Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: PerseoeAndromeda    03/01/2023    1 recensioni
Shin entrava e, come prima cosa, quando era solo, si dirigeva proprio in quel punto, si metteva al centro della luce, allargava le braccia, lasciava che la fragranza naturale gli pizzicasse le narici e chiudeva gli occhi.
L’abbraccio della luce, il profumo di foresta: tutta la protezione di Korin lì con lui… per lui.
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Cye Mouri, Sage Date
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fanfic scritta per l'Inktober indetto da Fanwriter.it.
Lista: Pumpnight
Prompt: 6. Scheggia
Titolo: Sacralità
Fandom: Yoroiden Samurai Troopers
Personaggi e ship: Shin Mouri, Seiji Date
Rating: verde
Genere: introspettivo, romantico, fluff, sentimentale
 

 
SACRALITÀ


 
Il dojo che erano riusciti ad allestire era forse l’angolo più sacro del loro piccolo paradiso, per Shin.
Non era grande, ma lo spazio era sufficiente perché tutti potessero allenarsi e perché le spade, gli archi, i bastoni e le lance potessero venire raccolti in ordine nelle loro rastrelliere.
L’attrezzatura più ricca e variegata era senza dubbio quella di Seiji, con tutto il necessario per il kendo e le varie tipologie di bokken.
Vi erano anche alcune antiche katane, appartenute un tempo ad antenati della famiglia Date.
Per questo era la sua presenza a far parlare di sé tra quelle pareti di legno, anche se apparteneva a tutti, anche se tutti ne usufruivano, lì dentro si respirava Seiji, si respirava la nobile luce della cortesia.
Quando varcava la soglia, Shin si sentiva bene, al sicuro, in equilibrio, grazie all’aura di Korin: tutte le sue paure, le sue ansie, nel dojo trovavano momentanea rappacificazione.
Il profumo del legno e quei fasci di luce che, filtrati da porta e finestre, si incrociavano proprio al centro, conferivano al luogo la sacralità di un tempio.
Shin entrava e, come prima cosa, quando era solo, si dirigeva proprio in quel punto, si metteva al centro della luce, allargava le braccia, lasciava che la fragranza naturale gli pizzicasse le narici e chiudeva gli occhi.
L’abbraccio della luce, il profumo di foresta: tutta la protezione di Korin lì con lui… per lui.
Anche quel giorno fece la stessa cosa e rimase lì, sommerso dalla luce, le braccia aperte in tutta la loro larghezza e, dopo qualche istante, sospirò, un sorriso di gratitudine sul volto.
Poi riabbassò le braccia e, in un nuovo sospiro, pronunciò il nome che collegava a quelle sensazioni di beatitudine:
“Seiji…”.
Quando riaprì gli occhi visualizzò, sulla parete davanti a sé, la rastrelliera in cui le bokken erano allineate in ordine perfetto. Mosse qualche passo, godendo del contatto dei piedi nudi con il tatami e si inginocchiò, sfiorando le spade di legno con i polpastrelli.
Era lui che si preoccupava di controllare che, anche lì dentro, tutto fosse pulito e in ordine, come faceva in tutti gli angoli di casa.
Nessuno glielo chiedeva, nessuno lo pretendeva, anzi, tentavano di convincerlo a lasciare che ognuno si occupasse delle proprie cose, ma Shin non poteva farne a meno: preveniva, preveniva sempre.
Dove i nakama ancora non erano giunti, lui aveva già pulito, sistemato, reso perfetto. Era quello che gli dicevano, ma lui non riteneva di fare niente di così perfetto, di così straordinario: solo ciò di cui aveva bisogno.
Ciò di cui aveva bisogno lui, non loro.
Prendersi cura, accudire, fare in modo che quel loro sogno non avesse nulla, proprio nulla, fuori posto. Lui faceva solo ciò per cui sentiva di essere nato e, dal suo punto di vista, non era molto, non era abbastanza...
Non faceva mai abbastanza.
Fu quello che pensò quando vide che, sulle bokken che non venivano utilizzate da più tempo, si era depositato uno strato di polvere.
Non l’aveva notato lui e neanche Seiji, il che era strano.
Seiji teneva tantissimo alla perfezione della sua attrezzatura e, di solito, desiderava occuparsene di persona: le prime volte aveva opposto resistenza quando aveva trovato Shin a pulire e sistemare le sue spade, poi però aveva ceduto.
Aveva preso Shin da parte, gli aveva accarezzato una guancia e gli aveva sussurrato:
“Ti affiderei ogni cosa di me”.
Il cuore di Shin si era elevato a tal punto da sentirsi in paradiso e, da quel giorno, non aveva mai mancato: prendersi cura dell’attrezzatura di Seiji era diventata una missione...
Come il prendersi cura di tutto in casa, d’altronde.
“Come posso essere stato così negligente?” sospirò, osservando con aria colpevole le spade di legno coperte di polvere.
Una in particolare attirò la sua attenzione.
Era particolarmente vecchia e rovinata, doveva aver avuto un qualche tipo di incidente, perché il legno non era ben levigato e, in alcuni punti, sembrava prossimo a spezzarsi.
Se solo se ne fosse accorto prima, avrebbe potuto provare ad aggiustarla: chissà se Seiji sapeva di quella spada.
Oh, certo che lo sapeva.
Seiji conosceva a memoria tutte le sue spade.
Le dita di Shin si strinsero intorno all’elsa e, con delicatezza, la estrasse e se la mise in grembo.
“Forse potrei davvero provare a sistemarla. Togliere le schegge fuori posto, levigarla, pulirla per bene...”.
Chissà se sarebbe stato possibile.
Passò un dito lungo la superficie, percependola ruvida e irregolare: le condizioni di quella spada sembravano davvero gravi.
“Shin, cosa stai facendo?!”.
Sussultò, il dito indice incontrò una scheggia quasi del tutto staccata che gli bucò la pelle. La bokken cadde a terra con un tonfo che risultò assordante nel silenzio, eco perfetta alla voce severa che lo aveva colto alla sprovvista.
Restando accovacciato si voltò, il dito in bocca, incrociando lo sguardo stupito di Seiji che lo stava sovrastando.
Non seppe spiegare a se stesso perché si fosse spaventato così, già da tempo Seiji gli aveva dimostrato di non provare alcun fastidio quando lui toccava le sue cose. Eppure, si sentiva come se fosse stato colto in fallo nel violare una proprietà sacra ed intoccabile.
Davanti alla sua espressione, quella di Seiji subì un repentino mutamento: passò da curiosa a intenerita e anche un po’ preoccupata. Si accucciò davanti a lui, mentre il dito di Shin scivolava via dalle labbra.
“Ti sei fatto male?”.
Shin scosse il capo e lo abbassò, timido, le gote leggermente arrossate:
“Mi dispiace aver fatto cadere la tua bokken, non…”.
“A me dispiace averti spaventato, lo sai che non mi infastidisce se le tocchi, ero solo curioso”.
“Volevo capire se fosse possibile aggiustarla”.
Gli occhi di Seiji si spostarono sulla spada di legno caduta poco distante, sospirò:
“È molto vecchia, non ricordo un momento in cui non sia stata così rovinata. L’ho portata qui nella nostra casa solo perché ci sono affezionato. È stata la prima che mi hanno messo in mano”.
“A maggior ragione…”.
“Può restare anche così…”.
Intanto chiuse le dita, con delicatezza, intorno al polso di Shin, gli sollevò la mano.
“Eri molto carino con il dito in bocca” si mise a ridacchiare il guerriero della luce, provocando in Shin una nuova esplosione di rossore. “Sembravi un cucciolo… un pesciolino… o una fochetta, come dice Shu”.
“Seiji, dai…” borbottò il samurai dell’acqua, la testa che tentava di rintanarsi tra le spalle.
“Tutto da mangiare” proseguì il nakama, implacabile.
"Smettila…".
Il corpo di Shin si ripiegava sempre più su se stesso, come se volesse venire risucchiato dal tatami.
"Fammi vedere cosa hai fatto a questo dito".
La voce di Seiji era bassa e carezzevole, a Shin sembrava calda, una melodia che gli avvolgeva il cuore.
Si nutriva di quelle attenzioni, erano ciò che dava un senso alla sua esistenza assetata d'amore.
Al tempo stesso, però, non se ne sentiva degno, non meritava tanto, non meritava che Seiji tirasse fuori tutta la sua dolcezza solo per lui. Era un dono troppo grande.
“Non mi sono fatto nulla. È solo una scheggia”.
“Allora bisognerà toglierla”.
“Sì… poi lo faccio…”.
“Ci penso io”.
Nonostante la voce di Seiji si mantenesse bassa e dolce, praticamente ridotta ad un soffio, quella formulata non era una richiesta, ma una di quelle decisioni alle quali non era possibile sottrarsi.
Tuttavia, Shin ci provò, non voleva dargli disturbo, continuava a ripeterselo, non lo meritava, era stato maldestro, era stata colpa sua.
“Non… ce n’è bisogno… davvero… ci penso io…”.
“Shh… Shin… fai il pesciolino muto”.
Il guerriero dell’acqua deglutì, un calore intenso si impossessò di tutto il corpo, il rossore si diffuse fino alla punta delle orecchie. Gli occhi si fecero per un attimo grandi, poi si ridussero, si abbassarono, vagarono ovunque, per mettersi infine a fissare il tatami, lì in basso, tra le loro ginocchia troppo vicine.
Non osò dire più nulla, mentre non poteva trattenere i brividi che i tocchi di Seiji sulla sua mano gli procuravano.
“La vedo, è abbastanza grande ed è andata a fondo… scusami…”.
Con quest’ultima parola, Seiji estrasse in un’unica, sapiente mossa, il corpo estraneo dal dito di Shin, che strinse i denti solo per un istante.
“Spero di non averti fatto troppo male”.
La testa di Shin si scosse con due mosse leggere, senza sollevarsi, la timidezza ancora padrona di ogni sua reazione.
“Nel caso, rimediamo subito”.
Nelle ultime parole di Seiji si percepì un cenno di divertimento, una malizia che Shin ben conosceva ormai e che solo a loro, agli amatissimi nakama, il guerriero della luce aveva concesso di conoscere.
Portò alle labbra il dito di Shin e le posò sul polpastrello: un tocco leggero, quasi impalpabile, ma Shin lo sentì in ogni fibra del suo essere, il bacio di Seiji si insinuò nelle vene, nelle terminazioni nervose, nell’essenza stessa dell’anima e scese fino al cuore, portando ad esso tutto il calore della luce.
Come sempre, per Shin, le emozioni si rivelarono difficili da dominare, lo colsero impreparato e persino terrorizzato, quel cuore così dolcemente confortato prese a battere all’impazzata, un singhiozzo risalì lungo la gola e il ragazzo tentò di soffocarlo portando la mano libera davanti alla bocca.
Seiji comprese ogni cosa, probabilmente lo aveva previsto.
Intrecciò la propria mano a quella di Shin e portò l’altra al petto del nakama, in quel gesto che era diventato intimo, lenitivo, la medicina più efficace per la fragilità del guerriero dell’acqua.
“Va tutto bene…”.
Shin annuì, fece scivolare via la mano dalle labbra, cercò quella sul proprio petto, la avvolse tra le proprie dita e si chinò in avanti, mentre Seiji lo imitava.
Le fronti dei due ragazzi si appoggiarono l’una all’altra per qualche istante, poi quella di Shin scese sulla spalla di Seiji che, con un sospiro pieno di tenerezza, gli baciò la nuca e assaporò tra le narici la fragranza dei capelli morbidi del nakama.
Rimasero così, immobili, cullati dai respiri, immersi nella sacralità del luogo e del loro reciproco abbraccio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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