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Autore: Ireth    25/05/2005    5 recensioni
Fic che si sviluppa dopo la puntata 4x12 "La collezionista di farfalle". Cosa potrebbe accadere se Sara decidesse che questa volta non se ne starà zitta ma cercherà di far confessare la verità a Gil? Due capitoli che analizzano il tutto da due diversi punti di vista.
Fatemi sapere che ve ne pare... ciao!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gilbert 'Gil' Grissom, Sara Sidle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Parte prima: Sara

E’ triste, vero dottore?
I maschi come noi.Uomini di mezza età che hanno permesso al lavoro di consumare la loro vita. L’unico momento in cui tocchiamo gli altri è quando portiamo i guanti in lattice. Un giorno ci svegliamo, e capiamo che per 50 anni non abbiamo vissuto. Ma poi, d’un tratto, ci capita una seconda chance. Una donna giovane e bella, per cui proviamo qualcosa, ci offre un nuova vita insieme a lei. Ma abbiamo una grande decisone da prendere, perché dobbiamo rischiare tutto quello per cui abbiamo lavorato per averla. Io non ce l’ho fatta….Ma lei sì. Lei ha rischiato tutto e Debbie le ha mostrato una vita stupenda, vero? Ma poi se l’è ripresa, e l’ha data a qualcun altro, e lei si è sentito perso…così le ha preso la vita. Li ha ucciso entrambi, e ora non ha niente…

Non ho potuto fare a meno di ascoltare… Non so dire se sia stata una cosa voluta. Volevo presenziare all’interrogatorio, ma sono arrivata tardi, loro erano già nella stanza e stavano parlando. Grissom non ama queste entrate a sorpresa, così sono rimasta fuori, dietro quel vetro ad ascoltare quello che veniva detto… e anche ciò che probabilmente non avrei dovuto sentire.
Ha sospirato e ha abbassato la testa, non appena il dottore è uscito… Io sono rimasta immobile, a fissare quel volto così imperturbabile che conosco bene, ma è solo una maschera. Chi può dire quali siano i suoi pensieri?
Riesco appena in tempo a nascondermi in un angolo buio, poi Brass esce dalla porta e si allontana, non ha un bell’aspetto… d’altra parte si è trovato ad ascoltare, suo malgrado la “confessione” di Gill e penso che abbia capito fin troppo bene il senso di quelle parole e a chi erano riferite, non è uno stupido. Ma sa essere discreto quando riconosce una situazione che lo richiede.
Mi sporgo dal bozzolo d’ombra che mi protegge e lo osservo passarsi le mani sul viso, stropicciarsi gli occhi, alzarsi piano, appoggiandosi al tavolo; per un attimo provo l’istinto di entrare in quella stanza per parlargli, o anche solo per abbracciarlo, per fare qualcosa, qualsiasi cosa possa aiutarci ad emergere da questa situazione senza uscita. Io per la mia strada, lui per la sua, entrambi soli, tremendamente soli, forse desiderosi di incontrarci, ma incapaci di farlo, per troppo orgoglio, troppa paura e tanta, tantissima stupidità. Questi siamo noi. Ma non entro in quella stanza, forse perché non posso fare a meno di provare anche rabbia verso di lui, per le sue incertezze, i suoi dubbi, per il suo egoismo che gli impedisce di mostrarmi cosa sente, perché teme di compromettere la sua vita “asettica e perfetta”.
E mi ritraggo nel mio angolo, lo osservo uscire e allontanarsi, solo…
Voglio parlargli, ma non era questo il momento giusto, coglierlo così in contropiede non sarebbe stato corretto, anche se certamente più proficuo di quando avrà avuto il tempo di indossare di nuovo la sua maschera carica di impassibilità.

Torno mogia in laboratorio, credo di avere un’aria da cane bastonato, perché incrocio Nick in corridoio e mi chiede se è tutto ok, annuisco e striscio via in silenzio, fino al salottino, dove mi rifugio.
Non accendo la luce, voglio stare al buio con me stessa… Apro il frigorifero e dentro c’è un barattolo con i suoi insetti… maledizione! E’ come un fantasma la cui presenza aleggia ovunque. “Vai al diavolo!” inveisco sbattendo la porta del frigorifero con tanta violenza da farla riaprire. Io odio tutto questo, questa situazione. Mi appoggio alla credenza, cercando di recuperare il controllo.
Avrei voluto che Debbie Marlin, la ragazza uccisa non mi somigliasse così tanto, così da non risvegliare tutti questi problemi mai risolti, questi sentimenti mai confessati. Io riesco a conviverci, normalmente, lo faccio da mesi, non è poi così difficili quando restano sepolti sotto la vita di tutti i giorni.
“Nervosa?” ho un sobbalzo violento…La voce proviene da un punto buio, sul divanetto. Non mi sono accorta di lui quando sono entrata, e lui ha preferito non rivelare la sua presenza.
“Warrick… che ci fai qui?” il tono di voce che produco non mi piace affatto, è seccato e indispettito, ma non ci posso fare nulla.
“Riposavo gli occhi godendomi un po’ di solitudine… Cercando di non farmi scovare da Greg, credo mi stia cercando per mostrarmi dei risultati. Perché vuoi distruggere il nostro frigorifero?”
“Lasciamo perdere…” così dicendo mi lascio cadere sul divanetto accanto a lui, rovesciando la testa all’indietro e chiudendo gli occhi.
“Giornataccia, eh?”
“Già.”
“Com’è finito il caso della Marlin?”
“Male, le prove non bastavano ad incastrare il dottore. Brass ha dovuto lasciarlo andare.”
“Mmmh…”
Resta in silenzio e questo non mi piace… perché Warrick mi mette a disagio, sembra saper leggere i tuoi pensieri anche quando cerchi di nasconderglieli, un po’ come Gill, del resto.
“Sara?”
“Cosa?”
“Batti il ferro finchè è caldo.” Ho l’orribile sensazione di sapere a cosa allude, ma fingo di non capire.
“Prego?”
“Vai a parlarci, lui è troppo orgoglioso per decidersi.” Mi irrigidisco, è come se sentissi il mio cuore battere sempre più in fretta e la vena sulla mia tempia pulsare forte.
“Non so di che parli.” Proseguo imperterrita con questa falsa ingenuità, ma non è persona che posso ingannare facilmente.
“Guarda che non sono Greg…” prosegue lui, e mi pare quasi di vedere, anche attraverso il buio, un leggero sorriso dipingersi sul suo volto. “Con me puoi anche parlare liberamente e, ad ogni modo, se non vuoi parlare ti consiglio caldamente di seguire il mio consiglio. Vi state facendo troppo male con questo gioco sadico.”
“E’ un gran casino, Warrick…”
“Forse, ma non lo risolverai certo restando seduta qui.” Mi sta innervosendo, crede di sapere tutto e invece non sa nulla di questa storia.
“Che dovrei fare, secondo te? Andare nel suo ufficio e iniziare a fare il diavolo a quattro?”
“No… E’ andato a casa. Vai da lui.”
Sono seccata, estremamente seccata.
“Ma tu come fai a...?”
Sorride tra se, posso vedere il bianco dei suoi denti stagliarsi nell’oscurità.
“Nascondete bene la tensione che c’è tra voi, devo ammetterlo, ma se vi si osserva con attenzione la si può notare…”
“Non hai niente di meglio da fare che osservare me e Grissom?” lo apostrofo ridacchiando.
“Beh… Grissom dice sempre che bisogna saper osservare, mi sembravate due buone cavie per fare un po’ di pratica…” mi da una leggera gomitata, poi ritorna serio. “Davvero, Sara, vai… Ormai siete in ballo, e poi mi sembra di aver capito che questo caso ha tirato fuori delle cose insolute tra voi due, Debbie ti somigliava veramente tanto!”
“Già, ma non può fare così! Mostrare un minimo di interesse e preoccupazione solo perché nota una certa somiglianza tra me e il cadavere di turno sul tavolo del Dottor Robbins… E’ così infantile.”
“L’amore è sempre infantile…”
“E questa dove l’hai presa? E poi non farmi ridere, Grissom nemmeno sa dove sta di casa l’amore!”
“Io non ci giurerei… Allora, che fai? Ti decidi o ti ci devo portare io da lui?”
Resto un attimo in silenzio… Forse ha ragione. Se non affrontiamo l’argomento questa sera probabilmente non lo faremo mai più e io non posso permettermi di sprecare in questo modo la mia vita. Ma ci andrò da sola, sono adulta e vaccinata, e poi non ho bisogno di una balia con le sembianze di Warrick!
“Ok…”
Mi alzo e mi avvicino alla porta.
“Sara?”
“Cosa?” che vuole ancora?
“Lo sai, l’indirizzo, vero?”
Sospiro e lascio andare la maniglia che già avevo afferrato. No, non lo so… ci sono stata solo una volta a casa sua, per un’indagine, ed è stato molto tempo fa. Era stato sospeso dallo sceriffo per quella vicenda dello strangolatore; lui volva fare di testa sua e noi volevamo stare dalla sua parte. Ma mi ci aveva portato Warrick da lui, non so l’indirizzo e non ricordo la strada, tipico…
Accendo la luce e torno a sedermi accanto a lui.
“Avanti, illuminami!”

Warrick mi ha scritto l’indirizzo su una pagina del suo notebook, correlandolo anche di una confusa piantina, ma credo di essere in grado di trovare la mia destinazione.
Passo dallo spogliatoio per darmi una sistemata, fortunatamente ho sempre un cambio carino nell’armadietto, che naturalmente non uso mai data la straordinaria vivacità della mia vita sociale!
Jeans puliti e una maglietta colorata leggermente scollata, un goccio di profumo e un filo di trucco, appena un po’ di mascara e un velo di lucidalabbra, una pettinata veloce e sono pronta.
-Che pensi di fare, vestita così?- borbotto tra me e me mentre mi dirigo alla mia macchina, come se a Grissom queste piccolezze interessassero. Sarà già una vittoria se riuscirò a fargli mettere due frasi in fila, e per questo scopo la scollatura è l’ultima cosa che mi occorre.

Mi perdo un paio di volte, prima di imboccare la stradina giusta, ma alla fine ce la faccio, e in un tempo che mi sento di definire ragionevole.
Sono davanti alla sua villetta e sto facendo degli esercizi di respirazione seduta al volante della mia auto, perché in questo stato ho paura di non riuscire nemmeno a spiccicare mezza parola; guardo verso la finestra da cui traspare una luce calda, almeno è in casa e non ho fatto il viaggio a vuoto.
Mi decido e scendo dall’auto, incerta percorro il suo vialetto e mi ritrovo davanti al campanello. Comincio a rivalutare la possibilità di tornarmene a casa mia, oppure di mettere radici davanti alla sua porta, in ogni caso vorrei non dover suonare. Maledetto stupido! Guarda che cosa mi sta costringendo a fare! Ha perseverato nel suo non cedere e alla fine, naturalmente è toccato a me fare questo passo così difficile e doloroso.
Tante volte ho liquidato questi pensieri così invadenti, mentendo a me stessa, dicendomi che era solo attrazione, forse alchimia sessuale, ma che no, io non lo amavo di certo… Come si può amare una persona del genere? Così freddo, distaccato, così preso da se stesso e dalla sua vita, in cui non vi è posto per nessun’altro che non sia lui. Eppure io non ho potuto fare a meno di innamorarmene… In un susseguirsi di eventi che oserei definire crudele il destino mi ha portato a questo punto, mi ha portato ad amare questo robot, questo pezzo di ghiaccio. Posso anche accettare che in fondo (ma molto in fondo) possieda dei sentimenti, anche profondi. Ma finchè saranno così ben nascosti per me sarà come se non esistessero.
Troppo comodo, troppo facile lasciarli appena intravedere, solo perché un caso lo ha scosso… E poi, se non fosse stato per un puro caso, io quelle parole non le avrei mai sentite; non erano rivolte a me, erano rivolte al nulla più assoluto!
Mi attacco al campanello quasi con rabbia, rendendomi conto di essere stata probabilmente troppo energica… Aspetto, e intanto non mi sembra vero di averlo fatto.
Dondolo da un piede all’altro mentre aspetto che apra, una parte di me desidera che non sia in casa, ma è ridicolo, so bene che lui è dietro a quella porta.

La prima cosa che percepisco sono alcune deboli note di un brano classico, poi l’uscio si schiude completamente…
Indossa un paio di jeans di un bel blu vivace, un po’ più larghi dei pantaloni che indossa solitamente, e una camicia bianca, sembra di lino, con i primi bottoni slacciati. Mi piace così, meno abbottonato che sul lavoro, più rilassato e spontaneo. E’ a piedi scalzi e ha un asciugamano intorno al collo perché i suoi capelli non sono ancora asciutti. Deve essere appena uscito dalla doccia, lo si capisce anche dal leggero profumo di bagnoschiuma che emana. Sorrido tra me, perché questo profumo lo riconosco: mirra, aromatico e sensuale.
Mi guarda perplesso e sorpreso, con le guance leggermente arrossate.
“Sara?”
“Già…” non riesco a guardarlo negli occhi, ma mi rendo conto che la mia presenza in qualche modo lo inquieta, forse perché inconsciamente riesce ad immaginare il motivo della mia visita. Mi faccio coraggio.
“Gill… dovremmo… possiamo parlare?”
“Ora?” Risposta sciocca che mi inviperisce e mi spinge a guardarlo negli occhi seccata. “Se ora non ti va me ne vado, ma non credere che poi io me ne dimentichi! Se non è oggi sarà domani e se non domani allora dopodomani… vedi tu.”
“Entra…” sembra quasi rassegnato mentre mi libera il passaggio permettendomi di entrare nella sua tana. Mi avventuro lentamente in casa, con passi misurati, guardandomi intorno.
E’ molto diversa da quella volta… Deve aver cambiato tutto. Tanto allora appariva fredda e spoglia, tanto ora sembra calda e accogliente.
C’è un bel parquet chiaro a terra e le pareti del salotto sono tinte di un bel giallo ocra; il divanetto in pelle non c’è più e il suo posto è stato preso da due bei divani, più grandi e disposti ad elle, ricoperti da una bella stoffa verde scuro e da cuscini un po’ più chiari. C’è qualche pianta e molte stampe alle pareti, il suo portatile sul tavolo e libri ovunque, dato che la libreria sembra non offrire più spazio. Non è disordinata, ma nemmeno asettica… piuttosto appare molto “piena”, vissuta. Questo non me lo aspettavo e mi sorprende piacevolmente. Forse Gill non è poi un caso così disperato.
“Siediti…” mi invita cortesemente, ma con imbarazzo. Lui resta in piedi, incerto e indeciso sul da farsi.
“Ti poso offrire qualcosa? Un a spremuta ti va?” azzarda poi, ma è come se parlasse più con se stesso che con me.
“Si, grazie…” almeno guadagnerò un po’ di tempo prima di iniziare con questo discorso spinoso.
Lo vedo rifugiarsi dietro al bancone della cucina e iniziare a trafficare con lo spremiagrumi. Con la coda dell’occhio sbircio nel suo frigorifero, quando lo apre per prendere le arance. Sembra ci sia del cibo… Evidentemente non si nutre solo d’insetti e riesce a trovare il tempo per pensare al suo nutrimento. Sorrido e continuo a guardarmi intorno… vi è una coperta sul divano, ricamata con motivi che paiono orientali, forse indiani; è bella, così come la sua casa che, devo ammettere, mi piace molto. Se non fosse per tutti gli insetti (vivi, morti, dipinti, stampati) che posso vedere ovunque potrebbe essere la casa di una persona… beh, di una persona normale.

Vengo distratta dalle mie elucubrazioni da un bicchiere che ondeggia malfermo di fronte alla mia faccia… me lo sta porgendo, mentre nell’altra mano, in precario equilibrio, tiene una caraffa piena di succo arancione e il suo bicchiere.
“Grazie…” sussurro prendendolo e facendo ben attenzione a non toccare la sua mano con la mia…
E’ stupido, ma lo faccio sempre, evito di toccarlo, evito che mi tocchi, forse perché il solo contatto mi fa star male, il sapere di non poterlo avere. E’ come se preferissi negarmi ogni cosa, anche i brividi che provavo quando ci sfioravamo. Ho cercato di dimenticare, privandomi anche di quel poco che mi dava, ma non ha funzionato, ho soltanto incasinato ulteriormente la mia vita e probabilmente gli ho fornito anche dei sospetti, perché un paio di volte ho avuto l’impressione che se ne sia accorto.
Lo guardo mentre beve e poi osserva il bordo del suo bicchiere, perso in chissà quali pensieri, la fronte leggermente corrugata.
Quasi ho paura a richiamarlo alla situazione corrente…
“Gill?”
Ha quasi un sobbalzo.
“Si… Dimmi, di cosa volevi parlarmi?” Si è seduto sul mio stesso divano e mi osserva incuriosito, con la testa leggermente inclinata da un lato.
E ora mi trovo persa, non so più che fare, che dire… Sto andando in panico, di nuovo, e non voglio indossare la mia peggior maschera, quella gelida, degna della peggior stronza esistente al mondo.
“Forse dovresti dirmelo tu di cosa dovremmo parlare.” Ribatto amaramente, evitando con cura i suoi occhi.
Si blocca nell’atto di bere un altro sorso e mi osserva di sottecchi da dietro il bicchiere, poi lo abbassa e scuote leggermente la testa, come a dirmi che non capisce di cosa io stia parlando.
“E’ una tua scelta non voler capire, lo è sempre stata…”
Poso quel maledetto bicchiere sul tavolino, più che altro perché avrei voglia di spaccarglielo in testa e temo che se non si leva quella dannata espressione dal viso forse potrei anche farlo, ma che diavolo ci sono venuta a fare qui?Maledetta me e le mie stupide idee.
Cerco di aggirare il problema, di arrivarci seguendo un’altra strada.
“Com’è andato l’interrogatorio per il caso Marlin?”
Per un attimo assume un’espressione più distesa, forse crede che gli voglia parlare di lavoro, un argomento che certamente lo alletta di più rispetto a quanto possa fare il discutere dei nostri problemi; ma sa che stiamo camminando su terreni per lui molto scivolosi e me ne accorgo dal modo in cui mi scruta, con gli occhi leggermente socchiusi.
“Niente di fatto, l’abbiamo dovuto lasciare andare. Le prove non bastavano e il dottore si è ben guardato dal lasciarsi sfuggire informazioni compromettenti…”
“A differenza di te, invece…” lo interrompo io. Poi resto in silenzio, fissando quasi con soddisfazione quegli occhi chiari in cui, finalmente, vedo un po’ di paura.
“Che vuoi dire?” è solo un sussurro, ma siamo vicini, non c’è bisogno di gridare per capirsi, se lui fosse meno chiuso in se stesso non ci sarebbe nemmeno bisogno di parlare.
“Ero dietro al vetro… Mi sono persa l’inizio, ma non la fine.”
Ora non temo più di guardarlo negli occhi, perché sono riuscita a giocare le mie carte, in qualsiasi modo andrà io avrò detto quello che dovevo dire, non mi sarò lasciata scorrere addosso gli eventi come ho fatto in tutti questi mesi.
“Tu hai…”
“Si, ho sentito quello che dovevo sentire e che tu avresti dovuto dire a me, tempo fa… Non ad un estraneo, non in questo modo, non solo perché credevi che io non fossi lì ad ascoltare.” Ho alzato leggermente la voce, senza gridare però, solo è chiaro che sono disturbata da tutto questo.
I secondi di silenzio che seguono sono così pesanti… A quest’uomo bisogna tirar fuori le parole di bocca, una alla volta, è snervante. Mi viene da piangere, sento formarsi un groppo in gola e gli occhi bagnarsi, perché deve andare così? Finisco sempre per sembrare debole e idiota.
“Perché sei così? Perché non si riesce mai a capirti?” mi ritrovo a dire, quasi senza accorgermene. “Vorrei saperlo anch’io…” risponde più a se stesso che a me, passandosi una mano tra i capelli ormai asciutti.
“Tu credi che tutti gli altri siano stupidi, vero Gill? Che nessuno sia in grado di capirti… Nascondi sempre tutto, convinto che nessuno si accorga di nulla, convinto di poter passare sopra i sentimenti delle persone che ti stanno accanto.
“Che vuoi dire?”
“Che vivi in un mondo tutto tuo, in cui per gli altri non c’è posto, ci sei solo tu, perché tu non vuoi nessuno accanto a te. Ogni tanto una breve incursione nel mondo di noi altri poveri inferiori, e poi di nuovo via, verso i tuoi lidi misteriosi.
“Non è così grave star bene con se stessi…” afferma piano, sorridendo debolmente.
“No!” ribatto io secca “Ma è molto grave non saper vivere con gli altri!”
“Per me è difficile…”
“Per te???” esplodo “E per gli altri allora, nemmeno t’immagini quanto sia difficile avere a che fare con te!” C’è una cosa che da tempo vorrei tirar fuori, forse non dovrei nemmeno andare su quell’argomento, ma come ha detto Warrick, ormai siamo in ballo.
“Tu… Tu sei sempre così pronto ad elargire consigli a tutti… Tu per mesi non hai fatto altro che dirmi come dovevo comportarmi, come affrontare i casi per non farmi coinvolgere, come rendere più varia e interessante la mia vita, dato che secondo te mi dedicavo troppo al lavoro. Tu credi di capire tutto di me, in ogni momento tu pretendevi di sapere come mi sentivo, cosa pensavo… eri convinto, nel tuo spropositato ego, di possedere la soluzione per ogni cosa, la risposta ad ogni mia domanda… Neanche fossi Dio!”
“Non mi ritengo così importante!” ribatte lievemente seccato.
“Ma ti ritieni abbastanza importante per non condividere niente con me, vero?”
“Ma cosa…?”
“Cosa? Tutto! Io di te non capisco nulla, perché tu non hai mai voluto concedermi un minimo di fiducia… La tua operazione, per esempio, i tuoi problemi d’udito…”
“Chi te l’ha detto?”
“Nessuno, non sono un’idiota… Mi è bastato osservarti per un po’ e mi è stato chiaro che stavi perdendo l’udito; mi sono informata… Otosclerosi. Io… Io avrei solo voluto poterti stare vicino, solo quello chiedevo, di poterti stare accanto, perché credi che quella volta ti abbia chiesto di cenare con me? Ero persa di te, avrei voluto poterti tendere la mano e tenerla stretta tra le mie, ma è come se tu me l’avessi schiaffeggiata. Mi hai respinto, insieme con tutto quello che avevo nel cuore e che volevo darti.”
“Sara…” sembra affranto, come se tutto d’un tratto gli si fosse rivelato qualcosa di troppo grande da poter sopportare.” Io… non l’avevo capito.”
“Tu non hai mai capito niente di me.”
“Mi spiace” è tutto ciò che sa dirmi, probabilmente non c’è molto altro da dirmi. “Anche a me Gill… Sai, a volte te ne uscivi con delle frasi, con dei gesti che mi ridavano la speranza, m’illudevano e io pensavo:-Ecco, ora ci siamo, forse la situazione si sta sbloccando.- ma poi tutto proseguiva come sempre e noi ripiombavamo nel nostro oblio, dove per me non esisteva più neppure la speranza… Neanche ti accorgevi che io pendevo dalle tue labbra, che aspettavo solo un tuo gesto, una tua parola… Non è mai giunto nulla da te. ”
Mi prende la mano, piano timidamente, come impaurito che io possa ritrarmi o respingerlo, mi guarda negli occhi e per la prima volta io posso vedere il suo sguardo aperto, totalmente sincero, come se non avesse più senso nascondersi qualcosa.”
“Sono consapevole dei miei limiti, Sara… Sono bravo nel mio lavoro, lo so e a quello mi appiglio. Nei rapporti con gli altri sono in difficoltà e spesso mi ritrovo a trattarli come altrettante questioni di lavoro. Io e te… Non lo so, tra noi c’è stato qualcosa e al contempo non c’è stato nulla, perché io, probabilmente, non sono in grado di condividere qualcosa di così grande… per quanto non possa dire di non provare nulla per te, perché sento qualcosa di molto forte. Mi sento impotente di fronte a tutto ciò e perdo la mia consueta freddezza e sicurezza… Questo mi disturba e al contempo m’incuriosisce, perché mi è tutto così poco familiare. Tu… Tu mi turbi, molto più di altre donne, perché di fronte a te tutte le mie sicurezze si sciolgono, mi sento impotente, privo di forze. Come se fossi nudo o trasparente e tu mi trafiggessi con ogni tuo sguardo. Ho sempre temuto di non essere pronto per tutto questo.”
“E ora?” chiedo io titubante, perché temo di conoscere già la sua risposta.
“Gill…”incalzo poi. “Io ti ho sentito questa sera… non puoi chiedermi di andare a dormire e di dimenticare tutto. Per la prima volta ho ascoltato i tuoi pensieri parlare e quello che ho sentito è troppo importante perché io possa archiviarlo così, come se nulla fosse. Noi due… C’è qualcosa, altrimenti ora non saremmo qui.”
Silenzio… Vedo i suoi occhi muoversi piano, indugiare sulle nostre mani che ancora si toccano. Quant’è che non sentivo quel tocco su di me? Com’è possibile che solo sfiorare la pelle della sua mano mi faccia sentire in questo modo. Come può un uomo così freddo infondere così tanto calore in me, solo tenendo la mia mano?
“Possibile che non lo hai ancora capito?” aggiungo poi mestamente, ormai rassegnata al fatto che questa situazione non avrà mai fondo, perché scenderemo sempre più giù.
Solleva lo sguardo dalle nostre mani, e mi specchio nei suoi occhi chiari che mi chiedono spiegazioni, che vogliono sapere cosa lui non è stato in grado di capire.”
“Che mi sono innamorata di te…” mormoro, mentre sento una lacrima rigarmi la guancia.
Lui sussulta, tanto che il bicchiere vuoto che tiene nell’altra mano cade a terra e rotola sul tappeto. Si stacca da me per raccoglierlo e per evitare di dovermi guardare in faccia, risento della perdita di quel contatto, mentre ne approfitto per asciugarmi la guancia, anche se so che lui ha visto le mie lacrime.
Si risiede accanto a me, ha le guance arrossate ed emette un paio di colpetti di tosse nervosa.
“Di qualcosa, ti scongiuro…” lo supplico io “Questo silenzio mi lacera…”
“Io non so che dire… sarò banale a ripetermi, ma davvero non so come comportarmi. ”
“Questa volta nemmeno io... E’ già stato molto faticoso venire fino a qui e parlare con te.”
“Io… ho paura, ho una paura tremenda di non essere pronto ad affrontare tutto questo…”
Sto male, è come se non potessi sopportare tutto questo dolore, la consapevolezza che tra noi rimarrà sempre tutto fermo, immobile… perché lui è così, gelido spettrale.
Sicuramente percepisce tutta la mia desolazione, si agita sul divano, come se la posizione in cui si trova fosse diventata improvvisamente scomoda.
Balbetta qualcosa:
“E’ solo che… che io…”
”Che tu sei un grandissimo egoista…” taglio corto io, alzandomi di scatto da quel divano e andandomene da quella casa, perché non voglio che lui veda i miei occhi pieni di lacrime e che ascolti i miei singhiozzi… Vorrei solo poter sparire, sprofondare qui e ora… Sciocca che sono, cosa speravo di trovare, di ottenere venendo qui? Come ho potuto credere di dare una svolta ad una situazione che da mesi è ferma nello stesso punto?
Percorro rapidamente il vialetto del giardino, singhiozzando, fuori è freddo e si è messo a piovere, ma nemmeno mi accorgo delle gocce che scivolano su di me, sono già gelata fin dentro le ossa, niente mi potrebbe far stare peggio. Dietro a quegli alberi, a quel muretto di cinta c’è la mia macchina e poi la mia casa dove il mio dolore non dovrà più nascondersi, dove potrò dare sfogo a tutto ciò che provo.
Mi sento strattonare violentemente, presa per un braccio sono costretta a voltarmi su me stessa e lui e lì. La stessa pioggia che mi bagna scorre su di lui, sui suoi capelli e sul suo viso, insinuandosi tra la sua barba e i suoi vestiti.
“Lasciami!” cerco di liberarmi, ma lui è più forte di me e non molla il mio braccio.
“Ti ho detto di lasciarmi!!” questa volta urlo, addirittura lo definirei un ululato, come quelli che lanciano di notte gli animali feriti.
“Non voglio che tu vada via… Non di nuovo!” anche lui parla a voce alta, per sovrastare il rumore della pioggia, dei tuoni e quello della nostra paura.
“Non me ne frega niente di quello che vuoi tu, io sono stanca! Hai capito che sono stanca?”
Lo spingo forte, come per allontanarlo, le mie mani sul suo petto. Continuo a colpirlo ma non posso sperare che la mia forza serva a qualcosa, lui è più robusto di me.
Gli urlo contro tutta la mia rabbia, il mio dolore e non riesco più a smettere di piangere.
“Sono stanca di aspettarti, sono stanca delle tue paure, sono stanca di tutte queste stronzate… di sperare che tu possa innamorarti di me, vattene al diavolo! Io… io…”
Non mi permette di finire, mi prende forte per le spalle, per impedirmi di muovermi, di scappare, si avventa sulle mie labbra con le sue… e finalmente è silenzio. Intorno a noi e nella mia testa.
Rimaniamo così, immobili, per alcuni secondi, mentre l’acqua ci cade addosso e si scatenano i tuoni. Ho paura di muovermi, come se tutto potesse dissolversi in una nuvola caligionosa.
Sento le sue mani su di me tremare, stringermi convulsamente.
Si discosta dalle mie labbra e mi abbraccia, la sua bocca accanto al mio orecchio, mi parla:
“Non so cosa devo fare Sara, solo una cosa so… Non voglio che te ne vada da casa mia, torna dentro, ti prego. Non lasciarmi da solo.”
In qualche modo ci ritroviamo di nuovo seduti su quel divano, senza che io ricordi di aver percorso la strada a ritroso, eppure siamo ancora lì. Avvolti in quella coperta per riscaldarci.
Ascoltiamo il silenzio restando abbracciati, non ho smesso di piangere ma i miei singhiozzi si sono calmati vedendo per la prima volta quegli occhi azzurri farsi lucidi.
Non c’è più nulla da dire, da discutere, per la prima volta Gill ha lasciato che il suo cuore mi parlasse e ora ho le mie risposte, le mie certezze. Mi ha chiesto di restare e per lui questo significa aver preso una decisione… Ha fatto la sua scelta.
Rimaniamo così, in silenzio, abbracciati, scambiandoci i nostri primi baci, senza andare oltre, non questa notte, non è questo il momento per il sesso, non è questo che voglio, non una notte di sesso con lui.
La nostra prima notte insieme la passiamo dormendo stretti uno all’altra su quel divano, avvolti in quella coperta un po’ esotica, la sua testa posata sul mio seno.
E’ lui a svegliarmi il mattino successivo, chiamandomi per nome.
“Cosa c’è Gill?”
“Ti amo anch’io Sara…”
Lo stringo forte a me e sento che è quello il momento di darmi a lui, in questa pallida mattina di sole dopo un temporale. Voglio quest’uomo, il suo corpo, la sua anima, qualunque cosa faccia parte di lui. Voglio essere sua e che lui sia mio. Voglio che lui mi spogli e prenda anche il mio corpo, il cuore me l’ha già rubato tempo fa… So che non sarà sesso, ma amore… e mi basta questo.
Non so dove andremo, che cosa faremo, come sarà la nostra vita, ma ora siamo insieme e questo mi basta. So che non sarà facile, ma non m’importa.
Mi basta che sia mio. Mi basta essere sua.
Gill…
  
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