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Autore: PerseoeAndromeda    07/01/2023    0 recensioni
C’erano giorni in cui solo guardarlo gli faceva male al cuore.
Eppure, non si chiedeva mai perché gli restasse a fianco: da quando aveva compreso quali tormenti si agitassero nell’animo di Aito, Daisuke aveva in realtà capito quanto immenso fosse l’amore per lui.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Fanfic scritta per il writober indetto da Fanwriter.it.
Lista: Pumpnight
Prompt: 13. Glicine
Titolo: Sacra promessa
Fandom: Originale
Personaggi: Daisuke e Aito
Rating: Giallo
Genere: boys love, angst, drammatico, introspettivo, hurt/comfort, sentimentale
Avvertimenti e note: si tratta di uno spin-off relativo a un mio precedente racconto incentrato sulla depressione pesante e su ciò che essa comporta. Può essere letto anche senza aver letto le altre storie con protagonisti questi due ragazzi. In questo frammento la tematica della depressione, pur non essendo così centrale come nella principale storia, è comunque presente.


 
SACRA PROMESSA


 
C’erano giorni in cui solo guardarlo gli faceva male al cuore.
Eppure, non si chiedeva mai perché gli restasse a fianco: da quando aveva compreso quali tormenti si agitassero nell’animo di Aito, Daisuke aveva in realtà capito quanto immenso fosse l’amore per lui.
Scoprire la sua sofferenza e rendersi conto del proprio amore erano stati tutt’uno ed era spaventoso, soprattutto, riconoscere di essere stato cieco fino a quel momento.
Era dura, a volte temeva che si trattasse di una situazione ingestibile: Aito era arrivato a tentare il suicidio e lui, solo per un fortuito caso e un’improvvisa intuizione, era riuscito ad impedirlo.
Temeva tanto spesso di non farcela, che il male oscuro di Aito fosse qualcosa che lo divorava da dentro, come un cancro, cancellando ogni cosa della sua personalità così speciale, cancellando la vita, la luce che non si rendeva conto di possedere.
Daisuke lottava contro se stesso per non farsi prendere dalla disperazione, perché quella tenebra dell’anima non lo contagiasse: lui doveva rimanere sveglio, consapevole, forte per entrambi.
Anche se, sempre più spesso, si rendeva conto che, dopotutto, l’amore che provava poteva non essere sufficiente.
 
***
 
Dopo un periodo di lavoro intenso, avevano finalmente ottenuto una settimana di ferie e Daisuke era riuscito a convincere Aito ad accompagnarlo in un viaggio, loro due soli, nella prefettura di Kyoto.
Sperava, così, di alleviare la sofferenza di Aito che, in quei giorni, era particolarmente intensa. Non pretendeva di guarirlo, non bastava di sicuro un viaggio per colmare il nulla che si impossessava tanto spesso del suo compagno.
Ma desiderava creare, con quel viaggio, un'occasione per capire meglio, per pensare, per lavorare insieme contro il male oscuro che divorava l'animo del giovane.
Arrivarono a sera nel ryokan che avevano prenotato, in tempo per cenare e avvolgersi, in preda alla stanchezza, nei futon.
Aito era silenzioso.
Non che di solito fosse una persona loquace, ma ormai Daisuke ero in grado di riconoscere quando quei silenzi erano il riflesso esteriore di un vuoto emotivo che non sapeva colmare.
Non aveva mangiato quasi niente e si infilò sotto le coperte con un “buonanotte” appena accennato.
“Aito…”.
Daisuke non sapeva a cosa sarebbe servito mormorare il suo nome, cosa avrebbe potuto o voluto ottenere.
Sentì tuttavia il bisogno di farlo e lasciò che gli salisse alle labbra il più banale degli argomenti:
“Sei molto stanco?”.
Aito si rannicchiò sotto la coperta, solo gli occhi e i riccioli color miele spuntavano, i riflessi d’oro esaltati dalla lampada ancora accesa.
“Un po’… domani sarò più attivo… te lo prometto… solo che oggi…”.
A Daisuke venne da sorridere, nonostante tutto.
Gli dispiaceva che si sentisse in colpa, non era il suo intento.
“Non devi promettere nulla, sono già tanto grato che tu voglia passare con me questa vacanza”.
“Tu, grato a me?”.
La voce delicata, flebile come un lamento, si spense in un sospiro.
“Riuscirò a fartelo credere, prima o poi…”.
“Cosa?”.
Daisuke si tese verso di lui, gli sfiorò i capelli con le labbra e cercò la fronte, per posarvi un bacio:
“Quanto ti amo, scemo”.
Lo sentì rannicchiarsi di più, scosso da brividi intensi e, quando si risollevò, Aito era completamente scomparso sotto la coperta.
Daisuke lasciò una lieve carezza sul punto in cui immaginava fosse nascosto il viso e tornò al proprio futon.
“Dormi… domani ci aspetta un bel giro”.
Il momento successivo venne cancellato dalla sua stessa stanchezza, il sonno lo catturò e ogni cosa scomparve.
 
Non seppe dire cosa lo avesse svegliato, non si trattava di un rumore, neanche di un sogno.
Più una sensazione…
Di urgenza…
Di bisogno.
La verità era che non si sentiva mai del tutto tranquillo quando Aito attraversava uno dei suoi periodi neri.
Lo stesso Daisuke veniva avvolto dalla tenebra dell’amato e il suo sonno non era mai più stato lo stesso da quella notte, durante la quale lo aveva salvato, strappato quasi per miracolo all’inferno di Aokigahara.
Il timore che Aito ci riprovasse era ancora troppo grande.
La prima cosa che i suoi occhi videro, nel momento in cui si aprirono, fu la sagoma seduta sul futon accanto, avvolta da un leggero alone di luce. Forse la fonte era qualche faro acceso fuori dalla finestra, al di là dello shoji che dava sul giardino interno o, forse, semplicemente la luna.
Ma nel cuore di Daisuke era lo stesso Aito ad emettere luce, una luce pallida e leggera, un po’ malata, lattea, che sarebbe voluta esplodere, splendere in tutta la sua potenza, senza mai riuscirci, imbrigliata da quei tentacoli di tenebra che si avvolgevano come spire velenose intorno allo spirito del giovane.
Le braccia allacciavano le ginocchia e le stringevano contro il petto e lo sguardo e il viso affondato in quella stretta, come a cercare rifugio nel buio dell’abbraccio che dava a se stesso.
“Perché non lo cerchi da me quell’abbraccio?” si trovò a pensare Daisuke. Era una domanda che tornava spesso, ma mai aveva osato porla ad Aito apertamente, perché i sensi di colpa del compagno erano già troppi. Posare sulle sue fragili spalle anche le proprie insicurezze sarebbe stato troppo.
“Resta forte” ripeteva allora a se stesso. “Comprensione, vicinanza, accettazione…”.
Amore…
Lo amava così tanto.
Si tese in avanti e scivolò un po’ con le ginocchia, per avvicinarsi a quel bozzolo di disperazione. Poi sollevò una mano e gli sfiorò i capelli, strappandogli un brivido.
“Ai-chan…” mormorò.
Ebbe la sensazione che in quel brivido fosse infuso anche l’intento di spostarsi e fuggire al suo tocco.
Ormai Daisuke era abituato a quelle reazioni: non scappava da lui. Aito scappava sempre e solo da se stesso, dalle proprie emozioni, dal timore di essere di troppo. Daisuke si avvicinò di più, gli si sedette accanto e gli portò un braccio intorno alle spalle.
“Vieni qui” lo invitò con dolcezza e lo attirò contro di sé.
Gli venne opposta una piccola resistenza, alla quale neanche lo stesso Aito, probabilmente, credeva: l’attimo successivo la testa del giovane era sulla sua spalla e si era fatto piccolo contro di lui, con il suo corpo già minuto e troppo magro.
La mente di Daisuke formulò domande che, di nuovo, tenne per sé:
“Non sei felice? Non ti rende felice essere qui con me?”.
Lo sapeva benissimo che non era quello il punto, le emozioni andavano da sole, mentre la ragione lo incitava a mettere a tacere simili questioni.
Lui era più forte di così.
Doveva essere più forte di così.
Aveva imparato a non dire nulla in quei momenti, sapeva che ogni frase di circostanza sarebbe stata banale e per nulla utile a debellare o anche solo ad alleviare quel cancro invisibile che divorava l’anima dell’amato. Non sarebbe servito se non a farlo sentire peggio, ancora più afflitto, ancora più in colpa di quanto già si sentisse.
Così si limitava a stringerlo, per ricordargli che lui c’era, che non era solo e che, qualunque cosa fosse accaduta, non se ne sarebbe andato. Anche se intorno ad Aito si fosse formato un vuoto incolmabile, anche se chiunque lo avesse abbandonato, Daisuke non lo avrebbe fatto.
“Sempre…” gli sussurrò all’orecchio. “Io ci sarò sempre…”.
Spesso, Aito faticava a sentire persino parole come quelle quando stava tanto male.
Non ottenendo risposta, Daisuke sospirò, gli posò un lieve bacio sulla nuca e fece scivolare la mano sotto una delle sue, stringendogli dolcemente le dita.
“Mi dispiace” si levò, inatteso, uno squittio agonizzante dalla figurina rannicchiata contro di lui.
“Ssh” si limitò a rispondere Daisuke, posando un nuovo bacio tra i suoi capelli.
Il capo di Aito si scosse in un gesto di diniego: non era un rifiuto del bacio, ma ancora un rifiuto verso se stesso.
“Dovrei andare a casa…”.
Daisuke si staccò da lui con un sussulto: doveva ammettere che, quella notte, pur in quella disperazione, certe parole non se le sarebbe aspettate.
“Cosa dici?”.
“Non è giusto che io sia qui. Non è giusto per te”.
Sul volto di Daisuke comparve una smorfia.
Un tempo non avrebbe contenuto la rabbia, gli avrebbe risposto male, forse l’avrebbe insultato…
Un tempo…
Quando non capiva e aveva ancora tanto da imparare riguardo alla condizione in cui Aito versava da anni, senza che lui se ne fosse reso conto.
Ormai, prendersi cura di Aito, del suo spirito in frantumi, era diventata la ragione più intima della sua esistenza e niente al mondo lo avrebbe distolto da tale scopo.
Si alzò, senza lasciare la mano del compagno che, colto totalmente alla sprovvista, venne trascinato verso l’alto e si lasciò sfuggire un’esclamazione di sorpresa.
Il movimento brusco lo fece barcollare e Daisuke dovette sorreggerlo tra le proprie braccia.
Aito, stupito da quell’atteggiamento, imbarazzato e confuso, nascose il viso nel petto dell’altro e lasciò che egli lo avvolgesse e lo sollevasse portandogli un braccio sotto le ginocchia.
“Cosa fai?” osò chiedere, senza sollevare lo sguardo, un borbottio confuso soffocato dal petto nel quale era rifugiato.
“Ti dimostro quanto desidero starti vicino… e che tu resti qui con me”.
Gli rispose un lamento e un leggero strofinarsi del volto di Aito, come se volesse rifugiarsi di più in lui, quasi a venire inglobato dal suo corpo.
A Daisuke sfuggì un sorriso: di solito era buon segno quando, nella sua tristezza, cedeva alle coccole o a qualunque gesto d’affetto. Dimostrava un accenno di apertura, un po’ di comprensione di quanto importante fosse il loro rapporto…
Di quanto, per entrambi, potesse significare salvezza.
Con il suo leggero fardello tra le braccia, si diresse verso lo shoji, lo fece scorrere con la punta delle dita e si immerse nell’oscurità della notte.
Le tenebre non erano totali: la luna era alta nel cielo e gettava una doccia di luce lattea sulle bellezze del giardino primaverile.
La volta celeste incendiata di stelle indicava un tempo sereno: il giorno dopo ci sarebbe stato il sole, che li avrebbe accompagnati nelle loro escursioni nei dintorni di Kyoto.
Ma se Aito lo avesse preferito, sarebbero rimasti lì, a riposarsi, se lui avesse voluto a parlare, a godersi riposo e tenerezza reciproca.
“Tutto quello che desideri, amore mio” si trovò a pensare. “Io sono al servizio dei tuoi desideri e della tua serenità”.
Al centro del giardino, laddove la luna riversava con maggior decisione il proprio fascio di luce, si ergeva un pergolato avvolto da un glicine in piena fioritura. Gli occhi di Daisuke si posarono sullo spettacolo naturale dei grappoli viola, che oscillavano alla leggera brezza della notte primaverile e, con quella danza appena accennata, sembravano invitare i suoi passi.
Vi si diresse: il tripudio di petali e foglie era talmente intenso da formare un rifugio del tutto coperto, con pochi spiragli lasciati alla vista esterna.
Sotto la tettoia, una panca e un tavolo in pietra invitavano al riposo, alla contemplazione, all’annullamento di sé in quell’universo di pace e profumo.
Accanto al tavolo una lanterna, anch’essa in pietra, aveva al suo interno una lampada accesa, che emanava una luce dolce, calda, conferendo un incanto ancora maggiore a quel luogo che sembrava un passaggio verso una dimensione diversa da quella reale.
Andò a sedersi, Aito ancora tra le sue braccia, il viso nascosto. Lasciò che le sue gambe toccassero terra, tenendolo sulle proprie ginocchia e si stupì dell’assoluto abbandono del ragazzo: si stupì, si intenerì, il suo cuore ebbe una stretta dolorosa. Sembrava che Aito fosse come spento nel suo abbraccio, troppo rassegnato, troppo passivo.
“Ai-chan… tira fuori il tuo musetto da lì, per favore”.
Pose la richiesta con tenerezza, tono quasi di supplica.
La testa di Aito si mosse con lentezza e un piccolo sospiro. La prima cosa che i suoi occhi videro fu il tetto di fiori penduli accarezzati dalla luce delicata.
Sbatté le palpebre, il suo sguardo ebbe un piccolo lampo di sorpresa che, per un istante, si sostituì alla passività che lo aveva contraddistinto fino a quel momento.
“Dove siamo?”.
Daisuke ridacchiò:
“Non ti eri neanche accorto che siamo usciti?”.
L’espressione del più piccolo si tinse di imbarazzo, lasciò fuggire lo sguardo:
“Stavo… così bene”.
“Davvero?” fu il sorpreso commento di Daisuke.
Era raro sentirgli dire che stava bene, quella sola parola, “bene”, collegata ad Aito significava un tesoro.
“È glicine…” mormorò Aito, tornando a guardarsi attorno. “Amo il glicine…”.
“Anche io. Amo il suo significato… pace… tranquillità…”.
Tutto ciò che avrebbe voluto per Aito, per loro due…
Non chiedeva la felicità assoluta, no…
Gli sarebbe bastata la pace, gli sarebbe bastato saperlo sereno al suo fianco.
“E riconoscenza…”.
La voce di Aito lo richiamò, rivide i suoi occhi, ancora rapiti, come ipnotizzati dalla bellezza che li circondava. Non si era più spostato dalle sue ginocchia, fino a quel momento era rimasto inerme, come incapace di ogni movimento: all’improvviso le sue mani si mossero, risalirono lungo il petto di Daisuke e, infine, si intrecciarono sotto la nuca, poi riabbassò il volto e lo nascose, di nuovo, contro il petto del compagno.
“Riconoscenza… quella che ho per te, Dai-chan… infinita”.
Daisuke sospirò. Non era quello che avrebbe voluto sentirsi dire. Era sul punto di ribattere, ma Aito lo prevenne ancora:
“Se tu non mi avessi scelto… se non avessi incrociato la mia strada… io non sarei più qui… da tempo”.
Daisuke scosse il capo, con le mani cercò le sue guance, lo forzò a staccare il viso dal suo petto e a sollevarlo, per far sì che i loro occhi potessero incontrarsi.
Solo allora parlò e la sua voce uscì incrinata, non poteva trattenere del tutto il desiderio di piangere, una lacrima si fermò all’angolo di un occhio.
“Io non voglio la tua riconoscenza, Ai-chan” con gli indici gli accarezzò le gote, abbassò il volto, portò i loro nasi a sfiorarsi. La sua voce si abbassò in un soffio leggero: “Voglio il tuo amore… solo quello…”.
Aito sussultò, rimase qualche istante immobile, vinto dallo stupore, dalla commozione e, come sempre, dal senso di colpa. Poi si mosse, si resse con più forza a Daisuke e cambiò la propria posizione, mettendosi in ginocchio su di lui, a cavalcioni, racchiudendo tra le proprie le gambe di Daisuke.
I loro sguardi, l’uno in quello dell’altro, si fecero più intensi.
Poi fu Aito a rompere quegli istanti di silenzio:
“Quello ce l’hai, Dai-chan. È la mia sola, indissolubile certezza… ti amo. Forse, un giorno, crederò di meritarlo, se tu resisterai al mio fianco. Ma non puoi impedirmi di esserti grato. Questo non me lo potrai mai chiedere”.
A Daisuke venne da sorridere.
In quella posizione, il volto di Aito era più in alto del suo e gli sembrava bellissimo, con quegli occhi verdi così rari, non solo in Giappone, ma nel mondo intero e talmente grandi che Daisuke avrebbe potuto perdercisi dentro.
E sarebbe stato un meraviglioso perdersi.
“Vieni qui, scemo”.
Attirò il suo volto verso il basso e le loro labbra si incollarono in un bacio dolce, privo di foga: in esso era contenuta una promessa che, nell’abbraccio del glicine in fiore, diventava ancora più sacra.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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