IT CAN’T RAIN ALL THE
TIME
We walked the narrow path,
beneath the smoking skies.
Lo stretto sentiero fangoso si apriva a fatica tra le alte querce
secolari, il cielo plumbeo piangeva disperato, la dolorosa ferita inferta a uno
dei suoi figli sgorgava sangue invisibile.
Grosse lacrime cadevano sul soffice terreno odoroso, sulle piante
rigogliose, sugli animaletti impauriti che cercavano rifugio dove
possibile.
Il vento freddo del nord scuoteva impetuoso le folte chiome delle
maestose regine del bosco, mugghiando e sibilando tra i rami nodosi; un suono di
passi leggeri sul fango, un ragazzo attraversava a fatica il bosco, i corti
capelli ramati zuppi e abbandonati sul viso, la pelle chiara aveva assunto una
tinta alabastrina.
Barcollava vistosamente, la leggera maglia verde che indossava era
completamente bagnata.
Le gocce si mischiavano alle lacrime dolorose, i piccoli piedi immersi
quasi interamente nel fango gelido e viscido, i pantaloni del pigiama non
offrivano più alcuna protezione a quel corpo scosso da tremiti
convulsi.
Tuonava forte nella notte, e i rami sembravano quasi spettri in quel
luogo, quel luogo che avrebbe dovuto essere un sicuro rifugio dalla sofferenza
più profonda e dalla solitudine più nera, un appiglio contro la pioggia che
incessante continuava a cadere sul mondo, pioggia dolorosa di
sangue.
Un dolore improvviso lo colse al petto, facendolo piegare a terra,
annaspando alla ricerca di ossigeno,
gli occhi velati dalla pioggia e dalla
confusione.
Cercò a fatica di rimettersi in piedi, appoggiandosi a una grande quercia
accanto a sé, la ruvida corteccia sotto le sue dita fragili gli graffiava la
pelle.
Un senso di nausea lo colse all’improvviso, sentì qualcosa di viscido e
bollente salirgli su per l’esofago, sentì un gusto ferroso in
bocca.
E poi, nuovamente nel fango, rannicchiato al freddo, il vento gli
sferzava il viso come una frusta, le guance arrossate per la
febbre.
Si sentiva le membra intorpidite e la testa confusa, il cervello
ottenebrato da qualcosa a cui non riusciva dare un
nome.
Voleva solo che tutto quel dolore finisse.
Anche se ciò avrebbe potuto significare la fine della sua
esistenza.
Da quei laghi smeraldini cominciarono a sgorgare calde e copiose lacrime,
quel poco di calore che ancora regnava in quel corpicino tremante e ferito nel
cuore, una ferita da cui non sgorgava sangue, ma qualcosa di
più.
L’anima.
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…And the children know that there
There’s something wrong,
and it’s
hard to believe that love will prevail…
La porta dell’austera villa si spalancò di botto, illuminando debolmente
il porticato marmoreo e il sentiero che dalla casa si dipanava verso il
boschetto, deserto e silenzioso.
Le gocce di pioggia cadevano feroci su tutto, una leggera e cupa foschia
la accompagnava, silenziosa e fedele.
Un giovane ragazzo dai corti capelli color oro corse fuori, chiudendosi
la pesante porta alle spalle con un tonfo e cominciando a correre lungo lo
stretto viottolo vischioso per il fango.
Una torcia elettrica in mano gli permetteva di percorrere più facilmente
la buia strada dinanzi a sé, il rumore dei suoi passi riecheggiò cupo nella
notte, i pantaloni che indossava in breve si sporcarono del fango del sentiero,
ma ciò non lo avrebbe fermato nella sua corsa.
Continuò a procedere velocemente, sotto la pioggia battente, cercando di
distinguere qualcosa tra le ombre della notte, ma nemmeno i suoi sensi,
ottenebrati dalla paura, riuscivano a venirgli in soccorso in quel
momento.
All’improvviso, i suoi sensi tesi all’inverosimile percepirono un fruscio
e una presenza estranea dietro di sé.
Istintivamente, scattò, voltandosi all’indietro, pronto a reagire, ma
grande fu la sorpresa quando scorse tra gli arbusti una figura umana grondante
acqua e tremante, barcollava pericolosamente: “Hyoga…” la sua voce pareva poco
più di un sussurro disperato, un braccio bianco e sottile teso verso di lui,
come in una muta richiesta di aiuto, “Hyoga-kun..” ripetè il pallido spettro,
“Per favore… Non lasciarmi qui…”, le lacrime si mischiavano alla pioggia che
scivolava su quella pelle delicata, “Per favore…” supplicò debolmente con
l’ultimo filo di voce rimastogli.
Poi, come una bambola rotta, si lasciò cadere in avanti, privo ormai
anche del benché minimo frammento di forza.
Ma gli fu impedito un nuovo contatto con quel fango infido perché un paio
di forti braccia furono rapide ad afferrarlo al volo, avvolgendolo di un
piacevole e inaspettato, ma gradito, tepore, la torcia lasciata per
terra.
La testa mollemente abbandonata contro lo stomaco del biondo,
rannicchiata alla ricerca di protezione e conforto.
Con delicatezza, il russo si accovacciò, sempre sorreggendo le membra
semiprive di sensi del fratello, scrutandone ansioso i lineamenti scavati e il
colorito rosso per la febbre alta, le labbra livide semiaperte e il tremolio
convulso del suo corpo; un forte accesso di tosse gli spezzò il respirò,
bloccandogli l’afflusso d’aria ai polmoni.
Dopo qualche secondo, il bruno si calmò, dalle palpebre serrate
sgorgavano le lacrime; Hyoga gli carezzò la fronte bollente, cercando di
portarlo sotto i rami per evitargli ancora il contatto con la fredda pioggia ma,
non appena fece per alzarsi, il minore spalancò di scatto gli occhi, ansimando e
mugolando, pareva come se qualcosa lo spaventasse; a fatica, afferrò la mano del
biondo, la strinse forte al petto, guardandolo fisso: “Per favore...”
singhiozzò, tossendo ancora, esausto, “Calmati, sono qui... Sta tranquillo, ti
riporto dentro..” cercò di rassicurarlo, scostandogli i ciuffi dal visetto
scarno, “No.. Ti prego... Non voglio...” sussurrò, sollevando la mano libera e
accarezzandogli piano la guancia fredda, “Non.. voglio.. cough.. sentirvi
litigare...” riuscì a dire, ansimando privo di respiro, cercava di mantenersi
lucido, aggrappandosi alla realtà come a un salvagente in balia dell’Oceano
tempestoso.
Hyoga era sorpreso da quelle parole di autentica sofferenza, non capiva
ancora come avesse potuto covare dentro tutto quel dolore, nè
perchè.
“Vi ho sentito litigare.. Tante... Tante volte... Per colpa mia...” il
più piccolo tossì nuovamente, rannicchiandosi a lui, “vi sento sempre
litigare... Anche mentre dormo... Anche mentre sogno... Litigate sempre...”
articolò.
Quelle parole ferirono Cygnus sin nel profondo, come mai nulla lo aveva
ferito prima.
Riuscì solo a restare lì, inginocchiato sotto la pioggia battente,
stringendo a sè Shun, un fragile pierrot di porcellana in procinto di rompersi
da un momento all’altro, spezzato da una forza esterna e
crudele.
“Non... Ho mai... avuto così paura di addormentarmi...” riuscì a dire
infine il bruno, “Non voglio... Non voglio... svegliarmi e sentirvi discutere...
Non ci siamo salvati... per odiarci così tanto... ” singhiozzò disperato,
scivolando nuovamente tra le pieghe dell’incoscienza, “è tutto sbagliato...”
riuscì a sussurrare, “dovrebbe esserci tra noi... solo
amore...”.
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“D’accordo, Saori-san, ti terremo informata.. No, tu rimani pure lì, ci
pensiamo noi a lui, non preoccuparti...”.
La voce cupa del più giovane tra i suoi protetti non convinse la Dea, ma
acconsentì comunque: “Mi raccomando, fate attenzione e soprattutto seguite le
indicazioni che vi ha dato il dottore. Cercherò di tornare il più presto
possibile...” disse prima di chiudere la
comunicazione.
Lentamente, Seiya riattaccò la cornetta nel momento esatto in cui Ikki e
Shiryu comparvero sullo scalone, accompagnati da un distinto signore dalla
candida barba e dall’aspetto gentile; i tre raggiunsero il ragazzino: “era
Saori-san, ha detto di seguire le indicazioni del dottore e di lasciar fare a
lui, possiamo solo aspettare..” spiegò stizzito lui, rispondendo alle domande
che i suoi fratelli maggiori stavano sicuramente per
fargli.
“Ne ho già parlato al ragazzo biondo che ora è nella stanza del vostro
amico” intervenne improvvisamente il medico, “Sarò franco, ragazzi miei, la
situazione non è per niente rosea. È chiaro che quel povero vostro compagno ha
subito un notevole numero di sofferenze, sia fisiche che emotive; sono circa due
settimane che versa in questo stato ed è necessario che si riprenda. L’ho
visitato a lungo, e sono giunto alla conclusione che abbia bisogno di riposo
ASSOLUTO e soprattutto di evitare alcun tipo di stress. Quando l’ho lasciato,
dormiva abbastanza tranquillo ma mi è parso di capire che sia notevolmente
peggiorato nelle ultime ore, ho ragione? Per farlo calmare ho dovuto iniettargli
un calmante, quindi prima di qualche ora non dovrebbe
svegliarsi.”.
Lo sguardo vivace e indagatore dell’anziano medico puntò su ognuno di
loro: “Si... Hyoga l’ha ritrovato fuori, sotto il temporale... delirava...”
ringhiò Pegasus, stringendo i pugni, “Sembrava impaurito da qualcosa...”
aggiunse Shiryu, “Quando abbiamo aperto la porta di casa, li abbiamo trovati
sotto il porticato, con Shun ridotto così...” concluse, stringendo il braccio
tremante del fratellino.
Il vecchio li guardò con affetto: “Shun deve essere il malato, giusto?
Comunque, sono piuttosto fiducioso, se seguirete le mie istruzioni, dovrebbe
riprendersi piuttosto in fretta. Ora scusatemi, ma ho altri pazienti, devo
proprio andare, salutatemi Lady Saori.” sorrise
incoraggiante.
Shiryu si scostò subito, aprendogli gentilmente la porta e salutandolo
con un leggero inchino.
I tre fratelli guardarono in silenzio il dottore allontanarsi con il
proprio assistente, rimasto sino a quel momento sotto il porticato, dopodiché
chiusero la porta.
Tutto restò avvolto nel silenzio per qualche
minuto.
Poi, all’improvviso, Seiya si voltò e cominciò a camminare verso il
salotto, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni, sparendo in breve alla
vista dietro la grande porta dorata; Shiryu gli andò subito dietro, lasciando la
Fenice da sola nel grande ingresso.
Ikki sospirò, sfregandosi stancamente gli occhi: “Maledizione…” imprecò,
dirigendosi lentamente verso le scale.
Il maggiore dei cinque si inoltrò nel corridoio buio e caldo, opprimente
e silenzioso.
Prudentemente,m mosse qualche passo a tentoni, cercando di orientarsi tra
le numerose stanze per trovare quella che cercava.
Uno spiraglio di luce gli indicò la via da seguire, proveniva da una
porta lasciata accostata.
Era arrivato.
Si fermò proprio fuori dall’uscio, indugiando nervosamente in quel
pallido bagliore, indeciso se entrare o meno, sicuramente la vicinanza con Hyoga
non avrebbe portato nulla di buono..
“Oh, al diavolo!” esclamò sottovoce,
entrando.
La stanza era immersa nel chiarore soffuso dell’abat-jour, che conferiva
al tutto un’atmosfera rilassante e calda come se colui che lo avesse acceso,
volesse tenere a tutti i costi fuori di lì il gelido vento e la pioggia che
regnavano imponenti fuori; Ikki scorse subito la schiena del fratello minore,
seduto su uno sgabello accanto al letto, la folta chioma bionda abbandonata
sulle spalle coperte da un soffice asciugamano.
Immobile, vigile.
Improvvisamente, Cygnus si voltò, i loro sguardi si
incrociarono.
Per lunghissimi istanti, senza dire alcunché, i due si fronteggiarono, in
un muto scontro per la supremazia su qualcosa, qualcosa di fatto inesistente;
poi, come se nulla fosse, Hyoga si alzò in piedi e, senza quasi degnarlo di uno
sguardo, lo superò e uscì, non prima di aver gettato un’ultima occhiata alla
figuretta distesa nell’ampio letto, ravvolta dal pesante
piumone.
Shun dormiva tranquillo, al caldo e all’asciutto come doveva essere, il
pigiama zuppo era stato sostituito da uno di quelli di Seiya, più pesanti e più
adatti alla situazione, immerso in un sonno privo di sogni per via del
tranquillante che il medico gli aveva iniettato poco
prima.
I morbidi ciuffi ramati stavano poggiati disordinatamente sul candido
guanciale, il viso stava riacquistando a poco a poco la sua tinta rosata, segno
che la febbre, seppur lentamente, cominciava a scendere; Ikki sospirò sollevato,
accarezzandogli delicatamente una guancia, sfiorandogli la fronte con le labbra
in un dolce gesto di affetto.
Dopodiché, silenzioso come era entrato, lasciò la stanza, scivolando nel
buio del corridoio.
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Oh, when
I'm lonely,
I lie awake at night
and I wish you were here.
I miss
you.
Oh it won't rain all the time.
The sky won't fall forever.
And
though the night seems long,
your tears won't fall
forever.
“Ehi, finalmente ti sei svegliato.”.
La voce di Cygnus risuonò pacata nella stanza, mentre il possessore
entrava, recando con sé un vassoio; una tazza colma di thè vi era poggiata
sopra, con una zuccheriera accanto e una pila ordinata di biscotti
accanto.
Un bicchiere colmo di acqua fresca e di alcune pillole completava il
tutto.
L’aroma del thè si diffuse velocemente nell’aria, avvolgendo le narici
del bruno di un delicato profumo, profumo che sapeva di terre lontane, di jungle
esotiche, di luoghi magici; dolce e, allo stesso tempo,
penetrante.
Il ragazzo poggiò sulla sedia il portavivande, scrutando con
preoccupazione malcelata il visetto rosato del fratello, che gli sorrideva
debolmente: “Già.. Quanto ho dormito?” chiese con voce roca, mettendosi seduto,
“Direi circa quattro ore… Come ti senti?” replicò spiccio lui, passandogli la
tazza fumante.
Shun inspirò profondamente l’aroma della calda bevanda, avvicinando la
porcellana alle labbra: “Meglio, grazie..” replicò con un filo di voce,
immergendosi nella degustazione del tè e nei suoi
pensieri.
Per lunghi e interminabili minuti, restarono così, in silenzio, il bruno
immerso nella fragranza vaporosa dell’infuso, il biondo che lo scrutava
attentamente.
“Ha smesso di piovere?” chiese improvvisamente il Saint dell’Andromeda,
poggiando la tazza sul vassoio, i grandi occhi smeraldini alla ricerca frenetica
dei suoi, “per qualche minuto, ma ha ricominciato da poco… Proprio un bel
temporale..” sbuffò il biondo, perdendosi con lo sguardo in contemplazione di
qualcosa di invisibile dinanzi a sé, l’aria assente e cupa, la notte più oscura
che mai.
“Come stanno gli altri?” chiese ancora, non staccando nemmeno per un
momento lo sguardo, che ora si era fissato sulla porta; Cygnus sospirò,
sedendosi sulla sedia e prendendo sulle ginocchia il vassoio: “Bene…” disse
evasivo il ragazzo, passandogli il bicchiere e le
pillole.
Il fratello lo squadrò con aria quasi supplice: “Non mentirmi.. Lo sai
che non lo sopporto..” replicò, mentre i dolci occhi da cucciolo cominciavano a
riempirsi di lacrime.
Hyoga sbuffò, scostando lo sguardo: “Come sempre… C’è un po’ di tensione,
ma tutto si aggiusterà, lo sai… è solo una tempesta temporanea..” provò a
spiegare; il brunetto sospirò quasi deluso, affossandosi sotto le coperte, “odio
la pioggia ..” borbottò, “E odio sentirvi litigare..” soffiò sconsolato,
stringendo tra le dita sottili la pesante coperta.
Un singhiozzo scappò dalle labbra del più giovane, a stento
trattenuto.
Un delicato peso sbilanciò leggermente il russo, un caldo corpo si
strinse a lui, tremante, il suo viso si affossò in una morbida criniera di
disordinati capelli castani, braccia sottili gli cinsero la vita con tutte le
forze possibili.
Ancora stupito, udì una voce, sottile e musicale, sussurrargli
all’orecchio: “è brutta la notte quando si è soli.. è triste stare sdraiati, al
buio, sperando di ricevere un conforto che non ci sarà, sapendo che qualcosa non
va, che c’è qualcosa di veramente sbagliato.” disse piano, “quando di notte, mi
sveglio, vorrei che foste vicino a me, uniti, capisco quanto mi mancate.. E
sento la pioggia cadere, picchettando sui vetri, vorrei che finisse, e con lei
pure la notte, per lasciare il posto al sereno. Sul mondo, e su di noi..”
sussurrò con tono quasi imbarazzato; Shun scivolò nuovamente sul letto, la
schiena poggiata contro la testata, il viso rivolto verso il fratello
maggiore.
Ma non c’era segno di ostilità in quegli occhi, né di
tristezza.
Hyoga vi lesse solo una grande malinconia, e una grande
speranza.
Una mano accarezzò con affetto quella selva spettinata, ma le parole non
ne volevano sapere di uscire, quelle cinque parole che, Cygnus ne era sicuro,
avrebbero sicuramente confortato il fratellino; ma per dirle, avrebbe dovuto
crederci veramente.
E lui non si sentiva pronto a crederci.
Ma, improvvisamente, gli tornarono alla mente, come per incanto, le
lacrime dolorose che quel piccolo suo compagno, quel dolce fratello che Athena
gli aveva concesso in dono, avevano solcato insensibili quel visetto solo poche
ore prima.
E qualcosa si spezzò dentro di lui.
Istintivamente, lo riabbracciò, stringendolo più forte che poteva, in un
goffo e maldestro tentativo di farlo sentire meglio, cercando disperatamente di
fargli ricacciare le stille salate che, ne era sicuro, stavano
affollandosi.
“Non potrà piovere per sempre, fratellino…”.
§§§§§§§§§§§§§§
Until I felt safe and warm.
I fell asleep in your arms.
In quel momento, udirono qualcuno bussare alla
porta.
I due si staccarono, mentre il biondo, alzandosi, andò ad aprire la
porta; Ikki fece il suo ingresso nella stanza semi-illuminata, rivolgendo un
leggero sorriso all’indirizzo di Shun, vedendolo in condizioni migliori: “Ben
svegliato, otooto.” lo salutò la Fenice, prendendo un’altra sedia e
posizionandosi accanto a quella del russo.
Questi, da parte sua, decise di uscire, lasciandoli
soli.
Un momento dopo, anche la Fenice si ritrovò avvolta dall’affettuoso
abbraccio del piccolo Andromeda, improvviso e inaspettato; il naso solleticato
dai ciuffi chiari, un cucciolo rannicchiato contro il suo
torace.
“Mi piace stare così, lo sai?” disse il bruno improvvisamente, “lo so, è
un comportamento da bambini ma, mi fa sentire protetto… è così che si ci
dovrebbe sentire in una famiglia, vero, niisan?”, gli sorrise lui, affossando il
visetto nel suo petto.
Il maggiore non rispose.
“Ma, adesso siamo noi una famiglia, non posso fare a meno di pensarci…
Abbiamo rischiato tutto, sempre assieme.. Perché adesso odiarsi, buttando al
vento tutto il tempo passato assieme?”.
Phoenix non rispose, si limitò a ricambiare la
stretta.
“Siamo diversi, ma siamo pur
sempre fratelli, ed è questo che conta veramente… Dovrebbe regnare tra noi solo
affetto e amore..” sussurrò, la voce lieve come una
carezza.
“Scusami…”
La voce calma e profonda seguì subito dopo le ultime parole del minore,
“Come al solito, hai ragione tu, Shun… anche se sono passati anni, non ho ancora
imparato, vero?” un burbero sorriso si dipinse sul viso abbronzato di Ikki, “Non
devi scusarti… Non è necessario… io desidero solo vedervi felici e sereni,
assieme… questo è tutto quello che desidero io…” ammise il ragazzo,
abbracciandolo più forte.
Quando si staccarono, sembrò come se l’aria pesante che regnava quasi
ovunque si fosse improvvisamente alleggerita; fuori stava ormai
albeggiando.
Con sorpresa, Andromeda si accorse che aveva smesso di
piovere.
Con una mossa elegante, il ragazzo scese dal letto, indossando le
pantofole calde e soffici e aprì la porta; fuori, poggiato contro la parete, in
attesa, stava Hyoga.
Con un dolce sorriso, Shun gli tese la sinistra e lo fece entrare; con
semplicità, egli fece congiungere le
mani dei fratelli: “So che avete litigato, ma ormai, tutto dovrebbe essere
passato, no?” chiese il ragazzo, commosso a sua
volta.
I due si guardarono per qualche istante, non un’espressione traspariva
dai loro visi, ma era facile leggere nelle loro
anime.
E quello che il dolce quattordicenne lesse, lo riempì di
gioia.
Con autentico affetto, il ragazzino li strinse forte a
sé.
No, non può piovere per sempre, il Sole prima o poi torna a splendere.
CREDITS:
La canzone utilizzata è di proprietà di Jane Siberry, parte dell'OST del movie "THE CROW".
Da questa, io non guadagno alcunchè.