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Autore: Nao Yoshikawa    10/01/2023    1 recensioni
Questa non è una storia felice o strappalacrime. Mi piacerebbe dire che non si tratta nemmeno di una storia sentimentale, ma sarebbe una bugia. Non so cosa mi stia passando per la testa, non so perché avverto l’impellente bisogno di mettere per iscritto quello che mi passa per la testa. Dopotutto è inutile e una perdita di tempo, ma so che il pensiero mi tormenterà finché non lo farò. Ma ho anche promesso a me stesso che brucerò tutto. Nel raccontare la storia che lega me e Kisuke Urahara – mio rivale e nulla più per il resto del mondo, ma molto altro per me, non userò stupide metafore e giri di parole. Solo la verità oggettiva. Per quanto la mia memoria sia ottima, mi tocca andare indietro di centinaia di anni e cominciare dalla mia infanzia. Anzi, dalla nostra infanzia, sicché è da allora che io e Kisuke Urahara siamo, mio malgrado, legati.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Mayuri Kurotsuchi, Urahara Kisuke, Yoruichi Shihoin
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Adolescenza
 
 
Infine, le strade mie e di Kisuke erano proseguite dritte, in modo parallelo. Entrambi all’Accademia, entrambi studenti brillanti. Avevo deciso di approfondire i miei studi ed era stato lì che ero mutato. Non solo perché da bambino ero diventato un ragazzo, ma anche perché man mano che crescevo, cresceva anche il mio intelletto e la mia voglia di sperimentare. Molte cose continuavano a incuriosirmi, anche se adesso non mi limitavo più a studiare sui libri. Ma prima occorre fare un passo indietro. Come ho detto, io e Kisuke iniziammo l’Accademia insieme e finimmo anche nella stessa classe. Fu subito evidente il fatto che fossimo brillanti e anche in competizione. Ed eravamo anche molto diversi. Kisuke era popolare, stava simpatico alla maggior parte dei nostri compagni di corso e insegnanti. Quella sua aura apparentemente distratta e il suo modo di parlare lo rendevano affascinante per la maggior parte delle persone. Per me era tutta un’altra storia. La gente più che altro mi evitava e chi mi evitava mi parlava alle spalle. C’è sempre uno strano in contesti del genere e quello strano ero io. Non parlavo quasi mai con nessuno, non ero venuto lì per fare amicizia. Molti erano anche spaventati dal mio aspetto: avevo preso l’abitudine di truccare il mio viso in modo vistoso, al punto che quasi non sembravo più io. Questo perché mi piaceva sentirmi protetto, in qualche modo. Come fosse uno scudo, tra me e quegli altri, che almeno non avrebbero captato nulla di me. Oramai vivevo lì, avevo deciso di trasferirmi negli appartamenti dell’Accademia al primo anno. E anche Kisuke, con la differenza che spesso tornava dagli Shihoin, per le vacanze. Lui e Yoruichi erano rimasti amici. Lei era sbocciata e in molti erano sicuri che tra i due ci fosse qualcosa. La gente crede sempre a ciò che è più ovvio. Mi ricordo quella come un’età terribile. I miei coetanei erano fuori di testa, pensavano soprattutto al sesso, cosa di cui conoscevo ogni meccanismo, ma a cui non mi ero mai interessato. Stessa cosa per l’amore, non era utile in nessun modo ed era anche una perdita di tempo. Io ero più quello che sperimentava. Come ho detto poco prima, ero passato anche al lato pratico della cosa, quindi mi capitava di fare esperimenti su animali per testare le mie invenzioni.
Invenzioni ancora acerbe e che spesso fallivano. Ma più fallivano e più mi esaltavo, perché potevo provare e riprovare all’infinito. Speravo sempre di non arrivare mai a qualcosa di perfetto e infallibile, altrimenti non ci sarebbe stato più niente da fare. A parte ciò, la vena sadica e crudele che da bambino avevo per lo più tenuto a bada, in quei momenti veniva del tutto fuori. Ma non ero comunque soddisfatto. Avrei dovuto sperimentare su delle persone, shinigami, qualcuno. Ma nessuno sapeva dei miei esperimenti e non sapevo come muovermi. Ero già guardato con una certa diffidenza. Perché a differenza di Kisuke, non mi facevo scrupoli in nome della conoscenza.
 
«Yuri! Lo sapevo che eri qui. Ma perché è così buio? Accendi la luce.»
Kisuke non era mai cambiato in quegli anni, di sicuro continuava a disturbarmi. Avevo ricreato una sorta di laboratorio nella mia camera, certo che lì nessuno mi avrebbe disturbato o scoperto. Ma Kisuke riusciva sempre ad immischiarsi.
«Che diamine vuoi, si può sapere? E poi, perché non rispetti la mia privacy?»
«S-scusa, mi dispiace! Ma cosa stai facendo? Ah, tu non mi lasci mai curiosare. Dai, fammi un po’ vedere i tuoi esperimenti, lo sai che sono curioso. Vengo in pace, eh! Non voglio rubarti nulla!»
Anzi, una cosa era cambiata: era diventato molto più bravo a urtare i miei nervi. Mi dava fastidio la sua presenza e mi dava fastidio il suo aspetto. Era diventato più alto di me e i suoi lineamenti erano più da uomo e meno da bambino. Mi dava sui nervi, davvero.
«Se pensi che io ti tema, stai sbagliando. Io ho dedizione, al contrario tuo.»
In realtà, lui non aveva bisogno di sforzarsi quanto me, proprio come quando eravamo bambini. Lui apprendeva in maniera più naturale, io dovevo applicarmi.
«E va bene» disse avvicinandosi. «Ma è una lepre quella sulla tua scrivania!»
«È morta. In realtà l’ho fatta esplodere. Non era quella l’intenzione, è successo prima del previsto» risposi tranquillamente facendo spallucce. «Anche se in realtà preferirei sperimentare su qualcuno… di diverso.»
In quei momenti cercavo sia di spaventarlo che stuzzicare la sua curiosità. Sì, mi comportavo sempre come se la sua presenza mi desse fastidio, ma una parte di me si sentiva soddisfatta quando Kisuke si interessava a quello che facevo, quando poneva domande, quando addirittura mostrava ammirazione. Ovviamente, lui non aveva paura. Per qualche strano motivo, la mia vena crudele non lo spaventava.
«Yuri… non per essere noioso…»
«Troppo tardi.»
«… Ma se ti scoprissero… non so se sarebbe buono… per te, intendo.»
«Allora, se qualcuno verrà a saperlo, saprò che la colpa è tua, visto che sei l’unico a sapere qualcosa! Vuoi essere ucciso? Oppure vuoi essere usato come cavia per i miei esperimenti? Mi farebbe comodo.»
Mi ero avvicinato a lui e avevo percepito il suo odore. Mi chiedevo perché dovessi conoscere così bene l’odore o il suono del suo respiro. Forse perché eravamo cresciuti insieme, forse perché osservavo tutto.
«Ehi, dai. Non ti arrabbiare, è solo che mi preoccupo per te.»
«Tsk, me la cavo da solo.»
Mi ero voltato. Ultimamente non capivo cosa mi accadesse. Certo, non potevo volontariamente fuggire ai cambiamenti dell’adolescenza, ma la maggior parte del tempo non ci facevo caso. Quando Kisuke mi girava attorno, invece, sembravo un altro.
«Amh… comunque, se vuoi, se non è troppo doloroso…. Posso davvero farti da cavia.»
Improvvisamente la mia attenzione fu tutta su di lui. Pensai che fosse impazzito.
«Parli come se non mi conoscessi.»
«Sì, lo so. Però sono curioso. Se mi usi come cavia, posso capire cosa combini qui dentro.»
Maledetto Kisuke. Sapeva sempre come convincermi. Avere un vero corpo, una persona in carne ed ossa su cui testare ciò che avevo inventato… era perfetto. E mi dava una sensazione molto simile – come avrei scoperto dopo – a quella dell’eccitazione sessuale.  Lui si sedette, guardandomi negli occhi come a sfidarmi, come per dirmi non ho paura di te. La cosa in parte mi lusingava e in parte mi faceva così arrabbiare.
Sulla scrivania avevo messo in fila una serie di boccine colorate, tutte etichettate. Ne presi una, poi mi avvicinai a lui all’improvviso.
«Bevila.»
«E-ehi, un momento, non so nemmeno che cos’è!»
«Serve ad aumentare la propria percezione dei sensi. Con questo, la vista, l’udito, il tatto e via dicendo, dovrebbero avere un miglioramento del centodieci per cento. Ma credo sia troppo potente, c’è qualcosa che non va nella sua composizione, perché le cavie su cui ho provato fin ora sono morte o esplose. Quindi bevila!»
Kisuke cercò di pararsi con le mani. Adesso capiva che non stavo scherzando.
«Forse così è un po’ troppo. E poi che utilità può avere una cosa del genere?»
«Molteplici utilità, mi sembra evidente. Mi sorprende anzi che nessuno ci abbia mai pensato prima. Allora, hai già cambiato idea circa il tuo essere una cavia?»
Kisuke deglutì e poi mi sorrise.
«Non che io non mi fidi di te, ma ci tengo alla sopravvivenza. Sul serio, Yuri. Quello che tu fai mi piace, ma c’è chi non la penserebbe così. C’è chi è stato ritenuto pericoloso e imprigionato. Se accadesse a te, non potremmo più essere amici.»
Con gli anni non aveva mai abbandonato quella convinzione. Per lui ero un amico, avevo rinunciato oramai a ricordargli che noi amici non eravamo mai stati, che era stato lui piuttosto a insistere per avermi nella sua vita.
«Ci tieni così tanto a me, Kisuke?» domandai, senza sarcasmo, serio. Non mi ero accorto del fatto che fossimo così vicini. Lui seduto, io leggermente piegato su di lui per guardarlo negli occhi. Certo non era più come quando eravamo bambini.
«Ovvio che tengo a te. Tu sei il mio migliore amico, sei così simile a me!»
Credo che Kisuke sapesse che, in fondo, non eravamo affatto simili.
«Simili, noi? Ma non dire assurdità. Saremo entrambi geniali, ma tu sei fin troppo buono, tanto da essere insopportabile. Non io, io sono molto cattivo» gli dissi, anche se sembrava più che stessi cercando di convincere me stesso. Lui mi sorrise.
«Anche io a volte so essere cattivo e anche tu a volte sai essere buono. Come tutti.»
Ebbi la sensazione che volesse avvicinarsi a me, ma che qualcosa lo trattenesse. Ed io, che non ero mai stato interessato ai rapporti fisici, in quel momento avvertivo il desiderio di azzerare le distanze. Era eccitazione quella che sentivo. E non mi piaceva.
«Ma smettila, dici sempre un sacco di cose inutili. Adesso esci di qui, mi sta facendo perdere tempo» lo scacciai, per salvaguardare me. Non avevo tempo per lasciarmi andare a certe cose. E poi, proprio Kisuke Urahara no. Doveva essere una questione ormonale, prima o poi sarebbe passata.
«E va bene. Comunque, prima o poi dovrai tornare a casa. Chiedono anche di te.»
«Questa è casa mia, adesso. E poi ci sono strane voci su te e Yoruichi, non vorrei essere messo in mezzo» dichiarai. Kisuke arrossì e rise.
«Già, dicono che stiamo insieme. Ma non è vero.»
«E io non capisco perché mi stai dando spiegazioni.»
Cercai di ignorare quella sensazione di sollievo data dalle sue parole.
 
Un po’ di tempo dopo, Yoruichi ci fece la sgradita (almeno per me), sorpresa di venire all’Accademia a trovarci. In altezza non era cresciuta più di tanto, ma oramai non era più una bambina e in tanti la guardavano, desiderandola. Se avessero conosciuto il suo carattere insopportabile, avrebbero cambiato idea.
«Mayuri, da quanto tempo! Se non fosse per Kisuke, non saprei mai come stai. Hai cambiato look? Molto originale, devo dire.»
«Yoruichi. Tu invece sei rimasta la solita oca insopportabile.»
Yoruichi era manesca con Kisuke, con me non si azzardava. Non credo avesse paura, sapeva semplicemente che con me sarebbe stato inutile. Ora che eravamo tutti e tre insieme, attiravamo l’attenzione più del solito. In molti conoscevano la nostra storia, la mia, e non si capacitavano di come fosse possibile che una come lei frequentasse uno come me. Anche se era contro la mia volontà.
«Allora, come vanno le cose? Ho sentito che siete i più brillanti del vostro corso, non che avessi dubbi.»
Yoruichi si sedette, accavallando le gambe.
«Sì, siamo piuttosto bravi, è vero. Yuri non mi dà tregua, sembra sempre che stia gareggiando con me.»
«Come se volessi perdere tempo a fare una cosa del genere» arrossii. Come al solito, Kisuke aveva capito, infastidendomi.
«Ah sì? Allora, sapete già cosa vorrete fare una volta diplomati? Io ovviamente diventerò il nuovo capitano della seconda compagnia del Gotei 13. E delle unità mobili segrete. Perché non entrate nella mia compagnia? Due come voi mi farebbero comodo.»
Oh, certo. L’ultima cosa che volevo era mettere la mia capacità al servizio di Yoruichi Shihoin. E poi il Gotei 13 esistvae per proteggere la Soul Society. E io non ero interessato a proteggere alcunché, se non i miei interessi.
«Sarebbe magnifico!» esclamò Kisuke. «Un trio di amici cresciuto insieme che continua la loro avventura.»
«Certo che ne fai di sogni ad occhi aperti, eh?» domandai. «Non so cosa farò dopo. Mi piacerebbe avere il mio laboratorio personale.»
«Oh, sì. Mayuri è bravo, mi ha pure quasi usato come cavia»
Io allora lo fulminai con lo sguardo. Ma certo, perché non le spiattellava tutto, a che c’era?
«Volevi usare Kisuke come cavia?»
«Si è offerto lui come volontario, e comunque non sono fatti tuoi» la zittii. Un conto era parlarne con Kisuke, ma lei… lei non avrebbe capito. D’altronde nessuno poteva capire. E non pretendevo che lo facessero.
 
Un’altra cosa che devo ammettere e di cui non vado fiero, è che per quanto mi sia sempre vantato di non essere sentimentale, è per colpa dei miei sentimenti che in seguito mi cacciai nei guai.
Le emozioni sanno essere assai pericolose, specie la gelosia. Yoruichi in quei giorni era venuta a trovarci all’accademia, e niente catalizzava più le attenzioni della nobile principessina in visita. In molti si chiedevano come potesse una come lei essere amica di Kisuke, ma soprattutto mia. Ignorando il fatto che ero costretto a frequentarla la maggior parte delle volte. E così, come al solito, si erano sparse le solite voci riguardo al fatto che Yoruichi Shihoin e Kisuke Urahara stessero insieme. Avrei voluto tenermi alla larga dai loro stupidi giochi da ragazzini. Ero un ragazzino anche io, ma ero diverso da loro.
«Nobile Yoruichi, allora è vero quello che si dice in giro? Voi e Kisuke Urahara state insieme? Vi siete già baciati?»
Non ero solito a origliare e non lo feci neppure quella volta. In aula stavo cercando di studiare, di concentrarmi, ma mi risultava difficile viste le futili chiacchiere delle mie compagne di corso.
«Io e Kisuke siamo cresciuti insieme, lo vedo più come un fratello.»
Ma le altre ragazze insistevano, volevano a tutti i costi trovare una conferma che sì, quei due erano una coppia.
«Ma se avete vissuto perfino nella stessa casa, deve essere successo qualcosa. E poi state bene insieme.»
Mi venne un conato di vomito nel sentire quelle parole. Chiaramente tutti si aspettavano che loro sarebbero finiti insieme. Tutti lo davano per scontato. Non capivo perché doveva importarmi tanto. Che facessero quello che volevano, no?
«Vi ringrazio, ma non so se potrei essere la donna giusta per lui. Kisuke è molto particolare, un po’ ambiguo, sempre con la testa china tra i libri. A volte mi sento io la terza incomoda, vero Mayuri?»
Avevo sperato che non mi tirasse in mezzo. Alzai la testa, arrossendo. Lei e Kisuke erano gli unici a chiamarmi per nome, gli altri si limitavano a chiamarmi per cognome o a non chiamarmi affatto.
«Non so di che parli, non ho mai nutrito particolari simpatie per nessuno dei due. Se volete fare le vostre cose da innamorati fare pure, a me non interessa» dissi piccato, senza riuscire a nasconderlo.
Una delle ragazze fece una smorfia.
«Ma perché frequentate lui? Fa paura e poi è cattivo. Tratta male tutti ed è strano. Cioè, strano in senso negativo.»
«Ah, detto da un’insulsa ragazzina come te, devo dire che fa un certo effetto» risposi senza scompormi. Yoruichi batté le mani.
«Su, avanti, non c’è bisogno di litigare. Si, so che Mayuri può avere un carattere difficile, ma Kisuke lo adora.»
Sarei voluto sparire quando sentii dire che Kisuke adorava me. Me!
Ma non fu quello a farmi impazzire di gelosia, quello era solo stato il seme della discordia. Il vero evento avvenne qualche settimana dopo, si stava avvicinando la primavera del nuovo anno e Yoruichi era tornata ancora una volta per una delle sue visite. Non la vedevamo da mesi, ed era cambiata, adesso sembrava una donna a tutti gli effetti, con quegli occhi taglienti e dorati, lo sguardo sicuro di sé, le labbra piene. Ed era cambiato Kisuke ed ero cambiato io, perché alle spalle ci lasciavamo i noi stessi bambini e iniziavamo a diventare i noi stessi adulti. Ricordo che i ciliegi stavano fiorendo e io ero poggiato ad un albero. Yoruichi e Kisuke stavano parlando vicini, io non mi ero avvicinato di proposito. E poi li avevo visti: lei si era avvicinata a lui e dal nulla lo aveva baciato. Quello fu l’stante in cui sentì l’acido risalirmi lungo l’esofago, come se stessi per vomitare. Non capivo perché il mio corpo stesse reagendo in quel modo. E meno capivo, più mi innervosivo. Lei stava baciando lui e lui era rimasto immobile. Era chiaro, era ovvio, quasi scontato che un giorno sarebbero finiti insieme. Allora perché mi dava così fastidio? Perché mi sentivo minacciato all’idea che qualcuno potesse allontanare Kisuke da me? Lui, che non avevo mai considerato un amico, ma solo il mio rivale, con cui misurami?
Me ne andai. Avevo bisogno di stare da solo e mi allontanai, desideroso di allontanare tutto, tutto e quel melenso odore di fiori. Ero abbastanza sveglio da capire che quella che stavo provando era gelosia, ma non volevo ammetterlo. Non potevo. Mi ero ripromesso molte volte che non mi sarei mai innamorato, perché l’amore non mi avrebbe portato a niente di utile e che sarebbe stato solo un ostacolo. Anzi, ero abbastanza sicuro di essere incapace di amare. E poi perché proprio Kisuke?
 
Lui la sera venne a trovarmi nella mia camera, sempre con quello stupido sorriso stampato in viso. Ovviamente non gli dissi ciò che stavo provando, mi ero detto che non lo avrei mai fatto.
«Ehi. Yuri, ma perché fai quella faccia? Sembra quasi che tu voglia uccidermi.»
«Non ci sei andato lontano. Comunque, che cosa vuoi?»
«Come cosa voglio? Noi ci vediamo ogni sera. Dai, fammi vedere cos’hai sperimentato oggi.»
«Quello che ho fatto non ti interessa. Torna da Yoruichi, piuttosto.»
Temetti di essermi tradito. Che la mia gelosia fosse palese a quel punto, ma lui era troppo inetto, per fortuna.
«Oh. Senti Yuri, non te la devi prendere per quello che la gente dice.»
«E cosa direbbe?» sbottai.
«Che sei innamorato di Yoruichi, ma che lei sta con me. Ovviamente lo so che non sono vere nessuna delle due cose.»
Avrei voluto chiedergli perché si fossero baciati, allora. Ma mi morsi la lingua e lasciai che la rabbia parlasse al posto del dolore.
«Chi se ne frega. Non mi importa di voi due e io non amo nessuno. Non ne sono capace.»
«Non dire così.»
Ricordo che provò a sfiorarmi, ma che io mi scostai.
«In tutti questi anni ti sei ostinato a considerarmi un amico. Sei così sciocco che di sicuro ti sei anche affezionato a me. Ma la cosa, Urahara, non è ricambiata. Sei fastidioso, mi stai sempre attorno. L’unica cosa che mi interessa è superarti, perché tra noi due solo uno può essere il migliore. È l’unica cosa di cui m’importa.»
Non gli avevo mai rivolto parole così forti da quando ci conoscevamo. Lui se la prese, lo capii dal suo sguardo, nonostante stesse sorridendo. E lo odiai, perché per la prima volta sentii qualcosa che si poteva definire senso di colpa.
«Va bene, capisco. Ce l’hai con me e non voglio infastidirti ulteriormente. Quindi… me ne vado.»
Una parte di me mi imponeva di fare cose che non avevo mai fatto. Tipo abbracciarlo, corrergli dietro, urlargli che era un idiota perché non reagiva e rimaneva lì a farsi maltrattare. Capii che quella volta dovevo aver spezzato qualcosa in lui e che più niente sarebbe stato come prima. Ancora non sapevo quanto avevo avuto ragione.
Da quel momento in poi, Kisuke iniziò ad evitarmi. Percepii il nostro allontanamento in modo fin troppo intenso, e come avrebbe potuto essere diversamente? Eravamo stati insieme sin da bambini. Adesso non mi chiamava più, non mi girava più attorno, quando mi vedeva quasi distoglieva lo sguardo. Questo non fece altro che aumentare le dicerie sul mio conto. Secondo i miei compagni di corso, io e Kisuke avevamo litigato perché entrambi ci contendevamo Yoruichi. Nulla più di lontano dalla realtà. E mentre la sua popolarità cresceva, io mi chiusi in me stesso, sperimentando una solitudine in cui mi ero autorecluso per orgoglio. Iniziai a sperimentare sul mio stesso corpo, spesso ferendomi, quasi mutilandomi. Ma non mi importava del dolore, volevo vedere fin dove potevo spingermi. Kisuke non si sarebbe mai spinto a tanto. Perché lui era quello buono e io invece no. Perché lui era quello sano di mente, io invece lentamente mi lasciavo andare alla follia, alla brama di sapere. Al dolce piacere e sapore che provocava il dolore. Ma era per una buona causa. Avevo scritto e conservato appunti di tutti i tipi. Dalle cose più semplici e conosciute, come le Anime Artificiali e le Zanpakuto, ad argomenti che di certo non ci insegnavano a scuola. Come modificare il proprio corpo per essere più forte in battaglia, nuove tecniche, nuovi strumenti da realizzare. E nella mia immaginazione non c’era un limite. Tutto era concesso e mi venne sempre più voglia di osare.
Capii ben presto che quel mondo era troppo scomodo per me e che io ero troppo scomodo per quel mondo. Non ero interessato ad usare le mie capacità e il mio genio per il bene superiore ed altre idiozie simili, a me interessava fare ciò che mi piaceva e divertiva, anche se ciò andava a discapito di altri. Questo ben presto iniziarono ad intuirlo tutti, compagni e insegnanti. Non me ne importava più della maggior parte delle cose attorno a me, ma tutto ciò che riguardava il mondo scientifico e tecnologico, con le sue infinite possibilità mi accendeva. Nel mio tono era percepibile un leggero sadismo. Lo stesso che mi aveva causato cicatrici sul mio corpo a furia di sperimentare. Forse una sorta di autolesionismo, chi può dirlo?
In molti iniziarono a evitarmi. Se prima mi guardavano e mi prendevano in giro, adesso si zittivano e mi passavano accanto veloci. E se per caso il loro sguardo incrociava il mio, allora sorridevo e li minacciavo di farli a pezzi. Non che ne avessi davvero l’intenzione: erano soggetti troppo deboli, sarebbero morti al primo tentativo di esperimento.
E poi, un giorno, anzi una sera, la mia vita cambiò di nuovo. Non sapevo chi fosse stato a denunciarmi, oramai non piacevo più a nessuno e il mio intelletto, il modo di parlare e di pensare erano visti più come qualcosa di sgradevole che un dono. Erano riusciti ad entrare nella mia camera, che avevo trasformato nel mio laboratorio personale (non ero stato abbastanza accorto, ma ero giovane). Il fatto è che allora non mi importava. Non mi importò quando le guardie mi dissero che sarei stato arrestato in quanto ritenuto un soggetto potenzialmente pericoloso, che già da tempo mi avevano messo gli occhi addosso, e che le testimonianze dei miei compagni e insegnanti andavano a mio sfavore. Solo una persona aveva parlato bene di me, difendendomi. Quando mi dissero ciò, feci una smorfia e poi sorrisi dicendo.
«Il vero pazzo è Kisuke Urahara, dovreste arrestare anche lui. Io almeno non mi nascondo, lui è così ambiguo che non si capisce mai cosa pensa.»
Fu la mia unica protesta. Quando mi dissero che sarei stato imprigionato nella Maggot’s Nest, prigione di massima sicurezza per soggetti potenzialmente pericolosi, non fiatai. Anzi, mi venne da sorridere. Avevano paura di me. Ciò che potevo creare, diventare, ciò che c’era nella mia testa, spaventava tutti loro, così normali, banali e senza un minimo di immaginazione. Posso assicurare che l’immaginazione è importante per uno scienziato. E allora fui portato via. E non mi importò. Non mi importò nemmeno di cosa ne sarebbe stato di me, della vita che avrei condotto. Ebbi solo un momento di cedimento, quando incrociai gli occhi di Kisuke mentre mi portavano via. Quei suoi maledetti occhi, quello sguardo impossibile per me da decifrare. Come se volesse dirmi perché lo hai fatto? Perché mi lasci?
Allora io avrei potuto rispondergli perché è l’unica cosa che so fare, perché starti accanto è doloroso e nessuno può provocarmi questo dolore, se non io stesso.
Ma non dissi niente. Ci guardammo e mi sembrò volesse comunicarmi un mondo. Io però non ascoltai quelle parole mute. Sarebbero passati anni prima di ricontrarci ancora.


N.DA
Anche questo secondo capitolo è andato. Molto più complicato del precedente per me, perché qui si tratta di personaggi adolescenti, che già di per sé sono complicati. Anche qui sono andata nell'invenzione più totale, mi piace l'idea di Mayuri e Kisuke che hanno frequentato l'Accademia per Shinigami insieme. Il prossimo capitolo sarà ambientato durante la saga del pendolo/passato, ed è anche il mio capitolo preferito.
Alla prossima.

Nao
   
 
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