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Autore: Flying_lotus95    26/12/2022    1 recensioni
[Questa storia partecipa al Calendario dell'Avvento 2022 indetto da Fanwriter.it ]
Akihiko Kaji si ritrova per le strade di Shibuya, la notte della Vigilia. Ha una meta, un locale jazz dove si esibisce Umi, una ragazza con la quale ha instaurato un rapporto complicato.
Sarà il Natale o qualcos'altro a condurlo verso questa "direzione inaspettata"?
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Akihiko Kaji, Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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(Questa storia partecipa al Calendario dell’Avvento 2022 indetto da Fanwriter.it)
 
 
Direzioni inaspettate
 
 
„Sometimes life is like a jazz,
and goes in an unexpected direction“
(Tratto da „Sakamichi no Apollon”)
 
 
 
Come da tradizione, la sera del 24 dicembre, Akihiko Kaji era uscito dal cenone organizzato a casa della madre con la pancia piena e l'aria distrutta.
L'aria fresca della sera gli accarezzò il viso dandogli sollievo agli zigomi tirati.
Aveva dovuto sorridere ai parenti che non vedeva da anni, intrattenere i cugini e i nipotini più piccoli, correndo a destra e a manca per evitare che si facessero male, aveva giocato a tombola e perso contro il nonno, quel vecchio marpione...
Era stata una bella serata, dopotutto.
L'indomani gli sarebbe spettato il pranzo con il padre e la sua nuova compagna, in un ristorante poco lontano da Shibuya. Si sarebbe prospettata una situazione sicuramente molto più intima rispetto alla cena avvenuta soltanto poche ore prima.
Ma quelle poche ore di libertà Akihiko avrebbe voluto ugualmente trascorrerle in pace, lontano da tutto e da tutti, riprendendo i contatti con sè stesso, magari gustandosi un drink e fumandosi un American Spirit in grazia di Dio. Nonostante fosse in condizioni alquanto discutibili.
Sentì il cellulare vibrare in tasca mentre passeggiava sul marciapiede, tentando di non inciampare nei bambini che correvano come matti avanti e indietro.
Sul display del telefono, lesse il nome del suo migliore amico, Haruki Nakayama.
«Pronto?» rispose Akihiko, passandosi una mano sulla faccia. Cammuffò magistralmente uno sbadiglio nel mentre.
«Ehi, Aki! Ritsuka voleva sapere se domani sera ci sei per la cena che hanno organizzato lui e Mafuyu» disse Haruki con il suo solito fare cordiale e accomodante.
Akihiko non riuscì a controllare il sorrisino che gli si era stampato in volto, spontaneo.
Da quando quei due avevano fatto coming out, non c'era stato un solo momento che non avessero trascorso insieme. Akihiko era stato felice per Mafuyu, non aveva passato un bel periodo a causa del precedente fidanzato, un tossico che lo trattava peggio di uno zerbino e lo intimoriva in un modo che Akihiko aveva giudicato piuttosto rivoltante.
Ritsuka gli era stato vicino, lo aveva aiutato a superare quel momento, si erano fatti forza a vicenda, nonostante le intromissioni costanti dell'ex di Mafuyu. Vi era stato anche un pestaggio, in cui Aki si era messo in mezzo per difenderli.
Adesso stavano insieme da un mese, e il 25 dicembre avrebbero festeggiato il loro primo mesiversario. Vero, era un tempo relativamente breve, ma era comunque la coronazione di un obbiettivo. Un obbiettivo che Akihiko, forse, aveva intravisto giusto un anno fa, la notte del 24 dicembre...
«Allora? Non puoi parlare perchè sei ancora a casa di tua madre?» chiese Haruki, a voce un po' più alta. In sottofondo si sentiva un gran frastuono, sicuramente era al locale del suo amico Koji, a fare qualche tombolata o qualcosa di simile.
«No no, sono uscito» replicò Akihiko, mettendosi la mano nella tasca del giubbino nero.
«Comunque ovvio che ci sono» obiettò, senza mezzi termini.
Haruki fece un verso di approvazione dall'altra parte del telefono.
«Allora ti conviene mandare un messaggio a Ritsuka. Hai dato una risposta così vaga l'ultima volta...» sottolineò Haruki, rimproverando velatamente l'amico.
Akihiko strinse i denti a quella constatazione. In effetti in quelle ultime settimane era stato alquanto evasivo: dicembre per lui era sempre stato un mese controverso. Il mese delle feste e della stanchezza, un mese che preannunciava promesse che poi sfumavano all'alba come fumo. Erano anni ormai che Akihiko si sentiva deluso da dicembre e dal Natale stesso, nonostante lo vivesse sempre al pieno delle sue forze, impegnandosi al massimo per divertirsi e rendere tutto più semplice anche ai suoi genitori ed amici.
Erano anni ormai che Akihiko non si aspettava più nulla dal Natale e dalle feste in generale. L'unica costante positiva che ricorreva ogni anno erano appunto gli amici, sempre presenti e sempre pronti a trascinarlo lontano dai pensieri che il quotidiano gli infliggeva senza pietà.
Se non ci fosse stata la musica e la band fondata con i suoi amici, Akihiko non avrebbe saputo davvero come affrontare l'anno che accingeva a lasciarsi alle spalle.
«Gli manderò un messaggio più tardi, o domattina» dichiarò allora, tirando su col naso.
Haruki produsse un altro verso di consenso.
«Vuoi passare al locale? Stiamo facendo la tombolata con i ragazzi» lo invitò poi, più dolce nella voce.
Akihiko apprezzò l'invito, ma per quella sera aveva in mente altri piani.
«Grazie, ma passo. Voglio farmi un giro per Shibuya, ho bisogno di aria» affermò, stirandosi le spalle, intorpidite dal freddo.
Haruki sbuffò una risata attraverso l'apparecchio.
«Speri di rivedere lei?».
Haruki l'aveva buttata lì per scherzo, per prenderlo un po' in giro.
Ad Akihiko, invece, gli si era fermato il cuore per un minuto che gli era parso infinito.
Quel lei nella sua testa aveva assunto un'identità ben precisa...
Il batterista non si era aspettato di essere un così libro aperto, ma da Haruki avrebbe dovuto aspettarselo. Era sempre stato capace di prevedere le sue mosse, di leggerlo dentro meglio di chiunque altro. Aveva conosciuto i suoi demoni e non li aveva giudicati, si era limitato ad osservarli, a comprenderli, nonostante la voglia di interferire fosse sempre presente, vigile. Se Haruki non aveva ancora messo bocca nelle questioni di Akihiko, era stato semplicemente per tatto. A volte temeva che, finendo fuori controllo, l'amico avrebbe potuto raggiungere un livello di non ritorno...
«Ma che dici? Lei chi?» domandò Akihiko, cercando di sviare l'argomento.
Haruki sogghignò, sicuro di sè.
«Ah, se non lo sai tu...» scimmiottò, poi rise di nuovo, coinvolgendo anche Akihiko.
«Se dovessi incontrarla per caso, magari invitala domani sera alla cena di Ritsuka e Mafuyu. La vogliamo conoscere anche noi la tua ragazza misteriosa».
Akihiko avvampò a quelle parole. Non si spiegava come facessero i suoi amici ad essere così ricettivi. Neanche la miglior spia del mondo sarebbe stata in grado di decifrarlo, o almeno questo era ciò che il biondino tutto piercing e sigarette riteneva della sua persona: probabilmente era molto più sgamabile di quanto gli piacesse ammettere.
«Seh, vabbè!» tagliò corto allora Akihiko, allentandosi la sciarpa intorno al collo, fino ad aprirsela totalmente sul maglioncino scuro. «Sognate pure, comari!» punzecchiò, alzando un sopracciglio.
Haruki rise, poi lo salutò, chiudendo la conversazione. Akihiko guardò per l'ultima volta il display dello smartphone prima che si oscurasse. Sullo sfondo vi era un disegno stilizzato del suo disegnatore preferito - il suo tratto ricordava moltissimo Schiele - di una donna che suonava un sax, coperta soltanto da un manto morbido di capelli castani.
Ad Akihiko ricordava tantissimo lei.
Si chiamava Umi, i suoi capelli erano esattamente di quella lunghezza quando l'aveva incontrata la prima volta. L'aveva sentita lamentarsi spesso dei suoi capelli in quei mesi, anche del proprio fisico in realtà. Akihiko non aveva speso molte parole a riguardo, probabilmente avrebbe dovuto farlo, per darle maggior sicurezza. L'unica cosa su cui invece era davvero sicuro era sul fatto che, nel vederla esibirsi sul palco, a cantare canzoni jazz come Autumn Leaves, Nature Boy, The Girl from Ipanema la trovasse irrimediabilmente irresistibile, impeccabilmente sè stessa.
Quel locale jazz dove lei amava esibirsi, quello accanto alla stazione della metro, lo considerava un po' come casa sua, un rifugio dall'oppressione che il quotidiano le arrecava un giorno sì e l'altro pure.
Akihiko aveva scorto in Umi un suo simile, un gatto randagio che era alla continua ricerca di un posto nel mondo, esattamente come lui.
Ed era lì che Akihiko era diretto quella sera.
Voleva tornare a respirare, voleva sentirla cantare ancora.
 
 
Il locale aveva le luci soffuse e addobbi natalizi ovunque, i camerieri e le cameriere indossavano il classico cappellino rosso col papillon di Babbo Natale, scorrazzando a destra e a manca per i tavoli neri tirati a lucido.
Akihiko si guardava intorno senza troppa aspettativa, avanzava a piccoli passi nell'elegante ingresso mentre un pianoforte suonava una sinfonia jazz che si disperdeva tutta intorno nella sala. Stranamente da come aveva immaginato, Akihiko constatò che il locale non era così pieno come si era aspettato. Probabilmente avrebbe fatto il pieno la sera del 31, per aspettare tutti insieme la mezzanotte. Avrebbe quasi voluto proporre ai ragazzi di passarlo lì Capodanno, in tutta tranquillità, seduti al tavolo, a bere e scherzare, invece di andare in discoteca a ballare fino alle prime luci dell'alba. Ormai Akihiko sentiva di non avere più l'età per fare quelle cose.
Era dai tempi del liceo, precisamente dal divorzio dei suoi genitori che andava a trascorrere quasi tutte le sere in discoteca a ballare e a rimorchiare ragazze per farsi ospitare da loro al ritorno. Akihiko aveva condotto quella vita sregolata fino a quando non si era unito a Ritsuka, Mafuyu e Haruki. Insieme a loro, i fantasmi del passato serpeggiavano lontano, concedendogli spazio senza sentirsi poi minacciato.
Immerso nei suoi pensieri, improvvisamente sentì il presentatore della serata richiamare l'attenzione del piccolo pubblico con piccoli colpetti dati al microfono.
«Tzà, tzà, prova, prova!» fece il presentatore, non doveva avere più di trent'anni. Akihiko puntò tutta la sua attenzione su quel palco.
Il ragazzo esordì in vari convenevoli, provocando i sorrisi del pubblico, tra cui anche quelli imbarazzati di Akihiko.
Dopodiché presentò il programma della serata, e quando Akihiko sentì il suo nome, non potè fare a meno di aprire il volto in un sorriso incontrollato, sincero.
Umi apparve in tutto il suo splendore, indossava un vestitino nero che le fasciava il corpo con grazia, mettendole in evidenza le forme in modo sensuale. Poi aveva un paio di stivaletti neri borchiati e una giacca di pelle nera abbondante che sembrava le stesse addosso come un mantello.
Non si era messa le lentine - Akihiko ricordava che le detestava - gli occhiali dalla montatura sbarazzina la rendevano più piccola di quanto in realtà non fosse.
Ma quando iniziarono le note di Sway, il locale intero si ammutolì di colpo, restando incantato a sentire la sua voce. Una voce graffiante, ballerina, particolare.
Ad Akihiko ricordava un misto tra Dolores O'Riordan e Shakira. Quando si esibiva nello stile jazz, la ragazza sembrava totalmente nel suo mondo, a suo agio, tranquilla.
Akihiko qualche volta l'aveva accompagnata con la batteria, non dimenticando di prenderla sempre un po' in giro. Stuzzicarla lo divertiva parecchio, anche perchè adorava le sue risposte pacate ed impacciate. La musica li aveva avvicinati, e li aveva resi complici, molto complici.
Si lasciò andare così a quella musica, socchiudendo gli occhi e ondeggiando la testa a ritmo, sentendosi leggero, improvvisamente su di un altro pianeta.
 
 
Il concerto jazz durò una mezz'ora bella intensa. Il pubblico era rimasto estasiato da quell'esibizione. Akihiko, fermo in un angolino vicino al bancone, braccia conserte e piede poggiato su un gradino dello sgabello lì di fianco a lui, si era goduto la performance di Umi incantato, guardandola con un sorrisetto beffardo.
La seguì poi con lo sguardo verso il bancone, proprio quello dove lui si era appoggiato. Continuò a fissarla, anche se lei sembrò non notarlo affatto, probabilmente apposta. E Akihiko sapeva che in qualche modo se lo era meritato.
«Me lo fai un Angelo Azzurro, Klaus?» ordinò gentilmente la ragazza, poggiando il mento sul palmo della mano curata. Un sorriso sulle labbra tinte di rosso scuro le si fece largo in volto.
Akihiko riprodusse quel sorriso involontariamente, sbruffone.
«Per me un Moskow Mule, Klaus» fece poi il biondo, ponendo enfasi sul nome del giovane barista tedesco, ed avvicinandosi alla cantante con aria disinvolta.
Il ragazzo si limitò ad annuire, con convinzione.
Il sorriso della giovane, intanto, si raffreddò leggermente nel ritrovarselo accanto.
Akihiko raccolse quell'espressione come un guanto di sfida.
«Non volevo smorzare il tuo entusiasmo, bambolina» la prese in giro, strofinandosi la punta del naso con l'indice.
«Non chiamarmi così» lo riprese lei, con voce monocorde, piatta.
Akihiko si sistemò meglio sullo sgabello, aprendosi leggermente il giubbino sull'addome, coperto dal maglioncino nero. Lei buttò fugacemente l'occhio, arrossendo. Akihiko se ne accorse, ma preferì sorvolare.
Klaus nel frattempo aveva poggiato il drink della ragazza sul bancone, accennandole un sorriso che venne prontamente ricambiato.
«Giovane, il mio drink!» sottolineò Akihiko mellifluo, intromettendosi sfacciatamente tra i due, con tanto di sciocco di dita. Il barista straniero ritornò sui suoi passi, mentre la ragazza cominciò a sorseggiare dalla cannuccia il suo Angelo Azzurro.
Akihiko avvicinò cautamente il viso verso il suo, poggiando la guancia sul pugno chiuso.
«Sei arrabbiata» e la sua non era stata una domanda, ma un'asciutta conferma.
Lei lo guardò di sbieco, fugace.
«Smettila» lo zittì lei, con il solito tono pacato.
«Umi...» Akihiko tentò di allungare una mano per afferrarle il polso, lentamente.
«Lasciami in pace!» si ritrasse lei, un po' brusca.
«Ma alla fine sono venuto a vederti, no?» esclamò allora l'altro, mettendo su un'espressione eloquente.
Umi, in tutta risposta, gli diede totalmente le spalle, girandosi dalla parte opposta. Spostò anche il drink nella sua direzione, evitando così qualsiasi contatto diretto con il batterista.
Akihiko rimase interdetto, ma non si stupì più di tanto.
L'ultima volta che si erano visti si era comportato come un perfetto stronzo con lei.
Rimase così a fissarle la schiena, come ormai aveva imparato a fare da quando avevano iniziato quella frequentazione segreta, il più delle volte mentre erano sdraiati a letto nudi, tra le coperte sfatte.
Intanto Klaus lo ridestò dai suoi pensieri, poggiando con tanto di sottobicchiere il Moskow Mule sul bancone. Akihiko gli rivolse un sorriso tirato, accompagnato con un cenno della mano.
«Ehi» cercò di richiamarla, allungando due dita verso il suo giubbotto.
Umi percepì quel tocco attraverso la stoffa spessa del giubbino, drizzando lievemente la schiena.
Più che arrabbiata, Umi si sentiva affranta, delusa. Quei mesi assieme ad Akihiko erano stati belli, dolci, speciali a modo loro.
Si erano conosciuti il Natale dell'anno precedente, Umi si era esibita prima dei Given, la band di Akihiko. Non era stato proprio un bel primo incontro il loro: Umi non lo aveva sopportato con quella sua aria arrogante e punzecchiante. Akihiko gli era finito addosso e non si era nemmeno scusato, le aveva soltanto rivolto un'occhiolino sfrontato. Era bastato quel gesto per renderselo nemico nel giro di quattro secondi netti.
Si erano poi rincontrati nei giorni successivi, a dei festival musicali a cui avevano partecipato entrambi, e ad altre serate in cui si dovevano esibire entrambi con i loro rispettivi pezzi. Ma ben presto quell'antipatia iniziò a scemare lentamente, Umi si era sentita sempre più attratta da quel batterista dall'aria sfacciata e la voce profonda e sensuale.
Finché, in un pomeriggio di aprile, all'uscita di un cinema, non si sono scambiati il loro primo bacio. Tempo due settimane e fu piuttosto naturale per entrambi approfondire quel legame.
Ufficialmente non erano una coppia, nè si consideravano tale: per Akihiko era semplice distrazione e divertimento, per Umi una coccola personale. Ma col trascorrere del tempo le esigenze erano iniziate a cambiare e ad assumere forme diverse. E Akihiko si era accorto di quel cambiamento ancora prima di Umi; lo aveva percepito dalle sue carezze, dai suoi sorrisi e teneri baci che gli dedicava dopo ogni momento intimo, e nel modo in cui si stringeva a lui dopo l'amore, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo, per nascondere gli occhi lucidi e il sorriso incontrollato che si vergognava di mostrargli.
Akihiko se n'era accorto comunque, e aveva cominciato a raffreddarsi, a ritrarsi sempre più da lei, fino a quando, poco prima di Natale, alla sua richiesta di trascorrere anche un solo giorno delle vacanze insieme, lui le aveva risposto con un secco "no".
Umi allora non aveva più insistito, non aveva più chiesto nulla. Il loro rapporto si era freddato bruscamente.
E al batterista si era aperta una strana voragine nello stomaco, come se un'imminente sensazione di vuoto lo stesse inviluppando nell'oblio contro ogni suo controllo.
Per la prima volta aveva avuto paura di perdere qualcuno, era stata una sensazione che aveva avvertito forte e chiaro, istintivamente.
«Umi?» la richiamò ancora, picchiettando l'indice sul suo giubbino. Umi rimase stoicamente ferma, mordendosi l'interno guancia. Avrebbe voluto mandarlo a quel paese, scacciarlo, ma moriva dalla voglia di far la pace con lui, nonostante tutto. Anche se Akihiko non sarebbe tornato sui suoi passi e non avrebbe mosso un dito per smuovere quella strana situazione creatasi tra loro.
«Sei stato già abbastanza chiaro» dichiarò allora, voltandosi soltanto per poggiare le mani sul suo drink. Akihiko non smise di fissarla, dimenticando il suo Moskow Mule a sgocciolare sul bancone.
«Volevi solo spassartela, e va bene così. Ma io non me la sento di continuare in questo modo. Pensavo di volere anch'io un qualcosa di leggero, ma a quanto pare ho frainteso alcuni tuoi gesti e parole, e ho pensato.... ho pensato che ci stessimo avvicinando... ma le mie amiche hanno ragione, sono solo una stupida» constatò Umi, giocherellando con la cannuccia e un cubetto di ghiaccio.
Akihiko si umettò le labbra, colpevole.
Aveva rifiutato quel suo invito innocente soltanto per paura. Paura che quella loro storia si tramutasse in qualcosa di più serio ed importante.
«In questi giorni ti ho pensata» commentò lui, a mezza voce e sguardo basso.
Umi emise un verso gutturale, che voleva somigliare ad una risata sarcastica.
«Però non mi hai scritto» sottolineò lei, alzando un sopracciglio.
Akihiko si sentì punto nel vivo, colto alla sprovvista.
«Avresti potuto farlo anche tu» si difese, un po' offeso.
Umi allora lo fissò di sottecchi, aveva gli occhi poco truccati, ma l'ombretto sfumato le rese gli occhi ancora più luminosi di quanto già non fossero di per sè.
«Non dovevo essere io a scriverti, ti pare?» commentò poi, con ovvietà.
Akihiko sentì qualcosa montargli in petto. Che fosse fastidio, nervosismo o semplice dolore non seppe spiegarselo.
«Sono qui adesso, però» affermò, con la voce più calma del suo repertorio.
Umi avvampò, e non seppe se era stato per il nervoso accumulato o dettato invece da un'insolito sollievo. Quello stesso sollievo che aveva provato fra le sue braccia tante volte in quei mesi.
«Lo vedo» convenne Umi, imbronciata. Akihiko le si avvicinò piano, avvicinando il viso con aria da finto innocente quale, indubbiamente, non era.
«Sono venuto per fare la pace» esclamò dolcemente, scostandole una ciocca di capelli rossicci dalla fronte.
Umi abbozzò un sorriso senza volerlo, mantenendo lo sguardo basso, per tutelarsi.
«E ad augurarti Buon Natale di persona» continuò il batterista, poggiando la guancia sul pugno chiuso mentre continuava a fissarla, cercando il suo sguardo.
Ma quando Umi alzò gli occhi verso di lui, il tuffo al cuore Akihiko lo avvertì ugualmente.
«Sei proprio uno stronzo» commentò lei, non riuscendo più a trattenere il sorriso che la sfrontatezza gentile di Akihiko le stava procurando.
«Hai ragione» fece lui, sempre più vicino. Le punte dei loro nasi si sfiorarono appena.
«Casa mia o casa tua?» propose poi, facendole l'occhiolino.
A quel punto Umi rise, stralunando gli occhi.
«Nessuna delle due, ho il party prenatalizio a casa di Aoi, sorry» esclamò, prendendo a sorseggiare nuovamente l'Angelo Azzurro.
Akihiko si ritrasse allora, ma con il sorriso sulle labbra.
«E suppongo di non essere invitato» chiosò, con aria ilare e divertita.
Umi gli rivolse uno sguardo a sua volta divertito.
«Se ti vede Kazuko non posso promettere niente sulla tua incolumità» alzò le mani lei, stridendo i denti.
Akihiko arricciò il naso al pensiero di scontrarsi di nuovo con la ragazza del suo coinquilino e amico d'infanzia Toshio.
Non che la strigliata di capo non se la fosse meritata, infondo.
«Allora mi tiro indietro, ma lo faccio solo per te» dichiarò Akihiko, alzando le mani in segno di resa.
Umi rise più liberamente a questa battuta, immaginandosi la scena che si sarebbe ipoteticamente consumata sotto ai suoi occhi.
Nel frattempo, delle voci familiari si fecero sempre più vicine, intente a parlottare tra loro. Umi si girò e con un cenno della mano richiamò il gruppetto verso di loro, allegra.
La prima della fila, mêches bionde e cappottino color lilla confetto, saltellò alla volta di Umi, a braccia aperte. Il ragazzo lì di fianco a lei arrancò, trafelato.
«Umi-senpai!» esclamò la ragazza, abbracciando Umi con trasporto evidente.
«Aoi-chan!» sussultò la ragazza, rispondendo calorosamente all'abbraccio.
«Ehi Aki!» si sentì a sua volta chiamare Akihiko da una voce monocorde e tremendamente familiare. Toshio aveva alzato una mano compostamente in segno di saluto.
Il ragazzo ricambiò, sbilanciandosi dallo sgabello. I due si salutarono, scambiandosi i reciproci auguri di buon Natale. Al fianco di Toshio, una ragazza dai capelli ricci e castano chiari era appoggiata a lui, con un braccio stretto attorno alla sua vita, che lo guardava torva e interdetta.
Akihiko si sentì il suo sguardo addosso, peggio di un fucile carico puntato contro, pronto per sparare tutte le sue cartucce.
«Kazu-chan» la vezzeggiò il batterista, alzando la mano in segno di saluto.
La ragazza, per tutta risposta, con le braccia incrociate sotto al seno, rispose con un verso di disgusto.
«È ancora arrabbiata con te» sottolineò Toshio, con il suo solito fare schietto e asciutto.
«Sì, ho visto» sospirò Akihiko, dando una pacca sulla spalla dell'amico. Intanto Kazuko - la fidanzata di Toshio - si era avvicinata ad Aoi e Umi, con fare da mamma chioccia protettiva.
Ma nel vedere il sorrisino sospetto della seconda, Kazuko addolcì di poco lo sguardo.
«Ti ha chiesto scusa il bifolco?» mormorò Kazuko, sistemandosi gli occhiali sul naso con un gesto elegante della mano.
Umi per poco non scoppiò a ridere a quell'epiteto, con Aoi che guardava entrambe interdetta. Non era stata ancora aggiornata sugli sviluppi, probabilmente avrebbe poi chiesto delucidazioni ad Ahiru, un'altra loro amica, più tardi al party. Tra loro non vi erano mai stati segreti.
«Più o meno» fu la risposta di Umi, un po' impacciata. Kazuko non commentò oltre, buttando ogni tanto lo sguardo verso i due ragazzi, intenti a chiacchierare tra loro. Nel frattempo si era aggiunto anche Nobuto, amico di Aoi, di cui Umi sospettava da tempo che tra i due si fosse instaurato qualcosa di più profondo.
«Mica abbiamo interrotto qualcosa?» chiese Toshio, corrucciandosi. Akihiko sbuffò una risata leggera.
«Nulla d'importante» lo ragguardì, grattandosi la nuca. «Mi ha detto del party» commentò soltanto.
Toshio si voltò verso le tre ragazze e Nobuto, intente a chiacchierare.
«Dopo averti fatto la partaccia, Kazuko non ha risparmiato neanche me» commentò a sua volta Toshio, restando paradossalmente serio. Qualsiasi altra persona a quella frase sarebbe rimasta stupita, ma non Akihiko, che conosceva quel ghiacciolo del suo coinquilino da una vita. Toshio e suo padre gli erano stati accanto durante il periodo del divorzio dei suoi, Akihiko lo considerava un fratello a tutti gli effetti, un porto sicuro dove rifugiarsi dalle tempeste e dai pericoli.
«Ehilà, chicos!». Un ragazzo spuntato dal nulla li afferrò sotto braccio, stringendoseli contro con trasporto. Akihiko e Toshio finirono inevitabilmente schiacciati contro il suo petto. «Mirio! Che piacere rivederti!» esclamò il primo, con la faccia semischiacciata.
«Ci stai soffocando!» constatò Toshio, semischiacciato anche lui. Il biondino tinto li liberò dal suo giogo, strofinando forte i palmi sulle loro spalle.
«Aki, allora! Vieni anche tu alla festa di Aoi??» chiese Mirio allegro, le festività lo mettevano sempre di buon umore, non che gli altri trecentosessantaquattro giorni dell'anno non fosse poi così vispo e buon tempone con tutti. Da quando poi si era fidanzato con Ahiru, Mirio era diventato ancora più spensierato e positivo. Aveva trovato la sua anima gemella, il suo pezzo di cuore disperso nel mondo. E anche se ormai Akihiko a quelle storie non ci credeva più, era contento tutto sommato di vedere che intorno a lui l'amore pullulava indisturbato. Mafuyu, Ritsuka, Toshio, Mirio... Akihiko era felice per tutti loro. Soltanto verso sè stesso sentiva ormai di non meritare più nulla.
«Non è stato invitato» rispose Toshio, piatto come al solito. Akihiko annuì alle sue parole, umettandosi le labbra.
«Ma meglio così, infondo. Sono reduce dal cenone con mia madre e parenti» dichiarò poi, e non ci fu bisogno di aggiungere altro. Mirio aveva stretto i denti a quella notizia.
«Beh, peccato amico! Sarebbe stata una buona occasione per chiarirti con Umi» commentò Mirio, con aria mogia. E mentre Akihiko rispose facendo spallucce, Toshio lo rimase a guardare come se Mirio avesse appena detto una sciocchezza.
«Ma guarda che hanno già chiarito!» rispose infatti, placido nella sua verità. Akihiko e Mirio lo fissarono straniti, e nel frattempo anche il gruppetto che si era formato lì accanto si fermò ad ascoltare.
«Oh, ma è fantastico! E allora perchè non puoi-»
«Sebbene questo soggetto è amico di lunga data del mio ragazzo, non gli è permesso mettere piede alla festa. Ho posizionato trappole anti-infami per tutta la casa!» intervenne Kazuko, con l'aria di cui non ammette repliche o commenti ulteriori, alzando il mento con vanto tutto femminile.
Toshio rimase di stucco alle sue parole.
«Ma se la festa non si fa a casa tua, come hai fatto a piazzare trappole per tutta la casa?» chiese innocentemente, sgranando gli occhi. Akihiko e Mirio li guardarono con un principio di risata mal contenuta.
Kazuko, dal canto suo, si portò due dita alla fronte.
«Voglio dire, hai chiesto il permesso ad Aoi di-»
«Era una battuta, Toshi!» precisò Kazuko, inarcando un sopracciglio.
«Fai certe domande...» commentò poi, alzando gli occhi al cielo.
Toshio aprì la bocca leggermente, annuendo con aria persa.
«Quindi Akihiko non rischia la vita se viene da Aoi stasera?» chiese ancora, seriamente preoccupato per l'incolumità dell'amico. Kazuko si dovette mordere il labbro per non urlargli contro di essere un totale cretino, a volte.
«Cinque anni di relazione... chi me l'ha fatto fare?!» disse tra sè e sè, massaggiandosi una tempia. Fu Umi ad andarle in aiuto, poggiandole dolcemente le mani sulle spalle.
«I lati positivi. Pensa ai lati positivi. Uno ce l'ha nei pantaloni» le sussurrò birichina, guadagnandosi uno schiaffetto leggero sulla mano dall'amica.
«Stessa testa, tu e l'infame!» bisbigliò, irritata, indicando impercettibilmente col capo Akihiko, che in quel momento era distratto dalle chiacchiere sconclusionate di Mirio. Umi rise, e non potè darle torto, a riguardo. Lei ed Akihiko erano incompatibili, terribilmente diversi, ma così vicini a volte da sembrare incredibilmente simili. Per questo con lui Umi si era sentita bene, compresa. A lei i demoni di Akihiko non avevano fatto paura, perchè si ci era rivista in pieno, era stato come guardarsi allo specchio e restare ad ammirarsi i difetti, fino ad arrivare ad amarli. Li aveva accolti ed abbracciati, pensando di non farlo sentire troppo solo. Ma erano stati due stupidi, avevano giocato allo stesso modo, illudendosi a vicenda.
«Ragazzi, scusate il ritardo!». Una ragazza con un bel vestito rosso e il cappotto verde scuro arrivò a passo svelto, irrompendo tra i ragazzi.
Mirio la vide e le sorrise, raggiungendola. Non disse una parola, si limitò a sistemarle una ciocca di capelli dietro l'orecchio, lasciandole un bacio sulla fronte.
«Ahiru! Sei arrivata finalmente».
La giovane appena arrivata avvampò, ma sorrise di cuore nel sentirsi così vezzeggiata dall’euforico fidanzato.
Tutti restarono colpiti nel vederlo così improvvisamente pacato e contenuto. Era come rapito dalla sua ragazza, e quella visione colpì un po' tutti, in modi totalmente diversi.
Toshio ne approfittò per prendere la mano di Kazuko, stringendogliela forte. Lei ricambiò la stretta, abbozzando un sorriso. Avrebbe voluto dirgli che era bello, che era il più bello di tutti la' in mezzo, ma si limitò a poggiare la guancia sul suo braccio. Gli avrebbe detto quelle parole in un altro momento, probabilmente più intimo, più loro.
«Credo sia arrivato il momento di andare» tagliò corto Aoi, prendendo per mano Nobuto, che acconsentì prontamente alle alle parole. Ben presto tutti seguirono Aoi a ruota, soltanto Umi restò indietro, trattenuta da Akihiko per il polso.
«Domani sera... Ritsuka e Mafuyu organizzano una cena. Mi piacerebbe, ecco... ci verresti con me?».
Akihiko dovette chiamare a raccolta tutte le forze di cui era capace per chiedergli quella semplice richiesta.
Non era stato tanto per accontentare Haruki e gli altri, più che altro voleva zittire le sue paure e i suoi timori una volta per tutte. Voleva affidarsi ad Umi totalmente, testa e cuore. Nonostante l'incompatibilità di mezzo.
Umi lo guardò per qualche minuto, con i suoi occhi grandi, velati di perenne imbarazzo.
«Scrivimi stasera. Poi ci penso» e si liberò gentilmente dalla sua stretta, celandogli alla vista un sorrisetto malandrino.
Akihiko la vide allontanarsi, con il cuore che gli galoppava forte in petto.
«Tieni il telefono acceso» disse ad alta voce, sperando di richiamare la sua attenzione. Umi si voltò soltanto per rivolgergli un sorriso enigmatico.
E Akihiko sentì quel vuoto rimpicciolirsi sempre più, riempito dalla luce di quel mezzo sorriso, che avrebbe potuto significare tutto o niente.
Con le mani in tasca, riprese a sorseggiare il suo Moskow Mule, non smettendo di sorridere neanche un attimo.
E intanto un'altra canzone jazz si diffuse nel locale, con un ritmo movimentato e piacevole, familiare...


 
   
 
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