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Autore: snowfeari    11/01/2023    1 recensioni
"Conosci il gioco “non ho mai…”? Una persona dice una cosa che non ha mai fatto e tutti coloro che l'hanno fatta devono bere."
"Certo che lo so, imbecille. Perché cazzo vorresti–"
"Tuttavia, se neanche tu hai fatto quella cosa, scatta un turno di obbligo o verità."
"Ah? Pensi di poter inventare le regole di un gioco di merda?"
"Sto solo rendendo più interessante il “gioco di merda”. Dunque, accetti?"
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Chuuya Nakahara, Kouyou Ozaki, Osamu Dazai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è ambientata dopo lo scontro tra Dazai e Chuuya nei sotterranei della Port Mafia avvenuto negli episodi nove e dieci.

Buona lettura!




___





"Capisci, Ane-san?" mormorò, mandando giù un altro bicchiere di vino. "Prima sparisce dall'organizzazione senza dare spiegazioni, poi si lascia catturare di proposito. Proprio il giorno in cui sono tornato dopo sei mesi fuori Yokohama!"

La ragazza sospirò, lasciando trapelare un sorriso sul suo volto. "Sembrerebbe quasi fatto apposta."

Chuuya ignorò il suo sguardo, concentrandosi sui rapidi movimenti del barman occupato a preparare un drink dietro l'altro con agilità. "Oi, passami la roba più forte che hai." farfugliò con quel poco di lucidità che gli era rimasta, per poi sbattere il capo sul bancone con poca eleganza.

"Oh, Chuuya. Ubriacarsi in un bar per una persona del genere non ti si addice affatto."

Kouyou prese ad accarezzargli i capelli, facendo scorrere le dita tra i boccoli del ragazzo nel tentativo di calmarlo, presa da quell'istinto protettivo che si faceva largo in lei ogni volta che si trattava di Chuuya e Dazai.

"È solo che… tsk, a quest'ora dovrei star festeggiando il successo della missione e invece rivedere quel coglione mi ha fatto ribollire il sangue nelle vene. Avresti dovuto vederlo, Ane-san," Chuuya ghignò, alzando il volto alla ricerca del barman. “Il sorriso più falso che abbia mai visto."

"Tesoro, dovresti lasciarti tutto questo alle spalle. Ora che Dazai fa parte dell'organizzazione rivale è improbabile che vi ritroviate ad avere a che fare l'uno con l'altro. In più tutto questo alcol non ti fa bene." lo ammonì lei, lanciando un'occhiataccia al barman che aveva appena poggiato un drink davanti a loro.

"Non sarà qualche bicchiere a farmi ubriacare. Piuttosto, dovresti buttare via quel tè e festeggiare anche tu."

Chuuya portò il bicchiere alle labbra, assaporando il drink anonimo che il barman aveva preparato per lui, e dovette far ricorso a tutto il suo autocontrollo per non ridurre il vetro in frantumi davanti a tutto il locale.

"Del fottuto whiskey!? Non esiste che io beva questa mer–"

"È delizioso, grazie tante." Kouyou lo interruppe, sfoderando il migliore dei suoi sorrisi nel tentativo di non allarmare il povero barman che stava solo facendo il suo lavoro. A quel punto il ragazzo si allontanò per servire altri clienti e la mafiosa lo ringraziò mentalmente per non averli cacciati via dal locale.

"Chuuya, è meglio che tu vada a casa. Mi fa piacere che tu mi abbia invitata a uscire ma leggo la stanchezza nei tuoi occhi. Sei stato via per mesi, dovresti riposarti per almeno un paio di giorni. Lo riferirò io al Boss, non ti preoccupare."

Il mafioso restò a fissare per qualche secondo un punto indefinito della parete mentre le parole di Kouyou si ripetevano nella sua mente. Aveva trascorso sei mesi in uno dei rifugi segreti della Port Mafia, mesi in cui si erano susseguiti crimini, incidenti, inseguimenti; mesi in cui aveva dovuto coordinare la sua squadra e scendere lui stesso in campo decimando i nemici; mesi in cui aveva visto i suoi sottoposti morire davanti ai suoi occhi. Certo, la morte era routine nel mondo della mafia, eppure Chuuya era convinto che non ci avrebbe mai fatto l'abitudine, soprattutto quando al termine della giornata si ritrovava al buio sotto le coperte sgualcite del rifugio segreto a fare i conti con i suoi pensieri, con i numerosi scenari ipotetici, con il perenne “se avessi agito diversamente sarebbero sopravvissuti”. Un mafioso è noto per i nemici che riesce a uccidere, eppure Chuuya era convinto che il suo talento risiedesse nell'annientare le persone che gli stavano accanto. Era successo con le Sheep e si era ripetuto con le Flags, e il mafioso non faceva che ricevere complimenti dal Boss per le missioni portate a termine nonostante i suoi sottoposti continuassero a morire. Chissà, forse anche la dipartita di Dazai era stata colpa sua.

"Non penso che tornare a casa migliorerà la situazione, ma credo che seguirò il tuo consiglio, Ane-san." Chuuya si alzò in piedi e fu costretto ad appoggiarsi al bancone per avere stabilità. "Tuttavia, già domani tornerò a lavorare. Conto di trovarti nel mio ufficio per un tè."

Il mafioso lasciò delle banconote sul bancone, una quantità più che sufficiente a pagare per entrambi, e si avviò verso l'uscita del locale cercando di ignorare i giramenti di testa e il modo in cui il pavimento sembrava sgretolarsi sotto i suoi piedi.

"Chuuya?"

Il mafioso si voltò, scorgendo in lontananza lo sguardo preoccupato della sua collega.

"Non esitare a chiamarmi se dovesse esserci qualcosa che non va, mh?"

"Pft," Chuuya ghignò, intendo a chiudere la porta alle sue spalle. "A domani, Ane-san."





___





Chuuya tirò un sospiro di sollievo quando una ventina di minuti più tardi mise piede nel proprio appartamento. Dopo una passeggiata nel freddo di una Yokohama invernale e mesi trascorsi a dormire in un letto cigolante, il mafioso si sentì sollevato nell'essere avvolto dai comfort della propria abitazione.

L'esecutivo lasciò le scarpe all'entrata e si avviò verso la cucina per prendere una bottiglia di vino da degustare nella pace del suo salotto, lontano dalla confusione dei locali.

Avrebbe dovuto fare una doccia, constatò, dato che l'odore di alcol sui suoi vestiti era percepibile a metri di distanza, ma non riusciva a togliersi dalla testa l'incontro avuto qualche ora prima con Dazai e l'unica soluzione che conoscesse in questi casi era ubriacarsi fino a perdere i sensi, per poi svegliarsi il giorno dopo con un mal di testa allucinante e la speranza di non ricordare nulla.

Chuuya si accomodò sul divano e preparò un primo bicchiere, pregustandone già il sapore sulla propria lingua. Chiuse gli occhi con l'intenzione di riposarsi per qualche istante, ma tutto ciò che riusciva a vedere era Dazai incatenato nei sotterranei della Port Mafia e il suo sorriso beffardo mentre si prendeva gioco di lui per l'ennesima volta.

Le cose tra di loro non cambiavano mai, eh?

Chuuya lo aveva afferrato per la gola e aveva cercato di farlo confessare, facendo appello a tutto il suo autocontrollo per non strangolarlo perché ovviamente il bastardo si era assicurato che chiunque lo avesse ucciso venisse punito dalla legge. Al termine di quella discussione Chuuya lo aveva liberato, divenendo ufficialmente complice di un traditore dell'organizzazione a cui aveva giurato fedeltà eterna.

No, le cose tra di loro non cambiavano mai.

Chuuya si massaggiò le tempie nella speranza di alleviare almeno un po' il mal di testa e riprese a sorseggiare il vino, pregando di raggiungere il punto di non ritorno il prima possibile. Vivere senza Dazai non aveva richiesto troppo tempo, eppure una chiacchierata di qualche minuto era bastata a far crollare tutti i suoi muri e a rendere Chuuya miserabile.

Un miserabile che aveva bisogno dell'alcol per dimenticare un idiota che non aveva avuto nemmeno il coraggio di dirgli addio.

Era folle, pensò; folle come rivedere quella chioma marrone lo aveva riportato indietro di quattro anni, a quei momenti in cui i loro litigi culminavano in sfide alla sala giochi che proseguivano in ulteriori litigi, quando erano solo dei ragazzini che uccidevano senza dare particolare peso al valore della vita. Oggi invece erano due adulti con delle responsabilità, il mondo non aveva dato loro tempo di sperimentare un'infanzia o un'adolescenza e ormai non c'era più tempo per i battibecchi e i litigi futili.

Rivedere Dazai lo aveva riportato indietro di quattro anni, ma lo aveva anche catapultato in un futuro ignoto che lo terrorizzava.

"Merda," mormorò a sé stesso nel vuoto del proprio appartamento, mentre con lo sguardo oltre la finestra fissava Yokohama. "Sono proprio un miserabile."

"Oh Chibi, a cosa dobbiamo questo raro momento di onestà e scarsa autostima?"

Chuuya continuò a bere, sentendosi sollevato perché a quanto pare c'era abbastanza alcol nelle sue vene da fargli avere le allucinazioni. Forse al prossimo bicchiere avrebbe finalmente perso i sensi sul divano e trovato un po' di pace nei sogni che non aveva.

Una cosa che detestava, ma in quel momento ne era grato perché era sicuro che se fosse stato in grado di sognare avrebbe vissuto il peggiore degli incubi.

Ma si sa, a volte è la realtà stessa a essere un incubo, e Chuuya ebbe modo di comprenderlo quando trovò Dazai contro la porta che separava il salotto dalle altre stanze.

Aveva ancora addosso il sorriso di chi ne sa una più del diavolo.

"I riflessi di Chuuya sono proprio gli stessi di una lumaca, ugh."

"Fottiti– come hai fatto a entrare, bastardo."

"Oh, è molto semplice…" il detective tirò fuori una forcina dalla tasca del suo impermeabile, ma la vista di Chuuya era tanto annebbiata che a detta sua le mani di Dazai erano vuote. "Come per le catene, sai."

Chuuya si passò una mano tra i capelli sentendo la tensione crescere in lui. "Vattene, non c'è posto per te."

"No? Eppure vivi tutto solo in un appartamento così grande! Scommetto che c'è posto per me anche sotto le tue lenzuola ultra costose realizzate in qualche stupido materiale pregiato ~" il detective canticchiò con il suo solito tono irritante e Chuuya si maledisse per essere ubriaco, perché se fosse stato sobrio sarebbe già riuscito a mandarlo via.

"Non ho tempo per le tue puttanate, Dazai."

"Ma che padrone sarei se lasciassi il mio cane solo mentre si ubriaca fino a perdere i sensi?" Dazai andò a sedersi sul pavimento, occupando il piccolo spazio tra il divano e il tavolino posto al centro del salotto, fronteggiando Chuuya. Il suo sguardo si posò sulla bottiglia di vino poco distante dal suo volto e un'idea si palesò nella sua mente. "Conosci il gioco “non ho mai…”? Una persona dice una cosa che non ha mai fatto e tutti coloro che l'hanno fatta devono bere."

"Certo che lo so, imbecille. Perché cazzo vorresti–"

"Tuttavia, se neanche tu hai fatto quella cosa, scatta un turno di obbligo o verità."

"Ah? Pensi di poter inventare le regole di un gioco di merda?"

"Sto solo rendendo più interessante il “gioco di merda”. Dunque, accetti?"

Dazai lo guardò con aria di sfida, conoscendo già la risposta. Chuuya strinse il calice di vino tra le dita, per poi alzarsi e andare a prendere un'altra bottiglia. "Non mi tiro mai indietro, lo sai."

"Ti ricordo che è vietato mentire in questo tipo di giochi."

"Tsk, come se fossi io il bugiardo."

"Ok, è ora di iniziare!" Dazai fece finta di pensare per qualche istante, poi alzò gli occhi verso Chuuya. "Non ho mai mangiato del ramen scaduto."

"Che cazzo di affermazione è?"

"È un'affermazione come le altre, Chuuya, non c'è una regola che restringe il campo di ciò che si può dire."

Il mafioso lo guardò, sentendo il pentimento farsi largo in lui per non aver cacciato fuori Dazai prima di acconsentire al gioco, e portò il calice alle labbra. Non protestò, ma stentava a credere che Dazai non avesse mai mangiato ramen andato a male.

Il detective riempì il proprio bicchiere con del whiskey in attesa del proprio turno. "Su su, è il tuo turno."

"Non ho mai abbandonato il mio partner."

Chuuya fissò lo sguardo su di lui, incrociando le iridi ambrate del detective che gli lanciò un sorriso divertito. "Diretto come sempre, chibi. Ma ti ringrazio, è da qualche giorno che non bevo."

Dazai fece due sorsi, apprezzando la sensazione di fuoco in gola di cui non si sarebbe mai privato. Ogni volta che si ritrovava con un bicchiere di whiskey in mano sperava che l'alcolico potesse bruciarlo dall'interno, fino a purificare l'anima dannata imprigionata nel suo corpo. "Non ho mai giocato a baseball."

"La pianti con queste frasette del cazzo?"

"Chuuya, modera il tuo linguaggio per favore." il detective si abbandonò all'indietro, poggiandosi contro il tavolino. Le sue labbra si incurvarono all'insù. "Dunque, obbligo o verità?"

Dazai avrebbe dovuto ringraziare qualunque divinità esistente per il fatto che Chuuya fosse esausto e provato da quella giornata, perché il sorriso beffardo che gli stava rivolgendo in quel momento era la miglior benzina per riaccendere il fuoco di Arahabaki. Aveva un talento innato nel saper premere i bottoni giusti per scatenare l'ira del mafioso e lo sapeva fin troppo bene, anzi; in cuor suo era perfino un motivo di vanto.

Chuuya sbuffò e si lasciò andare contro il divano, incerto a quel punto se il suo crescente mal di testa fosse dovuto al vino o alla presenza di Dazai. Il rosso sapeva di non poter vincere contro il detective, perché quest'ultimo si era intrufolato nel suo appartamento con uno scopo ben preciso che non avrebbe mai rivelato prima del dovuto.
Era sempre stato così tra di loro: il carisma e le abilità manipolatorie di Dazai illudevano le persone di avere una scelta quando di fatto non la avevano, e Chuuya non era immune. Ma se Dazai giocava sporco, lui non sarebbe stato da meno. "Verità."

"Cosa hai fatto quando hai scoperto che me ne fossi andato?"

"Che cazzo di domanda è? Ti aspetti che ti dica di aver passato le giornate successive a struggermi per te?"

Dazai sorrise e sistemò dietro l'orecchio una ciocca di capelli che gli solleticava il volto. "Forse!"

Chuuya sospirò, portando una mano alla fronte. "Ho stappato una bottiglia di vino perché finalmente mi ero liberato di te."

Perché mi hai dimostrato di non valere nemmeno il tempo di un addio.

"Non ho mai corso una maratona." il mafioso disse tutto d'un fiato prima che Dazai potesse fare altre domande.

"Chuuyaaaa, lo scopo del gioco è far bere l'altra persona, non farla diventare astemia!" il detective piagnucolò, un po' per fare scena e un po' perché affrontare quella serata da sobrio non rientrava nei suoi piani. "Oppure preferisci obbligo o verità? Per avere il coltello dalla parte del manico, almeno per una volta."

Lo sguardo di Chuuya si fece improvvisamente serio e Dazai ritrovò nei suoi occhi la follia omicida che tanto amava. "Rispondi, coglione."

"Ugh," il detective si passò una mano dietro la nuca. "Verità."

"Quante donne hai scopato fingendo che fossi io?"

Dazai abbassò lo sguardo. Troppe, pensò, ma non lo avrebbe mai ammesso nemmeno se fosse stato ubriaco. "Mah, un paio."

Un lamento abbandonò le labbra di Chuuya. "Pensavo che avessimo detto niente bugie."

"E io non pensavo che fossi un pervertito, chibi. Rivedi un vecchio amico dopo quattro anni e la prima cosa che gli chiedi è cosa fa con le sue consorti?"

Il mafioso trattenne una risata, limitandosi a un sorriso che illuminò perfino gli anfratti più bui dell'anima del detective. "Ti sbagli, Dazai, noi non siamo amici e mai lo saremo."

Perché per un momento ho pensato che fossimo qualcosa di più, e invece hai deciso di mandare tutto a puttane.

"Pensavo avessimo detto niente bugie…" lo imitò, provando un senso di soddisfazione nel vedere il volto del mafioso lasciar spazio all'ira.

Era sempre stato così Chuuya, indossava con fierezza le proprie emozioni e Dazai sarebbe stato un bugiardo a negare di aver imparato a conoscerle osservando il più piccolo dei cambiamenti sul volto del mafioso, dai movimenti delle sue iridi cristalline al modo in cui il suo naso si arricciava, fino alla tensione delle sue labbra che si riducevano a una linea sottile. Ogni volta che Dazai si scontrava con il proprio riflesso l'impulso di spaccare il vetro era sempre tanto, troppo alto; avrebbe potuto tirare un pugno sulla superficie fino a far sanguinare le nocche dolenti, oppure raccogliere le schegge da terra e disegnare un sorriso con il suo stesso sangue per poi tagliarsi la gola e mettere fine a quella burattinata che andava avanti da più di vent'anni; eppure ogni volta che i suoi occhi spenti si posavano sul volto di Chuuya si accendeva qualcosa in lui, sentiva un fuoco ribollire nello stomaco, percepiva il desiderio di continuare a vivere per essere testimone di ogni singola sensazione che si susseguiva nel cuore di Chuuya, in maniera quasi maniacale e possessiva. Voleva tenerlo per sé e studiarlo, osservare i colori della sua anima e custodirli gelosamente, rubarli e con essi dipingere anche la propria fino a diventare irriconoscibile, smettere di essere Dazai Osamu. Perché il nome di Dazai portava con sé l'apatia, il peso di vivere, la sensazione di vuoto derivante dal non sentirsi mai appagato, la solitudine di chi non può essere capito, il dolore di chi non ha nulla a cui tenere.

Com'è possibile desiderare ardentemente l'umanità di un essere non umano?

"Oi, a che cazzo pensi? Quel sorrisetto è inquietante."

La voce di Chuuya lo riportò alla realtà e Dazai sbatté le palpebre un paio di volte, prima di posare il suo sguardo sulla figura del mafioso. "Questo sorrisetto inquietante conquista le donne, Chuuya, ma dopotutto cosa ne puoi sapere tu."

"Di sedurre le donne e farle piangere dopo una scopata perché non so cosa farmene della mia vita? Nulla, per fortuna."

Dazai voleva ridere, dirgli che era tutta una farsa perché in nessuna donna aveva trovato il fuoco di Arahabaki o lo stesso numero di lentiggini che costellavano la pelle del suo vecchio partner, che se dopo ogni amplesso fuggiva via nel giro di minuti era perché all'amore di plastica di quelle donne preferiva l'odio autentico che solo lui sapeva dargli.

Che se riusciva a tollerare il tocco di quelle sconosciute di poco conto era solo perché fingeva che quelle mani fossero le sue.

"Non ti riesce bene nascondere l'invidia, Chibi…" Dazai gli rivolse un sorriso che agli occhi di Chuuya parve dispiaciuto, forse deluso, per poi proseguire il loro gioco. "Non ho mai rubato i vestiti di Kouyou-san."

Chuuya sbuffò, irritato dall'insensatezza di quelle domande ma un minimo sollevato perché ogni sorso di vino aumentava la probabilità di non ricordare nulla di quella serata quando si sarebbe svegliato il mattino seguente. Forse Dazai stesso aveva capito che una personalità snervante come la sua potesse essere tollerata solo da una persona con la mente annebbiata.

"Non ti stava male quella gonna, comunque ~"

"Vai a fanculo" sibilò il mafioso a denti stretti, sbattendo il bicchiere sul tavolino a pochi centimetri da Dazai. I loro volti erano pericolosamente vicini e il detective si ritrovò a trattenere il respiro senza rendersene conto. "Sei un maniaco di merda."

"Non è esattamente quel che pensavi mentre ti–" Chuuya gli tirò un calcio nello stomaco, un'aggiunta speciale allo scontro che avevano avuto qualche ora prima nei sotterranei della Port Mafia. Il detective mantenne gli occhi fissi su di lui, bramando la morte nel mare celeste delle sue iridi annebbiate dall'alcol. A quella distanza poteva contare le lentiggini sulla pelle del mafioso, un po' nascoste dal rossore sulle guance dovuto al vino, e la tentazione di avvolgere una ciocca ramata tra le sue dita era alta, ma non poteva cedere, non ancora.

"Tutti commettiamo degli errori. La differenza tra me e te è che io non ho problemi a dire di aver fatto una cazzata, mentre tu sei ancora qui a portarti le tue ragioni."

Le parole di Chuuya erano come veleno che si infiltrava nella mente di Dazai, avvolgendola dolcemente nonostante la sua natura letale; un veleno di cui il detective non poteva fare a meno perché fungeva da antidoto nei confronti dei pensieri che si susseguivano nella sua testa. Se avesse potuto scegliere di morire intossicato dall'astio e dal rancore di Chuuya, Dazai non ci avrebbe pensato due volte ad andare in overdose.

"Forse se considerassi il mio punto di vista–"

Chuuya lo interruppe bruscamente, mentre incredulità e stupore si facevano largo sul suo volto. "Considerare il tuo punto di vista? Ma se non mi dici mai un cazzo!"

A quel punto il mafioso lo afferrò per il colletto della camicia, avvicinando ancora di più i loro volti fino a quando potevano sentire ognuno il respiro dell'altro sulla propria pelle. Dazai sussultò, in balia dell'ira di Chuuya che per la prima volta, dopo quattro anni, gli stava ridando la vita.

"Hai giocato per anni a fare la principessina misteriosa con la pretesa che tutti stessero ai tuoi piedi. Poteva funzionare con il tuo amico di basso rango, ma non con me, Dazai. Io–"

No, Chuuya, non piangere per me, non me lo merito.

Dazai sentì una morsa inspiegabile al petto nell'osservare gli occhi di Chuuya farsi lucidi e la sua mascella irrigidirsi, mentre la presa sulla sua camicia si faceva sempre più debole.

Per la prima volta, il detective pensò di aver commesso un errore. Aveva sbagliato nel credere di poter tornare a danzare intorno a Chuuya come se quei quattro anni di silenzio non fossero mai esistiti, perché Chuuya era chiaramente andato avanti senza di lui e intromettendosi in una realtà in cui non c'era posto per lui, Dazai non stava facendo altro che infliggere al mafioso ulteriore dolore.

Dazai dovette resistere alla tentazione di accarezzare la guancia di Chuuya con il palmo della mano e spazzar via con il pollice l'unica lacrima che Chuuya si era concesso di piangere per una persona che non meritava neanche il suo odio.

"Io non posso aiutare una persona che non vuole farsi aiutare."

La sua voce era flebile, appena un sussurro, e portava con sé una nota di dispiacere.
Dazai avrebbe voluto prendere il suo volto tra le mani e pregarlo di tornare a odiarlo e a urlargli contro, perché un traditore come lui non meritava di ricevere compassione. Avrebbe voluto dirgli che aveva ragione, che la sua rabbia era legittima così come il desiderio di ricevere una spiegazione, ma Dazai aveva bevuto solo mezzo bicchiere di whiskey e i suoi sensi non erano ancora così annebbiati da ignorare la paura che Chuuya rimanesse disgustato dalla sua anima.

"Io non ti ho mai chiesto di aiutarmi."

Perciò, l'unica soluzione era ergere un altro muro tra di loro.

Un muro che Chuuya non aveva intenzione di demolire.

"Dio mio, sei incredibile. Assurdo, veramente." Chuuya mollò del tutto la camicia del detective e si alzò in piedi, pregando con tutto sé stesso che Dazai avrebbe avuto la decenza di smettere di tormentarlo. "Vai a fanculo, Dazai, te lo dico con il cuore. Per quanto mi riguarda puoi anche appenderti al lampadario, ma lasciami in pace."

Chuuya si allontanò, non curandosi nemmeno di assicurarsi che Dazai se ne andasse dal suo appartamento, ormai saturo dei suoi atteggiamenti infantili. L'errore cruciale lo aveva commesso in partenza assecondando Dazai anziché sbatterlo fuori dalla porta, ma la verità – quella che logorava l'ego di Chuuya – è che Dazai rappresentava la familiarità di un ragazzino che era cresciuto accanto a lui, di un maniaco suicida che a suo modo lo aveva tirato fuori dallo sfruttamento delle Sheep e aveva scoperto assieme a lui la verità su Arahabaki quando Verlaine aveva fatto la sua comparsa a Yokohama. Dazai sapeva di casa più della sua stessa casa perché la complicità che avevano raggiunto con i Double Black andava oltre un mero rapporto di lavoro; era una complicità che sfiorava il concetto di anime gemelle e lo distorceva, dando vita a un rapporto destinato all'odio perché la violenza era l'unica forma d'amore che conoscessero.

La verità è che per quanto Chuuya avesse rispetto verso sé stesso, farsi del male con Dazai era sempre l'opzione più appagante, l'unica via per far vivere la parte umana di sé e uccidere la parte che agli occhi dello Port Mafia lo rendeva prima un'arma e poi una persona.

Ed è proprio per questo motivo che Chuuya si bloccò nel mezzo del corridoio, immerso nella penombra, nella speranza che per una volta fosse Dazai a rincorrerlo, a dirgli di restare.

È così difficile essere importante per qualcuno?

"Chuuya."

Il suo nome venne giù dalle labbra di Dazai come una preghiera, come se fosse una parola di una sacralità inestimabile, troppo pura per essere anche solo pronunciata da una persona come lui. "Ascoltami. Vieni qui."

Il mafioso rimase immobile per qualche istante a riflettere sul da farsi, perché se da un lato non voleva darla vinta a Dazai, dall'altro non ne poteva più dei continui giochi e malintesi tra di loro. Se per la prima volta in sette anni il detective stava cercando di farsi avanti anziché scappare, Chuuya non poteva negargli la sua attenzione, perché Dazai aveva chiaramente gli occhi di una persona ferita dalla negligenza degli altri e per quanto marcio ci fosse tra di loro, Chuuya non si sarebbe mai abbassato a tanto.

Perché sto continuando a salvarti?

Chuuya tornò in salotto, un po' frastornato a causa del vino, e Dazai gli fece cenno di sedersi sul divano accanto a lui. Nonostante la visione di Chuuya non fosse propriamente a fuoco, al mafioso non sfuggì il modo in cui Dazai stava giocando con un'estremità delle sue bende nel vano tentativo di alleviare la tensione.

"I modi di fare della Port Mafia mi stavano annoiando nell'ultimo periodo. Le giornate erano monotone, le missioni non erano più entusiasmanti… ma non progettavo di andarmene. È stato Mori a costringermi."

Le parole vennero fuori tutto d'un fiato e Dazai si lasciò andare a un sospiro tremante. Non era sul punto di piangere, non lui che non sapeva nemmeno se ne fosse in grado, ma il nodo che aveva in gola non sembrava sciogliersi. "Ricordi quando il boss ha festeggiato l'ottenimento della licenza per dotati di poteri? Quella licenza è stata ottenuta in cambio della vita di Odasaku– no, Oda Sakunosuke."

Chuuya lo osservava con apprensione mentre registrava l'esitazione nella sua voce, come se in quel momento Dazai fosse la creatura più fragile dell'universo e sul punto di frantumarsi in mille piccoli pezzi.

"Ti ho visto quel giorno mentre recitavi il tuo discorso di ringraziamento alla Port Mafia ed eri così entusiasta che–" Dazai dovette fare una pausa per respirare, come se il solo ricordo stesse consumando tutto il suo ossigeno. "Non potevo rovinare tutto. Non potevo trascinarti giù con me."

Oh, Dazai, avrei toccato il fondo pur di riportarti a galla.

Chuuya si irrigidì, lasciando che la realizzazione lo investisse come un fiume in piena. Per una volta si sentiva vuoto, completamente incapace di reagire, perché non aveva idea di quale fosse la reazione appropriata. Se stava ottenendo la verità che cercava da anni, perché in quel momento non desiderava altro che tornare indietro a pochi istanti prima, quando ancora non sapeva nulla?

"Prima di morire, Oda mi ha detto di diventare una persona migliore. Mi ha detto che nulla avrebbe mai cambiato la mia visione delle cose, e che quindi tanto vale salvare le persone piuttosto che ucciderle."

Chuuya serrò i denti, capendo finalmente come stessero le cose. Lo sguardo che rivolse a Dazai gli divorò l'anima. "Quindi hai deciso di seguire il volere di un mafioso qualunque senza riflettere, ignorando del tutto le conseguenze delle tue azioni."

Dazai abbassò lo sguardo. "Odasaku non era un mafioso qualunque, lui–"

"Dazai." Chuuya lo interruppe, la sua voce sul punto di spezzarsi. "Non dire altro. Per favore."

Rimasero per alcuni minuti in un silenzio paralizzante, interrotto occasionalmente da quei singhiozzi che sfuggivano al controllo di Chuuya. Dazai pensò che solo la morte lo avrebbe potuto salvare dall'odio viscerale che in quel momento stava provando verso sé stesso.

"Non pensavo di valere così poco. Davvero– non so cosa mi aspettassi, ma non questo. Non di non essere la fottuta scelta di nessuno per l'ennesima volta."

"Non potevo portarti via dalla maf–"

"Non ti avrei seguito! Cazzo, Dazai," Chuuya si passò una mano tra i capelli e finalmente si voltò verso Dazai. "Non sono il tuo fottuto cane, ok? Ho il mio cervello con cui prendere le mie decisioni. Non mettermi in mezzo a qualunque problema ci sia fra te e il Boss."

"È proprio questo il punto– l'ho fatto per evitare che Mori ti mettesse in mezzo."

"E cosa avrebbe ottenuto facendolo? Sono uno dei suoi cinque esec–"

"Dio, Chuuya!" Dazai lo interruppe con un tono di voce che non sapeva nemmeno di avere. Non era arrabbiato, no, un'emozione così intensa non gli apparteneva; era stanco, deluso, terrorizzato perché in tutti quegli anni aveva potuto fare affidamento sulla loro capacità di capirsi senza aver bisogno delle parole, mentre in quel momento Dazai non aveva alternative alla comunicazione aperta. "Sei l'unico mezzo che Mori ha per ricattarmi. Sei l'unica pedina della sua scacchiera con cui può mangiarmi, perché sei l'unica cosa di valore che mi resti. E adesso non mi crederai e non posso biasimarti perché non ho un passato pulito e onesto alle mie spalle, ma se ti succedesse qualcosa per colpa sua – e quindi per colpa mia – non me lo perdonerei mai."

Chuuya sgranò gli occhi, le sue labbra si dischiusero in un'espressione di stupore. Studiò quelle parole nella sua mente alla ricerca di una bugia, di un qualcosa nel tono di Dazai che indicasse che stesse solo scherzando e prendendosi gioco di lui come era solito fare, ma non trovò nulla.

Il mafioso alzò lo sguardo e trovò un'espressione nuova sul volto di Dazai, una che nei tre anni trascorsi insieme non aveva mai visto: il terrore di essersi messo a nudo per la prima volta. Il tremore delle sue mani era impercettibile eppure non sfuggì agli occhi attenti di Chuuya; il suo respiro era lento, teso, come se lo stesse trattenendo senza rendersene conto.

Il dolore ti sta così bene addosso, Dazai di merda.

Chuuya aveva sempre una parola di conforto in queste situazioni, essendo lui il primo a non aver mai avuto una spalla su cui piangere quando la vita lo aveva tradito nei modi più violenti possibili, ma quella dichiarazione lo aveva lasciato spiazzato, soprattutto perché da parte di Dazai. Mille pensieri si susseguivano con rapidità nella sua mente, ma ogni volta che tentava di aprir bocca le parole gli morivano in gola.

Dazai sorrise, ridacchiando amareggiato. "Di' qualcosa, Chuuya. Per favore."

Si sentiva così patetico in quel momento.

Chuuya lo guardò, indeciso, per poi abbandonarsi a un sospiro. "Non mi sono mai innamorato."

Il detective restò spiazzato per un istante, ricordando subito dopo il gioco che avevano interrotto ormai da tempo. "In vena di bugie stasera, uh?"

"Non stai bevendo, quindi siamo in due."

Dazai avrebbe voluto dirgli che non c'era posto per un sentimento così umano in lui, che l'amore era un concetto a lui sconosciuto e forse anche astratto, uno strumento falso per ottenere qualcosa di utile in cambio.

"Obbligo o verità?"

In quel momento gli occhi di Chuuya brillavano come le stelle nel cielo notturno.

"Obbligo."

Chuuya si mosse in avanti, catturando una guancia di Dazai nel suo palmo e carezzando il suo labbro inferiore con il pollice.

"Baciami come se mi amassi davvero."

E chi era Dazai per negargli una cosa del genere?

Quando le loro labbra si incontrarono fu come se non avessero mai smesso di farlo. C'era qualcosa di terribilmente familiare nel modo in cui Chuuya mordeva e leccava il sangue dalle labbra di Dazai e nel modo in cui Dazai cercava di nascondere i gemiti di dolore, senza tirarsi indietro da quello scontro.

Dazai prese il volto di Chuuya tra le mani e spostò una ciocca di capelli ramati dietro l'orecchio, continuando la guerra di morsi come se distaccarsi dal mafioso minacciasse la propria sopravvivenza. Il rosso sorrise compiaciuto tra i baci e spinse Dazai fino a sedersi a cavalcioni su di lui, mostrando quell'audacia e quella imprevedibilità di cui il detective amava nutrirsi. Perché Chuuya era questo: un fuoco ardente e imprevedibile che sfuggiva a ogni equazione calcolata da Dazai, una fiamma che danzava libera infuocando chiunque la sfiorasse, e mai come in quel momento Dazai aveva desiderato bruciarsi fino a non sentire più la propria pelle.

Un sospiro abbandonò le labbra di Chuuya quando Dazai gli afferrò il capo per i capelli e lo tirò indietro, garantendosi maggior accesso al collo niveo del mafioso, macchiato unicamente dal choker che simboleggiava la sua appartenenza alla Port Mafia. Dazai sfiorò la pelle con le dita e sentire il battito di Chuuya sotto i propri polpastrelli lo ancorò per un istante alla realtà. Chuuya era sopra di lui ed era più vivo che mai, le pulsazioni del suo cuore lo testimoniavano, mentre cercava un contatto disperato con Dazai con ogni movimento di bacino, e Dazai in quel momento avvertiva l'irrefrenabile desiderio di ferire quel collo, graffiarlo e riempirlo di lividi come quelli che nascondeva sotto il bianco delle sue bende, schiavo della necessità egoista di macchiare il rosso vivo di Chuuya con il proprio nero morente, a testimoniare che se il mafioso era vivo allora lo era anche lui.
Ma Chuuya era diverso; Chuuya non metteva in atto mille sceneggiate diverse per morire, non conosceva ogni pagina del libro del suicidio a menadito, lui amava la vita come nessun altro e Dazai non poteva permettersi di spegnere la fiamma che ardeva in lui. Perciò sfiorò il suo pomo d'Adamo con la punta del naso, quasi solleticandolo, e lasciò una scia di baci umidi lungo la vena pulsante del mafioso che in risposta sorrise divertito.

"Mi fai schifo," mormorò, ansimando quando Dazai lambì con la lingua la pelle nascosta dal choker. "Quando sei delicato– mi fai schifo."

Chuuya lo afferrò per il volto, allontanandolo da sé per strappare via le bende che avvolgevano il collo di Dazai.

"Piano, Chibi."

Un sussurro che Dazai avrebbe voluto urlare perché l'idea che Chuuya potesse osservare quel disastro di tagli e cicatrici gli faceva voltare lo stomaco. Non era la prima volta che si mostrava al mafioso, ma le bende attorno al collo avevano sempre rappresentato un limite per lui, come se fosse la parte più vulnerabile della sua intera esistenza; Chuuya lo sapeva bene e per questo motivo non si era premurato di chiedere.

Quella notte non ci sarebbe stato spazio per i segreti.

Chuuya studiò ogni ferita con gli occhi per memorizzarle, trattenendo il respiro quando il suo sguardo si posò su alcune fin troppo recenti, a confermare che i comportamenti di Dazai non fossero cambiati nonostante gli anni trascorsi lontano dalla Mafia.
Il cuore dell'esecutivo si strinse in una morsa dolorosa all'idea di quanto odio Dazai provasse verso sé stesso per arrivare a tanto, un odio che non poteva quantificare per il semplice fatto che i pensieri di Dazai fossero un mistero per tutti e nessuno sapeva cosa gli passasse per la testa.
Dazai era abile ad aggirare i discorsi e spostare l'attenzione su altro quando si parlava di sé e per questo motivo nessuno alla Port Mafia aveva mai preso sul serio i suoi modi di fare eccentrici, ma Chuuya era il suo partner e stando a stretto contatto con lui aveva nel tempo acquisito una visione generale della sua personalità: furbo, astuto, taciturno ma estremamente irritante quando parlava, apatico, lungimirante, spaventato, sempre allertato in caso di pericolo, riservato, terrorizzato dalla vita. Dazai passava tutto il tempo nella sua testa e se da un lato andava a suo favore in ambito lavorativo garantendogli di avere sempre una strategia pronta, dall'altro i suoi pensieri lo logoravano lentamente come un veleno mortale; o almeno questo è ciò che aveva teorizzato Chuuya.

Il detective alzò istintivamente una mano nel tentativo di nascondersi, sentendosi morire sempre di più per ogni istante che lo sguardo di Chuuya passava su di lui, come se stesse osservando gli angoli più intimi della sua anima. Avrebbe preferito sparire piuttosto che lasciare che Chuuya scoprisse il disprezzo che riservava verso il suo corpo e verso sé stesso, perché Chuuya non meritava di assistere a un simile orrore, non meritava la responsabilità di raccogliere i suoi cocci e riempire le crepe di oro; invece era proprio quello che stava facendo con i baci che risanavano ogni ferita e assorbivano il dolore.

Chuuya era violento, aggressivo; il sesso con Dazai era sempre stato una valvola di sfogo per l'odio che provava nei suoi confronti, una parentesi della loro vita in cui farsi del male sembrava lecito; eppure la delicatezza con cui sfiorava le cicatrici che costellavano la pelle di Dazai era la stessa di uno scultore che modellava il marmo freddo, di un fedele che venerava il proprio dio, e al detective la cosa disgustava perché sapeva di non meritare nemmeno una briciola del rispetto che Chuuya gli stava offrendo.

Dazai cercò in tutti i modi di distrarsi dalla voce nella sua testa che remava contro di lui, tanto da non accorgersi di come i baci di Chuuya stessero navigando sul suo corpo fino a giungere alla cintura dei suoi pantaloni; a quel punto Dazai sperò che il tocco violento di Chuuya potesse renderlo vivo e farlo vibrare di tutte quelle emozioni che non credeva nemmeno di poter provare.

Chuuya al contrario si sentiva estremamente rilassato; certo, il suo temperamento vivace e aggressivo era sempre presente, ma tornare a contatto con No Longer Human dopo quattro anni di agonia stava purificando i lati più oscuri della sua anima. Dopo anni Chuuya sentiva la mente sgombra, come se stesse galleggiando in mare aperto senza paura di andare alla deriva, e solo in quel momento capì che lui e Dazai condividessero lo stesso dolore: quello di due persone che cercavano di ignorare il rumore assordante del mostro che avevano dentro.

Chuuya alzò lo sguardo e si compiacque nel trovare solo smorfie di piacere sul volto di Dazai, ma non avrebbe lasciato che finisse lì, no; lo avrebbe stuzzicato e torturato per ore fino a farlo piangere e assaporare l'umanità delle sue stesse lacrime, fino a riversare tutto il rancore che aveva verso di lui, perché nella vita di persone come loro c'era posto solo per il rosso del sangue e il nero dell'odio.

E Dazai sorrise quando qualche ora più tardi, ormai all'apice del piacere, Chuuya strinse le dita attorno al suo collo con una pressione sempre crescente, forte nella sensazione di avere letteralmente la vita dell'altro tra le mani. Un ghigno si fece largo sul volto del mafioso e Dazai pensò di poter morire così, con Chuuya sopra di lui mentre gli toglieva l'aria dai polmoni e continuava a muoversi dentro di lui, accentuando quella sensazione soffocante attorno alla gola.

Chuuya ansimava mentre la frequenza cardiaca di Dazai aumentava sotto le proprie dita e avrebbe voluto avere il fiato necessario per dirgli che la prova della sua umanità era proprio lì nella sua mano; che la lotta del suo corpo per un briciolo d'aria era quanto più di umano potesse chiedere. Sapere di essere l'unico detentore di questa verità mandava brividi di piacere lungo la schiena di Chuuya.

Una mano di Dazai si unì a quella di Chuuya in un tacito invito ad aumentare la pressione e in quel momento tutto smise di esistere: non esistevano i tagli sulla pelle, gli errori del passato, l'odio, la Port Mafia, la morte di Odasaku, i sussulti di Chuuya; non esisteva più nemmeno Dazai Osamu, ormai perso nell'eco dei battiti incessanti del suo cuore che chiedeva disperatamente ossigeno.

Ormai era tutto nero, nero come il sangue della mafia, nero come la morte, nero come ciò che videro entrambi quando raggiunsero il culmine della pace dei sensi, e di loro restava solo l'eco dei gemiti strozzati, il sudore sulla loro pelle, le labbra che continuavano a cercarsi.

Perché per quanto potessero nasconderlo o negarlo, sapevano che in qualche modo sarebbero comunque finiti nel campo gravitazionale dell'altro, inevitabilmente attratti dal fascino dell'odio e dal senso di sicurezza che nessun'altro era mai riuscito a dar loro, vittime di una complicità inspiegabile che li legava da quando si erano scontrati nei vicoli sporchi di Suribachi.

Perché, in fondo, tutto ciò che bramavano era la miseria in cui riuscivano a gettarsi a vicenda.
  
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