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Autore: crazyfred    20/01/2023    1 recensioni
Ritroviamo Alex e Maya dove li avevamo lasciati, all'inizio della loro avventura come coppia, impegnati a rispettare il loro piano di scoprirsi e lavorare giorno dopo giorno a far funzionare la loro storia. Ma una storia d'amore deve fare spesso i conti con la realtà e con le persone che ci ruotano attorno.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sotto il cielo di Roma'
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 Capitolo 33

 
 

 

Tornare a messaggiare con Alex era stato un grosso passo per Maya, capitato un po’ per caso ma il coraggio che ci aveva messo l’aveva premiata: la divertiva e le piaceva provare ad immaginare le espressioni di lui mentre leggeva i suoi messaggi, le sue paturnie e i suoi dubbi di fronte alle emoticon e a quei tre punti che lasciava in sospeso per indispettirlo. Non ci fosse stata la questione di Edoardo, probabilmente la sera prima sarebbe rimasta a messaggiare fino a tardi, o forse presto, fino all’alba, ma quell’incontro aveva bisogno di assorbirlo prima di poterlo raccontare al più diretto interessato. E di certo non tramite un telefono. 
“Culturali” disse Alice, sedendo alla postazione di Micol, di fianco a lei. Maya non si era nemmeno accorta che la collega si era alzata per fare posto alla sua amica.
“Eh?”
“Poli culturali … è la parola che ti manca per andare avanti, ma da quando sono entrata che fissi lo schermo con lo sguardo nel vuoto” stava finendo di scrivere l’intro per il servizio registrato il giorno prima alla discoteca e il ricordo aveva preso il sopravvento. Ancora stentava a crederci.
“Ah oddio” farfugliò imbarazzata, finendo di digitare la frase “ero sovrappensiero”
“Robe brutte o robe belle?”
“Veramente non lo so nemmeno io” chiosò, lasciandosi andare ad un sorrisetto impacciato ed esitante. Tornò al computer.
“Allora si tratta di”
“Shhhh!”
“Di questioni cuore” calcò la frase Alice “quando non si capisce più niente è per forza roba di cuore”

La ragazza era serissima, sorseggiando dalla borraccia in vetro la sua acqua aromatizzata. “Puoi dirlo forte…ma che ci fai qui?”
“Pausa, tanto c’è la nuova stagista a fare pratica al posto mio”

Ad agosto, approfittando del periodo morto, Alice poteva finalmente staccarsi dalla sua postazione per un meritato periodo di vacanze, sostituita dallo stagista (anche se schiavetto rendeva meglio l’idea) di turno.
“Non mi chiedere altro, non è il caso qui.”
“Ma era così per dire, non mi stavo impicciando dei fatti tuoi. Dovresti conoscermi”
“Tranquilla, sono io che vado in paranoia per nulla …”
“Se hai bisogno di sfogarti sono qui” disse Alice, picchiettando con le dita sul cellulare dell’amica, posato sulla scrivania “per quanto non so quanto possano essere utili i miei consigli visto che secondo qualcuno mi vedo con Peter di Heidi …”
“Eddai ancora!!! Era una battuta!” Conoscendola, era grasso che colava se non era un nerd tutto video giochi e serie tv fantasy che parla solo per citazioni. Questo prospetto faceva sembrare Fabio un principe azzurro, a confronto.

“Stasera ci vediamo, per un appuntamento” confessò Maya, fingendo di tornare al lavoro sul pc. Alice le strinse il braccio più del dovuto e Maya pensò che probabilmente doveva pure ringraziare il cielo se non averla urlato.
“Ahia!”
“E scusa! Ma me lo dici così, adesso? Ti ricordo che siamo state a cena insieme ieri sera … scusate, robe nostre” La ragazza fu costretta a ricomporsi notando che nello stanzone era calato il silenzio e tutti la fissavano.
“Ti pare che mi mettevo a parlare dei fatti miei la sera che Monica ha annunciato di aspettare un bambino?” Era la sua festa, la sua serata, non era carino attirare l’attenzione su di sé. Alice mugugnò, non era soddisfatta ma la risposta di Maya era inoppugnabile.
“E non sei sicura?” domandò allora, a bassa voce.
“Oh no, sono sicurissima è che … lui parte e io resto a Roma”
“Di che hai paura? Quello le corna non te le mette, tranquilla” Le due risero tra loro, complici-
“Ma vattene! No…ho paura che poi gli correrei dietro come una sottona”
“Su quello non c’è pericolo…sei già una sottona!” esclamò la giovane, facendole l’occhiolino e controllando il suo orologio “Uh! Si è fatto tardi, meglio se torno in reception”

Eccola Alice: prima lanciava la pietra, e poi nascondeva la mano, ma Maya non l’avrebbe cambiata con nessuna al mondo. Sì, in effetti era una gran sottona, lo riconosceva pure lei, faticava ad ammetterlo solo perché, fino a poco meno di un anno prima lei non era così. Fino a poco meno di un anno prima, a dire il vero, lei non era molte cose, ma le piaceva decisamente di più questa versione attuale di sé. E non poteva nasconderselo: il grosso del lavoro lo aveva fatto da sé, ma Alex era stato un catalizzatore, la miccia che aveva fatto innescato tutto, che le aveva mostrato che non si deve rimanere per forza impantanati in un sistema che, seppure di comodo, non dà piena soddisfazione e non ci fa rendere al meglio. Era arriva alla conclusione, dunque, che doveva solo seguire l’onda, quello che il suo cuore e il suo istinto avrebbero giudicato meglio per sé.

Poco dopo che era tornata tranquillamente al lavoro, il telefono di Maya si illuminò. Era suo fratello.

Se c’è una cosa che non sopporto degli italiani è che tutti vanno in vacanza ad Agosto

 

Prego?

 

Oggi salto la pausa pranzo a causa del tuo capo, perché sennò poi lui va in vacanza

 

Maya rise a quel messaggio. Se solo Lorenzo avesse saputo … e nemmeno minimamente sospettava, quando tutti attorno a lui invece sapevano; ma era un uomo, non poteva fargliene una colpa, loro arrivano sempre in ritardo di fronte alle novità. Lo liquidò ricordandogli che il suo capo aveva dei figli e una ex moglie e non aveva tanta scelta. E così facendo lo ricordò anche a sé stessa. Far parte della vita di lui significava far parte della vita di altre persone, ma la consolava che la stessa cosa valeva per tutte le altre coppie: non si è mai davvero soli in una relazione.
Neanche il tempo di chiudere con il fratello che Raissa riemerse da dietro lo schermo del suo pc.
“Ragazzi breaking news!” esclamò; pochi secondi e a tutti venne notificata un’email sulla posta elettronica. La solita riunione giornaliera, questa volta ancora più cruciale perché l’ultima prima delle vacanze del capo, era saltata.

“E ora?” domandò Micol, spaesata. Tutta la redazione di Roma Pop era visibilmente alterata, era il primo vero contrattempo che si presentava da quando avevano aperto i battenti ed era evidente che non erano abituati a lavorare sotto pressione. Tre settimane senza il boss che si aprivano senza una linea editoriale approvata, per loro che erano alle prime armi, erano un bel salto nel vuoto.
“E ora niente, tutto quello che dovevamo dire in riunione glielo mandiamo per iscritto…pdf, power point, quelle cose lì” spiegò Raissa, provando a mantenere la calma ma evidentemente scocciata dal contrattempo. Comprensibile, si trattava di lavoro in più. “Se non altro ci fa la grazia di rendersi disponibile nei giorni di ferie per eventuali problemi”
“Tu come fai a rimanere così calma?” le domandò Dario “Alex ci ha lasciati nella merda per tre settimane” In effetti, Maya non era minimamente preoccupata. Il messaggio di suo fratello le aveva fatto intuire il cambio di programma, ma non era quello.
“Io con Alex ci ho lavorato per 5 anni e stai tranquillo che non ci lascia nella merda. Il nostro lavoro è il suo lavoro, ci tiene anche più di noi”
“Mah…sarà…”

Forse nella vita privata aveva commesso errori e scivoloni, ma lo conosceva troppo bene e sapeva che Roma Glam – e ora anche Roma Pop – erano per lui come dei figli e non aveva dubbi che i suoi figli venivano prima di tutto.

 

“No, no, dai Francesco così mi uccidi”
Alessandro era appena rientrato a casa dopo una giornata di lavoro nevrotica, l’ultima per fortuna e poi avrebbe avuto 3 settimane di ferie, quella sera l’avrebbe passata con Maya e l’avvocato De Stefanis lo stava convocando d’urgenza nel suo ufficio. Le aveva sempre odiate quelle giornate in cui il suo lavoro esulava dal giornalismo ed era tutto riunioni, ma quel giorno ancora di più: perché era il 9 di agosto, perché c’erano le valigie aperte sul letto ancora vuote, perché per quanto avesse l’aria condizionata, girare per Roma in auto con quel solleone era una tortura.

“Ahò se non vuoi venì fai pure, eh, ma stiamo salvando il culo alla tua azienda, mica alla mia, a me che me frega”
In questo aveva ragione. Lorenzo Alberici era stato una benedizione e come al solito, proprio come quando lavorava con lui, Maya non solo ci aveva visto lungo ma aveva anticipato i suoi bisogni. La società londinese per cui lavorava era interessata a comprare le quote di Claudia, ma bisognava convincerla e non era sicuro che, per quanto allettante, una proposta da parte sua potesse essere accettata. Non c’era tempo da perdere; una quota societaria di Roma Glam era un boccone prelibato, inutile nasconderselo: bisognava preparare una strategia e battere sul tempo qualsiasi altro possibile acquirente.
“Va bene, va bene hai ragione” disse, massaggiandosi le tempie “faccio una telefonata e arrivo”

Quella telefonata, però, Alessandro fu costretto a farla direttamente dall’auto, in vivavoce.
“Alex!” la voce di Maya era squillante. Se la immaginava in pantaloncini e maglietta, con un turbante in testa, fresca e profumata per la doccia appena fatta dopo il lavoro e nonostante questo che gira per casa a piedi nudi, quasi certamente buttandosi sul divano o sul letto per parlare al telefono. “Maya…ti stai preparando?” Erano solo le sei ma sapeva che partiva in largo anticipo per i preparativi quando doveva uscire. Quando stavano insieme una sola cosa gli aveva chiesto: niente uscite improvvisate, non si esce mai di casa sfatti.
“Ovviamente. Oggi era anche il giorno della maschera ai capelli” la voce era cristallina, spensierata “senti devi solo dirmi se posso mettere la gonna o no, magari mi vieni a prendere in moto e non è il caso…”
Il pensiero di rompere quel buon umore lo faceva sentire di merda. Pensava all’ultima volta che era successo, alle conseguenze che c’erano state e non voleva si ripetesse di nuovo. Perché stavolta era tutto diverso: ora capiva, ora voleva metterla al primo posto.

“Ascolta Maya” Alex sentiva la sua stessa voce tremare, e più si concentrava sul silenzio all’altro capo del telefono, più lui non riusciva ad essere sereno “c’è…c’è un problema”
“Non possiamo più uscire” Non era una domanda, non glielo stava chiedendo. Lo aveva dato per scontato e quel suo tono severo e sommesso gli restituiva come un pugno tutta la sua delusione.
“No, no Maya non ho detto questo.”
“Alex non mi prendere per il culo. Lo hai già fatto una volta” Era fredda, distaccata. Se una voce può emanare luce, la sua si era appena spenta. Gli faceva male perché sapeva che la colpa era solo e soltanto sua.
“No, te lo giuro. Ho una riunione di lavoro, poi … poi ti spiego se vuoi. Ma ci vediamo. Fosse anche all’una di notte. Anche se significa che domani parto senza aver dormito questa notte. Giuro”
“Non fare il melodrammatico, non ti si addice. Non ci possiamo vedere, non è la fine del mondo” decretò lei “significa che non doveva andare così”
“Adesso tu non fare la fatalista però. È un cazzo di contrattempo, una rottura di coglioni colossale ma voglio vederti” Alex prese un grosso respiro “Senti, facciamo così: saltiamo l’aperitivo e vediamoci direttamente a cena per le nove a … a Largo Agnesi, hai presente?”
Maya fece un lungo sospiro. Lo sentiva, era sul punto di cedere e di troncare lì la conversazione, ma per qualche miracolo non lo fece. “Sì, sì ho presente. Alex?”
“Dimmi”
“Non mi lasciare lì” era categorica, poteva vederla: in piedi, i pugni serrati, lo sguardo grave.
“Non lo farò. Fidati”

 

Fidarsi. Doveva fidarsi. Se lo ripeteva da quando aveva ricevuto la telefonata ma una voce nella sua testa le diceva che stava facendo una cazzata, che la stava ferendo di nuovo e stavolta era stata lei a dargli il permesso di farlo, cadendo con tutte le scarpe nelle sue lusinghe e nei suoi giochetti. Non cambierà mai, le ripeteva quella voce nella testa. Quella terribile sensazione di déjà vu le aveva stretto un nodo alla gola mentre ci parlava al telefono e non voleva saperne di andarsene. Lei però all’appuntamento c’era andata, un po’ per speranza, un po’ per dimostrargli di essere migliore di lui ed era arrivata con un quarto d’ora d’anticipo perché, in qualche modo, sentiva di potersi fidare. In fondo, provava ad incoraggiarsi, ad uno come lui per darle buca bastava il telefono, non l’avrebbe di certo portata su una terrazza di fronte al Colosseo, con le luci calde dei monumenti che si mischiano agli ultimi bagliori del cielo. E controllava il telefono, mordendosi le labbra, ma si accorgeva che non era passato nemmeno un minuto e con i denti se la prendeva nervosamente con le pellicine intorno alle unghie, povere malcapitate. Affacciata a quella terrazza, con lo sguardo perso, no sapeva nemmeno lei cosa guardare: fondamentalmente, era impegnata a non scovare coppie tra la folla, innamorati che passeggiano mano nella mano, o abbracciati per dei selfie o semplicemente perché erano nel posto più bello del mondo, erano innamorati ed era giusto così. E non rosicava per loro, ma per il palo che era sicura di stare per prendere, perché lì da sola non si poteva nemmeno permettere di far scendere le lacrime o avrebbe attirato l’attenzione.
Erano le 21.15, lo aveva aspettato pure troppo, e non gliene fregava nulla che erano Roma, che era il primo venerdì di ferie per la maggior parte delle persone e che persino i mezzi pubblici sembravano presi d’assalto come durante il giubileo. Non ci sarebbero dovuti arrivare nemmeno a quella situazione. Adesso me ne vado. Non ne vale la pena. Faceva caldo, le cicale frinivano come fosse ancora pieno pomeriggio, il trucco lo sentiva appiccicoso addosso e non poteva nemmeno toccarlo, i capelli che ormai sulle spalle, il bracciale, la collana, tutto le dava fastidio. Voleva tornare a casa e riempire la vasca di acqua gelata. Frega cazzi di una congestione. E mentre girava i tacchi e si avviava verso la fermata dell’autobus, un clacson di una moto suonò, ripetutamente.
“Maya! Maya!”

Era come se la sua anima, fino a quel momento altrove, tornasse nel suo corpo. È qua! Ce l’ha fatta! Ha mantenuto la promessa!
“Dove vai?”
“Credevo non venissi più”
“Ho fatto … 16 minuti di ritardo, ma non hai idea del traffico. E volevo chiamarti ma guarda…” Tirò fuori il telefonino da un vano anteriore e … beh, era anche difficile chiamarlo ancora telefonino. “Mi è scivolato dalla tasca e l’ho pestato con le ruote dell’auto mentre la rientravo in garage”

Maya portò una mano davanti alla bocca per evitare di ridere, ma anche di piangere. L’adrenalina che scorreva nel suo corpo stava crollando di botto, e si sentiva sollevata, felice, stanca. Tutto insieme. Sentiva che se fosse sopravvissuta a quella serata sarebbe campata altri 100 anni.
“Che c’è?”
“C’è che sei un coglione!” esclamò, aggrappandosi al suo collo di getto ed Alex fu colto così di sorpresa, ancora con il casco addosso, che per poco non perse l’equilibrio sullo scooter.
“Scusami…” le sussurrò, stringendola a sé. Era lì, aveva mantenuto la parola e le aveva dimostrato che poteva fidarsi: non importava altro. E poi, pensò Maya, in quell’angolo di Roma, abbracciati di fronte al Colosseo, forse si poteva perdonare tutto.

“Adesso però puoi levarlo il casco. Non vorrai andare a cena così”
Alex sistemò la moto in uno dei parcheggi appositi e chiuse il casco nel bauletto, sistemandosi i capelli allo specchietto. Che pavone! Era vestito semplicemente: una camicia bianca con le maniche ripiegate e un pantalone navy, insomma niente di troppo impegnativo eppure di grande fascino. Anche con poco, sapeva come piacere.
Le tese mano, ma non per invitarla ad andare con lui, ma formale, come si fa per stringerla ad una conoscenza lontana. Maya lo guardò perplessa, scuotendo la testa leggermente.
“Stasera abbiamo iniziato col piede sbagliato, lo so. Forse, è meglio se ripartiamo da zero”
“Non capisco…”
“Mi chiamo Alessandro Bonelli, ho 45 anni”
“… ancora per poco”
“sono separato”
“… ancora per poco, spero” commentò Maya, facendogli l’occhiolino. Alex sorrise, lo sperava anche lui.
“Ho due figli, mi piace ascoltare la musica in vinile, soprattutto quella degli ’70 e non sono un grande amante del cinema, preferisco i libri”

Le piaceva quel gioco: provare a resettare tutto il brutto, le incertezze e le diffidenze. C’erano solo loro, con le loro verità e tutto quello che avevano da offrire e da scoprire, un libro aperto. Gli strinse la mano.
“Piacere Alessandro, io sono Maya Alberici, ho 31 anni, sono single”
“…ancora per poco” sogghignò lui, facendo eco alle risposte di lei; Maya tirò avanti ma sulle sue labbra si aprì un sorriso complice, scrollando le spalle.
“Ascolto un po’ di tutto, l’importante è che mi faccia ballare e purtroppo non mi piace tanto leggere, ma mi piace il cinema, starei giorni a guardare le commedie francesi”
“Non è vero che ascolti solo musica che ti fa ballare”
“Ognuno ha i suoi
guilty pleasure…”
“Ok…ma Tommaso Paradiso…”
“Disse colui che ascolta solo musica vecchia come lui. Andiamo che ho fame”
Maya intrecciò una mano a quella di lui e si fece guidare nella notte romana. Ora non doveva avere paura di guardare le altre coppiette, ora era come loro.

 

Nessuno dei due aveva assolutamente aspettative per la serata. Maya, dal canto suo, non era nemmeno sicura che ci sarebbe stata una serata fino a poco prima. Volevano solo stare insieme, dove o come non importava. Tuttavia, Alessandro aveva il gusto per le cose belle e particolari; a due passi dal Colosseo, aveva riservato un tavolo in una cornice unica: elegante, ma non troppo, informale ma senza scadere nel turistico, l’anfiteatro Flavio e i Fori sullo sfondo.
Quella sera, però, per Alessandro nessuno scenario sarebbe stato in grado di rubare la scena alla donna che aveva di fianco a sé a tavola. Non aveva occhi che per lei, non c’era che lei. Più che il suo aspetto fisico – i suoi occhi gli sembravano più grandi e caldi del solito e quel top di raso ciliegia scendeva morbido come una carezza sull’incarnato candido – era la sua essenza ad attrarlo come una calamita. Quella cazzata che aveva fatto poco prima, quel presentarsi di nuovo, da zero, era servita a sbloccare qualcosa in entrambi, ma soprattutto in lei; per la prima volta, come non succedeva da mesi, era come se quel famoso portone si fosse finalmente spalancato e riuscisse di nuovo vedere dentro di lei, la ragazza che a pochi eletti era dato di conoscere.
“Sono stato da De Stefanis, questo pomeriggio, per questo ho fatto tardi” le spiegò, appena rimasti soli, dopo che il cameriere aveva portato le bevande.
“Avrei dovuto capirlo” commentò Maya, bagnando appena le labbra con lo Chardonnay che aveva nel bicchiere –
lesson learnt “se ci sono rogne, c’è sempre lui di mezzo”
Alex annuì, ridacchiando: non poteva esistere una descrizione migliore. “È per la storia delle quote di Claudia. Ho incontrato tuo fratello oggi…”
“L’ho saputo”
“Ah sì?”
Maya aggrottò la fronte, perplessa: era tanto bono,
sì proprio bono, quanto a volte era tonto. “Sai com’è…è mio fratello…ogni tanto capita di parlare…”
“…è stata una lunga giornata” si scusò, scuotendo la testa.
“Ehi! Guarda che scherzavo!” lo scosse, prendendogli la mano, d’istinto.

Era così strano tornare a quei gesti senza neanche pensarci, rendendosene conto solo dopo averli fatti, eppure era così giusto. Erano passati mesi eppure non sembrava passata neanche un’ora, come se qualcuno avesse semplicemente premuto il tasto pausa sul telecomando e ora si fosse ricordato finalmente di premere play.
“Ma continua…”
“Sì insomma, alla società di tuo fratello sono disposti a comprare la quota di Claudia e mi permetterebbero di rientrarne completamente in possesso in 5 anni. Per me sarebbe l’ideale” “La società?” Alex annuì.
“Scusa…so che Lorenzo lavora nella finanza, ma le mie conoscenze a riguardo si fermano lì, non ci capisco nulla”
“E invece era proprio quello di cui avevo bisogno. Però ora arriva il difficile, far accettare a Claudia la proposta”
“Pensi che sarebbe così stronza … oddio scusa”
“No no, tranquilla, stronza è la parola giusta. La verità è che non lo so, siamo stati insieme per vent’anni e ho smesso di conoscerla da un pezzo. Ma non voglio annoiarti con questi discorsi, è la nostra serata e lei non deve rovinarcela”
“Guarda che non hai bisogno di fare il ruffiano con me” disse Maya, tirando una ciocca dietro all’orecchio. Stava arrossendo. Se non ci fosse stata altra gente – e doveva imporsi di ricordarlo – l’avrebbe baciata lì, di scatto e con passione, prendendole il viso tra le mani, come lei aveva fatto con lui in piscina. 
“Che c’è?” gli domandò.
“Cosa…?!” Alessandro non capiva; Maya accennò all’altra mano, quella libera dalla sua presa.
“Sei nervoso” Senza nemmeno accorgersene, stava stringendo il tovagliolo e se non fosse stato di stoffa probabilmente lo avrebbe stritolato.
“No, per nulla. Ma vorrei fare una cosa…” confessò lui, guardandola dritto negli occhi e sperando che capisse. Lei gli diede il permesso, intrecciando la mano a quella di Alessandro, le labbra piegate in un sorriso obliquo, malizioso “Puoi”.

Alex si avvicinò lentamente, dando un ultimo sguardo circospetto intorno: nessuno era interessato a loro … perché avrebbero dovuto, cretino?! La fronte dell’uomo si portò su quella della ragazza e per qualche secondo i due rimasero fermi così, a ritrovare una dimensione intima che forse nemmeno un bacio poteva dare. Quando Maya era pronta per accogliere le labbra di Alex sulle sue, l’uomo scese invece sulla spalla scoperta e fu lì che posò un bacio. Un brivido le percorse tutta la schiena, facendola drizzare sulla sedia di scatto. I loro occhi si incrociarono, provocanti, pieni di desiderio, prima di staccarsi all’arrivo delle loro portate: sarebbe stata una serata difficile.
“Adesso però me lo dici com’è andata con mio figlio ieri sera?” indagò lui, tornando serio e mitigando i bollenti spiriti. Ecco: se c’era una cosa che mandava Maya in bestia, era quella sua capacità innata di switchare da un mood all’altro come se nulla fosse, dal seduttore romantico e un po’ maldestro all’imprenditore perfettamente in controllo in un nano secondo.
“Ma…niente di che” minimizzò Maya, affondando la forchetta nel flan che aveva davanti; tuttavia non poteva scappare gli aveva promesso che ne avrebbero parlato “è stato molto gentile. Devo essere sincera, la brutta figura l’ho fatta io”
“Perché?”
“Eeh... perché quando ci hanno presentati ho tagliato corto, un po’ perché c’era altra gente, un po’ perché non sapevo che dire e mi sono dileguata. È stato lui a rincorrermi per parlare”

Edoardo? Mio figlio? Alex aveva gli occhi sgranati, non poteva credere alle sue parole. Aveva sperato a lungo che suo figlio potesse mettere la testa a posto, sebbene fosse perfettamente consapevole di pretendere troppo, a volte, da un ragazzino della sua età; ma che fosse in grado di farlo così, in piena autonomia, lo lasciava senza parole. “E cosa ti ha detto?” domandò, ricordandosi di respirare. Non che non lo sapesse, ma voleva avere conferma che la versione che suo figlio gli aveva dato fosse la stessa.
“Che non è proprio contento … ma è normale non gliene faccio una colpa … ma anche che farà uno sforzo perché ha capito che per te è importante”
“Ha detto proprio così?”
Maya sorrise teneramente, annuendo “Guarda che lo stai crescendo bene, considerando quello che avete passato. È un bravo ragazzo. Io non sarei mai stata capace. Alla sua età poi…” 
No, decisamente. Aveva levato le tende a 31 anni suonati appena se l’era trovato davanti, figurarsi a parti inverse in piena adolescenza.
“Se solo ci fossi stato di più ci saremmo evitati un sacco di casini” Le parole di incoraggiamento di Maya passarono completamente inosservate: le apprezzava, ovviamente, raramente Claudia gli aveva detto che era un buon padre, ma un tarlo nella sua testa continuava ad insistere sulle sue assenze, sulle sue mancanze, sulle lunghe giornate passate fuori casa e lontano dai figli per via del lavoro. Inoltre, adesso aveva la certezza di quello che prima era solo un sospetto, a chiudere quel matrimonio prima si sarebbero risparmiati anni di fughe lavorative, silenzi e indifferenza.
“Mi fai il favore di non darti colpe che non hai” lo bloccò Maya, quasi intransigente “tu hai cercato di fare la cosa giusta, per la tua famiglia e per i tuoi figli, è naturale. Solo che a volte quello che noi crediamo essere giusto non lo è affatto e ci incasina ancora di più. Ma va bene, sbagliando si impara.” Lei lo aveva fatto, aveva imparato dai suoi errori; ed era curiosa di sapere se suo padre, alla fine, lo aveva imparato, ma non c’era modo di saperlo e questo le faceva una rabbia assurda. “Nessuno è perfetto, no?!” continuò, distogliendosi da quei pensieri.
“No, infatti.”
“Ora però mi dovresti fare un altro favore” disse, sagace.
“Tutto quello che vuoi” non era un modo di dire, lo sapevano entrambi.
“Assaggia questo tortino e dimmi se non è la cosa più buona che tu abbia mai assaggiato” disse, prendendogli la forchetta tra le mani e porzionando lo sformatino che aveva scelto.
“Maya...” la riprese lui ridacchiando, con ancora il boccone in bocca, mentre il sapore dolce e amaro dello zafferano esplodeva sulle sue papille gustative “guarda che non c’era bisogno di fare tutta questa manfrina per una forchettata di pasta”

 

Maya si avvicinò alla moto, prendendo il casco che Alex aveva portato per lei. Prima però lo appoggiò per un attimo sulla manopola dell’acceleratore, mentre lui saliva in sella. Le sembrò di vivere una forte sensazione di déjà-vu. Qualche mese prima l’aveva riaccompagnata a casa dopo una passeggiata in giro per Roma e, proprio come allora, bisognava decidere cosa fare. A questo giro, tuttavia, Maya aveva le idee ben chiare.
“Sono stata benissimo”
“Davvero?”
Maya lo avrebbe preso per il colletto della camicia e spinto di peso contro il muraglione alle loro spalle, all’istante. I suoi occhi, quegli occhi da cucciolo timido ed indifeso che facevano cadere le sue di difese erano lì, pronti a farla vacillare.
“Davvero” confermò, sforzandosi di restare composta.
“Nonostante il ritardo?” indagò lui.
“Nonostante il ritardo. Però …” Gli occhi di lui, scuri nella notte, si fecero inquisitivi e preoccupati “…quando mi porti a casa non posso farti salire, mi dispiace” spiegò; sorrideva, ma era nervosa, non ci voleva molto a capirlo: le dita della mano irrequiete che tracciavano linee ideali sul sellino della moto e gli occhi che non riuscivano a guardare Alex troppo a lungo.

“È giusto” decretò Alex “hai bisogno di tempo”
Era deluso? Un po’, ma continuava a ripetersi di portare pazienza perché lei era lì, con lui, erano tornati a prendersi per mano, erano tornati i baci e soprattutto erano tornati loro con la loro familiarità, non c’era nessuna fretta per quanto l’elettricità si facesse sempre più vibrante e palpabile tra di loro. Per lei, però, avrebbe atteso tutto il tempo che le avrebbe chiesto.

“No…no non è questo. Fosse per me …” disse Maya, lasciandosi scappare un risolino malizioso che sembrò quasi un invito, al quale l’uomo rispose avvolgendole la vita in un abbraccio che la fece distrarre: proprio per quello non era una buona idea proseguire la serata. “… però adesso tu te ne vai per quanto? Tre settimane?”
“Mm mm” le rispose Alessandro, umettando le sue labbra con la lingua. Per quanto fosse stato impercettibile, a Maya quel piccolo gesto non passò inosservato: la stava stuzzicando anche se, sulla carta, continuava ad essere impeccabile e rispettoso; si ritrovò, per tutta risposta, a mordersi le labbra. Lo voleva, tantissimo, ma non doveva rovinare tutto.
“Se adesso io ti faccio salire poi le prossime tre settimane sarebbero più difficili di quanto non lo saranno già” ammise, raccogliendo le forze necessarie per guardarlo dritto negli occhi “ti ricordo che sarai via anche il giorno del tuo compleanno”
“Hai ragione…ma almeno tu sarai impegnata al lavoro, avrai la mente occupata. Pensa a me … senza nulla da fare per tutto il giorno”
“Non è vero, avrai i tuoi figli. Puffetta sono sicura ti terrà impegnato”
“Sì ma non è la stessa cosa…e poi la sera…”
“Smettila” lo rimproverò, scherzosa, tirandogli una leggera pacca sul petto. Ma lui prese coraggio e, stringendola ancora di più, le rubò un bacio mentre le labbra di lei erano ancora aperte in un sorriso.
“Tu ringrazia solo che non ho ancora fatto le valigie e se domani mattina non sono sotto casa dei miei all’orario stabilito da mio padre, quello mi uccide. Devo pure andare a comprare un telefono nuovo” Entrambi risero, Alex e la sua auto avevano un rapporto decisamente complicato con i parcheggi e la fretta.
“Porti anche i tuoi con te?”
“Sì, se lo meritano anche loro di staccare per un po’”
“Se è per Cesare allora accetto volentieri questo sacrificio”

Era bello che tra di loro le cose sembrassero filare lisce come l’olio, come se non fosse successo nulla: non che se ne lamentasse, ma Alessandro aveva una strana sensazione addosso di irrisolto e di non poterla lasciare senza aver messo nero su bianco quello provava…glielo avrai detto dieci volte almeno, sei paranoico.
“Mi hai cambiato Maya, ma non a parole, come si sente dire spesso” disse, accarezzandole il viso, alla luce calda di un lampione nascosto tra gli alberi del giardinetto vicino. In lontananza degli stranieri ubriachi facevano schiamazzi ma per loro era un solo un ronzio lontano e ovattato. “Stare lontano da te mi ha fatto capire chi voglio essere, come voglio essere. Voglio prendermi cura delle persone che amo, perché loro lo fanno con me, voglio essere presente nelle loro vite, perché la loro presenza rende la vita degna di essere vissuta…e tu sei una di quelle persone”
Nonostante quelle mani grandi le corressero dalle guance fin dietro la nuca, Maya non provava più il caldo fastidioso del tardo pomeriggio. Era un calore diverso, piacevole, benvenuto. “Io non c’entro niente, se sei cambiato lo devi solo a te stesso, è stata una decisione tua e non solo perché io ti ho posto una condizione. Così come io oggi non sono così solo perché ti sarei piaciuta di più”
“No ... no hai ragione. Però io sono stato uno stronzo egoista, avevi tutto il diritto di avercela con me, ma non volevo ferirti, te lo giuro … e non voglio giustificarmi adesso ma forse non ero ancora davvero pronto per una relazione e ti ho trascinato in qualcosa che ha fatto male ad entrambi”
“Ora lo so”
“Mi perdoni?”
“L’ho già fatto, Alex, o non ti avrei mai permesso di prenderti certe libertà. Sono pur sempre Maya Alberici” decretò, sorniona, strizzando l’occhio “Adesso portami a casa … e senza dire una parola altrimenti non ti lascio partire” gli disse, indossando il caso.
“Agli ordini” rispose Alex, mettendo in moto. Avrebbe voluto che parlasse, che non lo lasciasse partire più, ma lei era meglio di così, non si sarebbe mai messa tra lui e i suoi figli.

“Ah Alex” gli disse, una volta partiti “non provare a fare marcia indietro e suonare al citofono nel cuore della notte perché questa volta non ti apro”

 

   
 
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