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Autore: carachiel    09/02/2023    1 recensioni
Forse il loro rapporto finirà così, pondera, riavvicinati al punto da essere inseparabili, fino a penetrare l'uno nell'altro fin sotto la pelle, spaccandosi le ossa e distorcendosi i muscoli nel processo, per poi accorgersene solo quando sarà ormai troppo tardi per tornare indietro.
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Faker e Byron, un'escursione in montagna, dovrebbe andare tutto bene. Dovrebbe.
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Questa storia partecipa alla “Headcanon Challenge” indetta dal forum Siate Curiosi Sempre.
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Byron Arclight/Tron, Dr Faker
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sometimes I Feel Like Screaming




"Heaven wouldn't be so high, i know
if the times gone by hadn't be so low
The best laid plans
Come apart at the seams
And shatters all my dreams"
Sometimes I feel like screaming, Deep Purple





Quando Byron torna una seconda volta – stavolta di nuovo sé stesso e non più con i panni, ormai troppo stretti, di Tron –, Faker è convinto che tra loro sia finita qualsiasi cosa sia mai iniziata.
E gli starebbe bene così: si sono perdonati, nei limiti del possibile, i rapporti tra le rispettive famiglie si sono appianati e sarebbe più che felice di non rivederlo mai più. Eppure, per qualche motivo ignoto, non solo l'altro non scompare, ma anzi, sembra farsi sempre più insopportabilmente presente alla sua porta e nella sua vita, come se fosse il posto a cui naturalmente appartiene, a cui vuole ritornare senza neppure un motivo specifico, come un cane esageratamente testardo nella sua fedeltà al padrone.
E Faker è nauseato da ciò non meno di quanto è nauseato dalla faccia dell'altro, un promemoria involontario degli errori commessi e quel che è peggio, perfettamente inconsapevole di tale effetto, già sufficientemente amplificato da Tron. Un promemoria alto un metro e ottanta e ancora dotato di un certo fascino, ma non per questo meno sgradevole, si ripete Faker ogni volta che ne osserva – con conseguente alzata di occhi al cielo – il sorriso e quello sguardo limpido per cui non può fare a meno di provare invidia e un briciolo di sospetto.

Ricomincia a lavorarci a fianco senza sapere bene il perché, forse perché a conti fatti è ancora troppo giovane per andare in pensione, non importa quanto lo desideri, e in parte per una sorta di ripicca, nella speranza che quella routine monotona che per anni li ha accomunati li allontani, perché ormai le cose sono cambiate e non sono più le stesse persone di prima.
E invece constata, non senza un certo grado di amarezza, che la loro routine scorre tranquillamente e che, come due ingranaggi ben oliati, ancora si incastrano perfettamente in essa. Evidentemente si sbaglia: forse non importa quanto le cose cambiano, ce ne sarà sempre una gran parte che rimarrà beffardamente uguale a prima, nonostante il suo sospetto che vi sia un fine più grande, dietro a quel riavvicinamento così improvviso. Allo stesso modo quella routine che doveva allontanarli non fa altro che riavvicinarli, capovolgendo le prospettive.
E Faker si ritrova allo stesso modo, nonostante tutto, a riaffezionarsi a lui, al modo in cui gli lascia sempre del lavoro da ricontrollare in più perché sa che lo rassicura, al modo in cui gli parla, privo di sorpresa, come se non fossero stati separati neppure un giorno invece che cinque anni, spesi in una guerra intestina in cui hanno rovinato inevitabilmente sé stessi e le rispettive famiglie, ai suoi modi pacati da gentiluomo d'altri tempi, persino al modo in cui gli prepara il caffè. Eppure non può fare a meno di temere che sia tutta una montatura accuratamente studiata per riguadagnarsi la sua fiducia e che, al momento opportuno, quando avrà ormai abbassato la guardia, si ritroverà venti centimetri di acciaio piantati nelle scapole.

Di conseguenza, quando una mattina d'estate Byron gli propone con leggerezza di andare a fare una gita, il giorno successivo, non può fare a meno di esserne quantomeno insospettito.
"Certo non penserai di restare chiuso nel laboratorio per tutto il resto dell'estate a schiattare di caldo!"
"Aria condizionata" risponde seccamente, stringendo le labbra in un'unica linea sottile. "Per non parlare del fatto che, non so se ti sei visto allo specchio di recente, ma hai un pallore che fa spavento" replica Byron allungando il dorso della mano per confrontarle e effettivamente Faker può constatare che rispetto a quella del collega, dotata di un bel colorito dorato, la propria sia ben più pallida, al punto che se ne possono intravedere le linee verdi bluastre delle vene risaltare sotto la pelle, quasi come fosse carta di riso.
"Come se contasse, tu ci passi le ore davanti..."
"E inoltre hai mangiato di recente? Perché...–"
Un solo cenno seccato è abbastanza da zittirlo, nonostante Faker sappia fin troppo bene che vorrebbe continuare ma non ha intenzione di concedergli un simile vantaggio.
"Apprezzo la tua preoccupazione" replica in tono gelido "ma credo di stare piuttosto bene e soprattutto di essere ancora in grado di badare a me stesso."
"Allora ti passo a prendere domattina alle sette" risponde con l'ennesimo, snervante, sorriso.

Il viaggio è lungo e Faker si sorbisce le chiacchiere del collega per la maggior parte del tempo, domandandosi come faccia ad avere un tale desiderio di parlare a quell'ora e roteando gli occhi mentre replica monosillabici e poco entusiasti "ah", "sì, certo", "che meraviglia" di tanto in tanto, nella speranza di farlo zittire e lasciarlo solo coi suoi pensieri, a fissare il paesaggio scorrere sotto i suoi occhi stanchi, variando sempre più mentre si allontanano da Heartland e si inoltrano nelle campagne. A un certo punto è quasi certo di essersi addormentato, perché ricorda di aver rialzato la testa e notato che avevano abbandonato la superstrada per una tranquilla stradina di campagna, costeggiata da alti prati verdi, con Byron che apparentemente è ancora impegnato in un appassionato resoconto di un qualche articolo scientifico o chissà che altro e non dà segni di aver notato il suo silenzio.

"Siamo arrivati" annuncia in tono ben più felice di quanto Faker possa sopportare, parcheggiando il veicolo.
"Alleluia" replica seccamente, scendendo con un notevole scrocchio di ossa "Sono troppo vecchio per questo..."
"Su che ne è valsa la pena, guarda che bel panorama!" replica in tono insopportabilmente leggero, indicandogli con un ampio gesto teatrale tutt'intorno.
"Sì, sì, bellissimo" dice, deciso a non dargliela vinta.
Ma, nonostante le sue acredini, non può fare a meno che il posto è veramente bello, con il sole ormai alto che illumina le montagne circostanti coperte di abeti, che si diradano poi in un ampio prato e rispecchiandosi nel liquido specchio delle acque del lago immediatamente antistante.
"Mi ricorda le colline del Galles" replica Byron mentre si incamminano, lo sguardo perso in ricordi distanti e Faker mentre lo segue ha l'impressione netta di essere tornato cinque anni indietro, più giovane e illuso di quanto non possa dirsi in quel momento, a guardare le spalle di un uomo che di lì a breve avrebbe mandato a morire per un fine più grande.
E che, non appena si volterà, lo ucciderà.
Ingoia quel pensiero assieme al brivido che corre lungo la sua schiena, e segue ubbidentemente l'altro lungo uno dei sentieri che si diramano dalle rive del lago. È un sentiero stretto, costeggiato da piante di cui Byron mormora distrattamente il nome e che Faker non afferra – un vago promemoria che ancora non sa il latino – e da cespugli bassi, man mano sostituiti da alberi sempre più alti, al punto che si perdono alla vista e le loro chiome formano un cielo verde e luminoso tra cui di tanto in tanto passa qualche timido raggio di sole sotto cui, sul terreno, si crogiolano fiori multicolori.
Si fa strada lentamente per il sentiero a passi incerti, le gambe doloranti già dopo poco, a ricordargli le conseguenze di ore seduto al computer e un'attività fisica pressoché inesistente mentre Byron, probabilmente molto più in forma, lo ha già staccato di svariate centinaia di metri, voltandosi di tanto in tanto a guardarlo.
E Faker soffoca l'impulso di mandarlo a quel paese, lui e quell'idea balzana, perché non ha abbastanza fiato per farlo senza rischiare l'asfissia, finendo col pensare che non gli sembra tanto una cattiva idea, o quantomeno, priva di inutili spargimenti di sangue.
"Stai bene?" domanda quando lo raggiunge. Faker non risponde, scegliendo accuratamente di non guardarlo neppure, limitandosi a andare avanti.

Arrivati a una radura dove si incrociano altri sentieri Byron si ferma e si guarda attorno per un istante, per poi infilarne uno con passo sicuro e Faker lo segue. Non sa dove stiano andando e in realtà neppure gli importa davvero, considerando che più di una parte di lui vorrebbe solo farla finita con quella pagliacciata e tornare al laboratorio, dove ha lasciato del lavoro in sospeso, il che minaccia di farlo impazzire.
Continuano a camminare lungo il sentiero senza incontrare nessuno, costeggiando una muraglia di roccia che emerge da sotto le radici di un albero, che nel passare degli anni si sono avviluppate intorno alla stessa, senza alcun segno di volerla lasciare andare, fino a penetrare nella stessa, spaccandola.
Forse il loro rapporto finirà così, pondera, riavvicinati al punto da essere inseparabili, fino a penetrare l'uno nell'altro fin sotto la pelle, spaccandosi le ossa e distorcendosi i muscoli nel processo, per poi accorgersene solo quando sarà ormai troppo tardi per tornare indietro.

Si allontana da quei pensieri scuotendo la testa e forzando il passo in un'andatura più sostenuta, intervallata dalle stilettate di dolore alla gamba destra, vago promemoria che dovrebbe decisamente fare più attività sportiva.
"Stavo pensando che potresti fare nuoto con me" afferma Byron come se avesse il dono di leggergli nella mente.
Faker si immagina per un breve istante sé stesso in costume da bagno, i capelli a malapena strizzati sotto una cuffia, a tremare di freddo mentre dall'altro capo della vasca Byron attira sguardi rapiti mentre emerge con grazia dall'acqua, i capelli perfettamente raccolti in uno chignon che libera con unico fluido gesto, per poi cancellare con veemenza tale scenario.
"Mai nella vita."
"E una partitella a tennis?" domanda, con una punta di speranza nella voce.
"Non saresti all'altezza nemmeno se mi sdraiassi" replica tagliente e quando vede la sua espressione contrarsi, un'ombra negli occhi color miele, sa di aver colpito nel punto giusto.
Eppure non gli dà la soddisfazione che vorrebbe, il fatto di averlo colpito nell'autostima solo per zittirlo, ma preferisce evitare di pensarci, evitare di guardarlo e continuare ad andare avanti.
Camminano per un po' in silenzio finché non si ritrovano in una piazzola che a Faker sembra di aver già visto e quando vede l'altro scrutare i dintorni con aria incerta tale dubbio muta rapidamente in certezza.
"Abbiamo fatto il giro?" domanda.
"A quanto pare... Eppure ero sicuro che avessimo continuato a camminare in linea retta, e non in tondo."
"Forse abbiamo solo sbagliato strada" replica, indicando un altro sentiero che, al contrario dell'altro, sembra inerpicarsi su per un fianco della montagna.
"Tentar non nuoce" dice e, di comune accordo, si avviano lungo il pendio.
L'aria si fa via via più fresca man mano che salgono e Faker si ritrova a maledire l'idea di indossare una maglietta a maniche corte che ha avuto quella mattina, strofinandosi i palmi contro le braccia.
Tuttavia, nonostante le previsioni ottimistiche, ben presto il sentiero si restringe fino a sparire, venendo ben presto sostituito da ciuffi d'erba, allo stesso modo degli alberi, ritrovandosi a sbucare in un grande prato.
"E adesso?" domanda Faker guardandosi attorno, una mano alzata per ripararsi dal sole.
"Immagino saremo sbucati sul prato che vedevamo da giù" replica.
"Allora vediamo di riprendere il sentiero" borbotta e si incamminano di nuovo verso gli alberi.
Tuttavia neanche stavolta riescono a ritrovare il sentiero che avevano percorso fino a quel momento e si ritrovano una ventina di minuti nel bel mezzo di un'ennesimo sentiero alberato assolutamente anonimo e senza un'idea precisa di dove siano esattamente.
"Torniamo indietro" replica Byron con snervante calma.
"Indietro dove? Almeno sai da quale parte proveniamo?" domanda Faker, che inizia a essere leggermente spazientito da ciò.
"Ovvio, da..."
"Lì!"
"Là"
Inutile dire che stanno indicando due direzioni esattamente opposte.
"Arrenditi, ci siamo persi" replica Faker, sedendosi di peso su un tronco per grattarsi la puntura di un insetto sullo stinco.
"Non ci siamo persi, basta prendere di riferimento il lago o il prato e saremo perfettamente in grado di tornare a valle."
"Fantastico, se solo vedessimo anche solo uno di questi due posti" risponde alzando una spalla mentre l'altro si guarda attorno. Difatti, come affermato da Faker, sotto di loro si vedono solo alberi, dalle fronde talmente fitte che coprono la visuale attorno. E, per quanto riguarda il prato, Byron non era più nemmeno sicuro di dove potesse essere rispetto a loro.
"Forse ci siamo persi" ammette.
"Non vedevo l'ora di perdermi in un dannato bosco..."
"Almeno non sei solo" replica stringendosi nelle spalle.
"Chi ha parlato?"
Byron non replica e così proseguono, nella speranza di incrociare qualche passante che gli possa dare un'indicazione per tornare a valle. Tuttavia il sentiero, se così si può chiamare, su cui stanno camminando resta non solo desolantemente deserto, fatta eccezione per qualche uccello che di tanto fa capolino tra i rami e di una biscia che corre a nascondersi nell'erba, ma ad un certo punto inizia a salire ancora di più, risultando in un dislivello quasi verticale.
"Non dovremmo tornare a valle?" replica Faker che, malgrado la calma mantenuta fino a quel momento, sta iniziando ad avvertire un briciolo di paura. Se il piano dell'altro era davvero sbarazzarsi di lui, doveva ammettere che si trattava del piano più astruso mai realizzato. E, nonostante ciò, il suo timore di voltarsi solo per ritrovarsi una lama ben piantata fra le scapole assume improvvisamente contorni ben più reali.
"Se arriviamo in cima, forse troveremo anche la strada per scendere."
"Ci sono troppi 'se' in questa frase" rimbecca e Byron si stringe nuovamente nelle spalle.

Tuttavia, malgrado le più cupe previsioni di Faker, di cui metà li vedeva morti di stenti o sbranati da qualche animale selvatico, alla fine riescono in qualche modo ad arrivare alla cima, che si rivela essere uno spiazzo assolato che si affaccia sulla vallata sottostante.
Ovunque vi sono solo alberi, una sequela di tonalità differenti di verde che contrastano col lago sottostante, di un bel color acquamarina e immobile come il mercurio. E più in alto c'è solo un cielo sereno, in cui poche nuvole bianche sono sospinte attraverso l'orizzonte da un refolo di vento, unico indizio di movimento in quello scenario che pare incastonato nei secoli, destinato a non mutare mai.
Non avrebbe saputo dire se una sorte del genere sarebbe stata più una fortuna o una maledizione.

Si avvicina lentamente al bordo, a passi corti e misurati e guarda giù, appena consapevole degli occhi di Byron su di lui, troppo concentrato a guardare un minuscolo sassolino rotolare oltre le sue scarpe impolverate e cadere giù, nell'abisso di quelli che sono forse mille, millecinquecento metri di dislivello.
Non un salto nel vuoto, tuttavia: sotto ci sono alberi, erba e terreno solido. Faker chiude gli occhi e si immagina per un momento solo di saltare – o di essere spinto, non fa differenza – in quell'abisso verde. Immagina la sensazione di cadere senza alcun peso, i secondi prima dell'impatto e poi il suo corpo spezzato e lacerato venir ritrovato, col grido di orrore di chi sarà così sfortunato da vederlo. Byron se ne sarà già andato, quando lo riporteranno indietro per le esequie.
Non che gli importerebbe in realtà di avere un funerale, da ateo preferirebbe essere messo direttamente sotto terra a decomporsi in pace e via, con buona pace di chi resta. Non gli interesserebbe avere attorno gente che piange e si strappa i capelli, l'intera città di cui è stato fondatore in un tempo ormai lontano che ne ricorda la scomparsa, e Kite e Hart – a quel pensiero, solo a quello, il suo cuore si stringe fino a fomentargli una sensazione di soffocamento – stretti attorno alla sua bara. Spera che non piangano, perché lui non merita lacrime, non ne ha mai meritate. Non è mai stato una brava persona, una di quelle che aiuta le vecchiette ad attraversare la strada, i gattini a scendere dagli alberi, che separano sempre la spazzatura per la raccolta differenziata, la carta con la carta, il vetro con il vetro e le bucce di mela in un secchiello a parte, ché quelle sono sempre buone per fertilizzarci i gerani.
E non lo sarà mai.
Intanto Byron guarderà dalla soglia della chiesa, pensa, in quel suo abito di impeccabile sartoria, forse italiana, che gli calza come una seconda pelle e quel sorriso a labbra strette, appena accennato sul viso altrimenti immobile.
Faker lo definisce – o lo aveva definito, non ha più importanza – un sorriso da sfinge, con quella stessa aria imperturbabile e affascinante che rendeva impossibile capire cosa stesse pensando realmente e che tante volte lo aveva fatto impazzire. Il sorriso di un morto.

E stavolta è il suo turno di riaprire gli occhi, guardare di nuovo giù e sorridere.
È un bel posto per morire.

"Che stai facendo?" domanda Byron, strappandolo alla sua stessa immaginazione.
"Come se non lo sapessi" replica Faker cupo, facendo un passo indietro e voltandosi a fronteggiarlo.
Se succederà, a questo punto preferisce prendersi una coltellata in petto piuttosto che alle spalle.
"No, io non credo di star capendo" risponde con aria innocente, stringendo le braccia dietro la schiena e Faker lo odia ancor di più, se possibile, perché è stanco, troppo stanco e vorrebbe solo urlare.
"Andiamo, uccidimi e falla finita con questa sceneggiata. Mi hai portato qui per questo."
"Perché dovrei fare una cosa simile?" replica, guardandolo fisso, al culmine dello sbigottimento.
"Non lo so. Forse perché mi odi, perché ti ho rovinato la vita, ti ho spedito in un'altra dimensione e..."
"E ti ho salvato" replica piano, avvicinandosi per guardarlo e Faker lo odia nuovamente, perché non riesce a leggere altro in quegli occhi chiari che non sia affetto e accettazione, invece che il livore e l'odio che si aspettava. E che sarebbe infinitamente più facile da affrontare, se sente di meritarselo.
Preferisce abbassare lo sguardo.
"Che c'entra?"
"Lo rifarei, mille altre volte se necessario" dice, facendo un altro piccolo passo avanti, al punto che Faker può sentire il profumo della sua acqua di colonia "e so che non è facile fidarti di me dopo tutto quello che è successo, ma vorrei che facessi e lo avessi fatto. Che mi avessi detto la verità su Hart, che non ti fossi tenuto tutto dentro solo perché sei troppo testardo per accettare aiuto. Ma lo accetterai, ora?"
"Perché vuoi aiutarmi?" replica Faker, umettandosi le labbra secche. Nonostante tutto, non riesce a capire il perché di una richiesta simile, soprattutto ora, dopo che gli ha sostanzialmente ammesso che lo odia.
"Forse perché te lo meriti. Forse perché voglio dimostrarti che posso farlo" replica, con tutta la tranquillità possibile.
Potrebbe negare.
Potrebbe continuare a dirgli che non è così, a fornirgli mille prove per le sue argomentazioni eppure sa che è tutto inutile.
Potrebbero restare ore a discutere sul ciglio di quel burrone e sa che non si smuoverebbe di un centimetro, restando lì con quello stesso sguardo, lo stesso che gli ha rivolto mentre lo salvava dalla sua stessa arma, durante il crollo della torre di Heartland, pieno di comprensione e di qualcos'altro che non sa identificare, ma che detesta.
"Ora capisci perché non potrei alzare neanche un dito su di te?" domanda, poggiando gentilmente la mano sul suo braccio, e quel breve contatto, amplificato dal calore della sua mano contro la sua pelle fredda è abbastanza per farlo rabbrividire.
Alza gli occhi ed è stupito a trovare gli occhi dell'altro umidi. E, in quel momento, realizza.
Tornano a valle in silenzio, senza guardarsi.




Mors non una venit, sed quae rapit ultima mors est.
La morte non viene una volta sola, ma quello che porta via è il momento estremo della morte.
(Lucio Anneo Seneca)




Angolo Autrice:
Tralasciando che questa doveva essere parte della raccolta ed è diventata una shot a sé stante, tralasciando che sto scrivendo questa postilla col telefono quasi scarico, tralasciando che sono le due e io sono morta di sonno e dovrei davvero andare a dormire, volevo dire che la storia si fonda sul prompt "Chi dei due ha un pessimo senso dell'orientamento?", gentilmente fornito dal forum Siate Curiosi Sempre, che ringrazio come sempre per gli spunti, ringrazio chi recensirà e ci si ribecca!
   
 
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