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Autore: MollyTheMole    08/01/2023    0 recensioni
Tanti anni prima, suo padre aveva detto loro di trasferirsi in Giappone, che lì sarebbero stati al sicuro. Sarà anche stato vero, ma da quando era arrivato nella terra del Sol Levante gliene erano successe di tutti i colori. Insomma, quante possibilità c'erano di trovare uno stalker particolare, un dinamitardo narcisista, tutta la famiglia Mouri - piccoletto iettatore incluso - nonché Gin, Bourbon e compagnia bella, tutti dentro lo stesso centro commerciale? Per non parlare di lei. Solo quel giorno gli stava facendo perdere dieci anni di vita.
Genere: Azione, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jodie Starling, Rei Furuya, Shuichi Akai
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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4.

La colpa è cinquanta e cinquanta, quindi siamo sulla stessa barca.

 

Conan è bravo, eh, ma ad oggi non riesco a spiegarmi come sia possibile che la gente creda davvero al detective dormiente, o sonnambulo, come lo chiamano.

Era rimasto a guardare il piccoletto che risolveva brillantemente il caso. 

Era andato tutto esattamente secondo i piani.

Il dinamitardo si era inventato tutto.

La stalker delle magliette rosse era la signora Maruoka, alla ricerca di giustizia per suo padre morto.

Shuichi, però, non era mai stato tanto arrabbiato in vita sua.

Bourbon era sparito.

L’aveva tampinato fino al terzo piano, l’aveva osservato per tutto il tempo e poi, ad un certo punto, gli era bastato allontanarsi una frazione di secondo per fare una telefonata perché il lavoro di tutta la mattinata venisse vanificato.

Dove accidenti si è cacciato?

Prese a scivolare tra la folla, alla ricerca del suo target. La gente, adesso, cominciava a rilassarsi. Molti si appoggiavano in modo indolente alle pareti, altri - soprattutto mamme con bambini - avevano ripreso a guardarsi attorno tra gli scaffali in attesa di essere liberi di tornare a casa.

Un gruppetto di persone, tuttavia, non gradiva di essere ancora chiuso al terzo piano, e stava cominciando a lamentarsi piuttosto sonoramente affinché la direzione dell’albergo e le forze speciali al piano di sotto dessero il via libera e consentissero loro di tornare a casa. 

Shuichi era praticamente certo che Bourbon fosse uno tra quelli. Ancora gli era un mistero il motivo per cui Gin sembrava all’oscuro del suo piano e perché Vermouth non fosse ancora intervenuta. Certo era che quella era una delle fasi più delicate della missione di Bourbon, nonché un momento cruciale per la vita di Kir. 

Che cosa sarebbe successo, infatti, se Gin, vedendo Bourbon travestito, avesse deciso di liberarsi erroneamente di lei?

No, era di vitale importanza che qualcuno facesse emergere la verità.

Compose il numero di James e si acquattò in un angolo, tra uno scaffale di biancheria intima sportiva e un cesto di palloni da basket.

- Akai-kun.-

- James. Bourbon scalpita per uscire. L’ho perso tra la folla. Fuori c’è qualcuno dei nostri?-

- Sì, c’è Smithson sul tetto col fucile.-

- Smithson spara peggio di Chianti.-

- Solo tu spari meglio di Chianti.-

- E’ arrivato qualcuno?-

- In che senso?-

- Vermouth.-

- No, al momento nulla. E’ un problema. Se Gin dovesse convincersi che sei tu invece di Bourbon perderemmo il nostro tramite.-

Shuichi comprendeva il punto di vista di James. Essere un agente segreto comportava la consapevolezza di - come dire?- incappare in un pensionamento precoce

Inoltre, tutti gli agenti sapevano che servivano il bene superiore, un interesse ulteriore. Insomma, sapevano che, per quanto cinico potesse sembrare, erano tutti pedine di un gioco più grande e in quanto tali potenzialmente sacrificabili.

Lo sapeva Shuichi, lo sapeva anche Hidemi Hondou.

Certo, questo non significava che la giovane ragazza della CIA non significasse proprio nulla per lui. Non erano amici, nemmeno colleghi, ma condividevano una storia dolorosa, due perdite che si somigliavano parecchio. Si sentiva legato a lei da una comunanza di intenti e, tutto sommato, la ammirava per il coraggio che aveva avuto nell’inscenare assieme a lui la sua finta dipartita.

Sapeva che cosa volesse dire essere un infiltrato. Era una vita di ansia costante, passata ad aver paura della propria ombra.

Una vita che non avrebbe augurato nemmeno al suo peggior nemico. 

Non aveva esattamente voglia di veder seppellita anche lei.

Mi domando, se ci fosse stata Jodie in quella macchina, se avresti reagito alla stessa maniera.

Voleva bene a James e lo capiva, per cui evitò ogni commento caustico.

- Mi rendo conto. La CIA?-

- Dicono che hanno la situazione sotto controllo, ma al momento non so nulla, né Smithson ha visto niente.-

- Hai un piano per il diversivo?-

- Sì. Speriamo che funzioni.-

- Jodie e Camel?-

- Nessuno è entrato e nessuno è uscito dal centro commerciale.-

- Le hai detto che c’è l’Organizzazione fuori dalla porta?-

- No. Non vorrei che facesse gesti avventati.-

Tradotto, non vorrei che, credendoti presente, si gettasse nella mischia nel disperato tentativo di salvarti la vita.

Buona idea, James.

- Sai se si sono accorti di qualcosa?-

- Non credo. Mi avrebbero chiamato.-

Forse.

Tanti anni prima, suo padre aveva detto loro di trasferirsi in Giappone, che lì sarebbero stati al sicuro. Sarà anche stato vero, ma da quando era arrivato nella terra del Sol Levante gliene erano successe di tutti i colori. Insomma, quante possibilità c'erano di trovare uno stalker particolare, un dinamitardo narcisista, tutta la famiglia Mouri - piccoletto iettatore incluso - nonché Gin, Bourbon e compagnia bella, tutti dentro lo stesso centro commerciale? 

Per non parlare di lei

Solo quel giorno gli stava facendo perdere dieci anni di vita.

- A proposito, le bandierine di segnalazione sono utilizzate in mare o in montagna per comunicazioni a distanza e dato che il significato di umeta no mitayo è ti ho visto seppellire, non si tratta di mare, ma di montagna.-

Le orecchie di Shuichi si drizzarono.

Si voltò verso lo sciagurato terzetto e notò con grandissima sorpresa che Kogoro Mouri, riprendendosi gradualmente dall’anestesia, stava formulando delle conclusioni clamorosamente sensate. 

Mi sa che qualcosa sta bollendo in pentola.

Con tutto il rispetto per Kogoro Mouri, non è di certo un’aquila.

- Inoltre, gli scontrini strappati ricordano proprio la forma di un monte, mentre il rosso delle magliette simboleggia l’omicidio. Un delitto su una montagna innevata può passare per un incidente, e siccome non esistono registrazioni relative all’ora precisa per disgrazie di quel tipo, le dodici e ventinove indicano certamente il giorno ventinove dicembre!- 

Shuichi spalancò gli occhi, per quanto la maschera in lattice glielo concedesse.

- James, ti devo lasciare.-

- Sta accadendo qualcosa?-

- Sì, Kogoro Mouri sembra beccarci, questa volta.-

Sentì il suo capo sorridere dall’altro lato della cornetta.

- Diamine, un evento più unico che raro, senza l’aiuto di Conan-kun.-

- Un evento che non posso perdermi. Devo essere sincero, credo che ci sia qualcosa sotto. Vado.-

Chiuse la chiamata e si avvicinò di più al terzetto.

Scorse Bourbon, in piedi sul primo gradino della scala mobile, pronto a filare via non appena le forze dell’ordine avessero dato il nulla osta.

Ecco dove ti eri cacciato.

- C’era scritto così sulla mail che mi ha inviato poco fa uno sconosciuto!-

Ah ecco. Mi pareva strano che fosse tutta farina del suo sacco.

 

E così era quello il piano di Bourbon.

Non era esattamente il migliore che avesse mai congegnato. Aveva semplicemente raccolto il cellulare di un tizio per non utilizzare il proprio, con un fazzoletto per non lasciare impronte, aveva dettato un messaggio al telefono e l’aveva inviato. Infine, aveva restituito il cellulare. 

Shuichi avrebbe utilizzato un cellulare di riserva, una scheda usa e getta del tutto irrintracciabile. 

Faceva sempre comodo avere uno strumento del genere in tasca, soprattutto quando sei un agente segreto.

Quella mossa, però, tradiva un particolare, un dettaglio di cui avrebbe dovuto immediatamente discutere con James.

Perché Bourbon conosce il numero di telefono di Kogoro Mouri?

Non ebbe troppo tempo per pensare, però, perché le forze speciali avevano liberato gli accessi e riattivato le scale mobili.

Fissò il cappello nero di Bourbon mentre spariva seguendo il movimento meccanico delle scale mobili.

Lo seguì a stretto giro, prendendo la scala mobile opposta e tenendosi a lieve distanza. 

Ogni tanto, Bourbon si guardava attorno, come se stesse cercando qualcuno. Shuichi immaginò che stesse tenendo d’occhio i suoi colleghi dell’Organizzazione. Avrebbe avuto senso, considerato l’incredibile ritardo che aveva accumulato sul suo piano.

Mentre Bourbon si incamminava verso l’uscita attraversando il secondo piano, Shuichi sentì un lieve scalpiccio di piedini provenire da dietro di lui. Si voltò appena in tempo per scorgere il piccolo Conan filare a tutta birra giù dalle scale.

Questa volta, il piccoletto arriva secondo. Lui vuole vedere Bourbon per scoprire chi sia, io lo so già.

E’ incredibile che mi debba sentire in competizione con un bambino, o con un diciassettenne che dir si voglia.

Non fece in tempo, però, a gioire per quella piccola rivincita sul giovane detective che il ragazzino fu trattenuto per la maglietta.

Oh, no, non adesso ti prego.

Sto per tirare Kir fuori dai pasticci.

Ci fu un fugace momento in cui lui e Jodie si scambiarono uno sguardo. La giovane agente, però, lo aveva guardato senza davvero vederlo, scivolando sopra la sua persona mentre lottava per tenere fermo il piccolo Conan.

In cuor suo, Shuichi pregò che il bambino tenesse la lingua fra i denti, ma non aveva molta speranza.

Si attaccò al cellulare.

- James.-

- Che succede?-

- Spero che Smithson abbia una buona mira oggi. Tieniti pronto ad avviare il tuo piano. Bourbon sta uscendo. Io potrei non essere nei paraggi.-

- E per quale motivo?-

- Jodie.-

Riattaccò senza nemmeno aspettare che il suo capo spiccicasse parola e cercò di origliare la conversazione tra la sua collega e il giovane detective. 

- Che ti succede? Perché sei così agitato?-

Ma era chiaramente una domanda retorica. Gli occhi di Jodie dicevano altro, il sospetto che le attraversava le iridi blu.

E’ fuori controllo.

- Non starai mica cercando la stessa persona che voglio trovare io?-

Vide Conan diventare color tofu mentre balbettava sillabe sconnesse.

Per fortuna intervenne Camel a tirarlo fuori dai pasticci.

Il suo intervento, però, fu tutt’altro che salvifico. 

- Come diceva quel messaggio, pare proprio che questo sia un posto pericoloso…-

Io mi odio quando ci azzecco troppo.

- Eh?-

Il piccoletto si riprese da un primo momento di stupore e si mise subito a fare domande. 

- Quale messaggio?-

- Me lo ha lasciato Shuichi!-

 

Provò ad ignorarlo con tutto se stesso.

Il linguaggio del corpo era rivelatore. E’ controllabile solo fino ad un certo punto e con una discreta forza di volontà. 

Quello che Jodie esprimeva, Shuichi l’avrebbe definito con la parola entusiasmo.

Aveva pronunciato quella frase con forza, con l’ombra di un sorriso sul volto, presto represso. 

Provò ad ignorare le implicazioni di ciò, e non ci riuscì.

Per fortuna Conan catturò di nuovo la sua attenzione.

- Ha incontrato il signor Akai?-

- No! Mi ero allontanata dal tavolo nel locale al piano di sotto e lui l’ha scritto di nascosto sul sottobicchiere! Il messaggio era: Scappa! Questa zona è pericolosa!-

Poi Jodie si rivolse a Camel.

- Perché questo posto sarebbe pericoloso? Il caso del dinamitardo è stato risolto. -

Camel, ti prego. Abbi buon senso. 

- Beh, a dire il vero ho visto alla finestra dell’albergo di fronte la sagoma di qualcuno che sembra un tiratore e una Porsche 356 A nera parcheggiata proprio sotto!-

Camel, mi spiace ma non hai avuto buon senso.

Vide una scintilla di consapevolezza attraversare gli occhi di Jodie, mentre il viso di Conan si trasformava in una maschera di frenesia al limite del panico.

Il piccoletto, evidentemente, voleva davvero sapere chi fosse l’uomo travestito da Akai prima che l’Organizzazione mettesse le zampe su di lui. 

Bene, Camel. Adesso che hai detto tutto, inculcale in testa che non si deve muovere, che è pericoloso e che dovete restare al sicur…

- Camel, ti affido quel ragazzino!-

Ecco fatto.

Si guardò attorno, consapevole di non poter perdere l’attimo.

Jodie era uno scricciolo, piccola e veloce. Sapeva sgusciare tra la folla come un’anguilla, mentre lui era bloccato sulle scale mobili da un corpulento signore che aspettava con calma che la tecnologia camminasse al posto suo.

Devo inventarmi qualcosa.

Osservò Jodie lanciarsi all’inseguimento e decise di tentare il tutto e per tutto.

- Permesso, scusate.-

Tornò indietro, risalendo le scale mobili controcorrente. Corse nella direzione da cui era venuto, si avvicinò al luogo del delitto - dove il dinamitardo stava per essere preso in custodia dalla polizia e la signora Seta stava rilasciando la propria versione dei fatti - scivolò non visto in un corridoio laterale, premette il maniglione antipanico e si gettò giù per le scale d’emergenza.

Uno, due, tre piani.

Per fare prima, saltò sul corrimano e si buttò giù, sulla rampa inferiore, atterrando proprio sul pianerottolo per poi riprendere a correre, saltare sul corrimano e ripetere l’operazione fino a che non ebbe toccato terra.

Aprì la porta e si trovò miracolosamente vicino all’ingresso del centro commerciale.

In un secondo, prese nota della situazione.

Sulla porta, c’era Korn.

Nell’hotel di fronte, Chianti stava prendendo la mira.

Sotto, c’era l’auto di Gin.

Se non si è ancora mosso da qui, probabilmente vuole guardare il falso Akai negli occhi prima di sparargli.

E Kir è ancora viva.

Bourbon, invece, stava avanzando lentamente, forse fin troppo lentamente, tra la folla uscente.

Il suo orecchio allenato da anni di musica classica percepì distintamente il rombo di una moto.

Scommetto che è la Harley Davison di Vermouth.

 

Come detto, il linguaggio del corpo è inimitabile e non mente mai.

Se Jodie esprimeva entusiasmo, in quel momento Bourbon esprimeva sollievo. Le spalle si abbassarono, il petto si sgonfiò in un malcelato respiro e l’angolo sinistro del labbro si sollevò verso l’alto in un tenue sorriso.

Adesso sa di essere protetto.

- No, Shuichi!-

Cercò Jodie con lo sguardo e la vide avanzare di gran carriera tra la gente, gridando permesso.

- Non devi uscire!-

Si mise sulla sua traiettoria, disposto a tutto per fermarla.

A Bourbon, adesso, non spareranno mai. Kir probabilmente è salva. Lei no. 

Se Vermouth la vede e Chianti ha ancora il colpo in canna, è finita.

Gin, sanguinario com’è, sicuramente non si opporrà.

- Ti hanno teso un agguato!- 

Correva e gridava con tutta se stessa, talmente tanto che aveva la voce graffiata, come se fosse stata raffreddata.

Parte della folla si voltò a guardarla.

Attira troppa attenzione.

- Ti prego, fermati!- 

Adesso ce l’aveva davanti, con la camicetta gialla che le stava tanto bene e gli occhi blu sgranati per la disperazione.

Urlò con tutto il fiato che aveva in gola per farsi sentire, la voce di carta vetrata che echeggiava tra le pareti del grande magazzino.

- SHUICHI!- 

 

Bum.

 

Che botta.

Non era stato intenzionale. Non aveva voluto impattare così duramente con lei. Il suo scopo era stato quello di farle un trabocchetto, farla scivolare, insomma, farle perdere tempo, quanto bastava affinché Bourbon venisse riconosciuto, le armi smontate e Vermouth se ne andasse fuori dai piedi.

Invece, Jodie correva talmente forte che quasi lo aveva trascinato con lei nella caduta.

L’aveva placcata con il gomito e lei era caduta sul posteriore, seduta per terra, le mani poggiate sul pavimento per non sbattere la testa. 

- Mi scusi, si è fatta male?-

Considerato il colpo, lo intendeva davvero.

Jodie sembrò risvegliarsi da un sogno. Lo guardò come se lo vedesse per la prima volta, sbattendo le palpebre dei suoi grandi occhi blu. Non stava capendo né che cosa stava succedendo sul momento, né che cosa fosse successo prima, ed era evidente.

James gli aveva detto che avrebbe dovuto cavarsi d’impaccio e dirle la verità, per non provocare ulteriore trambusto.

Ciao Jodie, tu non lo sai ma sono Shuichi e mi sono finto morto, purtroppo il dolore dei miei amici doveva sembrare reale perché vedi che cosa mi combina Bourbon? Anche se James mi ha detto che l’hai presa molto male, non essere arrabbiata con me, per favore. Anzi, magari perdonami, già che ci sei.

Magari…

No, così non andava bene.

Shuichi decise di darle una mano diversamente.

- Ma la colpa è anche sua. Correva senza guardarsi attorno.-

 

- Non ho intenzione di restare ad ascoltare le tue accuse insensate, Jefferson!-

- Insensate? Qui non c’è proprio niente d’insensato! Avresti dovuto sparare!-

- E per cosa? Quell’uomo era disarmato ed in evidente stato confusionale! Non aveva bisogno di un buco in fronte, ma di un buon trattamento sanitario obbligatorio!-

- Era pericoloso, per tutti noi!-

- Nulla che un taser o colpo in testa non potesse risolvere! Voialtri avete il grilletto troppo facile!-

- Non hai neanche estratto la pistola, diamine!-

- Sì, e invece tu l’hai fatto secco direttamente. Era un testimone oculare, sai quante cose avrebbe spifferato con un bravo psichiatra?-

- Perché perdo tempo con te? Sappiamo tutti chi sei!-

- Ah, davvero? E chi sono?-

- La cocca di James. Una raccomandata. Torna a giocare all’allegro chirurgo, biondina, non capisci nulla di questo mestiere!-

- Che sta succedendo qui?-

- Ah, agente Akai… Nulla di particolare, stavamo solo discutendo.-

- Ho sentito. Vi si sente dalla tromba dell’ascensore, ad essere sinceri. Da quello che ho capito, un testimone in stato confusionale è stato ucciso e l’agente Starling sarebbe rea di non aver sparato. E’ corretto?-

- Sì, signore.-

- L’agente Starling sarebbe anche rea di aver rubato il posto a qualcuno di più competente.-

- Beh, quanto avvenuto oggi è un chiaro indice di incompetenza, signore.-

- L’uomo era armato?-

- Come? Cioè, non ho capito, signore…-

- L’uomo era armato?-

- No, signore.-

- Aveva un coltello?-

- No, signore.-

- Un oggetto contundente?-

- No, signore.-

- Allora che cosa stava facendo?-

- Mulinava pugni in aria e parlava a vanvera, signore.-

- Un chiaro atteggiamento intimidatorio, suppongo. Si è avventato contro qualcuno di voi?-

- No, ma…-

- Vi ha aggredito, ferito, ha minacciato di uccidervi o farvi del male in qualche modo?-

- No, signore, ma…-

- Era impossibile mirare ad un braccio o al ginocchio per renderlo inoffensivo?-

- Beh, no, signore, ma…-

- Dunque non c’era motivo per sparare e soprattutto di sparargli alla testa.-

- S-signore, questa qui…-

- Questa qui ha un nome, e si chiama agente speciale Jodie Starling. Mi risulta che sia più in alto in grado di te, Jefferson. Ti faccio anche presente che l’agente Starling lavora con me. Non tollererò personalmente ulteriori mancanze di rispetto. Chi ha risolto il caso Pike?-

- L’agente Starling, signore.-

- E il caso Wierer?-

- L’agente Starling, signore.-

- Allora credo che l’FBI non abbia nulla di cui lamentarsi. Per quanto riguarda te, Jodie, tirare fuori la pistola con un soggetto potenzialmente pericoloso è sempre necessario per difendersi. Se quell’uomo fosse stato armato - sì, non lo era, fa lo stesso - o in forze abbastanza da raggiungerti, ti avrebbe fatto del male prima che tu potessi difenderti. Basta un pugno al posto giusto o le mani attorno alla gola. Sei un medico, sai che cosa succede quando un essere umano perde la testa. Può avere una forza sovrumana. Poi, magari non sparerai mai, ma è imperativo che tu ti garantisca protezione. Jefferson, il tuo atteggiamento è discutibile e ti farò rapporto, sappilo. Per il resto la colpa è cinquanta e cinquanta, quindi siamo tutti sulla stessa barca. Starling, con me. Abbiamo un aereo da prendere.-

 

Jodie lo guardò con gli occhi grandi e sgranati.

- Sembra cercare qualcuno…-

E parve rinsavire. Sbatté le palpebre, perplessa, il suo cervello registrò la situazione e balzò in piedi come un gatto. 

- Sì, sì, mi scusi, tutto a posto, grazie.-

Filò via di corsa, guardandosi attorno alla disperata ricerca di Bourbon.

Shuichi la guardò correre come una forsennata verso l’uscita.

Mi dispiace così tanto.

  
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