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Autore: Slits    11/09/2009    2 recensioni
Ma quando il vento, maligno e tagliente, si levò ancora una volta in quei campi, innalzando con fierezza l’odore di carne bruciata, il bambino si scoprì a sbarrare nuovamente gli occhi, confuso.
Era cresciuto ed aveva appena avuto il tempo di rendersene conto.
« Addio, Ichigo. » Era adulto e tutto ciò che muovesse i suoi passi era l’odio.

Il soffio del vento nasconde una risata.
[Ichigo/Hichigo]
[!Angst]
{Moving into the past: #1}
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hichigo, Kurosaki Ichigo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Justice will prevail [And we will be either dead bodies]


Le spade si scontrarono in aria, con fragore nel vuoto di quella stessa pianura.
- Talmente debole da vivere alle loro spalle. Non provi ribrezzo per te stesso, fratello? -
Il samurai ebbe appena il tempo di levare lo sguardo all’orizzonte, verso le centinaia di salme che esanimi giacevano oltre quella collina. Dinanzi a lui l’ultimo superstite di una battaglia chiamata più e più volte insensata.
Alle sue spalle una terra che per troppe volte, troppo a lungo, aveva visto ardere.



Il fumo si levava alto fra le macerie.
Saliva al cielo in cerchi concentrici sempre più densi, macchiandosi di aloni di grigi e colori plumbei. In una grottesca ombra avvolgeva l’intero campo, gravido dell’odore della polvere da sparo.
La terra era sporca, le nuvole anche. Riuscì a pensare unicamente questo, un bagliore sufficientemente contorto nonostante tutto, quando il suo respiro tornò regolare.
Ed allora si rialzò stremato, Hichigo, dall’angolo dove aveva trovato riparo e, non senza una debita imprecazione, levò gli occhi al cielo. Sentiva la testa bagnata ed i capelli, pochi fili ancora integri, insolitamente croccanti al tocco delle sue dita.
Strofinò insoddisfatto indice e medio lasciando cadere qualche grumo di sangue al suolo, fra ciò che rimaneva di quel luogo un tempo rigoglioso. Poi si guardò intorno.
Lo spettacolo di distruzione che lo circondava, pesante come l’aria che si poteva ancora respirare in quel posto, aveva fatto nascere un sorriso insolitamente compiaciuto sulle sue labbra sottili, screpolate in alcuni punti dalle ferite.
Le sue anche barcollarono appena, in un moto vagamente ondeggiante, prima di trovare sostegno su uno dei tanti muri divelti dagli spari. Al suo fianco quel corpo ardeva ancora.
Bruciava come carta, accartocciandosi su stesso in silenzio.
Rimase a lungo ad osservarlo, cercando riparo alle spalle di quel sorriso che ad ogni lembo di pelle consumato, ad ogni straccio lacero, sentiva spezzarsi sempre più. Strinse i denti in un movimento che a qualsiasi altro bambino sarebbe costato una lesione alla mandibola.
Ma lui non era più un bambino come tanti altri, aveva smesso di esserlo da ore oramai e la sola cosa che la vita gli avesse dato in premio era stato il tempo per rendersene conto.
Le labbra si spaccarono ancora una volta, in un taglio indifferente che qualsiasi altra persona avrebbe forse voluto chiamare sorriso. Decise di violentarsi voltandosi verso quella carcassa, un cumulo indifferente di cenere fra così tanti lapilli, e guardarla forte di quella boria che sempre lo aveva sostenuto.
Quel ghigno si storse un’ultima volta, in un’espressione orribile che nessuna maschera avrebbe più potuto nascondere. Infine si inclinò insieme alla sua voce quando in un singhiozzo si scoprì a chiamarla ancora ed ancora.
- Mamma… - era un nome che non aveva mai pronunciato in un sussurro che fosse più forte del semplice bisbiglio. Del resto aveva sempre rinnegato le proprie origini; seppur bambino aveva provato con tutto se stesso a cancellare quell’insulso legame che lo tenesse ancora vincolato al proprio fratello e ad un padre disertore.
Aveva maledetto il suo stesso sangue, pregato pur di liberarsene. E quando quello sguardo giudice, non severo né affranto, ma semplicemente giusto si era ritrovato ad osservarlo in silenzio, Hichigo, non era riuscito a fronteggiarlo.
Persino adesso che quelli occhi spalancati continuavano a fissarlo, senza più alcuna emozione, dal putridume di quel suolo, sembrava esser incapace anche solo di pensare. Ed allora si scoprì a stringer nuovamente i pugni, pronunciando ancora una volta quel nome.
- Mamma… -  il suo lamento era oramai spezzato.
Sentiva le labbra bagnate irrigidirsi e contorcersi pur di non lasciar andare quel sorriso. Era tutto ciò che gli rimanesse, la sola cosa che quelle fiamme non fossero riuscite a dilaniare.
Ma come pioggia sentì quelle stesse lacrime, quella stessa acqua che un tempo avrebbe forse acquietato il fuoco, bruciare sulla pelle e scendere sino alle gote.
- Mamma! – si riempì i polmoni di quell’epiteto, lo urlò sino a cadere su se stesso per il dolore.
Voleva sentire ogni parte di se, ogni muscolo, osso o tendine tendersi sino allo stremo e dimostrargli di avere un giusto motivo per cui piangere, un dolore motivato a cui potersi abbandonare.
Gridò ancora ed ancora, in una valle che quasi per scherzo invece rimaneva in un ostentato silenzio.
La sua voce sovrastava il pianto e quello, a sua volta, sembrava riuscire a sovrastare ogni cosa dentro di se. Quando alla fine non sentì nient’altro che un vuoto riecheggiare incessante e volerlo mettere a tacere, quando in nome di quel dolore ogni cosa sembrava esser stata soverchiata, solo allora parve riuscire a quietarsi.
E cadde su se stesso, stremato come un palloncino teso sino allo stremo, uno dei tanti che era costretto a vedere senza poter comprare, in silenzio.
Beffa di se stesso in quel campo che su così tanta morte, sembrasse non aver voluto lasciare andare neanche un singolo inno alla vita.


Quando riaprì gli occhi il vento aveva già disperso parte della sua esistenza.
Poteva sentirne l’aria impregnata dell’odore ristagnare sicura, il terreno bruciato macchiarsene il manto. Alzò lo sguardo e rimase a fissarli per un istante, speranzoso, poi levò gli occhi al cielo.
- L’hai lasciata andare…- non ebbe bisogno di voltarsi per riconoscere quella voce.
Erano tredici anni che la sentiva del resto. Ogni sera, di ritorno dal lavoro nei campi, lo stesso copione : entrava in punta di piedi nella sua vita e tutto ciò che sperasse di riuscire ad estrapolarvi erano quei buoni sentimenti di cui tanto amava riempirsi la bocca.
Nessuna premura a spiegargli cosa potessero essere, nessun monito a dirgli che fosse giusto seguirli e sbagliato, invece, rinnegarli. Solo quell’imposizione, ancor più sorda da quando suo padre aveva lasciato i campi per dedicarsi a coltivare i propri, di interessi. A salvare la propria vita a discapito delle loro.
Ed Hichigo lo aveva sempre lasciato fare. Facendosi forte di quell’indistruttibile boria che di giorno in giorno, Ichigo, avrebbe giurato veder trapassare la loro madre ed ucciderla.
Senza fretta, con quel voluttuoso piacere che riempiva sempre il suo sguardo nell’attimo antecedente al dolore.
- Stava incominciando a puzzare. – quel giorno non sarebbe stato diverso dagli altri.
L’essere soli a fronteggiarsi, il non avere nessuno a fermare le loro mani quando le unghie oramai indurite dalla fatica si scoprivano a squarciare il petto dell’altro, come artigli tenuti chiusi sin troppo a lungo, non avrebbe di certo cambiato le cose.
Ichigo si voltò verso il fratello e rimase a fissarlo, immobile.
Sperava ancora di riuscire a cogliere un sottile barlume di vita in quelle iridi spente, quasi come se il farlo potesse mostrargli che ciò che da anni stesse tentando di scuotere, sino a logorarsi l’anima, non era un corpo vuoto e che lui, quindi, non era stato un cattivo fratello.
- Era nostra madre… -  ma per quanto si sforzasse, per quanto le sua gola potesse esser secca e le sue parole stanche, solo una volta era riuscito a scorgere quel flebile bagliore. E bruciarsene quasi per quanto colmo di rabbia e dolore.
Chinò il capo, chiedendosi quante altre vite avrebbe dovuto sacrificare per poterlo vedere ancora una volta, puro come un tempo.
- Era una carogna in decomposizione. -  e sentendola a fatica, quella risposta scivolargli dapprima addosso ed unicamente dopo dentro, sino a sfiorargli le viscere. Nessun’altra.
O forse unicamente un’ultima soltanto.
- Era nostra madre! – questa volta la frase uscì con rabbia dalle sue labbra secche. Graffiò l’aria, insinuandosi infine nella mente del fratello come un male incurabile.
Un tumore nel corpo perfetto di quel mondo che lentamente aveva visto incominciare a vacillare e sgretolarsi sotto di se. Inutile persino affannarsi a raccoglierne i pezzi.
Era qualcosa andato distrutto anni prima e lui non aveva potuto far nient’altro che assistervi e lasciar scorrere. Sentirne il sordo rumore scalfire il silenzio di casa loro e mascherarsi con il silenzio susseguito subito dopo al fragore della porta che loro padre, voltandogli le spalle un’ultima volta, era riuscito a portare alla luce. Non avrebbe lasciato che quella scena potesse ripetersi ancora una volta.
Anche a costo di cavarsi gli occhi con le proprie mani, non avrebbe assistito all’addio dell’ennesima persona che, seppur con un odio talmente radicato da creder che nulla, neanche a distanza di anni, lo avrebbe più potuto eliminare, fosse riuscita a risvegliare un barlume di vita dentro di se.
- …a vendicarla. – anche a costo di morire.
- Ho intenzione di unirmi ai rivoluzionari… voglio vendicarla. Voglio ucciderli. Tutti.-
Vide Ichigo sbarrare gli occhi confuso e lasciar cadere ai suoi piedi la piccola lama che sino a quel momento aveva tenuto in religioso equilibrio sulle ginocchia, timoroso quasi di poterla sfiorare ancora una volta. Era la stessa lamiera che bruciata era entrata nel costato di sua madre nel vano tentativo di estrarre il proiettile.
L’aveva sentita affondare e chinarsi con i suoi rantoli di dolore. Gli era parso quasi di sentirne la punta spezzarsi e seguire il proiettile, nell’intercapedine fra una costola ed un’altra.
- Lasciami. –  si scoprì ad arretrare quando la mano del fratello si posò sulle sue dita, nel vano tentativo di allentarne la presa. Ciò che un tempo sarebbe dovuto esser un tocco caldo, quasi infantile, la solitudine di quel rogo aveva trasformato in una morsa gelida, riflesso, forse, di uno spirito suicida.
Ichigo scosse la testa e si scostò, indietreggiando ancora, seppur impercettibilmente.
- Non lo farò. – ed era stato sincero nel dirlo.
Nessun rimorso nel pronunciare quelle parole, stesse che sulla bocca del gemello, avrebbero probabilmente saputo di un veleno riarso. Vide il fratello arretrare e si limitò a  rimanere immobile, con il braccio ancora teso quasi come se, in questo modo, potesse riuscire a sentire anche lui, dentro di se, quel vuoto defluire e liberare finalmente parte di quel corpo.
- Questo fottuto governo ci ha portato via ogni cosa. Non ti importa, idiota? -
- Non ti lascerò andare così! – ripetè la stessa frase, ma il suo tono parve esser in grado di frantumare persino la pietra.
Hichigo chinò il capo, per la seconda volta in una vita che troppe volte lo aveva costretto a tenerlo innalzato, e si limitò a chiudere gli occhi quando lo sguardo di quella donna, la stessa creatura inutile che lo aveva messo al mondo, solleticò i suoi pensieri. Ed allora lo vide, quel sorriso.
Spogliarlo come ogni altra volta e disarmarlo di ogni grammo d’odio dosato accuratamente; scacciare il demone ed abbracciare il bambino. Lo sentì sulla pelle e per un attimo parve quasi inebriarsene.
Ma quando il vento, maligno e tagliente, si levò ancora una volta in quei campi, innalzando con fierezza l’odore di carne bruciata, il bambino si scoprì a sbarrare nuovamente gli occhi, confuso.
Era cresciuto ed aveva appena avuto il tempo di rendersene conto.
- Addio, Ichigo. -  era adulto e tutto ciò che muovesse i suoi passi era l’odio.
Questa era l’amara realtà dei fatti e più nulla, adesso, l’avrebbe potuta ribaltare.



- Né più né meno di quanto ne possa provare tu. – l’albino sorrise.
Le sue labbra si spezzarono nello stesso ghigno che sette anni prima si era ritrovato ad accompagnare le ceneri di sua madre sino a vederle scomparire.
Ma niente questa volta parve esser in grado di cancellare quella macchia indifferente, nient’altro questa volta avrebbe bagnato le sue guance ad eccezione del semplice sangue fraterno.
Traditore ed infimo come quella stessa brezza che, levandosi ancora una volta, parve scortare lo stesso sapore di terra e carne bruciata.
- Servi lo stesso governo che l’ha uccisa. –  
- Lo proteggo dalla stessa anarchia che tu sostieni e che lo ha condotto al crollo. –  testimone silenzioso dell’ultima battaglia condotta su quel terreno oramai gravido di sangue e cenere.
Rivoluzionario e soldato.
Niente di più scontato in un paese oramai predestinato alla distruzione.
- Vedo che abbiamo entrambi delle ottime motivazioni, fratello… -
Niente di più sbagliato per un vento ansioso di reincarnare le vesti dell’ameno spettatore, nello spettacolo di una morte annunciata da tempo.

[ Nessun’altra.
O forse unicamente un’ultima soltanto
…]

   
 
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