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Autore: Fragolina84    27/01/2023    0 recensioni
Delusa da Matrix Resurrections, già mentre ero al cinema mi è nata l'idea di un finale diverso per una Trilogia che ho amato in ogni suo aspetto. Quindi, preso spunto dall'idea alla base del film, ho creato questa storia che parla della Resistenza sorta dopo il sacrificio di Neo e Trinity e la ripresa delle ostilità da parte delle macchine. Due nuovi personaggi, Raelynn e Calbet, saranno i protagonisti di questa storia che li vedrà lottare contro il sistema per l'agognata libertà.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Neo, Nuovo Personaggio, Trinity
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A Zhaka è una sera importante:
è la Festa della Liberazione, il ricordo del sacrificio di Neo e Trinity.
Ma Raelynn ha molti pensieri che le frullano in testa dopo l'incontro con il generale Velius.
Pensieri che si moltiplicheranno quando un amico porterà notizie da Matrix.
Buona lettura!


Erano in ritardo. La doccia era durata molto più del previsto – Cal aveva paura che un giorno o l’altro avrebbero ricevuto un richiamo per aver abusato della scorta d’acqua dolce di Zhaka – e avevano perso la nozione del tempo mentre si perdevano l’uno nell’altra. 
Cal si affrettò sulle passerelle deserte di Zhaka, trascinandosi dietro Lynn, diretto alla caverna dove sapeva che erano tutti riuniti per la Festa della Liberazione. 
Lo scroscio di un applauso lo avvertì che i discorsi delle varie personalità erano già iniziati perciò allungò il passo, rallentando solo quando fu all’ingresso della caverna. Entrarono insieme e Calbet procedette un po’ piegato, sperando che la sua statura non lo rivelasse troppo: non voleva far sapere a Linuth o a uno dei suoi scagnozzi che erano in ritardo, non avrebbe fatto bene alla reputazione di Lynn. 
Riuscì a portarsi abbastanza avanti, ma quella sera tutta Zhaka era riunita in quel luogo e sapeva che Lynn, più piccola di lui, non avrebbe visto nulla. Si avvicinò a una delle colonne che sostenevano il soffitto e la issò sul basamento, circondandola con il braccio per sostenerla. 
Da quella posizione privilegiata, Raelynn si guardò intorno, al di sopra delle teste dei convenuti. La caverna era una grande stanza di forma irregolare. Non l’avevano scavata loro, l’avevano trovata quando erano fuggiti dalla devastazione di Zion ed era stato il primo insediamento degli umani scampati al massacro. Da quello che sapeva dai racconti che si tramandavano, anche a Zion era presente una caverna simile. 
La popolazione di Zhaka contava circa tremila persone e ognuna di loro era presente quella sera, per rendere omaggio al sacrificio di Neo e Trinity. Lynn si ritrovò a pensare che non aveva senso celebrare la Liberazione, se poi la sua nave veniva tenuta a pattugliare inutilmente i confini della colonia invece che essere mandata a liberare altri umani dalla tirannia delle macchine, ma i suoi foschi pensieri furono interrotti da un boato che si alzò nella sala. 
Dall’altra parte del grande antro era installata una piattaforma di metallo, posta ad una certa altezza in modo che fosse visibile da ogni punto. Su quel palco era appena salito Garjac, uno dei membri del Consiglio, e l’ovazione era tutta per lui. Era uno dei personaggi più amati dagli abitanti più giovani di Zhaka, un fermo sostenitore della lotta contro le macchine. Era il padre di Vereena e Lynn sapeva che, se aveva ancora il comando della Livelyan, era anche merito suo, perché l’aveva sostenuta strenuamente quando era stata costretta a comparire davanti al Consiglio per difendersi dalle accuse di insubordinazione. 
Garjac alzò le braccia per imporre silenzio all’assemblea: il vociare si ridusse ad un brusio sommesso. 
«Buonasera, gente di Zhaka» esordì, e il silenzio che era appena riuscito ad ottenere si spezzò, e gli echi dell’entusiasmo si infransero contro la cupola di roccia. 
«Siamo qui riuniti questa sera» riprese, quando le grida si furono acquietate, «per celebrare la Festa della Liberazione. Trecentododici anni fa, proprio in questo giorno, Neo e Trinity raggiungevano la città delle macchine per donare a ciascuno di noi la libertà.» 
Nessuno sapeva come fossero andate le cose laggiù. Ma i racconti narravano che le Sentinelle, in quel momento impegnate nell’attacco a Zion, si erano fermate ed erano rimaste in standby a lungo. Poi, improvvisamente come erano arrivate, avevano fatto ritorno in superficie, lasciando gli umani liberi in una seppur devastata Zion. Neo e Trinity non erano mai tornati e, in seguito, coloro che avevano fatto visita all’Oracolo avevano ricevuto la conferma del sacrificio dei due, proclamati ben presto eroi. 
Ma, mentre ascoltava il delirio di grida di gioia, Lynn non si sentiva altro che un’ipocrita. Come poteva festeggiare la Liberazione quando, poco più di tre secoli dopo, erano nelle stesse condizioni? Anzi, erano messi peggio di allora, costretti a vivere ancor più in profondità, incapaci di lottare contro le macchine ora che l’Eletto non c’era più, quasi impossibilitati a raggiungere Matrix per liberare gli umani dalla schiavitù, governati da persone come Velius che usavano il loro potere come mezzo per tenere soggiogati i più giovani. 
«E anche se oggi» proseguì Garjac, «ci sentiamo oppressi da quelle stesse macchine che avevano promesso di non perseguitarci, non dobbiamo dimenticare chi ha dato la vita per noi. Perseguire l’obiettivo della libertà e della fine della guerra è un nostro sacro dovere in memoria di quanti si sono sacrificati per noi.» 
Le grida si alzarono più forte e Lynn si trovò a gridare con gli altri, infiammata dalle parole di Garjac. Accanto a lei, Cal alzò il pugno, urlando il suo sì, ripreso e moltiplicato dalle voci di tanti giovani presenti quella sera. 
Dal suo punto di osservazione, la donna girò lo sguardo intorno. Accanto al podio da cui stava parlando Garjac, Velius e Linuth battevano le mani, apparentemente assecondando la smania della folla. Ma Lynn li conosceva bene entrambi e dalle loro espressioni si sarebbe detto che non fossero per nulla in accordo con quanto il consigliere stava dicendo. 
Garjac proseguì nel suo discorso, appellandosi al senso del dovere dei giovani, facendo leva sul loro desiderio di essere finalmente liberi, spingendo la folla a gridare la propria approvazione. Era un abile comunicatore, ma Lynn sapeva che la disperazione stava mettendo radici sempre più profonde in tutti loro, costretti da troppo tempo a vivere come topi in gabbia e che ben presto avrebbero dimenticato il fuoco che ardeva nelle loro vene in quel momento. E, se non l’avessero fatto, ci avrebbe pensato qualcun altro a spegnerlo, come stava facendo Velius con la sua inutile crociata contro di lei. 
«Stasera, miei cari, lasciamo da parte la paura e il timore. Stasera festeggiamo la nostra Liberazione e non dimentichiamo che Zion è viva. Zion vive in noi!» 
La musica esplose su di loro, facendo tremare lo stomaco. Lynn si appoggiò alla spalla di Cal e scese dal pilastro. Lui l’afferrò per i fianchi e la spinse contro la colonna, infilando una gamba fra le sue e impossessandosi della sua bocca. Lynn gli gettò le braccia al collo e rispose al suo bacio, mentre la folla si scatenava nella danza. 
«Non ho avuto tempo di dirti che sei splendida stasera» le disse, interrompendo il bacio ma restando con le labbra vicinissime alle sue. 
A differenza dell’informe maglione rosso scuro, simbolo del suo grado, che indossava quando era in servizio sulla Livelyan, e che comunque non bastava a nascondere l’armoniosità delle sue forme, Lynn quella sera portava un vestito di una stoffa sottile e diafana che mostrava più di quanto nascondesse. Un po’ lo infastidiva che risultasse così sexy, ma Lynn era la sua donna e su quello non c’era dubbio alcuno: e se qualcuno avesse dimenticato la cosa, ci avrebbe pensato personalmente. 
In quel momento però aveva qualche difficoltà a resistere alla tentazione di passare la lingua nel solco fra i seni, lasciato scoperto dalla vertiginosa scollatura, o a quella di abbassare la mano per verificare se lei fosse eccitata quanto lui. 
«Almeno dovremmo far finta di ballare» sussurrò lei, che aveva intuito alla perfezione i suoi pensieri. 
«Sì, dovremmo» ridacchiò, afferrandola per la vita e sollevandola per farla piroettare. 
Lynn abbandonò la testa all’indietro e rise, felice. Era così strano vederla abbandonarsi in quel modo: da tempo aveva l’impressione che la preoccupazione per la sorte di Zhaka le pesasse fin troppo sulle spalle. 
Ballarono per un po’, dimentichi di tutto al di fuori di quella sala. Poi, mentre la musica si calmava e i balli scatenati lasciavano il posto a una festa dai toni un po’ più tranquilli, Lynn e Cal si riunirono con il loro equipaggio. 
«Bel discorso, consigliere Garjac» disse Cal. L’uomo, il braccio gettato sulle spalle di Vereena, sorrise e gli porse la mano. 
«Vorrei che le mie parole si traducessero in realtà e che la guerra finisse domani» commentò. Aveva i capelli bianchi ma un fisico tonico e asciutto che lo faceva sembrare più giovane. 
«Tutto bene, Raelynn?» chiese e la giovane annuì. Non aveva ancora detto agli altri della conversazione avuta con Velius e non le sembrava che fosse il momento. 
Garjac socchiuse gli occhi, ma non replicò. 
«Bene, ragazzi. Vi lascio ai vostri divertimenti» esclamò, baciando la guancia di sua figlia e allontanandosi. 
Ma più tardi, mentre Lynn era sola al tavolo delle libagioni, Garjac la avvicinò. 
«Non ci ho creduto un solo secondo quando mi hai assicurato che va tutto bene» disse alle sue spalle e Lynn sorrise prima di voltarsi. 
«Mi conosci troppo bene» confermò lei. 
«Probabilmente perché un po’ ti ho cresciuta, ragazzina» replicò. 
Quando era stata liberata, Raelynn era stata affidata alla famiglia di Garjac che si era presa cura di lei e l’aveva supportata quando era entrata in Accademia. 
«Che c’è che non va?» le chiese e Lynn lo invitò con un cenno del capo a mettersi un po’ in disparte. 
«Velius» disse, sibilando quell’unica parola con rabbia. 
«Che ha fatto stavolta?» replicò in tono rassegnato. 
La donna gli spiegò che l’aveva convocata non appena erano rientrati dal giro di collaudo della Livelyan e che il colloquio era stato tutt’altro che piacevole. 
«Oh, si è anche premurato di ricordarmi che la Liv non è mia e che il mio atto sconsiderato l’ha messa inutilmente in pericolo. Per questo, io e il mio equipaggio saremo di pattuglia ai confini di Zhaka per le prossime settimane. O mesi, forse.» 
«Che gran testa di cazzo!» sbottò il consigliere e Lynn strabuzzò gli occhi: era strano sentirlo esprimersi in quel modo, lui che solitamente era tanto posato. «Gli farò rimangiare il suo stupido ordine.» 
Fece per voltarsi, di certo per andare a cercare Velius e sistemare la faccenda proprio in quel momento, ma Lynn lo trattenne, facendogli segno di abbassare la voce. 
«Non farlo.» 
«Non permetterò che un capitano del tuo calibro venga tenuto di pattuglia. Negli ultimi mesi avete liberato più menti che il resto della flotta messo insieme.» 
Lynn represse un moto di orgoglio per le sue parole: «Peggioreresti le cose, Garjac. Velius non tornerà mai sui suoi passi, ma sarebbe ancor più stizzito nei miei confronti.» 
L’uomo sospirò. 
«Non spetta a lui disporre delle risorse di Zhaka. Abbiamo bisogno di menti nuove, altrimenti ci estingueremo.» 
«Lui però può disporre della mia nave. E se mi toglie la Liv, io non avrò più niente» mormorò lei. 
L’eventualità che Velius decidesse di rimuoverla dal suo incarico era qualcosa che la spaventava a morte. Pensare di essere tenuta a terra, di non poter contribuire a smantellare pezzo per pezzo la perfida organizzazione di Matrix, era qualcosa che la atterriva. 
«Quindi?» chiese Garjac in tono delicato, posandole la mano sulla spalla. «Che hai intenzione di fare?» 
«Obbedirò all’ordine che mi è stato dato, magari vedrà la nostra buona volontà. In fondo, quanto potrà mai tenerci in queste condizioni? Due settimane, tre?»
 
***
 
Un mese e mezzo. Sei lunghissime settimane passate in noiosissimi giri di pattuglia nei condotti che circondavano Zhaka. Minacce incontrate: zero. 
Tanto Lynn quanto il resto del suo equipaggio erano delusi e infastiditi da quella punizione che si stava protraendo da troppo tempo. In compenso, la Livelyan non era mai stata così pulita e in ordine dato che, per ingannare il tempo, non facevano altro che dedicarsi alla pulizia. 
Garjac, venuto a conoscenza della cosa tramite sua figlia Vereena, aveva manifestato di nuovo la volontà di andare a lamentarsi con Velius, ma Lynn si era impuntata: continuava a pensare che il basso profilo fosse la cosa migliore da mantenere. 
Una notte, mentre Lynn e Cal dormivano nel loro alloggio, qualcuno bussò in modo perentorio alla loro porta. Entrambi si svegliarono immediatamente: la donna si rizzò su un gomito e si passò una mano sugli occhi, come a voler cancellare i residui di sonno, mentre Cal borbottò qualcosa di indistinto mentre buttava giù le gambe dalla branda. 
Bussarono di nuovo. 
«Vengo» biascicò Calbet, ciondolando fino alla porta e aprendola. 
Tost si stagliò nell’apertura. Con lui c’erano altri due membri dell’equipaggio della Mayrein. 
«Ciao Cal. Scusa il disturbo. Possiamo entrare?» 
L’uomo si scostò e li fece entrare nel piccolo soggiorno. Lynn, buttandosi addosso la giacca di Calbet che era appesa ad una sedia, li raggiunse. 
«Che succede, Tost?» chiese. Non c’erano molti motivi per cui il comandante dell’ammiraglia poteva presentarsi alla loro porta in piena notte e nessuno di essi era positivo. 
«Siamo appena rientrati da una sortita in Matrix» spiegò Tost. «L’Oracolo ha chiesto di vedervi» concluse, senza girare troppo intorno alla questione. 
Lynn e Calbet si scambiarono un’occhiata perplessa. 
L’Oracolo era uno dei programmi più antichi di Matrix, uno strumento di controllo creato per bilanciare eternamente l’equazione che era il fondamento della struttura del programma. Da molti anni l’Oracolo aiutava la Resistenza ed era grazie a lei se Neo era riuscito ad arrivare alla Città delle Macchine. 
Anni addietro, chiunque fosse liberato da Matrix veniva portato a conoscerla. Da tempo questo non era sempre possibile, ma sia Lynn che Calbet avevano avuto quel privilegio.  
«L’Oracolo?» domandò la donna. «Che cosa vuole da noi?» 
Tost fece spallucce: «Non ha voluto dircelo. Ma ha chiesto di vedervi ed è urgente». 
Raelynn scosse la testa. 
«Non possiamo, Tost. Non ho il permesso di portare la Liv a quota trasmissione.» 
La testa di Calbet si girò di scatto nella sua direzione: «Lynn, è l’Oracolo. Non possiamo liquidarla così.» 
«Credi che io non vorrei precipitarmi in Matrix?» sbottò la donna, seccata. «Ho le mani legate, Cal. Se disobbedisco a Velius, mi toglierà il comando. E io non posso e non voglio perdere la Livelyan, non sarei per nulla utile alla causa.» 
«Forse c’è qualcosa che possiamo fare» intervenne Tost. 
E il sorrisetto da delinquente che le rivolse non era per nulla rassicurante.
 
***
 
«Continuo a pensare che sia un’idea del cazzo» borbottò Raelynn mentre, accanto a Cal, attendeva in piedi vicino al portello, aggrappata ad uno dei sostegni di acciaio. 
«Lo è. Per questo funzionerà» replicò Calbet, sorridendo come un monello, tanto da far comparire le fossette che tanto le piacevano. 
Lynn si voltò verso Thorner, seduto alla sua postazione da operatore: «Sai cosa devi fare in caso di contatto da parte del Controllo, vero?» 
«Non preoccuparti» replicò con una smorfia. «Diremo che quello scemo di Rosius ha strisciato contro il soffitto e ha fatto fuori parte dell’antenna.» 
«Ti ho sentito!» urlò il giovane, invisibile, dalla cabina di pilotaggio. 
Edjac ridacchiò, ma Lynn non trovava che la faccenda fosse poi molto divertente. 
«Vereena, sei l’ufficiale più anziano e più alto in grado sulla nave. Mi raccomando.» 
«Capitano, se non la smetti di preoccuparti riempirai la Liv con il fumo che ti esce dal cervello. Sta’ tranquilla, andrà tutto bene.» 
Lynn stava per replicare, ma avvertì che la Livelyan rallentava e si sistemò meglio la sacca sulla spalla. La nave si fermò e rimase sospesa a circa un metro da terra. 
«Portello in apertura» annunciò Thorner. 
Non appena fu aperto, Cal e Lynn saltarono giù, atterrando sul fondo del condotto. La Livelyan richiuse subito il portello e Rosius diede potenza, facendola allontanare lentamente. 
L’aria nel condotto era fredda e umida e il fondo era cosparso di detriti. Cal fece per prendere la torcia, ma due fanali sfolgorarono nel buio, tanto da costringerli a distogliere lo sguardo. 
La Mayrein si abbassò verso di loro, con il portello già aperto. La nave, ben più grande della Livelyan, rimase ferma mentre entrambi gettavano le sacche all’interno e si issavano sul portello, dove Tost li stava aspettando e tese una mano verso Raelynn per aiutarla ad alzarsi. 
«Benvenuti a bordo» li accolse. Poi abbaiò alcuni ordini: il portello fu chiuso e la nave si inclinò in avanti, prendendo velocità mentre si allontanava da Zhaka. 
Il piano che Tost aveva proposto due sere prima, quando aveva bussato alla loro porta in piena notte, era semplice. La Livelyan sarebbe uscita di pattuglia come tutti i giorni, li avrebbe scaricati di nascosto e la Mayrein li avrebbe raccolti. 
«Visto? È stato facile» esclamò Tost. 
«Se Velius scopre quello che stiamo facendo…» 
Tost arrovesciò gli occhi: «Vuoi piantarla di preoccuparti di Velius?» 
«Oh scusa, dimenticavo che sei il suo cocco» ribatté Lynn. 
Tost scoppiò a ridere: «Sì, come no! Sorella, credo tu mi abbia scambiato per quell’idiota di Wintor» disse con una smorfia. 
Wintor era il figlio di Velius. Aveva la stessa età di Raelynn, capitanava la Ninvar da meno di un anno ed era il peggior ufficiale di Zhaka. Ma ovviamente, dato che era il figlio del comandante in capo, gli era stata affidata una nave e qualsiasi cazzata dicesse in sede di Consiglio veniva accolta da suo padre come l’osservazione del secolo.
Raelynn ridacchiò mentre Tost dava ordine ai suoi di dare potenza e di raggiungere in fretta la quota da cui avrebbero potuto collegarsi a Matrix.
  
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