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Autore: Nao Yoshikawa    08/02/2023    3 recensioni
Kisaki/Hinata, Kisaki/Hanma
Anaxiphilia: tendenza ad innamorarsi e a inseguire la persona sbagliata.
Hanma fece un sorriso storto. Prese una sigaretta e l’avvicinò alle sue labbra.
«Immagino tu non voglia parlarne.»
«Immagini bene. Accendi.»
Avvicinò l’accendino. Kisaki, con la sigaretta stretta tra le labbra, poggiò le mani sulle sue. E per un breve istante si guardarono negli occhi. Kisaki poi si allontanò lentamente e sospirò. Nicotina, ringraziando il cielo. Hinata credeva che avesse smesso, invece si limitava a farlo di nascosto. Adesso era quiete. Adesso era tutto perfetto. O quasi.
«Sai cosa? È che io non ti capisco, Kisaki. È chiaro che questo matrimonio non può funzionare. Giuro, non ho mai visto una coppia più male assortita di voi due.»
«Mi sembrava di averti appena detto che non voglio parlarne» lo interruppe subito Kisaki. Hanma era l’unico abbastanza coraggioso (o stupido, a seconda dei casi) da dirgli in faccia quello che pensava senza temerlo. Hanma sorrise. In modo un po’ strano, quasi con amarezza.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Hinata Tachibana, Kisaki Tetta, Naoto Tachibana, Shuji Hanma
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Parte prima

Rumore di piatti rotti.
E l’esasperazione di una donna che era arrivata al limite della sopportazione. Non era questo che Hinata Tachibana aveva immaginato per sé, non era quello che aveva immaginato quando aveva sposato Tetta Kisaki. Hinata si era detta che non ci sarebbe caduta, in uno di quei matrimoni deprimenti e monotoni, tossici o crudeli. E invece ci era caduta anche lei.
«Vai via. Vattene» gridò, le guance bagnate di lacrime. A Kisaki sanguinava uno zigomo, un piatto lo aveva sfiorato di striscio. Una sottile goccia di sangue scendeva lungo il viso. Ma, nonostante ciò, non aveva avuto reazione. Quelli erano i momenti in cui Hinata più lo temeva, perfino più di quando si arrabbiava e le urlava contro, quando la picchiava. Perché quella poteva essere definita la calma prima della tempesta.
«Mi hai colpito» disse Kisaki dopo interminabili minuti di silenzio. Si sfiorò la guancia, osservò il sangue scuro e poi guardò sua moglie che, con la schiena contro il bancone, l’osservava. La sua espressione era un misto tra la paura, la rabbia e il disgusto. Quello non era l’uomo che aveva sposato. O forse quell’uomo non era mai esistito ed era stata tutta un’illusione, difficile a dirsi. Hinata ricordava bene di essersi innamorata della sua intelligenza, del modo in cui la faceva sentire protetta e rassicurata. Tutti avevano i propri lati oscuri, ma con Kisaki si andava ben oltre.
«E lo rifarei ancora!» gridò Hinata, le mani che tremavano.
Respira. Non metterti a correre. L’odore della paura eccita quelli come lui.
«Non ne posso più» continuò. «Non è questa l’esistenza che mi merito. Ho solo ventisette anni, non posso pensare che la mia vita vada così. Con te. Perché devi farmi questo? Farlo a noi?»
La cosa che più di tutte Hinata non sopportava, era il fatto di amarlo. Amarlo e odiarlo allo stesso tempo per tutto il male e le umiliazioni che subiva. Quante volte aveva pensato di lasciarlo, per poi cambiare idea?
Una persona non può essere del tutto cattiva, no? Altrimenti perché mi sarei innamorata di lui?
Un perché non esisteva, l’amore era quanto più di irrazionale potesse esistere.  Ma Hinata era troppo stanca per andare dietro a certe fantasticherie sentimentali.
Ci furono vari secondi di silenzio, di vuoto. Kisaki fu addosso a lei all’improvviso, le mani strette attorno alle sue spalle. Non con la dolcezza di una volta, ma con violenza e possessività, come a volerle dire sei una cosa che appartiene a me.
«Non è colpa mia, Hina. Lo sai che faccio così solo perché tengo a te.»
Aveva quel modo languido e un po’ viscido di rivolgersi a lei, ogni volta che accadevano discussioni o litigi del genere. Kisaki era sempre stato geloso, sin da quando erano fidanzati, ma Hinata non ci aveva mai dato troppo peso (e forse questo era stato l’unico errore da parte sua). Ma da quando si erano sposati le cose erano peggiorate. A suo marito non andava bene niente. Se qualcuno si fermava a parlare con lei, se qualcuno anche solo la guardava, quello era un motivo più che sufficiente per Kisaki per andarle contro, aggredirla.
Sei mia, perché non te lo metti in testa? Ne è la prova la fede che porti al dito. Non osare prendermi in giro.
In quei momenti le sembrava un folle. Soprattutto quando diventava violento. Capitava sempre che rompesse qualcosa, talvolta aveva perfino colpito lei. E tutte le volte che Hinata aveva minacciato di andarsene, ecco che lui era tornato da lei, implorante, affascinante, sussurrandole dolci parole, sfiorandola. Era un altro motivo per cui Hinata si odiava: per l’attrazione sessuale reciproca, perché quando lui la sfiorava, lei non riusciva a dire di no. Perché in quei momenti Tetta Kisaki smetteva di essere violento e spaventoso e tornava ad essere simile al ragazzo di cui si era innamorata. Ma ora basta. Quella persona non era mai esistita.
«Non toccarmi!» gridò. «Sei un ipocrita, e sei anche assurdo. Sei geloso di qualsiasi persona mi si avvicini. Hai provato a rinchiudermi in casa e a farmi lasciare il lavoro, ma non ci sei riuscito. E non riuscirai a fare altro. È finita, non voglio più saperne niente.»
Hinata, hai la guancia arrossata. È stato lui, non è vero?
Non ti si può nascondere niente, Naoto. Non so cosa fare.
Naoto si era offerto tante volte di aiutarla. Era un poliziotto, di sicuro aveva il potere di fare qualcosa. A lui Kisaki non era mai piaciuto, ma per amor di sua sorella aveva sempre accettato la cosa. Aveva cambiato atteggiamento nel momento in cui aveva capito che tipo di persona lui fosse.
 
Va tutto bene, Naoto. Non devi preoccuparti per me. Posso gestirla da sola, non è niente di grave.
Hinata, io so come vanno a finire queste situazioni. E lo sai anche tu. Lui non può farti questo, nessuno può. Ma non posso fare nulla contro la tua volontà. Ti chiedo solo di fare attenzione e di venire da me subito, nel caso dovesse ricapitare.
 
Oh, Naoto. Più giovane di lei, eppure così saggio. Avrebbe dovuto ascoltarlo sin da subito. Ma non era troppo tardi. Poteva ancora fare qualcosa. Kisaki aveva preso a scuoterla, quasi avesse tra le mani una bambola senza vita.
«È così che mi ringrazi, dopo tutto quello che ho fatto per te? Chi ti è stato accanto nei momenti più bui? Chi ti permette di vivere nel lusso, di vivere una vita agiata? Sono io. Quindi smettila di lamentarti. Tu mi sei sempre appartenuta, sin da quando eravamo bambini. È così, era destino.»
Sorrise, Kisaki. Anzi, ghignò e Hinata spalancò gli occhi. Stava cercando di annullarla per l’ennesima volta.
«Appartengo solo a me stessa!» gridò, poggiando una mano sul suo petto per spingerlo. «Mio fratello ha ragione, non avrei dovuto sposarti, che razza di stupida sono stata!»
Lo sguardo di Kisaki cambiò. Ecco che faceva capolino la versione folle, sadica e maligna di suo marito. La versione che odiava.
«Naoto farebbe meglio a farsi i cazzi tuoi! E tu! Dovresti dirmi grazie. Se non avessi sposato me, avresti sposato quell’idiota di Takemichi Hanagaki. E che vita avresti avuto? Ma lui adesso non c’è più e tu hai scelto me.»
Era vero, Hinata lo aveva scelto. Aveva visto in lui la sua seconda possibilità. Meritava di innamorarsi di nuovo e di rifarsi una vita, no?
Anche se non aveva immaginato (e dopotutto, chi lo fa mai?), che sarebbe finita così. Ma quelle parole furono troppo per lei. Takemichi le era sempre stato così caro, lo ricordava come una persona dolce e disposta a fare di tutto per le persone che amava. A lei ci aveva tenuto davvero. Magari insieme sarebbero stati felici, ma quello era solo un bel sogno.
«Tu non sarai mai come Takemichi, hai capito?» gridò. Vomitò quelle parole ancor prima di pensare non è una buona idea. Lui l’avrebbe picchiata. No, peggio. L’avrebbe uccisa. Il viso di Kisaki si contrasse in un’orribile smorfia. Aveva sempre amato il potere, eppure sentiva di non averlo del tutto su Hinata.
«Maledetta. Maledetta, come osi tu dire questo a me? Ti ammazzo!»
Hinata chiuse gli occhi e poi fece l’unica cosa che le era possibile da quella posizione. Strinse con una mano tra le sue gambe, più forte che poté. Kisaki avvertì subito il dolore e Hinata approfittò di quell’unico momento di distrazione per allontanarsi.
«Dove pensi di andare? Non puoi andare!»
Nel suo tono, Hinata ci avvertì qualcosa che somigliava alla disperazione.
Alla fine chi veramente dipende da chi? Io da te o tu da me?
Non si voltò indietro, farlo le sarebbe costato troppo. Aveva bisogno di allontanarsi, correre, respirare.
«Hinata, torna qui. Non importa dove scapperai, io ti ritroverò sempre!» gridò Kisaki, rivolto alla figura di sua moglie che ora usciva da casa loro, che correva via, probabilmente da quel rompiscatole di Naoto. Avrebbe potuto inseguirla, certo. Ma perché abbassarsi a tanto? Lei sarebbe tornata.
 
 
Kisaki fece ciò faceva sempre dopo ogni litigio con Hinata: sfogava la sua rabbia sulla mobilia, poi usciva di casa e respirava l’aria della notte. E incontrava una persona. La persona che forse lo conosceva meglio di chiunque, persino meglio di sua moglie. Lui e Hanma si incontravano sotto un ponte pedonale, praticamente isolato. Hanma ogni volta lo accoglieva con uno stupido ghigno, come di chi la sapeva lunga.
«Hai di nuovo litigato con la mogliettina, eh? Mi usi quando lei non c’è, potrei quasi ritenermi offeso!»
Lui e Shuji Hanma erano legati da anni. Da un legame molto più stretto e complicato rispetto a quello che la gente poteva pensare. Un amante, un amico di letto? Avrebbe potuto chiamarlo così, Kisaki
«Sta zitto e dammi una sigaretta, piuttosto.»
Hanma fece un sorriso storto. Prese una sigaretta e l’avvicinò alle sue labbra.
«Immagino tu non voglia parlarne.»
«Immagini bene. Accendi.»
Avvicinò l’accendino. Kisaki, con la sigaretta stretta tra le labbra, poggiò le mani sulle sue. E per un breve istante si guardarono negli occhi. Kisaki poi si allontanò lentamente e sospirò. Nicotina, ringraziando il cielo. Hinata credeva che avesse smesso, invece si limitava a farlo di nascosto. Adesso era quiete. Adesso era tutto perfetto. O quasi.
«Sai cosa? È che io non ti capisco, Kisaki. È chiaro che questo matrimonio non può funzionare. Giuro, non ho mai visto una coppia più male assortita di voi due.»
«Mi sembrava di averti appena detto che non voglio parlarne» lo interruppe subito Kisaki. Hanma era l’unico abbastanza coraggioso (o stupido, a seconda dei casi) da dirgli in faccia quello che pensava senza temerlo. Hanma sorrise. In modo un po’ strano, quasi con amarezza.
«Non avevo capito fossi innamorato. Non sei mai stato un tipo sentimentale.»
«Stai continuando a parlarne.»
Kisaki fece per avvicinare la sigaretta accesa al suo braccio, per bruciarlo e magari zittirlo davvero. Hanma però fu più veloce. Strinse il suo polso, lo bloccò. Kisaki gemette appena, ma non si mosse.
«Andiamo, non essere crudele. Non puoi permetterti questo atteggiamento. È da me che vieni, quando con lei non va bene. È da me che ti fai scopare. E dimmi, Hinata sa che la tradisci con il sottoscritto? Oh, quante cose le nascondi? Oltre a maltrattarla. Quella povera ragazza vive in una bellissima gabbia dorata, ma è pur sempre una gabbia. Lei lo sa che la bella casa in cui vivete l’hai acquistata con soldi sporchi? Ah, bei tempi quando eravamo entrambi dei delinquenti. Ma poi ti sei tirato fuori per amore. Sempre che questa cosa strana sia amore. Tu che dici?»
Adesso Hanma sembrava stare delirando. Kisaki si era tirato fuori dalla malavita, dalle gang, nel momento in cui aveva intrapreso una relazione con Hinata. O almeno, questo era quello che aveva raccontato lei, perché aveva in realtà continuato a farne parte fino al matrimonio. Poi, onde evitare problemi e seccature varie, si era allontanato e ora fingeva di vivere come una persona comune, con un lavoro normale e un matrimonio normale. Poteva darla a bere agli altri, di certo non ad Hanma.
«Si può sapere che cazzo ti prende? Ti sei drogato, forse? Io non sono venuto qui per sentirti chiacchierare.»
Hanma corrugò la fronte. E lo baciò. I loro non erano mai baci dolci e delicati, ma ruvidi e possessivi. I vetri degli occhiali si appannavano, le mani si cercavano per strapparsi i vestiti e per graffiarsi e farsi del male. In quel gioco assurdo spesso faticavano a capire chi fosse la vittima e chi il carnefice. Hanma si staccò dal bacio e lo fissò.
«È per questo che sei venuto qui, no? Avanti, guarda le cose come stanno. Hai sposato la persona sbagliata.»
«Zitto. Sta zitto. Tu non capisci. Io amo Hinata, lei è mia» sibilò furente, gli occhi infiammati. Cosa poteva saperne lui del sentimento bruciante che provava per Hinata sin da quando erano bambini? Lui l’amava in modo disperato. In modo un po’ diverso dalla normalità. Ma non era lui il colpevole. Erano gli altri a non capire. Hanma spalancò gli occhi. E poi sorrise.
«Però, Kisaki. Mi avevi quasi convinto, in caso mi avresti spezzato il cuore. Forse è vero che la ami, in modo molto strano e malato. Aspetta a interrompermi, non ho ancora finito. Ma so che ami anche me, altrimenti non torneresti tutte le volte. Lei è la persona che hai scelto di avere, l’hai voluta a tutti i costi, tanto da uccidere perfino il suo fidanzato. Io invece sono la persona che non hai scelto di avere, ma che ti è sempre stata destinata. Bizzarro, vero?»
Hanma era terribilmente loquace quella sera. A Kisaki non piaceva. A nessuno piaceva quando la verità ti veniva sbattuta in faccia.
«Mi fai venire la nausea. Cosa ti aspetti? Che lasci Hina e la mia vita perfetta per stare con te? Troppo complicato.»
Hanma afferrò il suo viso con una mano. E strinse. Avrebbe potuto trovare in qualcun altro. un sostituto di Kisaki. Ma in verità Kisaki non era sostituibile. Era una devozione viscerale quella che provava per lui, ammirazione e un pizzico di ossessione. Lo amava in un modo che non aveva niente a che fare con l’amore comune. Quelli come lui e Kisaki non erano in grado di amare in modo normale, ecco perché dovevano stare insieme.
«Ti fai sempre desiderare. Mi fai impazzire.»
Kisaki si scostò dalla sua presa facilmente. Hinata sarebbe tornata. Loro erano sposati finché morte non li avesse separati.
 
 
«Allora, cosa vuoi fare? Hai intenzione di denunciarlo? Possiamo farlo subito, se vuoi.»
Naoto sapeva che avrebbe dovuto essere cauto, ma non riusciva a trattenere l’impazienza e il nervosismo. Hinata stava seduta di fronte a lui, le mani poggiate in grembo, un po’ tremante. Aveva paura, ma era anche decisa ad andare avanti per la sua strada. Arrivata a quel punto non aveva scelta.
«In questo momento voglio solo riprendermi, sono ancora spaventata» sussurrò, accennando un sorriso. Naoto si chinò su di lei e le poggiò una mano su una spalla.
«Scusa, hai ragione. Sono solo incazzato, con lui e con me stesso. Ma adesso ho il potere di fare qualcosa. Non dovrai tornare da lui. Potresti anche divorziare, così non avreste più niente che possa legarvi.»
Hinata lo guardò negli occhi, si morse il labbro, colpevole. Era come se stesse cercando di rivelare un segreto a Naoto, ma senza usare le parole.
Come se volesse dirgli qualcosa c’è eccome.
Naoto non capì come fece a intuirlo. Forse un sesto senso.
«Hinata… non dirmelo. Di quante settimane?» domandò in un sussurro. Hinata abbassò lo sguardo.
«Sei» disse, con una punta di dolcezza. Aveva sempre voluto un figlio. Quando aveva sposato Kisaki, aveva immaginato che un giorno avrebbero avuto due o tre bambini da crescere. Ma vista la situazione, mettere al mondo un figlio sarebbe stato egoistico da parte sua. Anche quella gravidanza non era stata cercata. Hinata non aveva avuto né il coraggio di dirlo a suo marito, né il coraggio di abortire. Naoto si passò una mano tra i capelli, pallido in volto come se avesse visto un fantasma. Sua sorella aspettava un figlio da quel folle di Kisaki. Avrebbe dovuto tenerlo di conto, in effetti.
«Oh. Accidenti… amh… tu… insomma…»
«So cosa vuoi chiedermi. E so che è una follia e che crescere un figlio da sola non è facile.»
«E sai anche che è figlio suo» aggiunse Naoto. Hinata chiuse gli occhi.
«Ma è anche mio e io lo voglio.»
Quando Naoto la sentì pronunciare quelle parole, capì che Hinata non avrebbe cambiato idea. Non aveva potere in quel caso, era una decisione che spettava a lei.
«In qualsiasi caso, ti aiuterò io» affermò, tremando appena per la tensione. Se sua sorella aveva deciso di tenere il bambino, lui sarebbe stato lì per lei. Era finito il momento di attendere. Hinata gli sorrise e afferrò le sue mani. Sussultarono entrambi quando sentirono lo stridio dato dal campanello. Hinata si irrigidì. Doveva trattarsi di Kisaki.  Naoto le fece segno di non preoccuparsi. Di sicuro non l’avrebbe toccata fin quando ci sarebbe stato lui. Dopo pochi istanti, Tetta Kisaki era davanti a lui, l’espressione più calma, ma lo sguardo attento. I due – Kisaki e Naoto – non si erano mai piaciuti.
«Hina… torniamo a casa» le sussurrò, in tono caldo e gentile. Lo stesso tono che usava tutte le volte per irretirla, riuscendoci. Hinata, in piedi, strinse i pugni tanto forte da conficcarsi le unghie nei palmi.
«Non verrò con te questa volta. Non posso… sarei un egoista.»
Kisaki assottigliò lo sguardo. C’era qualcosa che Hinata stava omettendo, qualcosa che era sul punto di dire, senza però riuscirci.
«So quello che hai fatto, Hinata mi ha detto tutto» disse a quel punto Naoto. «Non la lascerei comunque tornare da te.»
«Oh, non immischiarti, Naoto. Ci hai sempre provato. Ma non puoi riuscirci, capisci? Nessuno può.»
Hinata si fece forza e s’intromise tra i due. Una sorta di scudo per proteggere Naoto. Anche se lei in quel momento si sentiva così fragile. Eppure era guidata da un istinto tutto nuovo.
«È una mia decisione. Non tornerò a casa con te. Io… non posso mettermi in pericolo ancora una volta. Né me né il bambino che porto in grembo.»
Naoto spalancò gli occhi, stupito. Hinata lo aveva detto e nessuno dei due sapeva che reazione aspettarsi da Kisaki. Quest’ultimo, dopo qualche istante di smarrimento, sorrise.
 «Oh, Hina. Sei incinta? Questa è una bellissima notizia. A maggior ragione dovresti tornare a casa con me. Solo io posso prendermi cura di te, di voi.»
Fino a quel momento Naoto si era trattenuto. Ma niente poté impedirgli di colpire Kisaki in viso con un pugno.
«Naoto!»
Kisaki era caduto sul pavimento. Avvertiva un sapore acre di sangue in bocca.
«Tu non sei capace di prenderti cura di nessuno» disse Naoto. «Non rovinerai ancora la vita alle persone che amo. Vattene e… Hinata, trattienimi o giuro che potrei ammazzarlo con le mie mani.»
Naoto sembrava molto poco in sé. Non era riuscito ad essere ragionevole fino alla fine, ma come avrebbe potuto. Con le lacrime agli occhi, Hinata guardò Kisaki.
«Va, ti prego.»
Era già tutto troppo doloroso così. Non voleva assistere ad altra violenza. Sorprendentemente, Kisaki si alzò, non sembrava far caso al sangue che fuoriusciva dal naso.
«Non finirà così. Tornerò. Tu sei mia moglie, Hina. E la madre di mio figlio, quindi è con me che dovrai stare. Lo so che mi ami.»
Forse era vero, pensò Hinata. Ma amava molto più sé stessa, oramai.

N.D.A
Kisaki è tipo il mio personaggio super preferito di Tokyo Revengers e lo shippo molto sia con Hinata che con Hanma. Non era proprio il tipo di idea che avevo all'inizio, però è andata così. Doveva essere una OS, invece la dividerò in due capitoli, altrimenti sarebbe venuta troppo lunga e non avevo voglia di tagliare parti. Spero di aver reso giustizia ai vari personaggi, in effetti è la prima volta per me. Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto e che spero vogliate leggere anche il seguito (;
Nao
   
 
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