Re Celesti, l’unico che riportava raramente ferite in battaglia proprio grazie alla sua abilità di pianificare le proprie mosse così come quelle dei sui compagni. Era quindi logico che in un contesto simile riscuotesse ammirazione da parte sia dei propri pari che dei subalterni.
Gli unici su cui quell’incantesimo sembrava non avere effetto erano Gintoki e Takasugi.
Il samurai con i capelli argentati infatti si era già distratto un paio di volte, trovando invece estremamente interessante l’interno delle proprie narici e, proprio in quel momento, si era spostato di un paio di passi vicino a Takasugi con tutta l’intenzione di infastidirlo per passare il tempo, probabilmente appiccicandogli addosso la caccola che aveva appena tirato fuori dal suo naso. L’altro ragazzo, dal canto suo, non aveva di certo ignorato le intenzioni ostili dell’amico e gli aveva rifilato un’occhiata inequivocabile di sfida. Loro due non erano tipi da riunione strategica, erano più una coppia di mine vaganti desiderose solo di menare le mani. Possibilmente contro i nemici, ma anche tra di loro era un’opzione sempre valida. Fosse stato per loro si sarebbero lanciati a spron battuto contro i nemici fino a trovare la loro base per sfinimento.
Katsura, ben conscio dei suoi rissosi amici, li ammonì con uno sguardo e un colpo di tosse e i due, che si trovavano proprio di fronte a lui, si gelarono sull’attenti, colti con le mani nel sacco. Il samurai coi capelli lunghi riprese quindi il suo discorso, con l’appoggio di Sakamoto, continuando a spiegare dove e come avrebbero dovuto disporre le truppe finché, improvvisamente, non si interruppe bruscamente di parlare.
Gintoki e Takasugi si guardarono interrogativi e una leggera preoccupazione attraversò i loro volti, concretizzandosi in terrore quando videro l’amico sputare sangue davanti a tutti. Il silenzio che si era creato all’interno della tenda divenne assordante mentre tutti stavano realizzando quello che era successo.
Da quel momento tutto accadde in una frazione di secondo ma, per i quattro ragazzi, fu come se tutto si svolgesse a rallentatore.
“Gintoki, un aggressore, alle sue spalle” sibilò Takasugi, riscuotendosi dopo l’iniziale stupore e lo Shiroyasha in un istante scattò dietro a Katsura, saltando sul tavolo e atterrando alle sue spalle.
Afferrò la mano dell’aggressore, che aveva fatto in tempo a sfilare dalla schiena dell’amico il pugnale con cui l’aveva trafitto, e la strinse così forte da rompergliela.
Nel frattempo Katsura si sentì mancare le forze improvvisamente e le sue gambe tremarono vistosamente. Vedeva gli amici affannarsi attorno a lui ma il dolore misto alla debolezza che provava gli impedivano di comprendere chiaramente quanto stesse accadendo.
“Zura!” urlò Sakamoto che, trovandosi accanto a lui invece che di fronte, aveva realizzato un secondo dopo gli amici quello che stava succedendo. Afferrò quindi al volo il ragazzo coi capelli lunghi evitandogli di collassare al suolo e lo tenne ben stretto a sé, nel tentativo di sorreggerlo. Inanto Gintoki stava facendo un cenno a Takasugi, col quale si scambiò uno sguardo eloquente.
“Tatsuma, è nelle tue mani” gridò con gelida rabbia il comandante del Kiheitai, mentre insieme allo Shiroyasha trascinava fuori l’aggressore. In tutto questo tempo Gintoki non aveva mai smesso di strogolargli la mano fratturata, usandola come appiglio per strattonare l’uomo.
Tanta aggressività era dovuta a una cosa sola: quel verme era vestito come loro. Era uno dei loro.
Lo conoscevano bene.
Ichimaru Toshinori era un uomo sui trent’anni, combatteva al loro fianco da un paio d’anni, abbastanza meritevole da essersi fatto strada fino al gruppo di truppe scelte che li accompagnavano in quella missione. Non si sarebbero mai aspettati qualcosa del genere da qualcuno così vicino a loro e facevano ancora fatica a realizzarlo.
“Un traditore” ribadì l’ovvio Gintoki, come se dicendolo ad alta voce potesse processarlo meglio, mentre si allontanava dal campo improvvisato, calmo nel fuggi fuggi dei soldati che stavano velocemente lasciando la tenda su ordine perentorio di Tatsuma.
“Già” sibilò Takasugi, in modo così inquietante che Ichimaru sentì accapponarsi la pelle.
 
Nel frattempo Tatsuma aveva fatto sgomberare la tenda, per lasciar respirare Katsura, e l’aveva steso sul tavolo su un fianco, dopo aver spazzato via con urgenza tutto ciò che c’era sopra.
“Ehi, Zura! Zura guardami!” gli disse, posizionandosi davanti a lui per capire se fosse ancora cosciente e in grado di capire cosa stava succedendo, cercando al contempo di nascondere la propria apprensione in un tono rassicurante, senza la certezza di esserci riuscito.
Katsura dal canto suo stava tremando, aveva già perso molto sangue e il suo cuore batteva all’impazzata. Non riusciva a parlare, respirava a fatica e il suo sguardo vagava per lo spazio, terrorizzato da quanto gli stesse accadendo. Aveva il viso imperlato di sudore, nonostante il suo corpo stesse diventando più freddo.
“Zura!” gridò ancora Tatsuma e finalmente l’altro samurai lo guardò calmandosi appena alla vista dell’amico.
“Va tutto bene, è tutto a posto. Ci sono io qui, adesso la risolviamo ok? Ma tu devi rimanere con me, non chiudere gli occhi, hai capito?”
Katsura annuì piano, tremando appena.
Avrebbe voluto dire qualcosa ma proprio non ci riusciva, tutto ciò che uscì dalla sua bocca fu un gorgoglio sommesso nel mezzo dei respiri affannosi.
“Cerca di respirare più lentamente Zura, so che è difficile, ma devi provarci” continuò Sakamoto, respirando rumorosamente e vistosamente, in modo da dare il ritmo all’amico che, pian piano, iniziò a seguirlo e a calmarsi un pochino. Non appena il fiatone fu scomparso il drago di Katsurahama si spostò alle sue spalle, per dare finalmente un’occhiata a quella ferita.
“Bene, bravo così. Continua a respirare più lentamente che puoi. Ora ti spoglio, ma non farti strane idee eh!” cercò di scherzare il ragazzo coi capelli ricci, nell’ennesimo tentativo di tranquillizzare l’amico e, in buona parte, anche sé stesso. Quei due l’avevano lasciato lì da solo e sperava davvero di essere all’altezza della situazione.
“devo vedere in che condizioni è la ferita” concluse poi, spigando ad alta voce tutto quello che stava facendo. Katsura non riusciva a smettere di tremare, sia per il freddo che per il male, rendendo ancora più difficile il lavoro all’amico.
Tatsuma doveva sbrigarsi, quella ferita andava chiusa in fretta.
Gli slegò velocemente le protezioni e lo liberò dello strato superiore dei vestiti in modo da scoprirgli schiena e addome.
Si rese conto immediatamente che, per fortuna, la ferita non l’aveva passato da parte a parte ed era troppo in basso per aver perforato un polmone. Tirò un piccolo sospiro di sollievo.
“Non sei proprio del tutto un colabrodo, Zura. Resisti, ce la farai!” lo incoraggiò, mentre delicatamente gli copriva il fianco e il petto con una coperta presa tra le scorte che avevano sistemato nella tenda, cercando di farlo smettere di tremare almeno per il freddo. Si tolse anche il suo haori blu, più asciutto e caldo dei vestiti che l’amico indossava prima, e glielo sistemò sotto la testa, a mo di cuscino, per farlo stare più comodo.
“Meglio vero?” gli chiese e lo sentì annuire piano sulla mano con cui gli stava ancora sorreggendo la testa. Provò anche a dirgli qualcosa, ma tutto quello che uscì dalla sua gola fu un ennesimo gorgoglio e un po’ di sangue. Sakamoto fece una smorfia, quella situazione non gli piaceva per niente. Al terzo tentativo, infine, Katsura riuscì a dire qualcosa.
“Tats… Tatsuma… Io… Non posso morire. Un buon… Un buon generale deve scappare, e sopravvivere e…” si interruppe di nuovo per tossire altro sangue.
“Zura, non morirai. Quei due imbecilli dei nostri amici si riducono spesso così, anzi, anche peggio. Ma come vedi l’erba cattiva non muore mai e, diciamocelo, noi non siamo poi di una risma tanto diversa dalla loro hahahaha!” gli rispose Sakamoto, sforzandosi di suonare allegro. Sentì Katsura ridere pianissimo e finalmente sorrise davvero anche lui.
“E’ che io… Io sono l’ultimo e…”
“E porterai ancora tanto onore alla tua famiglia. Sei Kotaro il fuggitivo dopotutto no? La scamperai anche questa volta e prima di quanto tu possa pensare saremo di nuovo tutti e quattro a mangiare i tuoi onigiri insieme” rispose Sakamoto, con un tono davvero caldo e rassicurante. Quel ragazzo era davvero un raggio di sole.
“…Pr… Prepararli… Non ho mai detto che potete mangiarli” scherzò Katsura, per comunicare all’amico che avrebbe lottato e che stava apprezzando ciò che stava facendo per lui.
“hahhaha sempre il solito vecchio Zura! Ora però non sforzarti a parlare, parlerò io. Tu concentrati sulla mia voce e vedrai che andrà tutto bene. Te lo prometto” disse ancora Sakamoto, mentre gli prendeva il braccio per sentirgli il polso. Era estremamente debole, ma finalmente sembrava essersi stabilizzato.
“Ora pulisco la ferita e vediamo come è messa ok?” chiese, e Katsura si mosse appena in segno di assenso. Tatsuma prese quindi un panno dallo stesso posto dove aveva trovato la coperta e lo bagnò con dell’acqua, per poi strofinarlo piano sulla schiena imbrattata di sangue dell’amico. A parole era stato caldo e rassicurante, ma la visuale alle spalle dell’amico gli faceva accapponare la pelle. La ferita continuava a sanguinare e ormai la schiena era completamente rossa, così come il tavolo, ai cui piedi si stava formando una piccola pozzanghera cremisi. Almeno il sangue stava uscendo lentamente e non a fiotti, quindi la pugnalata non aveva reciso nessuna arteria importante.
“Ok, sembra che nessuna arteria sia stata colpita” comunicò all’amico “ora spingerò forte sulla ferita, dobbiamo fermare l’emorragia. Potrebbe farti un pochino male, ma devi stringere i denti” continuò, mentre posizionava un altro panno, asciutto, proprio sul taglio e applicava pressione con entrambe le mani.
Katsura si irrigidì un attimo a quel contatto e lasciò uscire un mugugno di dolore, che fece preoccupare Sakamoto.
“Andrà tutto bene” gli disse ancora “ma devo tenere premuto forte questo, o non si fermerà l’emorragia ok?” continuava a parlargli per aiutarlo a rilassarsi, se fosse riuscito almeno a farlo uscire dallo stato di shock sarebbe già stata una grande vittoria.
Mentre con una mano continuava ad applicare pressione sulla ferita con l’altra tirò la coperta a coprire del tutto l’amico e le proprie braccia, in modo da scaldarlo il più possibile. Gli controllò nuovamente il polso e il respiro e poi riposizionò entrambe le mani sulla ferita, ora doveva solo aspettare.
 
 
Gintoki e Takasugi avevano camminato fino al margine del loro piccolo accampamento e, trovato un angolo abbastanza appartato, avevano iniziato a occuparsi del traditore che aveva ferito Katsura.
Takasugi gli era da subito piombato addosso in un impeto d’ira, colpendolo con un pugno dritto in faccia che lo fece rovinare al suolo. Gli era poi salito a cavalcioni sul petto e aveva iniziato a tempestarlo di pugni tanto da farsi sanguinare le mani. A differenza di com’era successo altre volte Gintoki non l’aveva fermato, anzi, si era unito a lui nel dare una lezione esemplare a quel verme così disonorevole da attaccare un uomo disarmato alle spalle e così idiota da farlo davanti al loro. Aveva spostato Takasugi e, mentre questi riprendeva fiato, aveva iniziato a tempestarlo di calci e pestoni. Nessuno dei due era lucido in quel momento, la rabbia e la paura per quello che era successo al loro amico stava guidando le loro azioni. Non stavano nemmeno pensando a quello che stavano facendo, volevano solo che quell’uomo la pagasse per ciò che aveva fatto a Katsura.
Quando l’ebbero picchiato così tanto da avere il fiatone Gintoki lo raccolse da terra e lo trascinò fino a un albero, mentre Takasugi prendeva delle corde per legarlo stretto. L’uomo, che faticava a respirare mentre si soffocava col suo stesso sangue, si ritrovò le caviglie legate insieme, così come gli avambracci, posizionati sul davanti, e il busto legato all’albero a cui era appoggiato con la schiena. Le corde erano state tirate così forte sul suo corpo dal comandante del Kiheitai che da sotto i nodi erano chiaramente visibili le ferite causate dalle corde stesse, ancora sanguinanti.
In tutto quel tempo non aveva detto una parola e aveva opposto una scarsa resistenza. Evidentemente era consapevole che c’erano buone probabilità che si trattasse di una missione suicida.
Gintoki nel frattempo aveva ripreso fiato e una volta assicuratosi che il loro prigioniero rimanesse fermo dov’era, prese da parte Takasugi.
“Dobbiamo farlo parlare e scoprire chi l’ha mandato e, soprattutto, se ci sono altri traditori” disse a Takasugi che, nonostante si fosse calmato a sua volta, conservava uno sguardo carico di rabbia e rancore così intenso da far accapponare la pelle.
“Ci penso io. Detta tra me e te, tu non avresti le palle di farlo parlare” sibilò quest’ultimo, guardando il ragazzo coi capelli argentati dritto negli occhi.
Gintoki rimase un attimo spiazzato e, a differenza di come avrebbe fatto normalmente, non si arrabbiò con l’amico e non gli rispose in modo sarcastico. In fondo aveva ragione. Picchiare qualcuno sull’impeto del momento era una cosa, interrogarlo a sangue freddo un’altra. E non l’avrebbe fatto volentieri. Guardò ancora Takasugi negli occhi, c’era una luce sinistra nelle sue iridi verdi che non gli piaceva per niente ma, per questa volta, decise di ignorarla. Sperava solo che l’amico non si incamminasse in un sentiero troppo oscuro, dal quale sarebbe stato difficile risalire una volta intrapreso. Ma d’altro canto quale scelta avevano? Dovevano sapere se tra di loro c’erano altri traditori, o presto lui, Takasugi o Tatsuma si sarebbero ritrovati con un pugnale nel ventre.
“Va bene. Takasugi, solo una cosa. Non ucciderlo” gli rispose perentorio, con una freddezza e una durezza della voce che non gli appartenevano, guardandolo dritto negli occhi. Lo sguardo di Gintoki lo paralizzò per un momento, quelle iridi rosse con quel taglio di gelida rabbia erano davvero quelle di un demone e, forse per la prima volta, Takasugi vide diretto a sé lo sguardo dello Shiroyasha e capì perché gli avevano affibbiato proprio quel nome. Il comandante del Kiheitai annuì e Gintoki se ne andò, voltando le spalle a qualunque cosa sarebbe successa da lì in avanti, avallando tacitamente ogni azione con cui il proprio compagno si sarebbe sporcato le mani.
Mentre si dirigeva a vedere come stava Katsura si chiese se aveva fatto la scelta giusta diverse volte, ma non trovò mai la risposta.
 
Quando Gintoki si fu allontanato abbastanza Takasugi tornò vicino al traditore e gli sollevò la testa che teneva a penzoloni tirandolo per i capelli.
“Ichimaru eh? Combatti al nostro fianco, nel plotone di Zura, da almeno due anni. Abbiamo bevuto insieme, abbiamo festeggiato insieme, abbiamo pianto i nostri compagni caduti insieme… Era tutta una farsa? Tutta una menzogna? Eri sempre stato dalla loro parte, fin dall’inizio, raggirandoci come dei babbei? O ti hanno comprato?” iniziò a parlare con rabbia crescente il comandante del Kiheitai, aumentando la stretta sui capelli dell’altro mano a mano che proseguiva nel suo discorso.
“Non ti dirò nulla” boccheggiò il prigioniero, sforzandosi di alzare lo sguardo abbastanza da incrociare quello di Takasugi che, in tutta risposta, con l’altra mano sfilò dalla saia il pugnale che teneva in cintura e con un gesto secco glielo conficcò nella coscia, facendolo urlare di dolore.
“Non avevo finito di parlare” sibilò gelido, fissandolo con uno sguardo d’odio così profondo da farlo tremare, per poi ruotare il pugnale di 90 gradi nella gamba di Ichimaru, facendolo urlare ancora.
“Se vuoi scusarmi, riprendo da dove mi avevi interrotto. Ti stavo chiedendo se ti hanno comprato. Anche se, a ben pensarci, è probabile. Di occasioni per farlo fuori ne avresti avute di migliori. Però hai deciso di agire oggi, quando eravamo presenti anche io, l’idiota coi capelli argentati e quel mercante da quattro soldi” continuò a ragionare ad alta voce Takasugi, facendo un altro quarto di giro col pugnale che non aveva mai estratto dalla gamba del prigioniero. La naturalezza con cui parlava mentre lo torturava faceva accapponare la pelle a Ichimaru. Non gli stava nemmeno facendo delle domande, non voleva davvero sapere qualcosa da lui. Almeno per ora, voleva solo fargli del male. Poteva leggerlo in quei perfidi occhi verdi che scintillavano alla luce della luna.
“Quindi deve essere stato un tradimento recente. Quanto? Quanto ti hanno pagato? Quale cifra ti ha portato ad essere così stupido da pensare di poter uccidere uno dei Quattro Re Celesti davanti agli altri tre e di passarla liscia?” la voce di Takasugi stava diventando più impaziente e alta ad ogni domanda, si era avvicinato col viso a quello del suo prigioniero al punto che poteva sentire il suo respiro sulla pelle, e lo fissava negli occhi con uno sguardo così tagliente e folle che Ichimaru dovette distogliere lo sguardo per un attimo.
Non ricevendo risposta Takasugi sfilò il pugnale dalla gamba del traditore e lo conficcò nell’altra.
“Ti ho fatto una domanda. Rispondimi” comandò freddo Takasugi, facendo raggelare il sangue nelle vene del suo prigioniero. Le gambe gli facevano male, ma non era quello il problema. In quello sguardo c’era qualcosa di terrificante.
“E’… è vero…” iniziò a balbettare quindi, nella speranza che dicendogli qualcosa avrebbe smesso di fissarlo a quel modo e magari l’avrebbe portato in una cella o qualcosa di simile, dopotutto se non aveva reagito fin’ora era perché sperava di essere catturato vivo e di poter poi scappare “mi hanno comprato. Non sono sempre stato un traditore, l’hai detto anche tu no? Bevevamo insieme” accennò un sorriso terrorizzato, nella speranza di evocare qualche ricordo nella mente dell’altro.
“Risposta sbagliata” lo interruppe Takasugi, assestandogli un pugno all’altezza dello stomaco.
“Questi giochetti non funzionano con me. Non siamo amici. Abbiamo smesso di essere compagni nel secondo in cui hai pugnalato alle spalle Zura”
Ichimaru si piegò su sé stesso tossendo e vomitando un misto di sangue e succhi gastrici su Takasugi, che non sembrò nemmeno accorgersene.
“La… La p-.. La pace” sputò fuori a fatica “mi hanno pagato con la pace. Se fossi riuscito a portargli la testa di uno di voi… Mi avrebbero dato un posto da funzionario nell’esercito nazionale, uno di quelli che rimane a palazzo sai?”
Takasugi lo colpì ancora, dove l’aveva colpito prima.
“P-Perché?” balbettò incredulo Ichimaru “Ti-ti ho detto quello che vuoi sapere”
“Perché mi fai schifo. Per cosa abbiamo combattuto fin’ora? Per cosa sono morti i nostri compagni? Per una causa che per te vale meno di un posto col culo al caldo?” gli inveii contro Takasugi, sfilando il pugnale che era ancora nella sua gamba e conficcandoglielo in una spalla.
Ichimaru urlò, per il dolore e per il terrore.
“Ora veniamo alle cose importanti. Ci sono altri traditori?”
Ichimaru non rispose. Aveva capito che qualsiasi cosa avrebbe detto Takasugi non si sarebbe fermato. A questo punto tanto valeva farlo arrabbiare e sperare che lo uccidesse, tanto era chiaro che non voleva fare altro che torturarlo e ucciderlo, non se ne sarebbe mai andato da lì. Almeno che fosse veloce.
“Non mi rispondi? Bhè per tua sfortuna Gintoki non è come me. Mi ha chiesto di non ucciderti. Probabilmente vuole, nonostante tutto, lasciarti la possibilità di fare seppuku. Ma sai perché è una sfortuna? La notte è ancora lunga” sorrise sadico, fuori di sé, mentre assestava l’ennesimo pugno allo stomaco del traditore.
 
 
Gintoki nel frattempo era arrivato alla tenda dove fino a poco prima si stava tenendo la riunione ed era entrato con passo deciso.
“Tatsuma! Come sta?” chiese subito all’amico, che stava ancora tenendo un panno pulito compresso contro la schiena di Katsura, semi incosciente sotto la coperta che gli aveva messo. Gintoki sbiancò nel vedere quanto pallido fosse diventato l’amico.
“Non bene, ma dovrebbe essere fuori pericolo immediato” lo ragguagliò Sakamoto, serio “ha perso molto sangue ed è ancora leggermente in stato di shock. Sto aspettando che si formi un coagulo in modo da stabilizzare questa ferita” concluse poi.
Gintoki annuì e si avvicinò a Katsura, toccandogli la fronte con una mano. Era gelido.
“Ti aiuto” sentenziò poi, andando a prendere una seconda coperta e procedendo ad allentare tutti gli indumenti stretti che Katsura indossava. Gli sfilò la cintura dai pantaloni e gli tolse le protezioni dalle gambe e i sandali.
“Va tutto bene Zura, ci sono anche io adesso” gli disse, cercando di capire se l’avesse sentito, e gli prese la mano fredda tra le sue calde, dopo essersi seduto di fronte a lui. Katsura annuì e tentò anche di sorridergli, per comunicargli che stava tutto sommato bene.
“Gintoki, dov’è Takasugi?” chiese preoccupato Sakamoto, guardando l’amico con uno sguardo che esprimeva una domanda ben più complessa di quella che aveva pronunciato.
“Col prigioniero” rispose laconico Gintoki, guardando eloquente Sakamoto.
Si scambiarono un ulteriore sguardo ricco di sott’intesi.
“Quando avremo stabilizzato Zura vai da lui. Prima che faccia qualcosa di cui possa pentirsi” concluse Tatsuma e Gintoki annuì.
“Non… non sono Zura. Sono Katsura” balbetto piano il samurai coi capelli lunghi, con gli occhi finalmente completamente aperti, facendo sorridere entrambi gli amici.
“Ora ti riconosco! AHHAHAHHA! Ti ho chiamato Zura un sacco di volte mentre eri semisvenuto” rise Sakamoto, sollevato dal vedere i primi segni di miglioramento.
Anche la mano che Gintoki teneva ancora tra le sue piano piano, grazie alla seconda coperta, si stava scaldando. Sakamoto sollevò piano il panno con cui teneva compressa la ferita e si rese conto che, finalmente, l’emorragia si era fermata.
“Non sanguini più. Abbiamo fermato l’emorragia!” disse allegro Tatsuma “Kintoki, cercami delle bende pulite, rattoppiamo questo colabrodo”
“N-no…” disse piano Katsura, fermando gli altri due “prima dovete pulire la ferita. Vi servirà dell’acqua e del sale…” gli altri due annuirono e obbedienti si misero a cercare quanto Katsura aveva detto loro. Vederli scattare sull’attenti l’aveva fatto ridacchiare piano, nonostante le sue condizioni.
“Se bastava così poco per rendervi così ubbidienti mi sarei fatto pugnalare prima” rise ancora sottovoce, sperando di far ridere anche i suoi compagni, che invece lo guardarono tristi.
“Scusaci Zura, sei tu il ferito e comunque ti tocca guidarci” accennò una scusa Gintoki, abbassando leggermente la testa in imbarazzo.
“No, scusatemi voi. Un generale…” si fermò per tossire un pochino, poi riprese “un generale non dovrebbe mettere i propri uomini in queste situazioni. Sono stato disattento”
Gintoki gli si avvicinò e fece il gesto di colpirlo con un coppino, sfiorandolo appena.
“E io che sto anche a scusarmi. Da quello che dici è palese che stai benissimo e sei il solito idiota di sempre, no, Tatsuma?”
“hahahahaha già! E’ lui il ferito ed è lui che si scusa. Decisamente è idiota”
Continuarono a scherzare per un po’, mentre Sakamoto preparava la soluzione di acqua e sale, ignorando che Katsura stesse parlando con un filo di voce e che la situazione fosse tutt’altro che risolta. Ma preoccuparsi ulteriormente non sarebbe servito a nulla, mentre un po’ di buon umore, anche in quella situazione, non avrebbe potuto che fargli bene.
“Bene, Zura, ci siamo” decretò a un certo punto Sakamoto, posizionandosi col composto dietro di lui. Gintoki era rimasto sul davanti, pronto a qualunque cosa.
“Non sono Zura, sono Katsura. Quando vuoi sono pronto”
“Farà male” aggiunse soltanto, consapevole che l’amico coi capelli lunghi lo sapeva ma comunque attento a non coglierlo di sorpresa. Katsura annuì e strinse i denti. Sakamoto iniziò a versargli l’acqua salata sulla ferita assicurandosi che si pulisse per bene. Bruciava da impazzire e Katsura, inconsciamente, strinse forte la mano di Gintoki che questi gli aveva porto, contraendo i muscoli del corpo tanto da tremare appena.
“Bene così, quasi fatto” continuò a rassicurarlo Tatsuma, mentre finiva di versare l’acqua salata sulla ferita.
Una volta finita quella tortura Tatsuma iniziò a fasciarlo stretto, assicurandosi di usare delle bende pulite e solo dopo aver messo un panno più spesso sopra al taglio, in modo da sigillarlo il più possibile. Katsura lasciò quindi andare la mano di Gintoki e, nel mollarla, si accorse delle sue condizioni. Aveva le nocche completamente spellate e in alcuni punti sanguinava ancora, nonostante si fosse lavato le mani prima di toccare il ferito.
“Gintoki… cosa avete fatto?”
“Normale amministrazione” cercò di sorridere quest’ultimo, sperando che Katsura non avesse sentito la parte di discussione su Takasugi.
“Tatsuma, c’è ancora acqua salata?” chiese invece l’amico coi capelli lunghi, ignorando le patetiche scuse di Gintoki. Sakamoto annuì e gli passò il catino e un panno, ben conscio di cosa l’amico volesse fare.
“Zura…”
“non sono Zura, sono Katsura. Ti sei ferito per colpa mia. E’ il minimo che posso fare”
E così, mentre Tatsuma gli fasciava stretta la schiena Katsura puliva le ferite di Gintoki per poi fasciargli le mani. A differenza del samurai coi capelli lunghi lo Shiroyasha si lamentò ripetutamente a gran voce di quanto quella soluzione salina bruciasse sulle sue mani, ma nessuno lo ascoltò.
Quando finalmente ebbero finito con le medicazioni Sakamoto gli lanciò uno sguardo eloquente.
“Vai” gli disse soltanto, mentre finiva di legare le bende sul corpo di Katsura.
Gintoki annuì e si diresse fuori dalla tenda.
 
Quando Gintoki arrivò dove aveva lasciato Takasugi rimase per un attimo paralizzato da quello che stava guardando.
Takasugi aveva mani e avambracci intrisi del sangue del nemico, che gli era schizzato un po’ ovunque e ora gli era addosso con una rabbia cieca nello sguardo. E lo stava… Strangolando?
“Takasugi!” urlò il samurai coi capelli argentati, lanciandosi di corsa verso l’amico e prendendolo per le braccia da dietro.
“Che cazzo fai, lo stai ammazzando!” gridò ancora, cercando di tirarlo via dal prigioniero ma senza ottenere grandi risultati. Era come se l’altro non lo sentisse nemmeno. Teneva le mani arpionate al collo dell’altro con una forza incredibile.
“Takasugi, Zura sta bene! E’ debole e ci vorranno giorni perché si riprenda, ma sta bene. E’ fuori pericolo” disse ancora Gintoki e Takasugi, semplicemente, si fermò. Lasciò andare Ichimaru e si appoggiò di peso a Gintoki, che lo trascinò lontano dal traditore. Le parole dell’amico l’avevano raggiunto oltre la coltre di rabbia che gli offuscava i pensieri e l’avevano dissipata all’istante, svuotandolo.
Non appena il ragazzo coi capelli argentati lo lasciò andare Takasugi cadde sulle ginocchia con le braccia lungo i fianchi, come se la stanchezza del pestaggio e dell’interrogatorio l’avessero colpito in pieno solo in quel momento, e si lasciò andare in un urlo liberatorio. Quando ebbe finito Gintoki si inginocchiò di fianco a lui, per fargli capire che c’era, che era lì, ma senza essere invadente, ben consapevole di quanto poco all’altro piacesse mostrarsi vulnerabile.
Poi, senza che nessuno gli chiedesse nulla Takasugi iniziò a parlare, lo sguardo verso un punto indefinito del cielo, quasi a voler ignorare che accanto a lui ci fosse l’amico nonostante stesse palesemente parlando con lui.
“Ha detto… Ha pugnalato Zura per poter avere un lavoro d’ufficio nel nuovo Bakufu, e per fuggire dalla guerra” Si fermò un attimo, mentre uno strano sorriso triste si allargava sul suo volto.
“Gli ho chiesto come abbia potuto farci questo, dopo questi anni fianco a fianco sul campo di battaglia. Ha detto che… Che tutto sommato gli andava bene. Che è sempre stato invidioso di noi, che nonostante il nostro basso rango sociale siamo diventati generali prima dei vent’anni, acclamati da tutti, mentre lui era rimasto nascosto nella nostra ombra” inclinò ancora un po’ la testa, per nascondere gli occhi dietro la frangia viola, e si fermò un attimo di parlare, contemplando il cielo.
“Ha parlato sai? A un certo punto… Ma non mi sono fermato” disse con voce piatta, evitando accuratamente lo sguardo dell’altro “Mi ha chiesto di fermarmi, ma io non l’ho fatto” continuò, incapace di bloccare quel flusso di parole che componevano una sorta di confessione e che stava buttando fuori senza riuscire a fermarsi, forse alla ricerca di un’assoluzione da parte dell’amico, ma terrorizzato che, guardandolo, avrebbe letto tutt’altro nei suoi occhi.
“Ero solo così… Arrabbiato… Non riuscivo a non pensare a Zura, alla sua faccia terrorizzata mentre sputava sangue davanti a noi. E così mi si è chiusa la vena e… sono andato avanti. Finché non sei arrivato tu” Si fermò un attimo di parlare, spalancando gli occhi mentre una realizzazione inattesa lo raggiunse.
“Sono come lui” sputò solo fuori alla fine, secco, abbassando la testa e stringendo i pugni in un’improvvisa e rinnovata scarica di rabbia.
Gintoki durante tutto il suo discorso non aveva detto niente. Era raro che Takasugi parlasse di sé, anche più raro che parlasse delle proprie emozioni, e non era nemmeno del tutto convinto che ne stesse parlando effettivamente con lui e che quindi avesse un qualsivoglia diritto di intervenire nel suo monologo. Avrebbe voluto fargli sapere che non lo giudicava ma che, anzi, lo capiva benissimo e che al suo posto avrebbe fatto lo stesso, ma stava soppesando accuratamente cosa e come dirlo, volendo evitare ogni mortificazione all’altro, ben conscio di quale bastardo orgoglioso fosse l’amico.
E poi, quell’ultima frase… Gintoki lo guardò triste, Takasugi aveva sempre parlato molto poco della sua famiglia, anche da piccolo. Ma era chiaro da come arrivava le prime volte alla Shoka Sonjuku che suo padre fosse un tipo manesco e violento, che non si faceva scrupoli a picchiare anche un bambino piccolo, ed era chiaro che si riferisse a lui.
Sospirò, e prese il coraggio di rivolgergli la parola.
“Non sei come lui. Non è stata la rabbia pura e semplice a farti fare quello che hai fatto. Eri preoccupato per Zura, hai agito così per vendicare un amico” gli disse, sperando che di nuovo le sue parole lo raggiungessero oltre quell’aura di malinconia che l’aveva avvolto, ma senza grandi risultati. Si accovacciò più vicino a lui e gli mise una mano sulla spalla.
“Takasugi, mi dispiace di non essere rimasto qui a dividere questo peso con te” aggiunse soltanto, sorridendo triste “ho scaricato tutto sulle tue spalle e me ne vergogno”
In quel momento Takasugi si riscosse, nascondendo di nuovo i sentimenti che quella situazione estrema aveva tirato fuori in profondità dentro di sé.
“tsk, nessun problema. Ho solo perso il controllo sul finale, tu saresti crollato i primi dieci minuti” disse Takasugi, ricomponendosi e guardando finalmente l’amico negli occhi, mentre si levava di dosso la sua mano.
“E’ un piacere sentirti fare i tuoi soliti discorsi, scontrosugi” sorrise Gintoki, e il suo sorriso, nonostante un velo di malinconia, era più radioso di prima.
“Cos’è quella faccia da ebete? Se ti piace tanto essere preso in giro posso continuare finché vuoi” ringhiò Takasugi, mentre il sorriso di Gintoki si trasformava in una risata.
“Ci sono altri traditori?” chiese soltanto, non appena si fu ricomposto.
“No, era solo, o non avrei perso tempo a…”
“Bene, allora è finita” tagliò corto il samurai coi capelli argentati, prima che l’altro potesse di nuovo concentrarsi su ciò che aveva appena fatto, e poi si alzò.
Una volta in piedi tese all’amico una mano che, inaspettatamente, Takasugi non rifiutò e non respinse.
Gintoki sperava che stesse davvero bene. Era la prima volta che dovevano sporcarsi le mani con qualcosa di simile e, per quanto non fossero nuovi alla morte, uccidere o ferire qualcuno sul campo di battaglia era tutt’altra cosa rispetto al torturare qualcuno disarmato e legato. Avrebbe voluto dire all’altro che, se mai avesse avuto bisogno di parlarne, sapeva dove trovarlo ma, d’altro canto, sapeva anche benissimo che l’altro ne era già pienamente consapevole e che, proprio per questo, non gli avrebbe mai più detto una parola a riguardo. Takasugi sapeva che Gintoki era lì, silenzioso e discreto, e questo gli bastava per sentirsi meglio, senza bisogno di chiacchiere o parole di conforto. Erano fatti così, dopotutto.
“Vieni, andiamo a darci una ripulita. Zura ha visto le mie mani e si è subito preoccupato, se ti vedesse così non starebbe buono e fermo”
“Già… Credo che mi servirà come minimo un bagno”
“Quello ti sarebbe servito a prescindere, puzzi come le patate marce che ci tocca sempre ripulire”
“Va bene, la prossima volta ti arrangi coi prigionieri”
“gne gne, la prossima volta ti arrangi coi prigionieri”
“Molto matura questa risposta, Gintoki”
“Adeguata al livello del mio interlocutore, quindi, molto bassa”
Takasugi stava per saltargli alla gola, quando si accorsero di essere in prossimità della loro tenda e videro due figure camminare nella loro direzione. Tatsuma stava trasportando con un braccio sulla spalla e uno attorno alla vita Katsura, per portarlo nel proprio letto a riposare ora che era più stabile.
“Takasugi…” bisbigliò Katsura, con uno sguardo maligno che riluceva nell’oscurità. Era palese che si fosse accorto delle sue condizioni.
“Ehy, Zura!” salutò questi, facendo finta di nulla, e nascondendosi un pochino dietro Gintoki con fare indifferente.
“Non sono Zura, sono Katsura. E dovranno passare almeno altri cento anni prima che tu possa nascondermi quelle ferite” ghignò maligno, spaventando lo Shiroyasha e il comandante del Kiheitai, che cercarono immediatamente di darsi alla fuga.
“Tatsuma.” Disse solo Katsura e Sakamoto lo portò subito sul suo letto, per poi uscire e dirigersi all’inseguimento degli altri due. Quando li prese si scusò, adducendo come giustificazione che Katsura arrabbiato facesse davvero paura, e gli altri non se la sentirono di negarlo.
 
Cinque minuti dopo erano tutti nella tenda dei Quattro Re Celesti: Katsura era steso a letto, Sakamoto seduto al suo fianco e Gintoki e Takasugi seduti davanti a loro sulle ginocchia con lo sguardo basso, mentre Katsura in modalità mamma chioccia li sgridava per come si erano ridotti e cosa avevano fatto.
“Detto questo” disse, dopo avergli spiegato ampiamente perché si erano comportati da idioti “grazie” concluse, sorridendo.
Gintoki e Takasugi alzarono la testa e il mix del sorriso dolce di Katsura e di Sakamoto che stava per scoppiare a ridere nel vederli ubbidienti e imbarazzati li fece prorompere in una fragorosa risata. Poco dopo Tatsuma tirò fuori da non si sa dove del sakè che i tre in salute bevvero fino all’alba, finendo per addormentarsi ai piedi di Katsura, impilati l’uno sull’altro. Il ragazzo coi capelli lunghi gli tirò una coperta sopra, cercando di coprirli il più possibile prima di addormentarsi sfinito a sua volta.
Nel sonno, i volti di tutti e quattro erano sorridenti.
  
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