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Autore: J85    05/02/2023    0 recensioni
Quinto ed ultimo capitolo del pentagono di racconti con protagonista Sara Silvestri.
Nello specifico, si tratta di una mia personale rivisitazione del manga "Cyborg 009", in cui la storia è stata decisamente modificata.
Inoltre, questa storia a capitoli servirà ad esplorare il mio personale universo narrativo, sviluppato durante tutti questi anni di passione per tutti questi anni di scrittura e immaginazione.
Per uno strano scherzo del destino, nove persone, di varie nazionalità e professione, si ritrovano con la propria vita totalmente stravolta dall'essere stati trasformati in mutanti, ognuno con un suo potere specifico.
Ad aiutarli, arriverà proprio la nostra Sara che li addestrerà per affrontare al meglio l'organizzazione criminale nota come Spettro Bianco, in tutta una serie di avventure, compresi what if e crossover.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 16

Piramidi e cloni”




La spuma bianca dell’acqua oceanica si infrangeva contro gli scogli rocciosi ritmicamente.

Con i piedi infilati sotto la sabbia calda, Frédérique Arone fissava verso l’orizzonte, usando la sua esile mano come schermo per i raggi solari. Un bikini con fantasia floreale ne esaltava il fisico snello e asciutto da ballerina di danza classica.

“Sei proprio sicuro di aver visto qualcosa?” chiedeva al vento.

Poco più in là, nel bagnasciuga, Johnny Wayne, con indosso un costume a boxer blu, si apprestava a tuffarsi in mare.

“Sicuro. Anche se non capisco cosa sai”.

Con un tuffo dallo stile impeccabile, l’americano s’infilò tra le onde.

“Tranquillo Johnny” rifletté la francese “Ci sono io a guardarti le spalle”.


In effetti, grazie proprio alla sua vista sovrumana, la mutante riusciva perfettamente a scorgere l’amico che si inabissava sempre più. Finché non lo vide bloccarsi.

“Eccolo!” esultò mentalmente l’americano quando riconobbe un arco semisferico spuntare dalle sabbie in fondo al mare.

Già il sentire, con il tatto, che tale materiale era inoffensivo rassicurò il biondo. Quest’ultimo, con uno sforzo crescente, iniziò a tirare verso di sé quella strana struttura.


Dopo interminabili minuti, l’uomo riaffiorò in superficie. Una volta che ebbe messo i piedi sulla sabbia sommersa, si notò bene che stava trascinando dietro di sé qualcosa di decisamente pesante. Finalmente a riva, la donna accorse al suo fianco.

Poggiato sulla rena, vi era un grande cerchio di materiale scuro.

“Che cos’è?” domandò spiazzata lei.

“Non saprei. A me sembra un anello gigante. Con delle scritte da hobbit!”.


L’unica soluzione fu portare il manufatto di origine sconosciuta al quartier generale.

“… Il materiale sembra essere decisamente una lega metallica” proseguiva nelle sue osservazioni ad alta voce Sara.

“Confermo. Grazie alla mia supervista, per quello che ne posso capire” aggiunse Frédérique.

“Non capisco però cosa siano quelle scritte…” era perplesso Johnny.

“Sono geroglifici” sentenziò secco Igor Wansa.

Gli altri tre si misero a fissare il ragazzino. Per poi tornare con lo sguardo sul reperto ritrovato.

“In effetti, ricordano decisamente gli antichi geroglifici egiziani” confermò Silvestri “E so anche chi potrebbe darmi una mano a decifrarli…”.


Un’altra ora di attesa e, facendo il suo ingresso da un portale magico, Bob Kramer si presentò timidamente nel salotto della villa Humana.

Dopo aver salutato i suoi ormai conoscenti, l’appassionato di Egitto si mise ad osservare attentamente e in silenzio ogni singolo segno presente sul quel tondo con il buco.

Passò un’altra ora finché Mummie Boy si pronunciò.

“Molti di questi ricordano sicuramente dei geroglifici egizi. Però altri sembrano proprio inventati…”.

“E cosa dicono, quei pochi che sei riuscito a tradurre?” insistette l’italiana.

“Di sicuro parlano delle stelle. Poi di una specie di varco…”.

“A me sembra un enorme hula hop” ironizzò serio Chang Yu.

“Non mi resta che una cosa da fare” concluse il Soggetto N. 3, già con il cellulare in mano “richiamare tutti gli altri!”.

Nel giro di qualche minuto, dei messaggi identici avevano raggiunto Città del Messico, Victoria, Kinshasa, Londra e Trento.

Nel frattempo, il membro del Monster Commando, ormai vinta la sua proverbiale timidezza, proseguiva nella suo esaminare il ritrovato archeologico.

“… Credo non si possa nemmeno considerare una stele, data la sua forma decisamente troppo singolare”.

Al suo fianco, il suo connazionale in rosso e giallo ascoltava le sue parole.

“A proposito, come sta quel matto di Benji?”.

Bob ridacchiò “Al solito, è sempre il solito nerd di film horror. Ora poi vuole utilizzare una parete dell'Amityville per appenderci delle nostre foto”.

“Davvero?”.

“Sì. E sai come la vuol chiamare?”.

“Sentiamo…”.

Kramer si voltò verso il suo interlocutore “Hall of Fear”.

I due si fissarono allibiti.

“Sì, è sempre il solito matto” concluse il velocista.


Nel giro di qualche giorno, tutti gli Humana tornarono al loro quartier generale. Grazie alla forza erculea di Geran, l’enorme anello fu spostato nel giardino esterno della villa. Qui Mummie Boy, tornato anch’egli per l’occasione, voleva effettuare un tentativo mistico.

“Siamo tutti pronti?” domandò per conferma la francese.

“No!” rispose al volo il messicano.

“Berny non sarà mai pronto” osservò l’africano.

I mutanti si misero a ridere, mentre Sara si avvicinava alla mummia.

“Bob, sei convinto di quello che stai per fare?”.

“Abbastanza. In pratica, ripeterò alcune delle parole che sono riuscito a leggere sopra il cerchio. Poi il resto spero lo faccia la lancia di Anubi…”.

L’italiana assentì con la testa.

Passato il momento di ilarità, tutta la squadra si preparò per qualsiasi cosa potesse accadere nei minuti successivi.

Bob Kramer diede inizio alla sua litania. Tali parole parevano una dolce ninna nanna pronunciata dalla bocca bendata. Nel farlo, l’interprete teneva le braccia spalancate e il capo reclinato verso l’alto. Gli occhi chiusi per trovare la massima concentrazione.

Incredibilmente, qualcosa si attivò. Alcuni dei geroglifici incisi si illuminarono. La stessa luce emanata comparve nel buco presente all’interno di quella grande ciambella.

“Oh signore!” esclamò l’inglese “È un altro portale”.

“Chissà se questa volta sarà per Atlantide o per la Twilight Zone?” s’incuriosì il russo.

“Purtroppo non riconosco la magia di Witch Girl, quindi di sicuro non vi porterà da noi” replicò il membro del Monster Commando.

Il silenzio calò sui vari eroi presenti.

“Allora… chi va per primo?” si azzardò il cinese.

Nessuno si propose.

“Signori” intervenne Silvestri “dovremo comunque provare ad esplorare cosa c’è lì dentro, a maggior ragione ora che ipotizziamo il suo utilizzo”.

“Giusto” le diede ragione Bob “io starò qui a mantenere aperto il portale”.

“Tu vieni con noi, Sara?” domandò Juna.

“Certo che sì, mi incuriosisci alquanto questo mistero” confermò la bionda.

Tutti ancora immobili.

“Al diavolo! Vado io per primo!” si offrì Wayne che scattò a supervelocità dentro il cerchio blu.

Incoraggiati dal loro leader, anche gli altri Humana si avviarono verso quel mistico ingresso, finché non rimase soltanto il ragazzo bendato da capo a piedi.


Una distesa di sabbia bianca come neve che si proiettava verso l’infinito. La presenza di alte dune faceva ipotizzare essere un vero e proprio deserto. Scavallata una di esse, gli Humana si trovarono davanti qualcosa di ancora più maestoso.

Una piramide a base quadrata sovrastava tutto il panorama circostante.

“State raggruppati!” ordinò Andrea, con la mano destra già mutata di forma.

“Curioso, a me ricordata tanto l’Egitto, e a voi?” affermò ingenuo Chang.

“Ma dai!” gli sbraitò contro Bernardo “Per me invece è Las Vegas! Ma è ovvio che siamo in Egitto! Dove altro pensi che si trovino le piramidi?”.

“Fate silenzio e state all’erta!” li richiamò all’ordine Johnny.

“Non mi sento per niente tranquilla” sussurrò Frédérique.

Un assalto fulmineo e inaspettato. A finire a terra fu l’africano e, con lui, lo stesso aggressore. Quest’ultimo, con gran rapidità, si mise sopra al mutante, sdraiato supino sulla sabbia. Nello stesso momento, con ancor più rapidità, l’americano scattò e colpì il nemico in pieno volto. Tale colpo fece volar via l’elmetto dell’avversario.

Il viso celato sotto di esso presentava lineamenti inquietanti. Tutta la sua pelle era formata da viscide squame verdi. Gli stessi occhi dell’individuo presentava caratteristiche più simili ai rettili che agli esseri umani. Addosso aveva un’armatura che pareva, allo stesso tempo, leggera ed efficace contro gli attacchi.

“Che orrore!” gridò il britannico.

“Sembra quella razza di alieni che si sente dire ogni tanto in tv: i rettiliani!” esclamò stupefatto il messicano.

“Non muoverti o sei morto!” gli urlò contro l’italiano che già avevo preso la mira.

Intanto l’indiano si era messo davanti al russo per protezione.

Il ragazzino faceva capolino da dietro l’energumeno pellerossa. Improvvisamente, sul suo volto comparve un’espressione di stupore.

“Quel mostro sta pensando che siamo simili alla loro prigioniera!”.

“Cosa?” fu sorpreso Borghi.

“Ipotizzo dunque che tengono in ostaggio un’umana” si espresse Lincon.

“Chissà con cosa è arrivato fin qui da noi senza udirlo?” si chiese Yu.

Wayne si squadrò intorno. Poi indicò un punto poco distante dal gruppo “Credo abbia usato quella!”.

Uno strano veicolo era parcheggiato sulla sabbia a pochi metri da loro. La grandezza era quanto una Cadillac. La forma però ricordava molto la punta di una freccia. Tutto il largo abitacolo era circondato da una cupola di un materiale simile al vetro.

La squadra si avvicinò ad esso, con Alberti che teneva sempre sotto tiro il loro ostaggio.

“Incredibile! Questa macchina non tocca terra!” Juna.

“Magari è magnetizzata. O qualcosa di simile” suppose Silvestri.

“Vedo delle forme di vita dentro a quella piramide” informò gli altri Arone, mentre fissava seria tale monumento.

“Sembra che spazio su questo trabiccolo ce ne sia a sufficienza, anche per Giunan. Però c’è qualcuno di noi che lo sa guidare?” sentenziò il cinese.

Lo statunitense diede un’occhiata al posto guida.

“Vedo che c’è un solo pedale. Non credo che sarà così complicato…”.

Come risposta ad un comando invisibile, parte della cupola sparì.

Sebbene alcuni di loro erano riluttanti, gli Humana salirono su quella stramba automobile. Incredibilmente, bastò schiacciare quell’unico pedale per metterla in moto.


La comitiva era da qualche minuto in viaggio, con la piramide che si avvicinava sempre di più.

“Mamma mia che caldo!” si lamentò un Soggetto N. 2 alquanto sudato.

“Ma fammi il piacere, Jack!” lo canzonò il Soggetto N. 7 “Per me queste temperature sono da prima mattina!”.

“Fate silenzio e state concentrati sulla missione!” li redarguì Sara.

Il Soggetto N. 6 osservava silenzioso e incuriosito l’italiano.

“Che arma stai usando attualmente, Andrea?” domandò.

“Uno spara palle di fuoco” rispose il Soggetto N. 4, senza distogliere un attimo gli occhi di dosso al rettiliano.

La creatura era anche sotto osservazione attenta del Soggetto N. 1.

“Questo qui dice di classificarsi come Alien Hunter. E di stare attenti agli squali del deserto”.

“Alien Hunter? Squali del deserto?” ripeté dubbioso il Soggetto N. 5.

In risposta al gruppo iniziarono ad emergere, da sotto la sabbia candida, qualcosa che assomiglia decisamente a pinne di squalo nere.

“Attenti! Siamo circondati!” allarmò tutti quanti il Soggetto N. 3.

Da sotto la rena, comparvero anche le minacciosi fauci degli squali. Per fortuna, gli Humana erano pronti a difendersi.

“Utilizzate le pistole che avete in dotazione!” ordinò la bionda.

I mutanti seguirono il consiglio. Il britannico si librò in alto, più per fuga che per affrontare la minaccia, con l’assurda collaborazione della cupola di vetro che si aprì per consentirgli il decollo. La francese preferì utilizzare i suoi raggi laser sparati dagli occhi, così come il cinese le sue vampate di fuoco emesse dalla bocca.

Lo zairese osservava con attenzione i movimenti di quei pesci assassini. Finché non prese una decisione.

“Io mi tuffo!”.

Nonostante le proteste degli altri, l’africano si tuffò e scoprì di muoversi con la stessa abilità che aveva negli ambienti marini.

Intanto, l’italiano e l’Alien Hunter si scrutavano impassibili. Passò ancora qualche minuto. Infine, il mutaforma si decise ad utilizzare la sua arma contro quelle altre creature.

Con gran sorpresa dei terrestri, anche l’alieno si mise a sparare contro quei predatori.

La battaglia fu davvero cruenta, con la macchina che non arrestò mai la sua marcia ma, anzi, accelerò il più possibile verso la piramide. Il Soggetto N. 8 si trovò perfettamente a suo agio in questa lotta subacquea e, allo stesso tempo, sabbiosa.

Quando parve che non ci fossero più pinne all’orizzonte, il veicolo si stava dirigendo a velocità folle verso la base dell’enorme figura geometrica. Mentre Johnny tentava inutilmente di frenare, visto che di pedale era presente soltanto quello dell’acceleratore, nel muro della piramide si rivelò un’apertura. Mettendosi in obliquo per un ultimo disperato tentativo di perdere velocità, la vettura fece il suo ingresso nella struttura in derapata. Nonostante questo, cappottò più volte. La cupola di vetro resse.

Quando, per pura fortuna, il veicolo terminò le sue capriole in piedi, il pilota si voltò verso i sedili posteriori.

“State tutti bene?”.

I suoi compagni, compreso anche l’alieno, erano tutti coscienti. Bernardo aveva appena fatto in tempo a tramutarsi in un pallone da calcio.

“Pare di sì, Johnny” gli rispose Frédérique.

“Fermo lì!” Andrea era già tornato ad avere nel mirino il loro prigioniero.

Dall’esterno giunsero anche Jack e Juna.

Chang si avvicinò a Sara che si reggeva il braccio destro “Ti sei fatta male, Sara?”.

“Non preoccuparti, è solo una botta”.

Parte del vetro scomparve, permettendo così a tutti gli occupanti di scendere. L’ambiente attorno a loro era molto illuminato. Ad occupare il pavimento vi erano ben poche cose, il resto era un gigantesco spazio aperto. Quello che invece colpì di più gli uomini in rosso e giallo furono le pareti. Esse, infatti, erano totalmente ricoperte da celle della grandezza di una singola persona. La loro parte frontale era costituita anch’essa da materiale trasparente, ciò permise ai nostri di osservarne l’interno. La funzione effettiva era quella di letti in verticale, caratterizzati da una forma ergonomica per corpi umanoidi.

“Oddio!” esclamò, mettendosi una mano davanti alla bocca, la francese.

“Jack” gli bisbiglio all’orecchio l’americano “potresti fare un controllo veloce?”.

“E-Eseguo” l’inglese fu di nuovo in volo e, dopo aver fatto dei rapidi cerchi su varie altezze di quota, tornò a terra.

Con poche parole diede la conferma ai suoi compagni: molte di tali postazioni, erano occupate da centinaia di esseri della medesima razza del loro prigioniero. Apparentemente, erano tutti in uno stato dormiente.

“E ora che si fa?” bisbigliò appena il messicano.

“Igor” anche l’italiano parlava a voce bassa “guarda se riesci a scoprire, dalla mente di quella lucertola, dove si trova la prigioniera”.

Il ragazzino fissò attentamente il volto squamoso dell’Alien Hunter. Quest’ultimo reggeva il suo sguardo con le sue fredde pupille da rettile.

“Tutti quelli della sua razza sono dei famosi cacciatori di taglie intergalattici… la ragazza si trova in una pedana nascosta al centro della stanza… e lui è un disertore!”.

“Cosa?” esclamò sorpreso il cinese.

“Ma sentì sentì…” sogghignò il soldato, squadrandolo con commiserazione.

“Se ho capito bene” proseguì il russo “lui è disposto a darci una mano a liberare la donna, ma noi dobbiamo lasciarlo venire con noi nel portale”.

Gli Humana fissarono dubbiosi il rettiliano per qualche secondo.

“Ok, digli che l’accordo è firmato” decise Sara “Ma che non faccia cazzate”.

Il telepate riuscì, tramite il suo potere, a comunicare con l’alieno. Egli alzò il braccio sinistro e andò a digitare qualcosa sul suo bracciale.

Al centro dell’enorme spiazzo interno si aprì il pavimento in due ante. Da sotto si sollevò un lettino. Sdraiata su di esso vi era una donna esanime.

Il velocista fece avanti e indietro in un batter d’occhio.

“Andrea, serve una fiamma ossidrica per liberarla dalle tenaglie”.

Il trentino si avvicinò al giaciglio metallico. La cosa che lo sorprese subito fu l’abbigliamento della signora. Seppur palesemente una pacchiana riproduzione, il suo vestiario riproduceva quello di un’elegante faraona, trucco e parrucco compresi. Tra i tanti, un gioiello serpentiforme che le si avvolgeva attorno al braccio sinistro.

La sua mano destra mutò per poter così sviluppare una lieve ma continua fiammella azzurra. A dargli una mano arrivò anche Borghi, il quale si trasformò nel visore oscurante per aiutarlo a proteggersi meglio nell’operazione.

Dopo vari minuti, vissute con il patema di poter risvegliare tutto quell’esercito di extraterrestri, i quattro anelli furono rimossi rispettivamente da polsi e caviglie.

Il Soggetto N. 9 sollevò con delicatezza la fanciulla “Bene. Ora possiamo…”.

Un allarme iniziò ad emettere il suo potente strillo.

“Cazzo!” imprecò il Soggetto N. 4 “Ci doveva essere un qualche sensore di pressione! E questo coglione nemmeno lo sapeva!” indicando l’alieno.

“Scappiamo!” urlò l’americano che, ancora con la prigioniera liberata tra le braccia, partì nella sua supercorsa.

L’Alien Hunter, come per farsi perdonare di quella svista tremenda, si mise alla guida del veicolo, ancora funzionante, con dentro alcune delle persone coinvolte.

Il Soggetto N. 2 volò via mentre, sotto di lui, il Soggetto N. 7 si era tramutato in uno struzzo che stava mettendo in atto la sua elegante falcata.

Nel mentre, attorno a loro, tutte le postazioni si stavano aprendo, con già qualche guerriero che si stava mettendo in moto.

La vettura dovette però arrestarsi perché il portellone della piramide, attivato in fase di chiusura, si stava abbassando sempre più.

Il Soggetto N. 5 scattò fuori appena in tempo per afferrarne il bordo inferiore. Accompagnando il tutto con un possente urlo di battaglia, lo ritirò in alto come fosse un semplice garage scassato.

Risalito al volo, la punta fluttuante sfrecciò verso il portale magico. Degli spari proveniva dalle loro spalle. Grazie a essi, i passeggeri contattarono che il materiale trasparente della cupola era anche a prova di spari.

Chiaramente, il tempo per far scendere tutti non era disponibile. Per questo, il guidatore da un altro pianeta si lanciò con l’auto e tutti i suoi passeggeri direttamente dentro il cerchio blu.


il mezzo fluttuò sopra il giardino, prima di arrestare totalmente la sua marcia.

“Ok, chiudi il portale Bob, ora!” comandò drastico il Soggetto N. 7.

In fila ordinata, tutti scesero a terra.

“La ragazza dov’è?” domandò subito Sara.

“L’ho lasciata sul divano del salotto” le rispose il Soggetto N. 9.

Un rombo improvviso attirò l’attenzione di tutti. Lo stesso veicolo che poco fa gli aveva salvato la vita, aveva appena preso il decollo, con ai comandi l’alieno in fuga.

“Non credo ci darà tanti problemi” rivelò serio il più giovane del gruppo.


Passarono ore prima che le palpebre truccate della donna misteriosa tornarono ad aprirsi.

Le sue pupille misero a fuoco un essere umano sconosciuto che pronunciò “Ti sei svegliata?”.

Per tutta risposta, lei iniziò a urlare.

“Ma che?” si spaventò il Soggetto N. 4.

D’un tratto, nella sala dove quelle grida avevano richiamato tutti quanti, si alzò un vento impetuoso, sebbene tutte le finestre fossero serrate. I vari Humana si trovarono così impegnati a salvaguardare sia la loro incolumità che il mobilio presente. Di colpo, la donna si placò. E con lei anche la furia ventosa.

“Sei stato tu, Igor?” s’informò il Soggetto N. 5.

“Francamente, no” rispose il Soggetto N. 1.

“Tranquilli, è stato il mio capo” svelò l’arcano l’italiana.

Andrea Alberti si sedette accanto alla finta egizia, mentre questa si era seduta in maniera più composta.

“Stai tranquilla, siamo esseri umani esattamente come te. Fidati, qui con noi sei al sicuro. Ti Abbiamo liberata da quella piramide e da quella specie di lucertole a due zampe. Ora, possiamo sapere come ti chiami e da dove vieni?”.

Mentre l’italiano parlava, lei fissava a rotazione un po’ tutti i personaggi presenti nella stanza. Quando sentì che il suo interlocutore le aveva posto un quesito, esitò un po’. Per poi rispondere.

“V-Vengo dagli Stati Uniti, anche se quei mostri mi hanno rapita mentre mi trovavo in vacanza in Egitto…”.

“E sono stati loro a vestirti così?”.

Lei, per la prima volta, diede una rapida occhiata al suo vestito “Ah… no, questo era per… uno spettacolo che volevo fare a… un amico”.

Andrea era un attimo perplesso “O-Ok. Qual è il tuo nome?”.

“M-Mi chiamo Steve Ellis”.

Alberti sgranò gli occhi “Prego?”.

“Sì, sono un transessuale”.

La notizia sorprese tutti.

“Ecco perché…” esclamò il Soggetto N. 7, mentre riproduceva le protesi mammarie di Steve nel suo seno.

“E sei stata tu prima a fare tutto quel casino?” riprese il discorso il soldato.

“Sembrava manipolazione dei venti” suggerì il Soggetto N. 3.

“Non saprei che dirvi. Da quando sono stata catturata da quelle creature, mi sento anche più strana del solito…” Ellis si mise a reggersi la testa con entrambe le mani.

“Tranquillo… tranquilla, Steve” intervenne goffamente il suo connazionale “con un po’ di allenamento di abituerai a questa nuova vita, magari saranno i Global Defenders ad occuparsi di te…”.

Il trans alzò lo sguardo per fissarlo.

“Piuttosto” concluse Johnny “Hai già in mente un tuo nome da supereroe?”.

Lei ci riflette con attenzione, per poi sorridere compiaciuta “Beh, non mi dispiacerebbe usare il nome della località che dovevo visitare prima di essere rapita: Giza!”.




Riuscire ad eseguire qualcosa di divino, soprattutto dopo aver combattuto contro una vera e propria divinità, non era certo roba da tutti. Eppure Johnny Wayne vi stava riuscendo.

I suoi piedi toccavano appena la superficie acquea, mentre sfrecciava letteralmente sull’oceano. Grazie alla sua supervelocità, sembrava di veder correre il più rapido motoscafo del mondo, con tutta la schiuma bianca che faceva da coda al suo incedere.

Come se fosse routine di tutti i giorni, il biondo stava tranquillamente riesaminando l’sms ricevuto il giorno prima. Nel messaggio erano presenti solo numeri che, dopo una scrupolosa analisi, aveva riconosciuto essere coordinate geografiche. L’unica parte testuale erano due parole: SPETTRO BIANCO.

Seguendo il suo stile di vita, il velocista aveva volutamente evitato di parlarne con il resto del gruppo. Inizialmente l’aveva considerato alla stregua di una bufala. Poi, constatando che si trattava della posizione di un’isola anonima poco lontana dalla costa, si era convinto di andare a controllare tali coordinate l’indomani.

Indossata l’uniforme degli Humana, era corso via a tutta velocità. Il mare non l’aveva certo preoccupato. Ciò che temeva maggiormente era l’effettiva esistenza di quella terra emersa.

“Spero solo di non stare perdendo tempo…” rifletteva mentre si avvicinava alla locazione prestabilita.

All’orizzonte cominciò a comparire un profilo solido, fino a dare la certezza di un atollo. La conferma definitiva la ebbe quando le suole dei suoi stivali gialli toccarono la battigia.

“Ok” esclamò “mi do giusto un’ora di tempo. Se non succede niente, torno immediatamente al quartier generale”.

Appena parlato, dei massi rotolanti iniziarono a venir già da una pendenza lì vicina. Non erano particolarmente grandi ma piuttosto numerosi. Il mutante scattò e riuscì ad evitarli tutti. Per lui, era come se procedessero al rallentatore.

Una volta terminata questa breve valanga, l’americano non perse tempo.

“Ora ti vengo a prendere, figlio di puttana!”.

Raggiunta in un lampo sulla cima, il Soggetto N. 9 si bloccò stupefatto. Di fronte a sé aveva schierato la sua intera squadra, fatta eccezione per il Soggetto N. 1.

“Johnny!” lo chiamò il Soggetto N. 8.

“Finalmente sei arrivato” lo redarguì il Soggetto N. 4.

“Però!” lo canzonò il Soggetto N. 7 “Ce ne hai messo di tempo!”.

L’interessato li squadrava uno ad uno, sempre più sorpreso.

“Ma voi… che ci fate qui?”.

“E tu allora?” ribatté seccato il Soggetto N. 2.

“Onorevole Wayne, il messaggio è giunto anche a noi” lo informò il Soggetto N. 6.

“Davvero?”.

“Tutto bene, Johnny?” gli si fece vicina il Soggetto N. 3.

“S-Sì” rispose poco convinto lui “però non capisco come sia possibile…”.

“È semplice” intervenne nuovamente l’italiano “si tratta dell’ennesimo piano dello Spettro Bianco per cercare di dividerci e affrontarci singolarmente”.

“Quelle persone sono viscide come serpenti” s’infuriò il messicano.

“Gente priva di qualsiasi onore” rincarò la dose il cinese.

“Mi dispiace che abbiano coinvolto anche voi” sibilò lo statunitense.

“Non essere sciocco! Sai che dobbiamo rimanere uniti!” lo confortò l’inglese.

“Comunque, è inutile restare qui inattivi” riprese il comando l’ex-soldato “conviene dividerci e setacciare l’isola a gruppi”.

“Ma non è peggio se ci dividiamo?” polemizzò il baffuto.

“Solo se fossimo impreparati” chiuse la questione il mutaforma bellico.

“Mi raccomando, ragazzi” intervenne la francese “fate attenzione!”.

“C’è davvero qualcosa che non va” proseguì nei suoi pensieri il pilota di Formula 1.

Le coppie erano le seguenti: Andrea e Bernardo, Jack e Juna, Chang e Geran, Johnny e Frédérique.

Erano passati giusto una quindicina di minuti, quando una nuova valanga coinvolse l’ultimo duo.

“Ancora?!”.

Per fortuna Wayne se n’era accorto in tempo e, afferrata la donna che era con lui, riuscì ad evitare tutte le rocce. Poi fu la volta delle frecce. Ed infine della scure.

Scansato il fendente mortale, l’americano riuscì a vedere chi era l’assalitore. Con sua somma sorpresa, aveva davanti niente meno che lo stesso Giunan armato di un tomahawk.

“Geran! Che stai facendo?”.

L’altro non replicò.

Il Soggetto N. 9 evitò il secondo affondo e lo colpì con un montante. Come aver colpito un muro di cemento armato.

“Ma che cazzo fai?” gli urlò contro poi, stranamente, iniziò a sentire del calore sempre più intenso provenire dalla sua destra.

Scansatosi appena in tempo, vide le fiamme avvolgere il pellerossa. Voltatosi, notò Il Soggetto N. 6 pronto per una nuova fiammata.

“Chang!” gli si avventò contro.

D’istinto, l’asiatico arretrò. La sua posizione era al limite di un precipizio sul mare. Il terreno franò e con esso anche il mutante.

“Oddio, Johnny!” Arone era sull’orlo delle lacrime “Che sta succedendo? Forse erano sotto ipnosi?”.

Il velocista non ebbe nemmeno tempo di pensare ad una risposta plausibile, che il Soggetto N. 2 gli planò addosso.

“Jack!”.

Solo allora Johnny notò che l’altro era armato di coltello. Riuscì comunque a torcergli il polso e a fargli conficcare la lama sulla spalla opposta.

Con il volo ormai fuori controllo, entrambi precipitarono in mare.

Sott’acqua, l’americano riuscì a liberarsi della stretta del britannico. Fu così che si accorse dell’attacco di una figura armata di tridente. Come un novello tritone, Il Soggetto N. 8 gli si avventò contro. Il Soggetto N. 9 evitò anche lui e, preso dalla furia dovuta a quella situazione inspiegabile, lo trapasso con quella stessa arma mitologica.

Mentre il cadavere dello zairese galleggiava esanime, l’altro riemerse in superficie. Ispirando profondamente, i suoi polmoni tornarono a riempirsi di ossigeno.

Il suolo attorno a lui fu colpito da una raffica di armi da fuoco. Alzato il capo, vide i Soggetti N. 4 e 7 che gli sparavano contro. Entrambi con la mano destra tramutata in una specie di carabina. C’era decisamente qualcosa che non tornava.

Sebbene sempre più disorientato, con due pugni alla supervelocità li mise entrambi a nanna.

“Sono morti!” gridò Il Soggetto N. 3.

“Che cosa?”.

“I loro cuori non battono più. Così come quelli degli altri”.

“Non è possibile che siano morti per così poco!”.

“Ti dico di sì! E li hai uccisi tu!”.

“Non erano loro, Frédérique”.

“Ma cosa dici, Johnny?”.

“Te lo giuro! Ho visto Berny che si era trasformato come Andrea!”.

“È assurdo!”.

“No, sono loro che erano assurdi! E ti dirò di più, Frédérique…”.

“Cosa?”.

“Sono convinto che anche tu sei finta!”.

Detto questo, estrasse una pistola che aveva infilata nella cintura nera e le sparò in pieno petto.

La ballerina si accasciò al suolo, nonostante dal foro della pallottola non fuoriuscisse nemmeno una goccia di sangue. Il suo assassino la osservò in silenzio.

Passato qualche minuto, il suo corpo iniziò a polverizzarsi, divenendo una sostanza molto simile alla comune sabbia.

“Dei luridi cloni…” sentenziò a bassa voce il biondo.

Un boato si fece sempre più forte mentre, da dietro l’alta vegetazione dell’isola, si sollevava in aria un piccolo aereo.

“Bastardi!” digrignò i denti Johnny quando, abbassando lo sguardo, notò l’arma di Alberti che non si era ancora sgretolata.

Con uno dei suoi soliti scatti, la prese da terra e riuscì a sparare contro il velivolo che si disintegrò all’istante.

Sarete stati anche in grado di prendere il nostro DNA, ma battere gli originali non sarà così semplice, vigliacchi schifosi!” urlò al vento.

  
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