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Autore: Mnemosine__    04/02/2023    0 recensioni
"Al papà non piacciono molto le medicine." Mugugnò Morgan. "Starà bene anche senza?"
Peter sospirò. "Temo di no ma... sai – potremmo mascherarle – possiamo infilare le pastiglie e gli sciroppi dove... dove non se li aspetterebbe mai, che dici?" cercò di sorridere.
"Mettiamoli nei ghiacciol... – ouch!" Morgan strinse entrambi i cordoncini della felpa con le mani, tirandoli davanti al viso e stringendo il cappuccio intorno alla testa, scompigliandosi i capelli.
Peter sorrise, stringendo le labbra per non ridacchiare e si affrettò ad aprire il cappuccio e riposizionarlo sulla schiena della bambina, cercando poi di appiattire e sistemarle i capelli sulla testa. "Direi che è un'ottima idea, così lo inganneremo di sicuro."
Missing moments di "Di ritorni ed attacchi di panico"
[What if post endgame]
Genere: Commedia, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Morgan Stark, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Famiglia'
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Respira


Lo sentiva. Sentiva il proprio corpo trasformarsi in polvere.
Il senso di ragno stava trillando all’impazzata. Non che sapere per certo che presto sarebbe morto fosse di aiuto in qualche modo.
Sentì le dita formicolare, ma quando spostò lo sguardo sulle sue mani vide con orrore la cenere staccarsi dai propri polsi. Non aveva più le dita. Quello che rimaneva delle sue mani stava volteggiando nell’aria, trasportato dal vento.
Nulla. Sarebbe diventato nulla. Piccole particelle sparse nell’atmosfera di quel pianeta desolato. Lontano dalla sua famiglia, dalla sua casa, dalla sua galassia.
Era in un luogo deserto, in un pianeta così lontano dalla Terra, sconosciuto.
Nessuno lo avrebbe trovato, laggiù. O lassù. Peter non sapeva esattamente dove collocare Titano, nella grande immensità dello spazio.
Il cuore gli martellava nel petto, all’impazzata. Risucchiò un respiro tremolante mentre cercava con lo sguardo il Signor Stark.

“Signor Stark?” chiamò, cercando di mantenere la voce più ferma che poteva per non allarmare Iron-Man.
Ma chi voleva prendere in giro, si stava dissolvendo. Cosa avrebbe potuto fare il Signor Stark per salvarlo?
Vide con la coda dell’occhio la figura sfuocata del mentore camminare verso di lui tenendo le braccia aperte.
“Non – non so che cosa… Signor Stark, non voglio morire, non voglio morire.” Le parole gli uscirono a stento dalla bocca, mentre le gambe si dividevano in pezzettini sempre più piccoli.

“Peter!”
Il senso di ragno non gli dava tregua. Morto. Stava morendo. Aveva solo diciassette anni e stava morendo.
Si accorse di non riuscire più a respirare, mentre ripeteva con il poco fiato che aveva parole sconnesse, rivolte al suo mentore. Non aveva più i polmoni. Non poteva respirare. Si stava dissolvendo.

“Peter, svegliati!”
Peter aprì gli occhi di scatto e d’istinto portò le dita sul meccanismo dello spara-ragnatele, mentre con l’altra mano afferrò il braccio del suo assalitore.
Aria. Gli mancava l’aria.  Cercò di inspirare ma quello che entrò nella sua gola fu un fischio soffocato.
“Pete!”
Dov’era? Non su Titano. E allora perché non riusciva ancora a respirare?

“Peter, lasciala!” Si sentì scuotere per le spalle. Boccheggiò, aprendo e sbattendo gli occhi più volte, mentre metteva a fuoco la figura di Pepper, un’espressione sofferente sul volto, inginocchiata davanti a lui.
Era su un divano. Qualcuno gli aveva messo una coperta di lana per scaldarlo.
Era sulla Terra. Sulla Terra.
Captain America gli stringeva le spalle, cercando una risposta nel suo sguardo vuoto. “Ragazzino, lasciala!”
Boccheggiando, Peter si accorse di stringere il polso della donna.
Scottato, lasciò immediatamente la presa. “Odd – mi disp – iace.”

Non riusciva a respirare. Il cuore batteva all’impazzata e lui non riusciva a respirare. Come poteva non riuscire a respirare? Lo aveva sempre fatto, sapeva farlo. Distendi i polmoni e fai uscire l’aria, poi la fai rientrare. Era un meccanismo semplice e automatico. Il corpo poteva farlo da solo. E allora perché non ci riusciva?
Allungò lo sguardo oltre il signor Rogers e vide Happy intrappolato sulla parete da una delle sue ragnatele, mentre il re del Wakanda era intento a tagliarle con gli artigli di vibranio.
Tornò a guardare Pepper con lo sguardo, notando con orrore il segno violaceo sul polso della donna. Lo aveva fatto lui. L’aveva ferita lui.
Un rantolo soffocato si fece largo dalla sua gola.
“Aiuto! Serve aiuto!”

Si guardò intorno, terrorizzato, mentre il salottino della sala d’aspetto si materializzava intorno a lui. Poltrone e divanetti erano sparsi lungo il perimetro della stanza, alcuni occupati da cuscini e coperte spiegazzate.
“È di nuovo il ragazzo?”
Peter girò di scatto la testa verso quella voce estranea e automaticamente piegò medio e anulare verso il proprio polso. Qualcuno gli strinse il braccio e lo spinse verso l’alto, deviando la ragnatela e facendola appiccicare sul soffitto.
“Queens!” il signor Rogers lasciò la presa per inginocchiarsi velocemente di fianco a lui.
Solo in un secondo momento Peter si accorse di aver mirato all’uomo che il giorno prima lo aveva aiutato a calmarsi.
Non ce la faceva più, sentiva i polmoni spingere nel petto, alla ricerca di un po’ di ossigeno.
  
“Peter!”
Due braccia gli circondarono le spalle e Peter si ritrovò stretto nell’abbraccio di zia May. “Respira, piccolo, respira.” Sentì sussurrare la voce di sua zia, supplicante, mentre lo stringeva.
Peter inspirò, il viso appoggiato sulla spalla della donna.
Era zia May. Che era viva, lì con lui. L’aveva vista il giorno prima. E profumava. Profumava di casa. Il profumo della donna era l’unico odore che lo faceva tranquillizzare, fin da quando era piccolo.
Zia May profumava sempre di buono.
“Sto – è passato. Sto bene.” Balbettò dopo svariati minuti passati ad inalare l’odore della donna, mentre lei gli accarezzava la testa e sussurrava parole di conforto. “Sto bene.” Ripeté, anche se ci vollero altri cinque minuti per riuscire a svincolarsi dall’abbraccio.
Espirò forte con la bocca, mentre ritornava ad appoggiare la schiena sul bracciolo del divanetto su cui si era disteso la notte precedente.

Alle sue spalle c’era la signora Stark, affiancata da Rhody e T’Challa. Zia May e il Capitano erano inginocchiati davanti a lui, la preoccupazione dipinta sul loro volto. Peter vide Happy in piedi, poco lontano dalla porta, con le mani appoggiate sulle ginocchia per riprendere fiato dopo la corsa su per le scale.
L’infermiere del giorno prima era alla sua sinistra, in borghese, con le mani ben visibili tenute davanti a sé. “Peter, era solo un brutto sogno. Sei al sicuro, qui.” Garantì.

Peter fece un altro forte respiro. Si guardò le mani, aprendo e chiudendo i pugni un paio di volte. Mosse le dita dei piedi e chiuse gli occhi, sollevato di sentire che ogni parte del proprio corpo era al suo posto. Era al sicuro. Era sulla Terra. Ed era tutto intero.
“Mi… Scusate, io – non volevo.” Balbettò.
Si girò verso Pepper, guardando il polso che la donna si stava massaggiando. “Oddio – io – mi dispiace. Non volevo, non –“
Pepper abbassò di scatto le braccia, cercando di sorridergli. “Era un incubo, Pete. Non è successo niente. Non mi hai fatto nulla che non guarisca in un paio di giorni. Non ti preoccupare.” Cercò di tranquillizzarlo la donna.
Peter scosse la testa. “No, io non dovevo, non – non voglio fare del male a nessuno.”
“Era un brutto sogno, piccolo. Solo un brutto sogno.” Garantì la zia, mentre gli stringeva le mani nelle sue.

“I tuoi sensi hanno amplificato il senso di pericolo del sogno. Ma ora sei sveglio e al sicuro.” Ripetè l’infermiere, abbassando le mani.
“Sarebbe meglio fare un paio di esami, per controllare che sia tutto a posto. Giusto?” chiese il signor Rogers all’uomo.
Peter guardò l’infermiere annuire e tendere una mano verso di lui. “Controlliamo la pressione.”

Riluttante, il ragazzo fece di sì con la testa. “Va bene.” Si tolse la coperta dalle gambe e si alzò in piedi. Vide gli altri continuare a guardarlo, preoccupati, mentre con gli occhi seguivano ogni suo movimento. “Sto – sto bene. Non serve che mi guardiate tutti così.” abbassò lo sguardo.
“Scusaci, ragazzino.” Rispose Happy per tutti.

Peter fece per seguire l’infermiere verso la stanzetta in cui anche il giorno prima avevano eseguito una serie di esami per controllare che tutto fosse a posto, quando si ricordò che il suo mentore era dall’altra parte del muro.
“Aspettate, il Signor Stark? Sta bene?” si girò verso Pepper. La donna abbassò lo sguardo, mortificata, mentre stringeva le braccia al petto. “Non lo sappiamo. Non è ancora uscito nessuno da lì.”
Peter tornò a guardare la porta del laboratorio.

“Ti chiamiamo appena sappiamo qualcosa. Qualsiasi cosa. Promesso.” Garantì Rhody, facendogli segno di seguire l’infermiere che lo stava aspettando nell’altra stanza.
Peter rimase fermo qualche secondo di troppo, forse, perché Steve Rogers fece alcuni passi verso di lui e gli mise le mani sulle spalle, spingendolo piano verso l’ambulatorio. “Vuoi compagnia, ragazzo?”

Peter boccheggiò. “Cosa?” soffiò fuori dalle labbra.
“Ti accompagno. Sai, ho fatto tantissimi controlli ed esami medici, prima di arruolarmi. E anche dopo, a dire il vero.” Gli sorrise. “E poi, magari, per quando avremo finito gli altri avranno preparato una super colazione, cosa ne dici?” chiese lanciando uno sguardo veloce a May.
Peter vide la donna annuire. “Uova e formaggio, come piace a te.”
Lo sguardo di Peter si illuminò al solo pensiero di poter mangiare di nuovo la colazione preparata dalla zia. Non che fosse una cuoca provetta, ma le uova con il formaggio erano una delle poche cose che avevano continuato a fare anche dopo la morte di zio Ben. Era una tradizione dei Parker, fare colazione con uova, formaggio bruciacchiato e pancake.
“E i pancakes?” chiese, speranzoso.
Vide May sorridergli da dietro gli occhiali, mentre annuiva. “Certo. Un sacco di pancakes. Pancakes e uova per tutti quanti.” Disse prendendo Rhody ed Happy sottobraccio e camminando veloce verso la porta dell’ascensore.
Solo in quel momento Peter notò il re di Asgard su una poltrona laterale, nell’esatta posizione in cui l’avevano lasciato la sera prima.
“O-ok.” Disse, facendosi spingere dal Capitano verso l’ambulatorio.
 

 
 Si. Lo so. 
Avevo detto due settimane ed è passato tipo un anno. 
Probabilmente avevate anche perso tutti le speranze. Beh, ho tutta l'intenzione di concludere questa storia.  Lo giuro. E' che ho avuto un po' da fare e si sono susseguiti problemi dopo problemi. 
Ma giuro che 
prima o poi sarà completa. 
Quindi... scusate. Ecco, ci vediamo al prossimo capitolo.
:) 

 
   
 
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