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Autore: Challenger    27/12/2022    0 recensioni
Un amore tradito per viverne un altro creduto perfetto. Ma sarà davvero così?
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Una mattina mi svegliai in un’anonima stanzetta d’albergo. Il rumore del traffico penetrava dalla finestra. Guardavo il soffitto bianco pensando a non so cosa, forse al fatto che quella non era casa mia. Un lieve respiro soffiò sulla mia spalla destra; mi voltai da quella parte, con la guancia premuta sul cuscino. C’era Matteo accanto a me. Dormiva su un fianco e sbuffava. Aveva il setto nasale deviato perciò respirava male. Mi disse che era colpa di un suo collega che gli era caduto addosso durante un’esercitazione nei boschi: era un maggiore dell’esercito, proprio come suo padre. Eravamo nudi in un letto di un triste albergo di provincia, la sera prima avevamo fatto l’amore tre volte, credo, forse di più, non ricordo, eravamo ebbri di piacere e alcool. Io non avevo una casa mia dove portarlo — ero tornato a vivere dai miei dopo che Giordano mi aveva cacciato dalla sua — e Matteo aveva una famiglia, una moglie e due figli, quindi da lui era escluso, dovevamo accontentarci di un qualsiasi hotel a buon mercato per poter stare insieme, per poterci amare nella segretezza più assoluta. Guardavo il suo viso sbarbato, le sue lunghe ciglia e le sue labbra che si schiudevano di tanto in tanto per fare uscire l’aria che non trovava sbocco dal naso storto. Mi spostai anch’io su un fianco per contemplarlo ancora un po’ prima che si svegliasse. Per stare con Matteo avevo tradito Giordano, l’unico uomo che abbia avuto il coraggio di amarmi alla luce del sole. L’unico ad aver rinunciato alla sua vita per me. Ed io l’avevo tradito. Matteo, però, era il mio destino. Sapevo fin da ragazzino che era lui l’uomo per me, ci siamo amati fin dal primo bacio che ci siamo scambiati a quattordici anni, circa sedici anni fa, poi lui è partito per l’accademia militare e la nostra storia è finita ancor prima di iniziare, come se non fosse mai esistita. Adesso è tornato, ha ottenuto il trasferimento, il destino ci ha fatti rincontrare e innamorare di nuovo. Non è stata una cosa programmata, non l’abbiamo voluto, è capitato e basta. Io e Matteo abbiamo colto l’occasione al volo, per troppo tempo siamo stati lontani l’uno dall’altro, dovevamo riappropriarci dell’amore che qualcuno ci aveva strappato molti anni prima. Tuttavia, cominciavo ad essere stufo di tutta questa segretezza. Era passato un anno, era giunta ora che Matteo facesse il passo successivo: parlare con sua moglie. Qualche giorno prima, avevo incontrato Giordano con il suo nuovo ragazzo, anzi, dovrei dire ragazzino, sì perché Thomás, questo il nome del bimbo, avrà all’incirca vent’anni o poco più, e di certo un tipetto alternativo come quello non era la persona giusta per Giordano. Giordano non sarebbe mai stato attratto da uno così, prima di tutto per la giovane età — Giordano compirà trentaquattro anni il prossimo novembre — e poi perché non hanno nulla in comune. So che è così perché ho dato una sbirciata ai loro profili su diversi social, e conoscendo Giordano posso dirvi che non sono per nulla compatibili, eppure la loro relazione sembra funzionare, in un modo o nell’altro. Un raggio di sole illuminò la stanza, e la trovai ancor più fredda e squallida. Mi mancava casa mia, casa nostra. Immaginavo Thomás sul divano, abbracciato a Giordano mentre vedevano un film, oppure seduto al tavolo della mia cucina a mangiare i manicaretti di Giordano, o ancora, a farsi la doccia nel mio bagno… o peggio, a fare l’amore con Giordano in quello che era stato il nostro letto. Mi veniva da vomitare al pensiero di quel ragazzino che toccava le mie cose, la mia casa, il mio Giordano. Lo immaginavo seduto accanto a Giordano sulla panca mentre suonava il pianoforte. Lo vedevo girare nudo per casa e sorridere maliziosamente in direzione di Giordano, vedevo Giordano che lo abbracciava e gli diceva che lo amava, li vedevo passeggiare insieme mano nella mano. Giordano mi aveva dimenticato, aveva voltato pagina, io ero un capitolo chiuso. Tornai a guardare Matteo che dormiva placidamente al mio fianco. Lo amavo, eppure, allo stesso tempo lo odiavo. Mi aveva giurato amore eterno, ma non aveva ancora fatto nulla per dimostrarmelo. Mi domandavo quando avrebbe detto la verità alla moglie, in questo modo non ci saremmo dovuti più nascondere, avremmo comprato una casa e vissuto felicemente, vissuto finalmente la nostra relazione senza più bugie. Mi avvicinai un po’ a Matteo, fece una smorfia di disappunto nel sentire il fruscio delle coperte che avevo generato spostandomi acconto a lui, ma durò un secondo, si rilassò immediatamente. Gli sussurrai «ti amo, Matteo», e ne approfittai per fargli una carezza sul viso, lui non era amante delle effusioni, che invece erano tanto care a Giordano. Una volta, per caso, lo vidi accarezzare con il pollice la guancia di Thomás; mani e dita che una volta accarezzavano me. Quei gesti di tenerezza che un tempo erano riservati soltanto a me, ora erano diventati proprietà di qualcun altro. Matteo aprì gli occhi all’improvviso, quasi avesse percepito i miei pensieri. «Buongiorno» mi disse con un sorriso sulla bocca. «Buongiorno a te» gli dissi, sorridendo a mia volta. Amavo i suoi grandi occhi azzurri. «Che ore sono?». «Le otto e trenta» risposi, guardandolo negli occhi, avevo controllato l’ora dieci minuti prima. Si sollevò svelto e urlò: «cazzo, è tardi!» e scese rapidamente dal letto. Lo guardai attonito, poi dissi: «calmati, abbiamo ancora tempo. Possiamo stare ancora un po’ insieme». «No» disse lui freddamente «devo tornare a casa, i bambini oggi hanno la recita scolastica». Rimasi male, speravo di passare un’altra mezz’oretta con lui prima di separarci e tornare a far finta di non conoscerci. «Possiamo almeno vederci oggi pomeriggio?» chiesi speranzoso. Per sbaglio aveva indossato le mie mutande, ma non glielo dissi, almeno una parte di me sarebbe andata via con lui. Infilò i pantaloni prima di rispondere: «non lo so» poi tirò su la lampo «ti faccio sapere». Era voltato di schiena, la cosa mi ferì profondamente. «D’accordo» sospirai rassegnato. Seduto sul letto, coperto solo dal lenzuolo di cotone, aspettavo che mi dicesse altro, magari qualche parolina dolce prima di sparire e dimenticarsi di me. Ma non accadde. Solo dopo aver indossato la camicia e le scarpe si degnò di voltarsi. Mi guardò, uno sguardo strano, forse arrabbiato o dispiaciuto, non saprei davvero dirlo. «Ti chiamo dopo, ok?» mi disse, forse per rassicurarmi. Annuii senza dire nulla, sinceramente non avevo voglia di parlare con lui. «Dico davvero, ti chiamo. Vedo se riesco a sganciarmi» sorrise. Salì sul materasso, mi diede un bacio sbrigativo e scivolò via. «Ma certo» sorrisi, ma avrei voluto mandarlo al diavolo. Si abbassò ai piedi del letto per raccogliere lo zaino con dentro l’uniforme, aprì la porta e la richiuse dietro di sé. Aveva appena sbattuto la porta in faccia alla sua vergogna.
   
 
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