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Autore: storiedellasera    02/01/2023    1 recensioni
Estate del 1968.
Tom, Wyatt e Evelyn sono dei ragazzi di Louistown, una piccola e remota cittadina americana.
Le loro vite stanno per essere sconvolte da un mostro crudele... un mostro che adora uccidere le persone e che predilige i giovani.
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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♦ Alan Reese ♦

 





Joe Limpshire fu seppellito nel cimitero di St. Augustine, in una calda mattina di fine Agosto.
Fu un funerale a bara chiusa, dato che Buckley aveva divorato il volto del ragazzino.
Quasi tutta Louistown partecipò alla triste cerimonia, del resto si trattava di un evento eclatante. Persino dei giornalisti accorsero in quella soleggiata mattina d'estate. Prima di quella tragedia, il caso più sconvolgente accaduto nella tranquilla e noiosa Louistown fu una rissa in un locale causata da parte di due ubriachi.
Evelyn, prima di allora, non aveva mai visto un cimitero e non aveva mai assistito a un funerale.
Diceva a se stessa che era troppo piccola per quel genere di cose. Nonostante l'uomo mezzo marcio avesse tentato più volte di ucciderla, Evelyn credeva sul serio che la morte era qualcosa che non la riguardava.
"Quanto sono stata stupida" sussurrò tra se e se mentre, una volta terminata la messa funebre, lasciava il cimitero insieme agli altri cittadini di Louistown.
"Psss" un sussurro la fece voltare.
Alle sue spalle Evelyn vide Wyatt Sinclair. Il ragazzino vestiva un elegante abito nero con camicia bianca. Evelyn non poté fare a meno di affiancare mentalmente l'immagine di Wyatt a quella di un cameriere in miniatura. Lui fece cenno alla ragazza di seguirla. Lei acconsentì, incuriosita da quel singolare comportamento.

I due lasciarono il bizzarro corteo di persone che andavano via dal cimitero, e si diressero verso un vecchio castagno solitario. Evelyn si voltò indietro una sola volta, alla ricerca di sua madre. Non vedendola, decise di non curarsene.
"Dove stiamo andando?" Chiese a Wyatt non appena raggiunsero l'albero.
"Sei mai stata qui?" Domandò lui. Evelyn scosse il capo. Si accorse solo in quel momento che il castagno sorgeva vicino a un sentiero parzialmente nascosto dall'erba. Era una stradina di terra battuta che serpeggiava tra verdi pascoli e morbide colline, per poi sparire all'interno di un piccolo boschetto.
Per tutto il suo sinuoso tragitto, il sentiero era affiancato da un piccolo fiumiciattolo. L'acqua scorreva lenta e a tratti si vedevano qualche canna o erbacce infestate dalle libellule.
Una rana si era appena tuffata in acqua, increspando l'acqua.
Sembrava uno scenario uscito fuori da qualche racconto di Mark Twain. Evelyn fece per parlare, ma Wyatt fu più veloce di lei: "quel sentiero ci porta dritti dritti alla fattoria dei Williams."
"Dei Williams?" Domandò confusa Evelyn.
"Lo spilungone non si è fatto vedere, quindi andremo a prenderlo. Il sentiero è la via più corta per casa sua." Evelyn capì che Wyatt si stava riferendo a Tom. In effetti, Evelyn se ne accorse solo in quel momento, nessuno dei tre Williams era presente al funerale di Joe.
L'immagine della bara del giovane Limpshire che veniva sotterrata riaffiorò nella mente di Evelyn.
"Sei dispiaciuto per quello che è successo a Joe?" Chiese istintivamente a Wyatt.
Quest'ultimo aveva già iniziato ad avvicinarsi al sentiero. Si fermò a guardare Evelyn con aria sorpresa: "perchè questa domanda?"
Lei si strinse nelle spalle: "credo che si dovrebbe provare tristezza in un momento del genere, almeno per il rispetto del morto. Ma io non provo nulla, per quanti sforzi faccia, non riesco ad essere triste per Joe. Lui era cattivo con me... ma se rimango indifferente di fronte a ciò che gli è accaduto... bhè ...questo non rende anche me una persona cattiva?"
Questa volta fu Wyatt ad alzare le spalle: "se ti sforzi di essere triste, quando non lo sei, vuol dire che sei una persona falsa. Meglio non provare nulla e accettare la cosa. Tu non sei cattiva, semplicemente Joe non ha fatto nulla per meritarsi un minimo di rammarico da parte tua." E detto questo, Wyatt riprese il cammino.
Lui e Evelyn raggiunsero il sentiero e si inoltrarono nel piccolo bosco.
Avrebbero impiegato circa mezz'ora prima di raggiungere la fattoria di Tom.
Gli alberi offrivano loro un riparo dal sole cocente. Si preannunciava una giornata terribilmente afosa.
Evelyn seguiva Wyatt per il sentiero. Il frusciare degli alberi e il movimento dell'acqua erano i soli rumori che si potevano udire.
Giunse poi il canto delle cicale, improvviso e potente. Evelyn giudicò quel frinire come una risata, una risata acuta e malefica. Allora immaginò l'uomo mezzo marcio, suo padre, ridere di lei... ridere di quella situazione.
"Hai visto come ho conciato Joe?! Ma non è niente rispetto a quello che farò a te. Oh, non appena ti prendo!"
Lei deglutì: "Wyatt... non hai paura... "
"...Che il mostro ci attacchi di nuovo?! Certo che si, ma questa stradina è la via più corta per andare da Tom. E io e Tom, la sera dell'attacco di Buckley, abbiamo escogitato un piano." "Un piano?" Evelyn fu così stordita da quelle parole che si fermò di colpo. Wyatt si voltò e i due rimasero a fissarsi negli occhi senza dir nulla per diversi secondi. Al loro fianco, una trota arcobaleno zampillò fuori dal fiumiciattolo, si agitò a mezz'aria e poi ritornò in acqua con un sonoro pluff.
"L'uomo mezzo marcio, in qualche modo, ha posseduto Buckley..." spiegò Wyatt "...così come aveva posseduto lo spaventapasseri del vecchio Price. Ha preso Buckley e si è avventato contro me e la mia famiglia. Ho capito che dobbiamo fare qualcosa, non possiamo stare con le mani in mano." Evelyn rimase in silenzio per altri secondi, dopodiché strinse i pugni: "brutto idiota" disse con un filo di voce, ma abbastanza forte per farsi sentire da Wyatt.
"Cosa?"
La ragazzina avanzò con fare minaccioso verso di lui: "hai sempre provato a tirarti fuori da questa storia, tappetto che non sei altro. Ma da quando Buckley ha sfondato la finestra della tua sala hai capito che la tattica da struzzo con la testa nella sabbia non può funzionare. Allora hai deciso di alzarti dalla panchina e tornare in campo, felice di trovare ancora me e Tom in gioco." -mi piaci da morire, Wyatt, ma in questo momento vorrei proprio darti un pugno sul naso.- Evelyn sembrava aver raddoppiato la sua statura. Fissava Wyatt dall'alto verso il basso.
Il ragazzino distolse lo sguardo da lei per un pò, poi tornò a fissarla, alzò le braccia ed esclamò: "cosa vuoi che ti dica? Che sono un codardo? Un pisciasotto? C'è un fottuto mostro che appare nelle nostre case, possiede cose e animali e si diverte a sbranare ragazzini della nostra età. Prima di tutta questa storia, la mia paura più grande era prendere un brutto voto in matematica... converrai con me che l'uomo mezzo marcio va un tantino troppo oltre i miei problemi quotidiani.
La verità, Eve, è che non mi sento pronto... oh, al diavolo, non sono ancora pronto ad affrontare una cosa del genere."
"E tu pensi che io sia pronta? Pensi che Tom lo spilungone sia pronto?"
Il frinire delle cicale si fece più intenso. Wyatt e Evelyn si guardarono attorno, allarmati, poi ripresero a camminare ma questa volta con passo svelto.
Non dissero nulla per una manciata di minuti.
Fu Evelyn a rompere il silenzio: "allora... parlami del piano che hai escogitato con Tom."
La risposta di Wyatt non tardò ad arrivare: "io e lo spilungone pensiamo che l'uomo mezzo marcio sia in realtà una sorta di fantasma. E' ovvio che non si tratta di un normale uomo. Nessun essere umano può sopravvivere con quelle ferite così estese. Allo stesso tempo, l'uomo mezzo marcio è in grado di apparire e scomparire nel nulla e, come abbiamo visto, possedere cose e animali."
"Quindi... pensi sia un fantasma?"
"Si, insomma, qualcosa di ectoplasmico."
"Ecto-cosa?"
"Ectoplasma, non hai mai sentito questa parola?"
"Prima volta" Evelyn agitò una mano di fronte a se per scacciar via una libellula azzurra particolarmente grande.
"Un ectoplasma è un'entità spirituale, almeno credo, qualcosa di immateriale che può assumere una forma materiale."
I due ragazzini uscirono dal bosco e furono subito aggrediti dalla luce e dal calore del sole.
Si fermarono per dar tempo ai loro occhi di abituarsi al chiarore della giornata. Di fronte a loro, all'orizzonte, si poteva ammirare il campo di granturco coltivato dai Williams. Ormai avevano quasi raggiunto la fattoria di Tom. Evelyn riprese il discorso: "e quindi cosa avete escogitato tu e Tom?"
Wyatt rispose: "se l'uomo mezzo marcio è un fantasma allora avrà un corpo o una tomba in cui riposare."
"Ne sei sicuro?"
Wyatt ridacchiò ma non c'era allegria nel suo risolino, solo paura e nervosismo: "no, cazzo. Sono il più lontano possibile dall'essere sicuro di qualcosa riguardo questa storia. Ma io e Tom non abbiamo altre idee. Perciò abbiamo deciso di recarci il prima possibile al cimitero e cercare la tomba di quel bastardo e... perchè ti sei fermata?"
Evelyn sembrava essersi tramutata in una statua di sale.
Fissava Wyatt con occhi carichi di terrore e, per un motivo che il ragazzino non riusciva a comprendere, rimorso.
"Non troverete la tomba di quell'uomo al cimitero di Louistown" Disse Evelyn. Si sorprese nel sentire la sua voce così tremolante. Wyatt si avvicinò verso di lei, scrutandola con occhi indagatori.
Lei sospirò e iniziò a camminare avanti e indietro con passi pesanti. Si afferrò quel suo cespuglio di capelli e li tirò così forte da provare dolore.
"Eve... tu..."
"Io conosco l'uomo mezzo marcio."
Wyatt tentò un paio di volte di parlare ma non gli riuscì di emettere neanche un verso.
"Si chiama Alan, Alan Reese."
"Reese è il tuo cognome! Evelyn... cosa stai cercando di dirmi?"
"L'uomo mezzo marcio è mio padre" Evelyn sentì un senso di nausea esplodergli nello stomaco. Non aveva mai confessato quella verità a nessuno e ora si sentiva preda di emozioni che non poteva controllare. Ma in tutto quel caos, avvertiva anche un flebile sollievo.
"Ne sei sicura?" Wyatt appariva sconvolto... e non adirato come temeva Evelyn.
Lei annuì: "attraverso la pelle cadente e la carne in decomposizione riesco ancora a vedere i tratti di mio padre... o almeno di colui che era mio padre. Inoltre quel suo cappotto rosso che indossa ogni volta che appare di fronte a noi in forma umana, bhè, riconoscerei quel cappotto anche al buio."
Altri secondi di silenzio.
"Perchè, Eve? Perchè non hai mai detto nulla di tutto ciò?"
Lei alzò una mano verso Wyatt, come se volesse presentarsi a lui per la prima volta: "tanto piacere, mi chiamo Evelyn Reese. Io e mia madre ci siamo trasferite a Louistown. Molte persone mi chiamano la figlia della polacca per via delle origini di mia madre, altri invece mi chiamano troia perchè i miei unici due amici sono maschi. Sono povera in canna e... oh ...questa è bella, mio padre è un mostro maniaco che divora i ragazzini.
Allora, come ti suona come presentazione?"
"Ma... avresti potuto dirlo a me e a Tom. Ci hai appena definito i tuoi unici amici."
"Avrei voluto! Oh, quanto avrei voluto farlo. Però dicevo a me stessa; aspetta un altro pò! Non sei ancora entrata in confidenza con loro per sganciare una simile bomba."

Wyatt avrebbe voluto rispondere ma in quel momento non riuscì a formulare alcun pensiero. Era troppo stordito dalle rivelazioni di Evelyn.
Non si rese conto che la ragazzina lo stava chiamando: "mmm? Si?"
"Cos'hai intenzione di fare, Wyatt?"
"Non lo so... ma non mi piace stare qui. Le cicale cantano troppo forte. Andiamo a prendere Tom."
"E poi?"
"E poi gli racconti ciò che hai appena raccontato a me."





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Era passato da poco mezzogiorno e Wiara Reese si era appena accesa la sua quarta sigaretta... o forse era la quinta. Non che la donna tenesse il conto di queste cose, ma di certo non aveva mai fumato così tanto in una sola giornata. Avvertiva le prime avvisaglie di ciò che, senza alcun ombra di dubbio, sarebbe stata un'emicrania da record.
Il ticchettio dell'orologio in cucina sembrava aver aumentato considerevolmente il suo volume.
Lei era seduta e non smetteva di agitare la gamba destra sotto il tavolo della cucina. Nonostante ci fosse un caldo infernale, avvertiva le sua dita fredde come quelle di un cadavere.
"Gradisce qualcosa?..." Chiese con tono gelido "...magari un caffè?"
L'uomo di fronte a lei scosse il capo: "sto bene così" la sua voce era calda e terribilmente rilassata. Wiara non poteva sopportarla.
Si trattava di un uomo alto e magro come un chiodo, pelle olivastra e completamente calvo. I suoi occhi sembravano due pepite scure.
"Si sente bene, signora?! La vedo... come dire ...un tantino tesa."
Wiara ispirò a fondo una boccata di fumo, si prese altro tempo prima di rispondere: "il vostro collega è rimasto fuori di casa per farmi sentire più a mio agio?"
L'uomo annuì: "di solito il Bureau non lavora in questo modo, ma per il suo caso abbiamo voluto fare un eccezione."
"Il mio caso?" Wiara si portò di nuovo la sigaretta alla bocca.
"Giusto per essere chiari, signora, questo non è un interrogatorio e lei non è accusata di nulla. Abbiamo solo bisogno della sua collaborazione, ecco perchè non vogliamo metterla in agitazione."
Gli occhi di Wiara si fecero sottili come fessure: "come ha detto che si chiama, agente?"
"Rice, Andrew Rice."
"Agente Rice, lei mi deve scusare. Ma da dove vengo io, la polizia cercava sempre di mettere a loro agio le persone. Sorridevano, ci guardavano negli occhi e dicevano che non c'era nulla di cui preoccuparsi."
L'agente Rice intrecciò le dita di fronte a se e si sporse in avanti: "mia cara signora, siamo molto lontani dalla Germania nazista. Questa è l'America."
"America, certo..." Wiara azzardò a un sorriso amaro "...terrà di libertà e verità."
Spense la sigaretta in un posacenere colmo di vecchi mozziconi: "vogliamo parlare di verità, agente? Ho visto il modo in cui avete controllato la mia casa non appena vi ho fatto entrare.
Avete notato che i piatti della mia cucina sono per due persone, me e mia figlia. Avete notato che i letti sono due, singoli... per me e mia figlia.
I vestiti appesi al muro appartengono a due persone, me e mia figlia. La birra che ho in frigo... bhè ...quella è per dieci persone ma le assicuro che la conservo solo per me.
Quello che voglio dire, agente, è che in questa casa ci siamo solo io e mia figlia. Non stiamo nascondendo nessuno."
Per diversi secondi, i due non dissero una parola.
Il ticchettio dell'orologio era quasi assordante.
L'agente Rice sfilò da una tasta un piccolo taccuino con la copertina in pelle scura usurata dal tempo. Lesse alcuni appunti che aveva scritto: "il sedici gennaio di quest'anno, l'uomo noto come Alan Reese comprò un biglietto del treno nella stazione di Atlanta. Abbiamo dichiarazioni giurate, nonché diverse foto del soggetto mentre prende il suddetto treno, partito in orario per Sandersville."
Wiara si strinse nelle spalle: "e allora?"
"E allora..." l'agente Rice sospirò "...Louistown non ha una stazione ferroviaria. Ma Louistown è molto vicina a Sandersville. Signora Wiara, lei vuole davvero farmi credere che il suo ex marito non sia venuto a trovarla questo inverno? Sappiamo che la vostra separazione è stata... bhè ...piuttosto burrascosa.
Quello che penso, signora, è che il suo ex marito, magari dopo una serata passata a cercare il coraggio nel fondo di qualche boccale, abbia deciso di prendere il treno da Atlanta fino a Sandersville, farsi dare poi un passaggio per Louistown e poi fare una capatina in casa sua."
Wiara ebbe l'impulso di accendersi la sesta sigaretta della giornata. Guardò l'orologio appeso al muro: mezzogiorno e venti.
"E voi, agente, avete impiegato ben otto mesi prima di scoprire che Alan aveva comprato un biglietto del treno?"
La risposta dell'agente Rice non tardò ad arrivare, come se l'uomo stesse aspettando quella domanda: "prima Alan Reese non era sospettato di quattro omicidi, sequestro di minore, occultamento di cadavere e altre accuse che... ecco ...le risparmio i dettagli."
L'uomo trascinò la sua sedia sul pavimento per avvicinarsi ancora di più a Wiara. Continuò il suo discorso, ma il suo tono di voce si era fatto più confidenziale: "signora, se Alan Reese ha minacciato lei o sua figlia in qualche modo... se è costretta a nascondere questo mostro, basta una parola per far cessare ogni cosa.
Lei e sua figlia sarete protette e non dovrete più preoccuparvi di ogni cosa."
Wiara non si era neanche resa conto che aveva già messo in bocca una nuova sigaretta. Fissò intensamente gli occhi scuri dell'agente Rice, lottando con ogni fibra del suo corpo per trattenere le lacrime: "qui ci siamo solo io e mia figlia" sussurro a denti stretti.


Il collega dell'agente Adrew Rice era un omino in sovrappeso, con volto porcino, capelli unti e un paio di folti baffi.
Se ne stava appoggiato con la schiena contro il muro del palazzo in cui abitava Wiara.
Si cacciò in bocca una manciata di tabacco da masticare mentre borbottava tra e se e se qualcosa riguardo il caldo insopportabile di quella giornata.

Rice riapparve al suo fianco, sul suo volto c'era un'espressione di amara delusione. Il suo collega capì che il colloquio con Wiara non era andato bene.
Senza dir nulla, i due agenti rientrarono nella loro auto di servizio. Si trattava di una vecchia Chevrolet scura che, senza alcun ombra di dubbio, aveva visto giorni migliori. L'interno della vettura aveva un odore pungente di sigaretta e, per qualche motivo incomprensibile all'agente Rice, mostarda.
"Allora?"
"Allora cosa?" Domandò Rice.
"Non partiamo?"
"Sto pensando."
"La signora ti è apparsa sospetta?"
"Di sicuro ci nasconde qualcosa. E' spaventata e per niente collaborativa... ma c'è qualcosa che mi sfugge in tutta questa situazione."
Il collega di Rice ridacchiò: "come sempre."
"Non c'è nulla da ridere."
"Come sei permaloso oggi, Rice. Non ti sto prendendo in giro... quello che voglio dire è che c'è sempre qualcosa di strano in queste occasioni, ecco perchè ci pagano per indagare."

Rice tamburellò le dita sul volante. Alan Reese era giunto a Louistown, di questo ne era certo. Ma dove si era cacciato?
L'agente chiuse gli occhi. Aveva letto così tante il fascicolo su Reese che poteva ripassarlo nella sua mente.
Alan Reese aveva ucciso almeno quattro ragazzini di età compresa dai nove fino ai quindici anni. Queste erano le vittime accertate dalle autorità, trovate tra la Georgia e l'Alabama.
Dopo il terzo omicidio, Alan iniziò a lasciarsi dietro ciò che l'agente Rice amava definire una scia di briciole di pane, un indizio dopo l'altro.
Ma la polizia si era messa in moto in ritardo... troppo in ritardo.
"Otto mesi..." esclamò Rice con un filo di voce mentre metteva in moto la Chevrolet "...Alan Reese ha otto mesi di vantaggio rispetto a noi. E per di più è armato."
Alan possedeva una pistola... una pistola che gli agenti non avevano trovato in casa durante un loro sopralluogo.
Il collega di Rice, al contrario suo, appariva incredibilmente rilassato: "lo prenderemo, Andrew. Questa storia può finire solo in un modo."
"Tu dici? Quell'uomo sembra essere un fottuto fantasma."
"Non essere così drammatico, Rice. Hai bisogno di riposare, vedrai che dopo sarai di buon umore."





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Curt non la smetteva di bere.
Aveva nella sua auto un numero spropositato di lattine vuote di una marca scadente di birra.
Una volta terminata, passò al gin che aveva in una fiaschetta di alluminio. Sembrava avere un martello pneumatico impazzito nella testa, eppure continuava a bere. Dopo il funerale di suo fratello, aveva preso l'auto e si era diretto nei pressi della tenuta del vecchio Price.
Non aveva voglia di vedere nessuno, non aveva voglia di parlare con nessuno... specialmente con suo padre.
Aveva litigato con il suo vecchio... aveva litigato in maniera molto violentemente.
"Ti avevo detto di badare a lui..." le urla del parle riecheggiavano ancora nella sua mente "...ti avevo detto di badare a Joe! E tu esci tutta la notte a fare Dio solo sa cosa? Guarda cos'è accaduto a Joe! Guarda!"

"Come se la colpa fosse mia!" Ringhiò sottovoce Curt mentre finiva anche il Gin.
-Tanto per cominciare il cane non era mio. E poi... se fossi rimasto in casa, probabilmente Buckley avrebbe sbranato anche me.-
Lui e suo padre erano venuti alle mani. Curt finì con il ritrovarsi a terra con un occhio nero, mentre sua madre piangeva in un angolo della cucina.

Curt non faceva altro che ripensare a quella litigata, poi i suoi pensieri tornavano al funerale, poi alla notte in cui fu informato della morte di Joe, poi...
L'emicrania lo travolse come uno tsunami. A peggiorare la situazione, il canto delle cicale era insopportabile.
Il ragazzo lanciò la fiaschetta vuota di fronte a se, dove sorgeva il campo di alta erbaccia attorno alla vecchia casa di Price.
Perchè Curt era tornato lì? Non riusciva a ricordarlo.
Voleva allontanarsi dal cimitero. Voleva star solo. Ma aveva scelto di recarsi in luogo per un motivo? Oppure aveva bisogno di star solo?
L'ultima volta che si era recato alla tenuta di Price era in compagnia di Buckley e allora... non aveva addentato qualcosa?
Sprazzi di ricordi riaffiorarono nella sua mente sconvolta e stordita dall'alcol. Si, quel bastardo di un cane aveva mangiato qualcosa... qualcosa di schifoso che Curt non era riuscito a identificare. Magari si trattava di una carcassa di uno scoiattolo o di qualche piccolo animaletto. Magari aveva la rabbia e Buckley, quella sera stessa, era impazzito per poi scagliarsi su Joe. Ma il batterio della rabbia agiva così in fretta? Oppure la rabbia era un virus?
-Ma che razza di pensieri mi saltano in testa?-
Curt iniziò a sentire molto caldo. Scese dall'auto e barcollò verso l'erba. Era altissima e folta.
Per qualche motivo, al ragazzo vennero in mente le storie che si raccontavano a proposito del Vietnam, di come i musi-gialli si nascondevano nella giungla pronti a colpire alle spalle i coraggiosi soldati americani.
-Che Dio li fulmini tutti!- Curt fu sul punto di vomitare.
Si chinò su se stesso, sicuro che avrebbe rigurgitato tutto l'alcol che aveva mandato giù. Tossì per qualche secondo ma nulla di più.
Un fruscio di fronte a lui lo mise in allerta.
Si alzò così di scatto che ebbe il capogiro. Non c'era un filo di vento, eppure aveva sentito qualcosa agitare l'erba non molto lontano da lui.
"Chi c'è?" Domandò.
Il canto delle cicale fu la sola risposta che ricevette.
La sua mente iniziò a giocargli brutti scherzi. Per un breve istante immaginò dei vietcong spuntare fuori dalle erbacce, con i loro cappelli di paglia e i fucili tra le mani.
Di nuovo un fruscio, questa volta Curt notò dell'erba muoversi nel mezzo di quel mare verde.
Se era un animale... doveva essere bello grosso.

Le gambe di Curt iniziarono a tremare.
Un nuovo fruscio... questa volta più vicino.
Il ragazzo aveva paura. Desiderò di avere ancora con se il suo coltello. Desiderò avere un'arma, sapeva che suo padre aveva un paio di revolver e una doppietta ma li teneva in una cassaforte, impossibile da forzare o scassinare.
-Le chiavi dell'auto!- Curt voleva andar via da lì.
Iniziò a tastarsi fino a quando non sfilò da una tasca dei jeans il mazzo di chiavi. Le mani tremarono così tanto che persero la presa.
Imprecò mentre si chinava a raccogliere le chiavi da terra.
Alzò lo sguardo e...
Lui era lì, affacciato tra le alte spighe d'erba.
Curt lo stava fissando ma non aveva ancora compreso cosa aveva di fronte a se. Riusciva a vederlo chiaramente ma il suo cervello si rifiutava di accettare quella terrificante verità.
L'uomo mezzo marco lo stava fissando con il suo unico occhio... un occhio folle, spalancato e perfettamente rotondo, come se la pelle attorno l'orbita si fosse ritirata, esponendo le ossa.
Il ghigno era malefico quanto euforico, così innaturale e in qualche modo vagamente umano.
Curt si alzò lentamente da terra. Non sentiva più le gambe... a dire il vero non sentiva più nulla, neanche il sole che gli scottava la pelle o le cicale che frinivano così forte da fargli vibrare i timpani delle orecchie.
"Tuo fratello..." disse l'uomo mezzo marcio. E la sua voce era orrenda, rauca e profonda. Sembrava quella di un malato o di un moribondo intento a sforzarsi per poter pronunciare qualcosa. Eppure il suo tono era profondo e possente.
"Tuo fratello..." continuò quella voce dell'oltretomba "...aveva il sapore del caramello appena sciolto."
Questa volta Curt non riuscì a trattenere un conato di vomito.
Si voltò verso l'auto e balzò al suo interno.
Alle sue spalle sentì l'uomo mezzo marcio uscire dall'erba e avanzare verso di lui. Curt mise in moto l'auto e partì.
Pietre e polvere furono sollevate in aria.
In pochi secondi l'auto acquistò una notevole velocità, sbandò un paio di volte ma infine il ragazzo riuscì a fuggir via da quel luogo.



cic

   
 
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