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Autore: Sweet Pink    27/12/2022    4 recensioni
Impero Britannico, 1730.
Saffie Lynwood e Arthur Worthington non si potrebbero dire più diversi di così: freddo quanto implacabile giovane Ammiraglio della Royal Navy lui, allegra e irriverente ragazza aristocratica lei. Dire che fra i due non scorre buon sangue è dire poco, soprattutto da quando sono stati costretti a diventare marito e moglie contro la loro stessa volontà e inclinazione!
Entrambi si giurano infatti odio reciproco, in barba non solo al fatto di essere i discendenti di due delle più ricche e antiche famiglie dell'Impero, ma pure alla vita che sono sfortunatamente costretti a condividere.
Eppure, il destino non è un giocatore tanto prevedibile quanto ci si potrebbe aspettare, poiché sono innumerevoli i segreti che li tengono incatenati l'uno all'altra; segreti, che risalgono il passato dei Worthington e dei Lynwood.
E se, con il tempo, i due nemici si scoprissero più simili di quanto avrebbero mai immaginato, quale tremendo desiderio ne potrebbe mai derivare?
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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Questa è la rappresentazione di me quando, a Ottobre, ho detto che sarei riuscita a mantenere la scadenza mensile: *INSERIRE IN QUESTO SPAZIO L'IMMAGINE DI UN INTERO CIRCO PIENO DI PAGLIACCI CHE BALLANO*

Malgrado le mie parole da pagliaccia, giuro di aver trascorso dei mesi difficili, tanto che non nego di aver incontrato delle difficoltà anche nella redazione di questo capitolo, scritto lentamente, ma controllato diverse volte.

Vi fermerete con me in fondo alla lettura? Io sarò nel mio angolino!

(*w*)/




CAPITOLO DICIANNOVESIMO

LA CODARDIA DEL DOTTORE, LA CRUDELTÀ DELLA SIGNORINA PERBENE



§



Prima di lei



Erano tutti stupidamente convinti che fosse stato semplice crescere un bambino senza madre; allevare il figlio di un amore proibito e disperato, la cui nascita non solo aveva segnato per sempre il destino di due famiglie, ma aveva infine causato la morte dell’unica donna che avesse suscitato in lui un sentimento tale da stravolgere ogni regola del loro mondo. Per la prima e unica volta in vita sua, aveva osato ignorare le volontà ferree del padre adottivo, pagandone le crudeli conseguenze.

Siete stato graziato dalla vostra miserabile fortuna e ancora avete la presunzione di voler entrare in casa mia” aveva detto cinque anni prima un glaciale Duca Alastair, il giorno in cui Benjamin si era fatto vedere nella tenuta dei Lynwood, pretendendo che gli facessero vedere Amandine. “Oh no, voi vivrete con la consapevolezza della vostra immensa inferiorità; una vita senza mia figlia, ma con la presenza costante del peccato che avete commesso.”

Ricordando le parole sprezzanti dell’uomo, a Benjamin Rochester venne da pensare che – probabilmente – quel demonio bastardo del padre di Saffie avesse pianificato già allora il matrimonio fra Arthur e la sua Amandine.

Voi e questa creatura non metterete mai più piede nel Northampton. Sappiate: non vi sto elargendo una grazia, dottore, ma bensì la vostra punizione divina.”

Oh, all’inizio continuare a vivere era stato un vero e proprio inferno. In fondo, era un ragazzo di ventuno anni appena compiuti, in compagnia di un neonato che piangeva ogni santo giorno e della sola prospettiva di finire in uno stato di vergognosa indigenza, peggiore di quella da cui Simeon l’aveva sollevato quando i suoi veri genitori erano deceduti. Per il bene suo e del bambino, Benjamin aveva dovuto decidersi a rientrare nei ranghi della Marina Britannica, accettando la salvezza che per la seconda volta Worthington gli aveva offerto; una mano tesa nella sua direzione e che l’aveva sottratto dalla disperata voglia di distruggere qualsiasi cosa avesse intorno a sé.

Perché era insostenibile, ovviamente, il dolore provocato dal sapere Amandine per sempre lontana da lui e dal piccolo Ben.

Era stata Teresa ad aver scelto il nome del figlio del dottore. Durante i lunghi mesi di traversata, infatti, Benjamin si era letteralmente immerso nel suo ritrovato lavoro, mentre il bambino era stato lasciato alle cure maldestre dei marinai e di un Capitano Inrving inaspettatamente paterno; persino il giovane Commodoro Worthington, di tanto in tanto, passava a dare un’impassibile occhiata al neonato senza nome. Solo il medico di bordo pareva non curarsi del suo stesso figlio e, anzi, non sprecava mai parola alcuna su di lui, né si era preso la briga di spiegare da dove fosse saltato fuori.

Forse per rispettare questa muta volontà, o per chissà quale altra oscura ragione, Arthur non aveva fatto cenno con il fratello dell’argomento e, alla stessa stregua delle Lynwood, una incancellabile riga nera era stata tracciata sul lungo periodo in cui i due fratelli si erano allontanati.

Come poteva parlare con qualcuno, quando gli era impossibile anche solo volgere lo sguardo sul piccolo di cui Amandine gli aveva fatto dono?

Benjamin sentiva di aver paura di affrontare il bambino e tutto ciò che poteva comportare crescerlo, amarlo. Tra le braccia di emozionati uomini di mare da troppo tempo lontani dai loro figli, la minuscola creatura che agitava in aria le manine, scalciava con le sue gambe paffute, non era altro se non il costante ricordo di ciò che l’uomo aveva fatto ad Amandine.

Troppo doloroso immaginarla rinchiusa e sola, in attesa che la crudeltà del Duca la mettesse tra le disgustose mani di qualche sua ricca conoscenza.

In questo modo codardo il medico di bordo aveva ignorato la presenza del piccolo ed era sbarcato a Kingston, abbandonandolo alla Zuimaco, davanti agli occhi esterrefatti di una indignatissima Teresa Inrving. Malgrado la donna di colore avesse fatto più di un tentativo per convincerlo a prendersi le sue responsabilità di padre o, almeno, fare una qualche sporadica visita a Ben, nessun intento era riuscito a smuovere l’impassibile distacco dietro cui l’uomo aveva nascosto la sua dolorosa paura.

Erano in questa maniera passati i primi mesi di vita del figlio di Amandine; un figlio che, nel profondo, Benjamin ardentemente amava e aveva desiderato come suo. Eppure, ancora, il ricordo delle ultime parole di Alastair Lynwood era il solo suono che continuava a ronzare ininterrottamente nella sua mente e fra i suoi pensieri, avvelenandogli un’anima a pezzi.

Aveva gli stessi occhi turchesi della donna amata, il suo vergognoso peccato mortale.

No, si era detto il medico, il senso di colpa era un macigno di tale portata, che solo rifuggendo negli asettici quanto pressanti doveri della sua professione poteva sperare di trovare il barlume di un qualcosa che assomigliasse vagamente alla pace. Così, i giorni si erano accavallati l’uno sull’altro e tutti uguali, caratterizzati da un senso di vuoto e di una quiete anestetizzata, ma mai reale; questo suo stato di fredda sopravvivenza risultava ancora più evidente nei rari momenti in cui la sfortuna gli concedeva del tempo libero: era ormai andato perduto, il conto di tutte le volte che i soldati di Rockfort avevano mandato a chiamare il Commodoro Worthington con urgenza; gli occhi iniettati di sangue di Benjamin Rochester si alzavano sulla porta spalancata ed ecco che il tanto perfetto e celebrato fratellastro faceva la sua muta comparsa, entrando nella stanza con un’espressione di rabbiosa severità stampata sul viso da demonio.

Complimenti. Hai di nuovo distrutto ogni cosa” commentava tutte le dannate volte Arthur, girando appena il capo castano da una parte all’altra della camera, prima di piegare le gambe e chinarsi su di lui, gli occhi smeraldini immobili e duri come lo sarebbe stata una pietra. “È questo il genere di uomo che hai deciso di essere, mentre il marmocchio cresce senza suo padre?

Oh, lo ricordava ancora, il modo atroce in cui il suo stesso viso si era trasformato in un ghigno sprezzante e osceno, al solo udire le parole colme di superiorità di colui che per diritto di nascita poteva avere ogni cosa. “Sei qui per punirmi, Implacabile?” aveva quindi ribattuto, schioccando la lingua e quasi ridendo, infine allungando un braccio pallido sul ginocchio e abbandonandosi con le spalle alla parete, i lunghi capelli biondi che – selvaggi – ricadevano sul petto fasciato da una logora camicia bianca. “Quanto deve essere orgoglioso nostro padre di te e della tua perfezione; quanta, quanta gioia devono portargli le notizie del sangue versato dal figlio che conosce solo la morte!”

Benjamin aveva riso subito della sua stessa presa in giro, giudicandosi un patetico sciocco reso crudele dall’alcool e dal senso di colpa che, in effetti, continuava a impedirgli di fissare i fermi occhi verdi di un Worthington dall’espressione indecifrabile.

Sei ubriaco” aveva sentenziato dopo poco quest’ultimo, scuotendo la testa con fredda rassegnazione, prima di rialzarsi in piedi e aggiungere dall’alto del suo arrogante sprezzo: “Non ho alcuna intenzione di perdere tempo a combattere contro la tua stupida autocommiserazione; non quando ti devo venire a recuperare in questo disonorevole stato.”

“Ah! Chiedo perdono a Sua Eccellenza il Commodoro per averlo strappato dai suoi numerosi impegni giornalieri!”

Arthur gli aveva lanciato una glaciale occhiataccia di sbieco, senza però sprecare un solo fiato per ordinare a due sottoposti rigidamente sull’attenti di rompere le righe e sollevare di peso il corpo scarno del fratello. Era bastato solo un suo lieve cenno del capo, ed ecco che i due giovani soldati si erano staccati dalla porta con un gesto secco, impassibili come due statue di marmo. Un lieve “Oh!” liquoroso era uscito dalle labbra di Benjamin, mentre veniva messo sulle gambe a forza, obbligato ad affrontare la silenziosa e incrollabile determinazione del cosiddetto Generale Implacabile.

Qui non si tratta solo del tuo dolore, ma c’è molto di più in gioco” aveva commentato poi il Commodoro, avvicinandosi a lui e prendendogli il viso fra le mani abbronzate, quasi volesse inculcargli nella testa le parole che si apprestava a dire. “Non ti è concesso il lusso di pensare a ciò che ti sei lasciato alle spalle, adesso. Dimenticalo, fratello. Dimenticalo o distruggerai ogni sacrificio che nostro padre ha fatto per noi.”

Se non fosse che lui, al contrario di Arthur, non aveva mai posseduto un abisso a cui tornare. In cui nascondersi.

Per te” lo aveva corretto immediatamente il dottore, aprendosi in un lieve sorrisetto, tanto inquietante quanto disperato. Fra le ciocche dei suoi capelli biondo cenere, le dita di Worthington cominciavano a tremare dal nervosismo e Benjamin aveva ben compreso di star facendo leva su un nervo scoperto. “Stai parlando dei sacrifici che ha fatto per te, degli sforzi che ha sempre compiuto per preservare la strada che con tanta spietatezza tu hai scavato, arricchendoti di potere e denaro, ma solo dispensando morte. Nostro padre finge di non vederlo, ma sa benissimo quanto tu sia giorno dopo giorno sempre più simile a Hector.”

Hector, il Grande Diavolo che divora ogni cosa.

A ripensarci negli anni a venire, Benjamin si era domandato molte volte come esattamente Arthur fosse riuscito a mantenere una presenza di spirito tale da non ucciderlo sul posto. Non che allora gli sarebbe poi importato molto di morire a causa delle sue terribili parole di ubriaco; no, inutile mentire: al tempo, nemmeno il piccolo Ben l’avrebbe smosso quel tanto, se la prospettiva era quella di poter incontrare di nuovo Amandine, fosse ella in Paradiso o all’Inferno.

Worthington non l’aveva ucciso quel giorno, ma – Dio – se i suoi occhi chiari non erano diventati quelli di un demonio pronto a farlo a pezzi! L’uomo aveva aggrottato le sopracciglia brune sulle iridi immobili, mentre un taglio disgustato si era formato sulle sue labbra sottili, strette le une contro le altre come se il proprietario stesse facendo uno sforzo immane per trattenersi dal strangolarlo con le sue stesse mani.

Stupido plebeo” l’aveva insultato a sua volta, quasi ringhiando fuori le parole; e a tutti e due era probabilmente parso di tornare agli anni in cui, da bambini, non facevano altro se non riempirsi di ingiurie in continuazione, per grande disperazione di Simeon. Un secondo di pesante silenzio era intercorso fra loro, prima che Arthur mollasse bruscamente la presa e si allontanasse di un passo, aggiungendo solo: “Non ci rimane che sperare Lord Chamberlain si dimostri incline alla misericordia.”

“La testa di quell’uomo è tanto vuota, tanto sono di frivola vacuità i suoi pensieri, che dubito desideri trascinare la nostra famiglia e sé stesso in una situazione disdicevole.”

“È l’influenza che esercita presso il Governatore ciò a cui io guardo con grande attenzione” aveva commentato a sua volta il Commodoro, con freddezza. “Mi sarà utile per raggiungere il mio obbiettivo. Vedi di ricordartene, la prossima volta in cui ci sarà occasione di incontrare lui e, sopra ogni cosa, sua figlia Catherine.”

Un forte spasmo di nauseante paura aveva agguantato in un attimo lo stomaco di Benjamin, tanto da fargli venire l’istinto fugace di rimettere fino all’ultimo litro di liquore ingerito; si era così liberato con uno strattone violento dalla presa degli uomini di Worthington e aveva detto, impallidendo come un cadavere: “Non vedresti i tuoi desideri facilmente esauditi, se fossi tu a sposare la futura Lady Chamberlain?

Arthur stava giusto preparandosi a prendere congedo dal fratello e andarsene dalla stanza che, in un secondo, uno strano turbamento parve inchiodare sul posto la sua possente figura autoritaria. L’uomo si era bloccato a metà del suo movimento, le mani ancora intente a sistemare il bavero del suo cappotto blu, gli occhi anch’essi fermi su un imprecisato punto del pavimento; non l’aveva guardato, il malconcio fratello minore, ma quest'ultimo aveva colto subito il tono di incerta cautela con cui poi lui aveva parlato, quasi il Commodoro fosse incerto su cosa dirgli. “Non rientra nei piani di nostro padre” erano state le parole soffiate fuori dalle sue labbra sottili. “Io non posso sposarla.”

Chissà, se già allora il Commodoro stesse facendo riferimento al patto stretto con il disgustoso Duca Alastair; se, in una qualche strana maniera, Arthur stesse contemplando l’idea di parlargli di ciò che aveva fatto a Saffie Lynwood e le circostanze in cui la loro tragedia stava continuando a prendere forma.

Se in quel momento io e te ci fossimo parlati come due veri fratelli, avremmo potuto trovare una soluzione insieme?

Avresti dimenticato, solo per un istante, l’oscura ambizione che ti divora dentro?

Ovviamente, non era andata in quel modo: Benjamin ricordava di aver abbassato il capo biondo con rassegnazione e Arthur gli aveva voltato le spalle, uscendo dalla stanza rinchiuso nello stesso orgoglio con cui era arrivato. Non si erano parlati più di tanto nemmeno una settimana dopo, quando entrambi erano stati costretti a partecipare alla Grande Soirée che Lord Chamberlain organizzava almeno una volta all’anno non solo per smisurato capriccio, ma anche per ricordare all’intera Kingston chi era l’uomo più ricco e influente dell’intera colonia caraibica.

Qualche giorno prima dell’evento, Worthington aveva assoldato una più che agguerrita Teresa Inrving che, presentandosi nelle stanze del dottore con un nutrito manipolo di servi al seguito, si era data la missione di rendere presentabile il giovane uomo in questione. Benjamin si era infine arreso alle cure della moglie del Capitano Henry ma, di nuovo, rifiutava di ascoltare qualsiasi argomento di conversazione riportasse al piccolo Ben e al suo stato di salute; e si era trattato di uno sforzo in realtà vano: il signor Rochester poteva dire di aver varcato la soglia della tenuta dei Chamberlain come un raffinato gentiluomo dalla bellezza quasi efebica, mentre nella sua mente vorticavano oscuri e ossessivi i pensieri riguardanti il figlio che aveva abbandonato.

Aveva cominciato a bere quasi subito, confondendosi fra la folla in festa ed evitando abilmente ogni conversazione con un affascinante sorriso e un gentile cenno del capo, allontanandosi tutte le volte con una scusa diversa…sospinto da un’inadeguatezza dolorosa sempre più in alto, verso i margini e le stanze abbandonate della casa. Infine, aveva varcato l’ultima soglia, messo piede sopra una terrazza che dava direttamente sull’oscuro orizzonte lontano, ma illuminata dal chiarore soffuso di qualche candela accesa. Stagliata contro un immenso cielo pieno di stelle, la cui scia era di un bianco accecante, stava la figura di lei.

E per un folle attimo, aveva creduto si trattasse della sua Amandine.

Poi il cuore di Benjamin aveva saltato un battito e l’esile figura si era girata di botto, un mare di lisci capelli rosso fuoco che si erano mossi sopra un visetto di capricciosa bellezza, frivolo fascino. “Siete fuggito anche voi, signore?” aveva domandato la ragazza misteriosa, sbattendo due o tre volte le lunghe ciglia rossicce con fare ingenuo. “Sappiate, questo è il mio nascondiglio segreto.”

Non assomigliava per nulla alla madre di suo figlio ma, per contro, un desiderio vergognoso era lascivamente serpeggiato dentro di lui, malevolo. Nauseante.

Questo, infine, il modo in cui aveva incontrato per la prima volta Catherine Chamberlain. Non che nei mesi passati non ne avesse mai sentito parlare, vista l'insistenza con cui Simeon Worthington aveva cominciato a girare attorno all’argomento già da prima del suo lungo soggiorno nel Northampton: suo padre gliela aveva descritta come una fanciulla dai modi impeccabili e di una frivola ingenuità a dir poco disarmante, la cui bellezza non veniva in alcun modo scalfita dai scandalosi capelli color tramonto; fosse nata figlia di un altro ceto sociale, la tonalità della chioma fiammante le avrebbe garantito un’esistenza di riprovazione tale a quella condotta dagli illegittimi. Non che avesse aggiunto troppe informazioni di più, il buon vecchio Simeon, ma aveva domandato con fare vago se Benjamin non avesse in interesse a conoscerla di persona una volta libero dall’impegno preso con il Duca Alastair.

In fondo, quest’ultimo non aveva mai preso in considerazione l’idea di tenerlo presso di sé come medico per sempre.

E allora, Dio, perché hai dovuto mettere sul mio cammino Amandine Lynwood?

Non ci rimane che sperare Lord Chamberlain si dimostri incline alla misericordia.”

Eppure, lei gli aveva subito chiesto quale fosse il suo nome e il suo piccolo viso ammaliante si era aperto in un sorriso pieno di emozione, non appena aveva compreso chi aveva effettivamente davanti. Nessun orgoglio ferito o sconcertata indignazione aveva fatto mostra di sé nell’espressione della ragazza che, al contrario, lo aveva invitato a raggiungerla presso la balconata.

Fra i nebbiosi fumi dell’alcool, Benjamin aveva fatto in tempo a chiedersi se – dopo tutto ciò che era accaduto – Lord Chamberlain non si fosse completamente bevuto il cervello.

Non poteva non sapere del vergognoso bambino che il fratello dell’Implacabile aveva portato via dall’Inghilterra.

Di nuovo, Catherine lo aveva osservato a luminosi occhi spalancati, quasi non potesse credere della presenza dell’avvenente dottor Rochester a pochi metri da lei, ora languidamente appoggiato con le braccia lunghe al balcone di pietra bianca e un intenso sguardo nero rivolto in avanti, verso chissà che terra lontana. Al dottore era parso che la ragazza lo studiasse per qualche titubante secondo, prima di trovare il coraggio di aprire la graziosa boccuccia e dire: “Vi... vi sta piacendo la serata, signore?

Non ricordava nemmeno di averle risposto pure se, di certo, doveva averlo fatto. Dovevano aver scambiato per forza due o tre frasi di rito, formale cortesia, alle quali lui aveva prestato poca attenzione: in verità, dentro alla sua anima a pezzi covava la smisurata paura di una preda che sente le sbarre della gabbia stringerglisi addosso, mentre vorrebbe solo scappare via.

Però più si agitava tra le catene del suo indissolubile dolore, più quest’ultimo si faceva pesante, spaventoso.

Le vostre parole non riflettono affatto il vostro sguardo” aveva commentato ad una certa la signorina Chamberlain, forse corrucciandosi per le beffarde e secche risposte ricevute da lui. “Ho sentito molto parlare di voi, ma non credevo foste il tipo d’uomo capace di mettere una signorina dabbene in imbarazzo.”

Qualcosa in fondo alle sue viscere, forse uno spasmo di irritato fastidio, si era fatto sentire in maniera prepotente e inaspettata, portando Benjamin a voltarsi inconsciamente di lato, il viso pallido di sofferenza ora completamente alla mercé dello sguardo sorpreso della ragazza. “Oh?” si era espresso a sua volta, piuttosto ironicamente, alzando appena l’angolo delle sue belle labbra e risultando senza saperlo ancora più affascinante. “È questo che state dunque sottintendendo? Ammetto di non vedervi particolarmente sconvolta, né imbarazzata.”

A disagio, credo sia la definizione più calzante” erano state le parole uscite subito in risposta dalla bocca di una sveglia e perspicace Catherine che, in ogni caso, continuava a osservarlo a occhi spalancati. “Io sono la figlia di un Lord, non ho bisogno di sottintendere alcunché.

“Sono la figlia di un Duca. Io non ho bisogno di ricattare chicchessia per vedere esauditi i miei desideri.”

Nessuno. Nessuno sarà mai come lei.

Di certo, sarebbe stata una bugia dire che non era stato facile assecondare il suo impulso tormentato, spogliato da qualsiasi filtro a causa dell’alcool. Ricordava di essersi sporto su una Catherine emozionata, di averla imprigionata fra sé e il balcone di pietra e, in un attimo, di aver letto una languida attesa nei suoi occhi color del grano. “Questa vostra bocca da nobildonna pronuncia parole pericolose, signorina” le aveva sussurrato quasi ridendo, mentre il rossore apparso sul volto truccato della ragazza era andato ad alimentare la sua insensata voglia di farla sua, così da poter annegare il ricordo di Amandine e di Ben in quelle belle labbra schiuse. “Non sapete nulla di me.”

“So…”aveva boccheggiato lei, sporgendosi inconsciamente in avanti. “So quello che mi ha detto mio padre. Gli piacete, ma sostiene che siete uno degli uomini più tristi che abbia mai visto.”

“E voi cosa pensate, signorina Chamberlain?”

“Penso che abbia ragione.”

Una risata silenziosa aveva fatto vibrare l’aria fra loro, suggerendo a entrambi che qualcosa di pericoloso stava per accadere. L’espressione da volpe furbastra di Benjamin si era fatta ancora più evidente, tanto quanto era stata concreta la stretta delle mani aggraziate dell’uomo sulla vita di Catherine che, trattenendo il fiato, si sentì attirare seccamente contro l’addome snello del dottore. “Ah, è così?” aveva sussurrato sulla bocca della ragazza, quasi ignaro del tocco delicato delle sue piccole dita tremanti sul petto. “Devo essere come un libro aperto per voi, allora.”

“Siete voi ad averlo detto, non io” gli aveva risposto Catherine a bassa voce, ipotizzata dal movimento della testa bionda dell’uomo che si abbassava sulla sua, portando i loro nasi a sfiorarsi lentamente ed entrambi infine a respirare la stessa aria riscaldata dall’alcool, dall’impazienza. Dall’incoscienza.

Ragazza furba.”

Non aveva aspettato oltre per baciarla con una strana veemenza passionale, portando le loro bocche a contatto con urgenza e insinuando la sua lingua desiderosa fra due labbra morbide, inesperte. Esse si erano schiuse subito per lui e, inutile negarlo, Benjamin avrebbe sempre conservato il ricordo dell’innocente languore con cui Catherine aveva risposto timidamente al suo bacio: una resa piena di delicatezza, che l’uomo non pensava di meritarsi.

Solo un attimo di follia codarda, dove avrebbe potuto uccidere il pressante ricordo di colei che amava.

Come sempre era stato a Kingston, la brezza calda della notte aveva soffiato alta e abbracciato i loro sospiri segreti, nascosto l’inconsapevole gemito sfuggito dalle labbra umide dell’ancora ingenua signorina Chamberlain che, alla stessa stregua di Saffie Lynwood, non aveva mai incontrato l’annichilente disperazione di un uomo in catene. Entrambe, a quel tempo, non avrebbero potuto immaginare quanto crudele si rivelava l’oscurità che essi custodivano.

Oh, ma gli anni a venire avrebbero rivelato a tutti loro la crepa sulla superficie liscia dello specchio.

Immersa nella sua profonda incoscienza di frivola ventunenne viziata, Catherine si era anzi lasciata cadere senza remore fra le braccia dell’uomo di fronte a lei, premendo il piccolo seno contro il suo addome snello e infine socchiudendo appena gli occhi chiari, colmi di non troppo nascosta eccitazione. A pochi centimetri dalla sua bocca affaticata, la luce della luna le rivelava la bellezza di un volto bianco ed efebico, affilato e irreale; pure se, erano gli occhi neri incastonati su quello stesso viso a essere terrificanti: l’intensità di uno sguardo quasi impossibile da sostenere, dietro cui si celavano sentimenti pericolosi e oscuri.

Paura e rancore. Tristezza.

Malgrado l’abbondante alcol in circolo nel sangue e la frustrante pulsione provata nei confronti della fanciulla che suo padre tanto l’aveva invitato a conoscere, Benjamin stesso si era accorto del modo in cui la suddetta signorina lo stava fissando e, non volendo fare i conti con il suo stesso vergognoso stato, aveva quindi deciso di proseguire sulla strada che, in fondo, tutti avevano deciso per lui. Nel profondo, sapeva quanto ciò fosse ingiusto ma, d’altra parte, quale giustizia vi era stata nel perdere Amandine a causa del suo essere un plebeo?

Oh, stupido idiota, devi essere grato. Riconoscente di esserne uscito vivo, dopo aver volontariamente infranto le regole del tuo stesso mondo.

Proseguire, dunque. Non era stato difficile, visto l’infimo e capriccioso desiderio che lo portava a guardare la figlia del Lord con due iridi di fuoco. Dio, era bella oltre ogni dire – tanto da spezzare il cuore di un uomo – ma il dottore era cosciente di starla usando per ben altri motivi; motivi di cui avrebbe dovuto vergognarsi immensamente.

Vedi di ricordartene, la prossima volta in cui ci sarà occasione di incontrare lui e, sopra ogni cosa, sua figlia Catherine.”

Quale giustizia poteva esserci nel dover essere il fratello che non aveva alcun diritto di nascita?

Un gesto impercettibile della testa bionda ed ecco che aveva di nuovo rapito la bocca di Catherine, costretto le labbra contro la sua pelle morbida e profumata, stringendola a sé come se intendesse possederla proprio lì, sulla terrazza di una villa in festa. Chissà, forse sarebbe stato davvero capace di farlo, di scoprirsi così meschino da farla voltare con il petto contro i marmi della balconata e prenderla poi con l’urgenza di un animale fuori controllo, gli esili fianchi prigionieri delle sue mani lussuriose e una marea di onde rosse che si sparpagliavano ovunque nella notte.

D’altronde, non era forse ciò a cui su padre e Richard Chamberlain avevano pensato fin da prima della sua partenza per il Northampton?

Malgrado io sia un figlio di plebei e lei l’unica figlia di un Lord. Questa crudele ironia, beffarda sorte, mi fa venire voglia di distruggere ogni cosa.

La foga del momento non era che l’ennesima dimostrazione di quanto egli potesse dimostrarsi un uomo codardo e infimo, di una ben nascosta indole feroce che, in fondo, non era troppo dissimile da quella del suo tanto perfetto fratello adottivo. Nell’ombra della notte calda, le dita lunghe del medico erano risalite lente sul viso ingenuo di Catherine, scivolando con leggerezza sopra la linea della mascella e infine fermandosi sulle labbra truccate di rosa della ragazza, premendo contro la carne ed esigendo che la bocca della ragazza si schiudesse per lui, per la sua lingua crudele.

Di più e più a fondo. Annega nella mia profonda disperazione.

Cielo, se Saffie di Lynwood e la signorina Keeran Byrne l’avessero visto e conosciuto in quegli indecorosi anni, di certo avrebbero faticato molto a riconoscere nell’uomo di fronte a loro Benjamin Rochester, l’affabile e gentile dottore dell’Atlantic Stinger.

Si-signore, non credo…non credo sia saggio per noi andare tanto oltre. Qualcuno – Dio non voglia mio padre – potrebbe vederci” aveva sussurrato imbarazzata la futura Lady Chamberlain che, riluttante, si era discostata leggermente dall’uomo, pur continuando a premere una piccola mano aperta sulla stoffa della sua giacca intessuta d’oro. “Avremo tutto il tempo del mondo per conoscerci meglio, lo sapete bene.

Benjamin avrebbe sempre ricordato la timida delicatezza del primo bacio di Catherine, mentre non sarebbe mai riuscito a dire con certezza se le parole piene di sciocca speranza di quest’ultima avessero rappresentato una fortuna o una sfortuna: di fronte agli occhi chiari e civettuoli della ventunenne, al suo ammaliante sorriso illuminato dalle poche candele presenti in terrazza, l’uomo si era sentito improvvisamente precipitare al suolo e inghiottire dalla realtà in cui era stato incastrato; di nuovo nei suoi panni di fortunato plebeo che aveva voltato le spalle al suo unico figlio.

È questo il genere di uomo che hai deciso di essere, mentre il marmocchio cresce senza suo padre?

Ancora, nelle vesti del codardo ingrato che non era riuscito a stare al suo posto.

“Io...non posso” le aveva detto alla fine, scrutando in due occhi sperduti, da usignolo ferito. “No” aveva continuato con voce tremante, allontanandosi di un passo da una raggelata Catherine e sentendosi anch’esso preda di dolorosi brividi di terrore. “Non posso farlo.”

Non posso tradire Amandine e Ben, perché questa mia anima a pezzi è tutto ciò che ho.

Ovviamente, le parole del medico erano piombate sulla testa della giovane Catherine come una inaspettata pioggia fredda, di quelle che non si sa bene da dove provengano, in effetti capaci di rovinare una bella giornata di sole. “Ma io…io non capisco” era stato il commento esitante della ragazza, un pietoso pigolio che aveva squarciato sia i rumori della festa in svolgimento sotto di loro, sia il cuore pieno di colpa del signor Rochester. “Io credevo…mio padre ha detto che anche voi eravate d’accordo.”

Oh, quanto, quanto si era rivelato lo stesso impulsivo e stupido idiota che aveva compromesso Amandine Lynwood.

Negando qualsiasi risposta a una signorina Chamberlain sull’orlo delle lacrime, Benjamin si era agilmente voltato di spalle e aveva cominciato a incamminarsi a grandi passi in direzione dell’ingresso di casa, il cuore che batteva violento dentro alla sua carcassa di gentiluomo mancato. La sua figura alta e snella aveva quasi raggiunto la soglia della porta, se la presa feroce di cinque piccole dita non l’avesse trattenuto sul posto: in un attimo silenzioso e fatale, Catherine aveva raggiunto l’uomo e si era aggrappata lui, stringendo la mano attorno al suo polso ossuto.

“Se…se è la questione della reputazione a preoccuparvi!” aveva esclamato d’un fiato la ragazza dai capelli rossi, sorpassando il signor Rochester e piazzandosi davanti a lui, così da sbarrargli la strada. “A me non importa niente delle vostre origini! Né…né che abbiate già un figlio da un’altra donna!”

Non poteva esserci frase più sbagliata, più fatale. Forse l’ingenua signorina Chamberlain aveva voluto assicurarsi la fiducia e il rispetto dell’uomo al centro delle fantasticherie che suo padre le aveva inculcato nella testa, ma niente poteva cancellare la disgustosa natura dal rapporto che le loro famiglie stavano cercando di costruire, convenientemente ignorando l’esistenza dei due anni precedenti.

Eppure sono esistiti e mi hanno dato un figlio. Il mio piccolo Ben, che mai potrò abbandonare per davvero.

Così Benjamin aveva distrutto in una notte il cuore giovane e allegro di Catherine Chamberlain.

Io l’amo” aveva sentenziato quindi in tono di pietra, sia ignorando il sussulto stupito della ragazza, sia trascurando volontariamente il fatto che quest’ultima sapesse della sua situazione di padre di un bambino illegittimo, ancora non riconosciuto. “Il mio cuore e la mia anima apparterranno eternamente alla madre di mio figlio.”

Un muto secondo e il cielo s’era fatto più nero, prima che la scia rossa d’un fuoco d’artificio salisse dritta nel cielo, fischiando e scoppiettando allegramente. Una stella di luci dorate era poi esplosa e Benjamin si era inchinato di fronte alla figlia del Lord, i capelli biondi che andavano a nascondere un viso privo di emozione, freddo e indifferente.

“Perdonatemi.”

Non le aveva detto null’altro.

Il dottore aveva sceso le immense scale di marmo e se n’era andato dalla festa, scappando da una folla di manichini imbellettati che non s’erano nemmeno avveduti di lui e del suo dolore; finalmente conscio del luogo dove avrebbe veramente voluto stare, determinato a raggiungere la Zuimaco ad ogni costo, quasi ne andasse della sua stessa vita. Una volta raggiunto l’ingresso della bianca tenuta coloniale e superato fisicamente la furia di una Teresa Inrving costretta a destarsi alle quattro di un fresco mattino, Benjamin si era precipitato nella stanza dove il piccolo Ben dormiva beato e ne aveva raggiunto il lettino quasi correndo, incespicando sui suoi stessi passi.

Il tempo di stringere fra le braccia il corpo della creatura sua e di Amandine, di crollare in ginocchio e piangere, che Catherine non esisteva più nella sua mente. Nulla contava più del suo fragile figlio, un bel niente importava tanto quanto il tenerlo in braccio e sentire contro la guancia il tocco della sua pelle morbida e profumata di talco, l’udire distintamente i suoi vagiti confusi e un poco spaventati.

“Non avete un minimo di tatto, signor Rochester” aveva sentenziato seccamente Teresa Inrving, dopo uno sbuffo pesante. La donna di colore – che se ne era stata per un po’ad osservarlo dalla porta con due penetranti occhi da mamma orsa – si era avvicinata alla sagoma elegante dell’uomo, ancora inginocchiata sul pavimento e sconvolta dai singhiozzi. “Sembra che abbiate deciso quale strada percorrere d’ora in avanti.”

Benjamin aveva allora annuito una volta sola, proprio come avrebbe imparato a fare suo figlio negli anni a venire.

Quella ragazza è davvero bella da spezzare il cuore, ma io non sono che un codardo dall’anima a pezzi.

“Forse mi converrebbe fuggire oggi stesso e portare con me Ben” aveva osservato il dottore, voltandosi con un mezzo sorriso in direzione della donna in piedi dietro di lui. “Perché stavolta non ho alcuna intenzione di assecondare i piani di mio padre e del mio caro fratellastro.”

Le mani grandi di Teresa si erano chiuse subito, due pugni stretti contro i fianchi giunonici della moglie del Capitano, mentre quest’ultima alzava il mento sdegnosamente, fissando il viso affilato di Benjamin con uno sguardo terrificante. “Non sottovalutate il pesante tormento di Simeon Worthington, né l’affetto che nutre nei vostri confronti. Continuate a dimenticare le volte in cui vi ha teso la mano.”

Già. Ancora una volta, non mi rimane che sperare nella misericordia degli altri.

Alla fine, Lord Richard Chamberlain si era rivelato realmente un uomo di frivola vacuità, i cui interessi stavano unicamente nel vivere nel suo bel mondo di mobili d’oro e passeggiate a cavallo, senza che interferenza alcuna potesse intaccare la reputazione del suo nome e, con essa, lo stile di vita che per generazioni la sua famiglia aveva condotto. Era bastata una semplice visita per risolvere il tutto: l’Implacabile in persona si era recato nella tenuta del suddetto omuncolo, portando con sé una lettera redatta dall’Ammiraglio Worthington e trattenendosi giusto il tempo di un tea formale, di cortesia; una volta finito il colloquio, Arthur aveva potuto incontrare Benjamin e comunicargli di essere un uomo finalmente libero di fare ciò che più gli piacesse, purché promettesse di servire esclusivamente sotto il suo comando da quel momento in avanti.

Il bel contrappasso atto a espiare i suoi errori passati.

Al contrario del Duca Alastair, Richard Chamberlain non aveva scelto la via della crudeltà, ma bensì sorvolato sul dolore della giovane figlia con il solito superficiale atteggiamento di chi è capace di insabbiare facilmente ogni problematica. La purezza della sua unica figlia era rimasta intatta; il resto era solo un piccolo ostacolo sulla strada tracciata per lei.

La pietà del Lord aveva anche messo a tacere con la forza le lettere che Catherine era riuscita a inviare alla Zuimaco di nascosto: inchiostro inumidito dalle lacrime, parole che Benjamin non riusciva a leggere per davvero, carta destinata a finire in mille pezzi sul pavimento lucido.

“Perché non avete mai risposto a nessuna delle mie lettere?”

L’ultima frase che lei aveva sprecato sull’argomento, indirizzandosi a lui con un tono stravolto dalla sofferenza e dall’umiliazione. La ragazza aveva aspettato con tenacia che il dottore tornasse dalla sua prima missione alle dipendenze del Commodoro Worthington ed era riuscita a intercettarlo al suo arrivo al porto, lanciando infine uno sguardo spaventato sul bambino alle spalle di Benjamin, che se la ronfava beatamente tra le braccia di una balia assunta per l’occasione.

“Non so di cosa stiate parlando, signorina Chamberlain” aveva risposto brevemente il signor Rochester, rinchiudendosi nell’atteggiamento freddo e distante che le avrebbe sempre riservato. “Prendo congedo. Vi auguro una buona giornata.”

Aveva sorpassato il suo corpo da piccola principessa senza aggiungere altro, ignorando il colpo al cuore che il ritrovarsela davanti all’improvviso gli aveva procurato ma, anzi, proseguendo passo dopo passo sul sentiero che aveva scelto per sé stesso.

Non importa a quanto dovrò rinunciare, a chi dovrò obbedire, se posso vivere insieme a Ben.



§



Dopo di lei

Grande Soirée del 1730




Una lunga serie di passi in avanti, compiuti senza la vera e propria coscienza di star vivendo per davvero ma, in fondo, continuando a camminare solo in memoria del sacrificio di Amandine e di ciò che ne era stato generato: Ben, il figlio che non sarebbe mai dovuto esistere, reale incarnazione del peccato mortale che aveva stravolto l’esito degli eventi, forzato il corso di un destino già scritto nel libro delle loro vite da prigionieri.

Eppure, non sono riuscito a fermarmi.

Senza battere ciglio, ma bensì immobile come una fredda e altera statua, il dottor Rochester spostò pigramente lo sguardo vuoto sul corpo minuto e scosso dai brividi di Catherine Chamberlain, evitando così di indagare più a fondo sia le colpe del suo passato da vergognoso plebeo, che la paura improvvisa in cui erano annegati gli occhi nocciola della ragazza.

Sapevo molto bene che avrei dovuto obbedire a mio padre e aspettare pazientemente la moglie decisa per me. Non avrei dovuto nemmeno guardare Amandine, figurarsi innamorarmi di lei.

La giovane di fronte a lui si strinse nelle spalle con forza e non smise di tremare nemmeno per un attimo, quasi non riuscisse ad abituarsi alla presenza di Benjamin nella stessa maledetta terrazza. Quasi non riuscisse a credere che, dopo quattro anni, l’uomo fosse venuto a cercarla.

Amare Amandine Lynwood mi ha strappato l’anima in pezzi; eppure, ancora, non sono riuscito a fermarmi.

E ora si trovava lì, a raccogliere i risultati di ciò che aveva seminato o, per meglio dire, i cocci rotti dei suoi imperdonabili errori.

Il sole tanto tiepido quanto dolce del primo mattino sorse alle spalle di Catherine; un disco d’oro che incendiò la chioma rubina della ragazza, ed egli fu obbligato a riportare la sua attenzione sull’espressione atterrita del suo visino solitamente sprezzante.

“Perché non avete mai risposto a nessuna delle mie lettere?”

Il senso di colpa del fratellastro di Arthur continuò a rimanere sullo sfondo di una indifferenza impressionante, ma questo non stava a significare che esso fosse in realtà meno presente nella mente di quest’ultimo. “Per comportamento intendo, come ovvio, la vostra spaventosa arroganza e invadenza nei confronti della signora Worthington” fu la frase piatta che uscì dalle labbra gelide di Benjamin, apparentemente deciso a fornire precisazioni sulle parole che poco prima aveva pronunciato e che erano rimaste ad aleggiare fra loro, nell’aria di quella fresca giornata. “Non che intendessi altro, sia chiaro” aggiunse il dottore, monocorde.

“A me non importa niente delle vostre origini! Né…né che abbiate già un figlio da un’altra donna!”

Dopo un piccolo sussulto sorpreso, le spalle esili di Catherine caddero verso il basso, tradendo così una delusione che quest’ultima avrebbe voluto rimanesse nascosta agli occhi dell’uomo di fronte a lei. Pure se, piuttosto bizzarro, le iridi con cui la ragazza lo stavano fissando erano specchio di una frustrazione cristallina, mortale.

Seriamente” commentò infine la presuntuosa Lady Chamberlain, il cui tono di voce era tremulo e fragile come una foglia mossa dal vento. Anche Catherine, in fondo, poteva dire di sentirsi attaccata debolmente a un sottile ramo; l’ultimo barlume di superficiale orgoglio che la tratteneva dal cadere al suolo e rivelare così all’impassibile signor Rochester la vera sé stessa…la donna patetica e sciocca che continuava ad amarlo senza alcuna speranza. “Seriamente?!” ripeté quindi, forzando le sue belle labbra in un sorriso di frivola presa in giro. “Chi siete voi, signore, per poter dire come comportarmi nella mia stessa casa?”

Tu, l’uomo che ha rubato la mia allegra spensieratezza e poi mi ha detto di aver dato il suo cuore a un’altra, stravolgendo il mio mondo pieno di ricchezza.

Oh, di certo, quella lontana notte di quattro anni prima aveva rappresentato una vera lezione; perché niente, da allora, era più rimasto lo stesso: la sua viziata esistenza fatta di bei nastrini e leziosi belletti colorati non era che la farsa dietro cui si celava una vita ben più crudele. Ingiusta.

“Siete altro, se non un fortunato plebeo?” aggiunse allora Catherine, inacidita, ricacciando indietro odiose lacrime e disgusto per sé stessa; a diversi metri da lei, il dottore non batté ciglio e, per questo, la ragazza si detestò ancora più intensamente. “No. Ringraziate io non abbia deciso di allertare i domestici per farvi sbattere fuori.”

Le parole vibranti di finto sdegno ricaddero nella noncuranza di un muto ghigno, ossia quello che deformò appena i lineamenti affilati di Benjamin. L’uomo sogghignò leggermente e sul suo bel volto candido apparve un’espressione di scetticismo evidente: non pareva essere stato toccato in alcun modo dall’insulto della figlia di Richard ma, al contrario, agli occhi di quest’ultima il viso del dottore risultò tale e quale al muso di una inquietante volpe divertita.

“Entrambi sappiamo che non farai nulla del genere, signorina Chamberlain” asserì il signor Rochester, il cui tono si fece freddo e pericoloso, nel qual mentre egli si incamminava verso il centro della terrazza, portando la sua figura snella a poca distanza dalla giovane dama che continuava con tanta stupidaggine a sprecare il suo amore per uno come lui. Il tutto, perché egli aveva ceduto alla follia di una calda notte stellata, dove aveva creduto di poter uccidere il ricordo di Amandine con altre labbra in attesa delle sue; ed era stato talmente codardo da parte sua sparire nel nulla, quasi quel momento di passione reciproca non fosse mai esistito.

Decidendo sì di assumersi finalmente le sue responsabilità di padre, ma infine fuggendo di nuovo dalle conseguenze di ciò che aveva commesso.

Sono io, lo sporco plebeo che ha continuato a condannare tutti con le sue disgustose azioni, Catherine compresa. A causa mia, la storia di ognuno è stata riscritta.

Un sorriso distante si palesò sulla bocca del medico ed egli pensò bene di annegare il suo rivoltante senso di colpa continuando il discorso per cui, in fondo, aveva deciso di affrontare la vanitosa figlia del Lord; colei che – da sempre – vedeva lontana anni luce da lui.

Un abisso incolmabile e senza fine la distanziava da Amandine.

“Infine, il mio fratellastro sembra essersi stancato di voi e della vostra insistente attenzione” disse quindi Benjamin, con finta soavità. “Io stesso devo riconoscergli di aver dimostrato una qual certa pazienza nei confronti dei vostri capricci; ma stasera avete oltrepassato il limite, signorina.”

Catherine spalancò tanto d’occhi e un rossore violento rese il suo volto bianco latte del tutto paonazzo, fulminato da una vergogna che la giovane fu fin troppo brava a nascondere dietro un contegno tra i più offesi. Due sottili sopracciglia ramate si abbassarono di botto, aggrottandosi sopra due iridi lucide di rancore: poteva dirsi lo stereotipo dell’aristocratica frivola e altolocata, ma questo non significava lei fosse anche un sciocca; d’altronde, aveva colto al volo a chi Rochester stesse facendo in realtà riferimento, nel suo parlare di limiti superati.

Non l’aveva nominata direttamente, la perfetta Saffie di Lynwood, ma Catherine non aveva affatto ignorato il turbamento con cui gli occhi desiderosi dell’Implacabile si rivolgevano a lei, né l’affettuosa tenerezza che il dottore dimostrava a più riprese nei suoi confronti. Una gentilezza, uno sguardo aperto e disponibile, che la ragazza dai capelli rossi aveva segretamente desiderato e non era mai riuscita a ottenere, vista e considerata l’indifferenza con cui gli occhi del medico si erano in quegli anni soffermati su di lei.

Un amore non suo, l'impietoso fuoco che aveva consumato interamente l’ingenua allegria della sua giovane anima.

Oh, considerò Catherine, rigurgitando altra acida e insopportabile rabbia, se ripensava a quanto ardente era stato il desiderio di poter incontrare l’avvenente figlio adottivo di Simeon Worthington!

“Padre, è dunque vero che il dottor Rochester è ritornato dal Vecchio Mondo? Oddio, sono così curiosa di scoprire se è bello e malinconico tanto quanto dicono!”

In un atroce secondo, la futura Lady Chamberlain si sentì sospingere all’indietro, inghiottire dalle nebbie di un’altra Grande soirée, ed ella nemmeno si accorse di aver compiuto un risoluto passetto in avanti. Il suo piccolo corpo da principessa si mosse da solo, sporgendosi verso un Benjamin ancora di pietra, mentre lei decideva finalmente di controbattere: “Quale curiosa e assurda pretesa la vostra, dal momento che sembrate avere un talento naturale nell’oltrepassare i limiti per poi fuggire via!”

“Questa vostra bocca da nobildonna pronuncia parole pericolose, signorina

E, ovviamente, il ghigno soddisfatto che arricciò le labbra scarlatte della ragazza andò pari passo con l’improvviso stupore che s’impossessò delle iridi oscure di un Benjamin ritornato – anche lui – al ricordo di un passato scomodo; un tempo che avrebbe voluto dimenticare o, per la precisione, riscrivere dall’inizio.

“Ho amato una sola donna nella mia vita… Farlo mi ha strappato l’anima in pezzi.”

Aveva superato il confine che per niente al mondo avrebbe dovuto valicare. Eppure, ancora, non era riuscito a fermarsi.

“Con quale arrogante superiorità osate venirmi a rimproverare? Con che titolo?” continuò Catherine, quasi gridando fuori le parole, ma puntandogli addosso due occhi accesi come un campo di grano in fiamme. “Avete sputato in faccia alla vostra fortuna, all’accordo concesso dal mio sciocco padre, nell’istante in cui vi siete dimenticato del posto che occupate nel mondo!”

Ed era talmente smaniosa di rigurgitare la sua rabbia repressa addosso al dottore, la bella e malvagia signorina Chamberlain, che nemmeno si accorse di quanto lei stessa non sembrasse più l’altezzosa figlia di Lord Richard, né di quanto in profondità Benjamin Rochester stesse precipitando. In fondo, pensò la ragazza, che importava se ora impazzivano entrambi, dopo quattro anni di soffocante non detto?

Come se riportare ogni cosa alla superficie servisse per fare in modo che lui si accorga di me, dimenticando così quella donna morta.

“La codardia è l’unico abito che vi sta bene addosso, malgrado continuiate a travestirvi da gentiluomo” rincarò allora la dose Catherine, ben decisa ad annientare i soffocanti sentimenti nutriti per l’uomo che si era preso la briga di parlarle dopo anni solo per tutelare Saffie Worthington; così, chiuse le dita a pugno e si chinò in avanti, affrontando l’espressione a dir poco tremenda dipintasi sul viso affilato del dottore. “Siete un codardo le cui azioni hanno portato solo disgrazia. Tutti credono il Generale Implacabile un uomo senza pietà o scrupolo alcuno ma, in realtà, siete voi il fratello più crudele dei due.”

Perché sono io la donna che ha ingenuamente aspettato di poterti incontrare. Sono sempre stata io, la donna a cui avresti dovuto giurare amore eterno.

Dal canto suo, Benjamin ascoltava impotente le parole letali della giovane Chamberlain, infine riconoscendosi incapace di opporsi o reagire all’ondata di sprezzo che quest’ultima gli stava riversano addosso. Anzi, si ritrovò anch’egli preda di glaciali brividi sottopelle, solido rancore, perché non c’era divinità alcuna che potesse salvarlo dalla verità di quelle maledette labbra rosse.

Non tentare un uomo disperato.

Una folata di brezza calda scompigliò i suoi lisci capelli biondi e glieli mosse appena sul viso smorto mentre, nella luce della pigra mattinata, apparve Amandine e lo sguardo di disperata tristezza che aveva offuscato un meraviglioso color turchese: come se si fosse trattato di quello stesso istante, Benjamin la vide voltarsi di scatto e correre via, sparire fra le ombre della tenuta dei Lynwood.

“…se non fosse per le notizie che portava con sé! È dunque vero che vostro padre sta pensando di accasarvi nel prossimo futuro, signor Rochester?”

Le parole affettate e frivole di una maliziosa Lottie Middleton.

Poi, nel buio della notte, aveva forzato la gabbia della bella colomba e, così facendo, dato il via a un fato che non aveva riguardato solo lui.

L’immagine di Arthur e Saffie si costituì nella mente del dottore che, sul serio, poté quasi percepirlo dentro di sé, il tormento di quelle due anime imprigionate tra gli stretti fili – le pesanti catene – forgiati dalla indifferente malvagità dei loro ricchissimi padri. Un legame crudele che Benjamin stesso aveva in principio iniziato a plasmare con simile noncuranza, senza fermarsi a pensare alle conseguenze.

Pure se, alla fine, i primi figli dei Worthington e dei Lynwood avevano dimostrato di conoscere molto bene le gabbie in cui dimoravano, mentre il figlio dei plebei non aveva alcun abisso a cui tornare per nascondersi.

Così, ogni colpa o peccato si trovò svelato nelle dolci e calde ore che seguirono alla Grande soirée; una giornata piena di sole accolse Catherine e il dottor Rochester, contrastando in maniera stupefacente con la violenza male controllata dei due che vi erano immersi.

Complimenti. Hai di nuovo distrutto ogni cosa.”

La figlia del Lord ancora lo fissava immobile, gli occhi pieni di lacrime e i capelli che ardevano al vento; tanto odiosamente bella e desiderabile, quanto ormai lontana dalla ragazzina ingenua che aveva incontrato per la prima volta su quella stessa terrazza. Aveva violato una bocca che sapeva di liquore e speranza, godendosene il sapore, ma poi scappando di nuovo di fronte al limite che aveva superato.

Una volta superato il limite, non si può più tornare indietro.

Ora, a distanza di così tanto tempo, Benjamin osservò di nuovo le deliziose labbra di Catherine schiudersi e pronunciare frasi pericolose, poiché esse minacciavano di spalancare le porte che davano su una strada morta e sepolta, inaffrontabile. Onnipresente, il cui nome veniva taciuto.

“Amandine Lynwood, Amandine Lynwood e ancora – sempre! – Amandine Lynwood” fece ad alta voce la signorina Chamberlain con voce isterica e tremolante, strizzando al contempo gli occhi per impedirsi di piangere, ma in questo modo parendo solo una bambina capricciosa. “Quattro anni fa mi avete detto che il vostro cuore e la vostra anima le sarebbero appartenuti in eterno; e da allora continuate a volgere lo sguardo altrove…lontano, sopra un orizzonte inesistente che non potete raggiungere! Anche quando era in vita non potevate farlo! La sorella della signora Wor…”

“…il suo nome.”

Fu un mormorio basso e monotono ma, oh, se la sfumatura di freddo disprezzo che vi era contenuta non servì ad ammutolire Catherine all’istante: la ragazza alzò gli occhi sorpresi su quelli del dottore e impallidì di botto, indietreggiando inconsciamente verso la balconata. “Co-cosa?” riuscì a sbottare, balbettando in maniera patetica; e si sentì perduta, poiché le iridi nere di Rochester erano spaventose da guardare.

“Ho detto: il suo nome. Non ve l’ho mai rivelato, non è vero?” ripeté atono Benjamin, da parte sua avvicinandosi pericolosamente alla signorina Chamberlain con lunghi passi cadenzati e tranquilli, che risuonarono sui marmi del pavimento come una condanna a morte. “Voi conoscete la storia di Amandine. Chi vi ha riferito il suo nome? Mio fratello, forse?”

Un ghigno osceno e affilato, di disperata ironia, deturpò la gentilezza dei lineamenti del dottore, tanto che allo spaventato cuore di Catherine non parve di riconoscere più chi aveva di fronte.

“Oh, voglio proprio saperlo” aggiunse con finta soavità l’uomo, il tono intinto in un divertimento crudele e beffardo. “Voglio proprio sapere chi è la persona che vi ha fatto credere di poter pronunciare il suo nome davanti a me.”

Un rossore violento e pieno di vergogna folgorò per la seconda volta la figlia di Lord Richard, mentre quest’ultima abbassava gli occhi lucidi e turbati sull’elegante panciotto sbottonato del dottore, aderendo a un mutismo che voleva negare risposte di sorta. Il lungo busto snello di Benjamin era a neanche trenta centimetri di distanza e, considerò lei, sarebbe stata una sciocchezza allungare la mano. Raggiungerlo.

Dimmi cosa è dunque stato quel bacio, se da allora riusciamo a tirare fuori la parte peggiore di noi stessi?

Catherine decise di stringersi nelle spalle, richiudendo sé stessa nel consueto silenzio gelido e indignato. Le sue iridi accese di un muto sentimento terribile scivolarono di lato, lontano da Benjamin e dalla rabbia di quest’ultimo, negandogli così risposte di sorta.

Un bel niente, ecco cosa è stato. Poiché è servito solamente a farmi piangere lacrime inesauribili.

Dall’alto della sua cocente delusione, della sua nevrotica tristezza di dama abbandonata, Catherine non poté in effetti accorgersi di come le sue parole avessero aperto una lacerante breccia dentro al dottore, per quanto la ragazza avrebbe potuto benissimo immaginarlo: aveva nominato la donna a cui il signor Rochester aveva donato il cuore, sputato fuori dalle labbra il nome della madre di suo figlio, ormai morta e persa per sempre; e, come se non bastasse, l’aveva fatto con una sprezzante superiorità di cui la signorina Chamberlain già si pentiva amaramente.

Di certo, non era stata una grande idea tirare in ballo Amandine Lynwood e questo era comunque reso palese dall’espressione disgustata di Benjamin, che dominava sul piccolo corpo tremante di Catherine come se avesse la seria intenzione di sollevarla di peso e buttarla giù dal balcone.

Se non avessi mai incontrato quella sfortunata donna, ora magari saresti al mio fianco e felice…invece di guardarmi con questo inamovibile odio negli occhi.

Chiaramente, il dottore non la spinse al di là della balconata, ma – lo stesso – si rivelò piuttosto crudele nei confronti della ragazza, tanto quanto lei lo era stata con lui. Una mano bianca si allungò con grazia sul bel visetto frivolo di Catherine, imprigionandone il mento tra il pollice e l’indice, infine obbligandola senza un briciolo di gentilezza ad alzare lo sguardo sorpreso, a guardare il signor Rochester in faccia.

“Lascia perdere me e questo tuo amore a senso unico” le disse lui a bassa voce, nascondendo la sua malinconia da uomo privo di anima dietro una strana freddezza elegante. “Non posso nemmeno paragonarti ad Amandine.”

Oh, quante volte il cuore di una donna è in grado di morire per mano dello stesso uomo?

Una codardia simile, infine, quella che aveva portato Benjamin e Catherine fino a quel punto. Un passato che poteva essere e non era stato, il punto di svolta responsabile di aver tracciato l’ennesimo confine invisibile fra un uomo e una donna inizialmente destinati a stare insieme. Di nuovo Amandine, infine, il deus ex machina di un legame d’odio che né il dottore, né la figlia del Lord desideravano avere.

Il sole della Giamaica posò la sua dolcezza su due occhi nocciola tanto chiari da sembrare un campo di grano in piena estate, svelando la lucentezza di uno sguardo pieno di lacrime.

Se non l’avessi mai incontrata…cosa saremmo potuti diventare l’uno per l’altra?



§



Keeran Byrne uscì canticchiando dalla porta principale della bianca e accogliente Zuimaco, andando incontro a una giornata colma di luce, ovviamente calda e tropicale. La bella testa ricciuta dell’irlandese si voltò da una parte all’altra dell’ampio cortile d'ingresso, mentre gli occhi neri di quest’ultima, belli come due gemme preziose, scandagliavano il suolo di ghiaia con grande aspettativa.

In fondo, si disse la diciassettenne, aveva più di una ragione per essere di buon umore e piena di agitata attesa: era passata più di una settimana dalla Grande Soirée e la signora Saffie era ritornata dal ricevimento del Lord in compagnia di una felicità del tutto inaspettata, che la domestica aveva subito imputato ad Arthur Worthington. L’importante e indaffaratissimo Generale Implacabile, però, non aveva fatto ancora la sua comparsa nella tenuta che aveva destinato alla moglie e il sorriso della povera Duchessina di Lynwood diventava giorno dopo giorno più debole e tremulo, specchio di una pensosa preoccupazione.

“La signora non si deciderà mai a raggiungerlo per prima. Sono entrambi così orgogliosi!” pensò Keeran concedendosi un piccolo sospiro rassegnato, nel contempo che la sua testa corvina si rivolgeva al fondo della via, dove un uomo a cavallo aveva fatto la sua improvvisa comparsa. “Fortuna che il tenente Chapman ha deciso di concedermi il suo aiuto.”

L'uomo misterioso rallentò la corsa del suo animale, che la raggiunse a un gioioso trotto. “Buongiorno” la salutò infine il cavaliere, rivelatosi essere un soldato di Rockfort appena adolescente. “Ho una missiva per la signorina Byrne. Siete voi, non è vero?”

“Bu-buongiorno” disse a sua volta l’irlandese, alzando le mani bianche, pronte a ricevere la busta che il ragazzino stringeva fra le dita. “Come a-avete fatto a indovinarlo?”

Un sorrisetto imbarazzato solcò il viso del giovane ambasciatore “Il mio tenente ha detto che la destinataria del suo messaggio è una dama dai capelli neri e di una bellezza rara, senza eguali” rispose poi, cercando di ignorare con educazione il rossore furioso comparso sul viso paffuto della diciassettenne. “Contando che sembravate aspettare la mia venuta, quella fanciulla non può essere altri che voi.”

“Mi hai colto alla sprovvista, Keeran. Ho promesso di esserti amico, ma le tue parole mi fanno venire voglia di avere più di questo.”

La signorina Byrne annuì goffamente e strinse al petto la lettera scritta da James, congedando il soldato con un ringraziamento balbettante che comunque ammaliò il cuore di quest’ultimo. La ragazza lo guardò partire al galoppo e scendere la china del sentiero, sparendo in una nuvola di polvere che la lasciò preda del suo cuore impazzito e dello strano tormento ormai ospite delle sue giornate.

Da quando Chapman aveva pronunciato quelle parole, Keeran non era riuscita a pensare ad altro che a lui.

A come sarebbe stato sentire la presa di due mani appassionate sulla pelle calda, piacere consumato fra candide lenzuola.

“È la prima volta che mi trovo a pensare a queste…a queste cose” ammise con sé stessa la ragazza, provando al contempo un bruciante sentimento di inadeguatezza e vergogna. Ugualmente, cinque piccole dita risalirono la linea del suo collo pallido, accarezzandone la pelle con gentilezza e provocandole dei brividi la cui natura era per lei un mistero o, almeno, lo era stato fino al momento in cui il Principe arrogante le aveva confessato di vederla non solo come un’amica piuttosto impacciata, ma anche come donna.

Lui ti desidera, ti vuole per sé. E tu lo desideri a tua volta, molto più di quanto non facessi con Douglas Jackson.

Un singhiozzo fatto di senso di colpa risalì il petto dell’irlandese e quest’ultima si forzò a spezzare l’incantesimo, concentrando la sua attenzione sul sigillo di ceralacca che chiudeva la busta proveniente da Rockfort. Il fortino seicentesco era meno distante dai domini di Saffie di quanto si potesse in realtà considerare e, realizzò Keeran in un secondo, la bella giornata che li aspettava poteva rivelarsi l’occasione giusta per mettere in atto il piano suo e di James.

Difatti, la ragazza spiegò il foglio di pergamena davanti agli occhi interessati e lesse esattamente ciò che si era prospettata di trovarsi davanti; una frase all’apparenza enigmatica che ebbe l’effetto di strappare un sorriso eccitato alle sue belle labbra carnose:

“Mi devi un favore, Keeran Byrne”





*Se il capitolo ti è piaciuto, spero prenderai in considerazione di votarlo e di farmi sapere le tue impressioni*

\(*w*)/

Angolo dell’autrice:

Bentrovati e tanti auguri di Buon Natale, Oh-oh-oh! (^u^)

Ho cercato in tutti i modi di pubblicare per le festività, così da potervi dare un capitolo dopo tanto tempo dal mio ultimo aggiornamento; tre mesi, perbacco!

Ho sofferto molto per questo mio stesso ritardo, ma posso dirvi che ho avuto diverse sfortune (chiamiamole così” dalla mia: in primis problemi di salute uno dopo l’altro, poi il lavoro che mi faceva tornare a casa massacrata (io lavoro anche durante il weekend, sob!), un trasloco, svariati problemi sentimentali annessi e connessi, per concludere con altri piccoli fastidi di salute. In tutto questo carosello, ammetto di aver dubitato delle mie stesse capacità di scrittura ed ero talmente stressata da approcciarmi alla mia storia con un sentimento di inadeguatezza, malgrado il mio ardente desiderio di completarla.

Mi dispiace inoltre di non aver fatto comparire i miei tanto attesi Arthur e Saffie, ma il loro racconto è anche il racconto di chi sta loro attorno, dei fili che intrecciando si sono andati a formare l’arazzo attuale. Inoltre, volevo troooppo approfondire Benjamin, visto che non gli ho mai dedicato troppa caratterizzazione o interiorizzazione…volevo anche dare profondità a Catherine e farvela conoscere! Devo dire che la storia a volte mi porta dove vuole lei, ma ammetto di apprezzare le interazioni fra questi due! (*w*)

Questo può sembrare un capitolo di passaggio, ma era dovuto. So che avrei potuto scrivere intere pagine di sesso sfrenato fra Arthur e Saffie (ehm, ehm…si incontreranno a breve, lo sapete, vero?), ma malgrado tutto io punto a descrivere qualcosa che mi soddisfi, sentimenti che posso sentire per davvero.

Io spero tanto che questa ventesima parte vi sia piaciuta, anche se arrivata in ritardo sulla tabella di marcia. Punto d’ora in poi a rispettare la scadenza prefissata fin dall’inizio, quindi una volta al mese!

AH!

Grazie, grazie, cento volte grazie per avermi aspettata e per aver continuato a votare la mia storia, per le letture, per l’apprezzamento! Di solito scrivo a tutti, ma per i problemi detti sopra so di non aver ringraziato qualcuno personalmente…rimedierò in breve tempo!

Un bacio fortissimo,

Sweet Pink

  
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