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Autore: Challenger    29/12/2022    0 recensioni
Un amore tradito per viverne un altro creduto perfetto. Ma sarà davvero così?
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Arrivai nel mio studio medico con dieci minuti di ritardo. Mi ero trattenuto ancora un po’ nella triste stanzetta d’albergo, perché avevo bisogno di sfogarmi. Dopo che Matteo mi aveva lasciato lì, e se n’era andato senza salutare, avevo pianto. Impiegai più di venti minuti per trovare il coraggio di alzarmi dal letto e andare al lavoro. Mi dicevo che i miei pazienti mi stavano aspettando, già solo l’idea di andare dal dentista generava ansia, specie in quelli più giovani, figuriamoci presentarsi in studio e dover prolungare l’agonia perché il dottore non c’è. Perciò mi feci forza ed andai a fare il mio dovere di medico. «Buongiorno, dottore» mi accolse la mia segretaria, Marta, una bella ragazza di venticinque anni dal sorriso smagliante. «Buongiorno, Marta, scusi il ritardo, sono stato trattenuto» le dissi in imbarazzo. «Si figuri, dottore. Il paziente è già dentro che l’aspetta, l’ho fatto accomodare in attesa del suo arrivo» disse, e mi passò una cartellina. «La ringrazio, Marta, lei è sempre molto efficiente». Mi sorrise ancora e tornò alla sua scrivania. Entrai nella stanza già pronta, salutai il paziente, scusandomi per il ritardo, e mi preparai. Ripresi in mano la cartellina e la sfogliai; mi avvicinai al ragazzo sdraito sulla poltrona per chiedergli informazioni su eventuali allergie. «No, nessuna allergia» rispose con voce squillante e allegra. Ebbi un fremito di sorpresa quando lo guardai meglio. Thomás. «Tutto bene, dottore? Sembra che lei abbia appena visto un fantasma» rise. Non avevo mai parlato con lui, mi ero limitato a spiarli da lontano. Schiarii la voce: «tutto bene. Leggo nella cartella che è venuto per una pulizia dei denti» dissi per distrarlo dal mio aspetto, che era diventato cereo. «Esatto! È stato il mio paparino a consigliarmi di venire qui, dice che lei è il migliore su piazza» rispose con un tono che trovai assolutamente sconveniente! «Mi fa piacere. Ringrazi il suo amico per l’ottima pubblicità». Preferii usare il termine “amico”, evitando di ripetere la parola “paparino”, mi sapeva troppo di “pappone”, lo trovavo di cattivo gusto. «Sarà fatto, capo!» e fece il saluto militare. Aggiustai la mascherina sul naso ed iniziai, raccomandandomi di alzare una mano nel caso in cui avesse sentito dolore o fastidio. Thomás aveva una buona dentatura, non dovetti faticare molto per togliere il tartaro, a quanto potevo vedere, teneva alla pulizia dei denti. Beh, pensai seccato, bisogna prendersi cura dell’igiene orale quando si ha un paparino da soddisfare. Intanto che ispezionavo l’interno con lo specchietto e invitavo il paziente a pulire spesso il foro sotto il labbro inferiore, nel quale era infilato un piercing, per evitare infezioni, non potei fare a meno di pensare a questo ragazzino inginocchiato davanti a Giordano mentre prendeva in bocca il suo sesso. Immaginavo Thomás con la bocca piena e occhi lascivi che fissavano il suo “paparino” in estasi. Chissà se a Giordano piaceva la sensazione del piercing trascinato avanti e indietro sul suo pene. Lo faceva venire più velocemente? L’irritazione che provavo nei confronti di Giordano — per avermi imposto la presenza di questo ragazzino nel mio studio, nel mio rifugio — e del mocciosetto su cui stavo lavorando mi fece perdere per un momento il senno. «Argh!!» gridò Thomás. Mi afferrò il polso e allontanò lo strumento di tortura dalla sua bocca. «Mi ha fatto male!». Mi guardava storto. In evidente imbarazzo, mi scusai. Effettivamente, avevo spinto troppo il pulitore elettrico incidendo la gengiva e facendogli uscire un rivolo di sangue. «Mi dispiace». Sciacquò la bocca nel lavandino e sputò saliva mista a sangue, poi, voltandosi verso di me, disse: «’mi dispiace’ un corno! Faccia più attenzione!». Aveva ragione, mi ero fatto prendere dal nervosismo e non ero stato professionale. Finii di pulire i denti nel modo più meticoloso e delicato possibile. Quando gli permisi di alzarsi dalla poltrona, mi scusai ancora. «Non si preoccupi. Poteva capitare a chiunque, solo che non me lo sarei aspettato dal “miglior dentista su piazza”. Giordano ha molta stima di lei» sorrise, più rilassato. Il momento di tensione era passato come un lampo durante la tempesta. Sentir uscire dalla sua bocca il nome di Giordano mi fece strano, era come se Thomás avesse rubato qualcosa di mio senza saperlo; non c’era compatibilità fra Giordano e le parole di quel ragazzo, insieme stonavano. Lo accompagnai fuori, Marta aveva già preparato la fattura, ma Thomás fu distratto da altro e lo lasciai andare. Nel frattempo, il mio cellulare squillò: Matteo. Alla fine era stato di parola, mi aveva chiamato, una novità assoluta. «Pronto?». «Ehi… ho approfittato della pausa per chiamarti…» sembrava agitato. Feci una pausa anch’io prima di rispondere: «quindi sei libero oggi pomeriggio?». Non rispose subito. Sospirò nel microfono. «Scusa, non ricordavo che oggi pranziamo dai miei suoceri, c’è anche la sorella di mia moglie, e non posso scappare, mi tengono a guinzaglio stretto» tentò di abbozzare una risata. Sentii un profondo senso di delusione mentre pensavo “non ti sei nemmeno ricordato che oggi è il mio compleanno, e che ho prenotato il ristorante per questa sera. Trent’anni si compiono una volta sola e tu non sarai con me per festeggiare”. Come sempre, la sua famiglia veniva prima di me. «Oh… d’accordo. Non c’è problema, ci vedremo un altro giorno» risposi senz’anima, poiché lui me l’aveva appena portata via. «Ok, perfetto. Allora ci sentiamo, ora devo scappare, la recita sta ricominciando». Agganciò senza nemmeno aspettare il mio “ciao” sussurrato. Quando rimisi il telefono in tasca, notai Thomás accanto ad un uomo. Lo guardava innamorato, pendeva dalle sue labbra, ascoltava con attenzione ciò che l’uomo diceva a proposito di una riproduzione del quadro 'Una domenica pomeriggio sull’isola della Grande-Jatte' del pittore francese Georges Suerat che avevo appeso nello studio. Thomás si aggrappava alla manica della camicia dell’uomo accanto a lui, si alzava sulle punte per vedere più da vicino i dettagli che l’uomo gli indicava, e sorrideva. L’uomo guardava intenerito Thomás; sarebbe stata una scena commovente se negli occhi di lui non avessi riconosciuto quelli scuri e profondi di Giordano. «Dottore, la signora Tibaldi è arrivata. La faccio accomodare in stanza?» la voce di Marta mi fece sobbalzare, riscuotendomi da pensieri malinconici. «Come? Ehm… sì, la ringrazio, Marta. Finisco io con Thomás» le sorrisi, e lei accompagnò la seconda paziente del giorno. Mi avvicinai a Thomás e Giordano. «All’artista sono occorsi due anni per realizzarlo» dissi appena gli fui vicino. Giordano si voltò lentamente verso di me: «sì», disse, «lo dicevo a Thomás proprio adesso» e sorrise impercettibilmente. L’enfasi che mise nel pronunciare la sillaba tonica del nome del suo ragazzo mi fece impazzire! Nella sua bocca il nome “Thomás” suonava così dolce e sensuale. «È un’opera che mi ha sempre comunicato serenità, per questo ne ho appesa una copia qui, affinché trasmettesse tranquillità ai pazienti più ansiosi. So quanto l’ansia possa danneggiare le persone più sensibili, infatti invito sempre i miei pazienti a sostare qui cinque minuti prima di entrare in stanza, così una volta seduti sulla poltrona saranno più rilassati» spiegai a Thomás, ma in realtà era a Giordano che mi rivolgevo. Soffriva di attacchi d’ansia fin da bambino, e spesso ero io a calmare le sue crisi, gli avevo insegnato alcune tecniche per tenerli a bada. «Già, è rilassante guardare questo quadro, si notano sempre nuovi dettagli. Riesci ad immergerti totalmente nella scena primaverile» disse allegro Thomás. Il ragazzo sfacciato aveva lasciato il posto ad un bambino curioso. Sembrava impossibile che Giordano fosse innamorato di un tipo volubile come lui. «Sì, e posso assicurarti che l’originale è ancor più emozionante» dissi guardando Thomás. «Soprattutto se lo condividi con qualcuno» continuò Giordano, guardandomi negli occhi. La luce della passione era ancora viva nei suoi profondi occhi scuri. Feci un segno d’assenso, e sorrisi senza nemmeno accorgermene. Tanti anni prima, io e Giordano avevamo visto quel quadro durante una vacanza. Desideravo profondamente vedere l’originale di Seurat, così lui mi propose di andare a Chicago e farlo, lo guardai divertito, pensando ad una presa in giro, invece lui mi mostrò due biglietti aerei. La ricordo come la miglior vacanza di sempre. «Ehi, paparino, però una cosa te la devo proprio dire! Non dovresti vantarti troppo dei tuoi amici». Giordano lo guardò senza capire, quindi spiegò: «mi ha tagliato la gengiva. Guarda» abbassò il labbro inferiore e gli fece vedere il piccolo graffio sulla gengiva. Trasalii. Giordano si sarebbe arrabbiato? Non l’avevo di certo fatto apposta! «Non è nulla, tranquillo. Passerà presto» gli disse, e accarezzò la sua guancia destra. Thomás gli sorrise, rassicurato da quel gesto paterno. In effetti, a vederli così, sembravano padre e figlio piuttosto che una coppia di amanti. «Per la pulizia sono settanta, giusto? Ricordo male?» mi chiese Giordano con il sorriso sulle labbra. Sfilò il portafogli dalla tasca posteriore, un vecchio modello tutto logorato, lo riconobbi subito: glielo avevo regalato io per il nostro primo Natale insieme. «È gratis» risposi senza riflettere. Thomás mi guardò sbalordito, ed eccitato esclamò: «grazie, doc!», e cercò di trascinare via Giordano, che rimase piantato lì dov’era. «Per favore, fammi pagare. Non voglio essere in debito con nessuno, soprattutto con te» mi disse. «No. La prima è sempre gratis». In realtà era una bugia, ma non volevo che fosse lui a pagare per quel ragazzino impertinente. E poi, avevo rischiato di fargli un danno permanente, perciò era meglio essere condiscendenti. «Ok, come vuoi. Grazie» poi si avviò verso l’uscita. Lo guardai andare via, sentii di averlo perso ancora una volta. Mi avvicinai alla scrivania di Marta e strappai la fattura di Thomás. Quando rialzai gli occhi dal cestino della spazzatura, mi ritrovai di fronte Giordano. «Hai dimenticato qualcosa?» chiesi con fare confuso. «Sì» mi fissò, poi «tanti auguri, Francesco». La sua faccia non si preoccupò di assumere alcuna espressione. Si era ricordato il mio compleanno. Lui l’aveva ricordato e Matteo invece l’aveva completamente dimenticato. «Grazie, Giordano». Se ne andò. E io mi resi conto che era la prima volta, dopo un anno, che pronunciavo il suo nome ad alta voce.
   
 
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