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Autore: lady capuleti    10/02/2023    0 recensioni
[Le indagini di Lolita Lobosco]
San Valentino è peggio di un complicato rompicapo lavorativo per Lolita.
Qualcuno, tuttavia, si impegnerà a fondo per aiutarla a scioglierlo.
(Lolita x Angelo)
Genere: Angst, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Del nostro immenso, giovane amor
 
 
Lolita mise il naso fuori ed il fresco le investì il viso. Si lasciò la questura alle spalle, quell’edificio che era ormai divenuto la sua casa considerata la quantità di tempo che vi trascorreva all’interno.
Antonio Forte la accompagnò all’auto, assicurandosi che vi entrasse senza commettere deviazioni e ne sorrise, come sempre. Sorrise di quel sorriso che solo lui riusciva a strapparle, perfino quando tutto fuori pareva cupo, oscuro.
 
«Divertiti Lolì, buona serata!»
 
«Lo sarà sicuramente, Antò... ho Primo che mi aspetta a casa!»
 
«Primo?» chiese lui scettico con un sopracciglio inarcato. Lolita sorrise.
 
«Primo... il mio Primitivo di Manduria che mi aspetta a casa!» chiarì marcando maggiormente l’accento barese, e quel sorriso divenne... triste.
Forte rise, ma lo fece per non scontentarla; aveva notato il suo mutamento d’umore, ma la loro amicizia funzionava in quel modo. Lei avrebbe parlato solo se avesse realmente voluto farlo, altrimenti sarebbero rimasti sguardi, complici invero ma pur sempre sguardi.
 
Lolita fece un giro in macchina con la radio spenta, godendosi il silenzio.
Fu tentata dal tirar giù il finestrino ma quel giorno inspiegabilmente faceva molto freddo a Bari e l’aria gelida di febbraio le fece venire nostalgia della sua casa, del calore, del rosso del vino e delle lenzuola stirate.
La sua casa vuota, senza Danilo.
 
Parcheggiò al solito posto.
Avrebbe potuto chiamare sua madre, ma perché rovinarle quella serata con il suo amato Trifone; si sarebbe comportata da bambina, e bambina non lo era già da un po’.
Era cresciuta in qualche strano modo, e per qualche strana ragione il tempo era trascorso rapidamente.
Avrebbe voluto chiamare suo padre, ma era morto da anni e non v’era modo alcuno per mettersi in contatto con gli spiriti.
La sua casa gli parve improvvisamente... confortevole; forse l’assenza di Danilo non gravava così tanto sul suo umore, non come lo faceva la sua presenza dopo i vari attriti.
Si sedette sul divano, quella giornata era stata sfiancante, e lasciando andare la testa all’indietro si rese conto del dolore alla cervicale, di quanto quei nervi tirassero forte fin quasi a manifestarsi per mezzo di un leggero mal di testa.
Socchiuse gli occhi, avrebbe potuto perfino addormentarsi in quella postura, con indosso ancora i vestiti da lavoro e le scarpe col tacco alto.
Avrebbe potuto, appunto... un’idea che dovette abbandonare sentendo il campanello suonare.
A fatica si tirò su, le faceva male anche la schiena ma si sforzò di mantenere una postura eretta mentre andava ad aprire.
Forse era sua madre, di ritorno dal suo appuntamento in Apecar con Trifone; forse era Marietta che voleva trascinarla in un folle jogging notturno; forse era Danilo, di ritorno dalla Svezia, che si era accorto di amarla più del suo lavoro.
O forse... era Angelo Spatafora, con una bottiglia di vino in mano, ed una camicia che le ricordava molto quei naviganti gentiluomini dall’aria snob. Si mostrò sorpresa ma nemmeno fino in fondo; non avrebbe dovuto prendere un aereo per tornare da Stoccolma come Danilo d’altronde, gli sarebbe bastato attraversare la strada per raggiungerla.
 
«Il vino ce l’ho... potevi portare qualcosa da mangiare, già che c’eri...» lo stuzzicò, fingendo di aspettarsi che sarebbe passato.
Fingendo... sì. Nemmeno fino in fondo.
 
«Cos’hai in frigo? Qualcosa di commestibile?»
 
«Due fette di prosciutto. Poi ho del pane di Altamura, una crema di carciofi... e i lampascioni. Credi che possa bastare?»
 
«Ce li faremo bastare»
E se li fecero bastare per davvero.
Consumarono quel pasto povero fatto di pane e prosciutto, i lampascioni a forchettate, la crema di carciofi spalmata e gustata alla brutta, e il vino che Angelo aveva portato, un Negramaro consumato in due bicchieri che sarebbero stati più consoni per l’acqua.
La bottiglia aveva raggiunto la metà quando Angelo riempì nuovamente i bicchieri.
 
«Non ti facevo tipo da festeggiare San Valentino!»
 
«Perché, siamo fidanzati io e te?»
La domanda parve prenderla alla sprovvista mentre mandava giù due lunghe sorsate di vino; si affrettò a scuotere la testa, come se avesse appena udito la più grossa delle stupidaggini.
 
«Ecco. Non stiamo festeggiando San Valentino, stiamo solo cenando insieme... la sera di San Valentino!»
 
«Quindi stiamo festeggiando San Valentino!»
 
«E quanto sei noiosa Lolì, devi sempre etichettare tutto... manda giù, bevi che ti fa bene!» la esortò, bevendo a sua volta per cancellare l’imbarazzo.
Un imbarazzo che, malcelato, viveva tra loro due come un terzo incomodo sin da quando erano ragazzi.
La musica che dapprima era stata solo sottofondo divenne d’un tratto interessante. Doveva esser partita la playlist di Modugno, e quando la udì Lolita interruppe il sorso sul nascere ed abbandonò il bicchiere sul tavolino del soggiorno.
 
«Se non siamo fidanzati puoi invitarmi a ballare lo stesso?» lo canzonò lei dondolando una gamba avanti e indietro, forse già brilla per il vino.
 
«Com’... tanto femminista, e poi mi fai queste domande? Invitami tu!» la esortò Spatafora con un gesto della mano ed anche quella reazione la lasciò perplessa, interdetta, pur con un sorriso manifesto sul volto ancora truccato.
Si mise in piedi, la testa le girava leggermente ma lo ignorò.
Lisciò la stoffa dei pantaloni chiari, poi quella della camicia di raso marrone e schiarendosi la gola allungò una mano verso di lui in un implicito e silenzioso invito a danzare con lei. Il tutto pareva così macchiettistico da far sorridere entrambi; si sentivano ridicoli, ma in maniera così spontanea e quasi infantile da potervi passar sopra.
Angelo prese la sua mano e si alzò anche lui con una leggera difficoltà, la testa che vorticava appena. Si muovevano pur mantenendo una discreta distanza fisica, lui le teneva le mani e tentava di dar un ritmo che però lei non parve seguire, sforzandosi di condurre quel goffo ballo.
Partì Nel Blu Dipinto di Blu e Lolita emise un urletto di approvazione... forse dovuto al vino, o forse al suo sentirsi a proprio agio.
«Volare, oh oh... cantare, oh oh oh... nel blu, dipinto di blu... felice di stare lassù...» duettarono intervallando quei momenti con passi di danza di dubbio gusto.
E continuarono a cantare l’intero brano tra sussurri e tonalità più elevate, tornando al passato ormai andato, agli ulivi, al mare, alla brezza. E quel ballo divenne meno timido, i loro corpi vennero catapultati qualche anno addietro alla spensieratezza di due giovani ragazzi che vivevano la cosa più semplice del mondo: il primo amore, quello che non si scorda mai.
Mai, appunto.
E fu poi il turno di Tu Si ‘Na Cosa Grande, e poi di Meraviglioso, e la distanza tra i loro corpi divenne sempre minore; cantavano, sì, le sapevano a memoria sebbene tentassero ancora di prevalere l’uno sull’altro nel condurre durante quel ballo.
Lolita si liberò perfino dei tacchi e sebbene sembrasse ancor più bassa non parve importargliene.
 
Giovane Amore dissipò ogni ombra, ogni timidezza.
Angelo scivolò con le braccia cingendo la sua vita e tenendola stretta; Lolita teneva gli avambracci posati lungo le sue spalle e nascondeva le labbra sul dorso della mano, guardando un punto indefinito al di là della sua figura.
Era così difficile rimaner distaccati tenendo conto del titolo di quel brano e del fatto che entrambi conoscessero alla perfezione il testo.
Angelo dapprima la canticchiò al suo orecchio, senza parole, solo il motivetto; giunto al ritornello, tuttavia, ripeté quelle parole che fuoriuscivano dallo stereo con convinzione e mestizia.
 
«... con te... me ne andrò... in quest’alba... meravigliosa... verso... vecchi sentieri... del nostro immenso... giovane amore...»
 
Le braccia di Lolita scivolarono a cingergli il collo e lui la strinse più forte. C’era la giovinezza, l’infatuazione, ma anche una strana consapevolezza più adulta in quel contatto.
Lolita respirò il suo profumo: sapeva di buono, di colonia e sudore; odore di maturità, di vita vissuta, quell’odore quasi acre che Danilo non avrebbe mai avuto.
Il suo fiato le colpiva dolcemente l’orecchio, facendola rabbrividire; quel fiato che da ragazza avrebbe voluto sentire sulla sua pelle, baci che aveva sognato con ricorrenza nelle notti d’estate, al mare e non solo.
La canzone era finita, almeno quella; il momento pareva sfumato, o forse no.
 
«Ti fanno male i piedi, mazza di scopa
Lolita allontanò il volto quel tanto per guardarlo negli occhi, inasprendo lo sguardo.
 
«Non chiamarmi così! Pretendo le tue scuse!»
 
«Non ti chiederò scusa...»
 
«Angelo, na m fa ‘ngazzà...» ribattè cercando di rifuggire il suo abbraccio ed il suo sguardo, eppure lui la strinse ancor di più contrastando i suoi deboli tentativi.
Deboli come furono quelli dello sguardo, che ricadde nuovamente nel suo come attratto da una calamita invisibile.
 
«... E dai non ti arrabbiare... e guardami, non fa così!» la incalzò lui poco prima, ed i loro nasi si scontrarono.
 
Quella calamita di riflesso calò sulle loro labbra, che da ambo i lati si cercarono e si trovarono.
E Lolita in quel bacio ritrovò l’ossigeno, come se qualcuno avesse respirato intenzionalmente nella sua bocca con forza per riportarla in vita. Si sentì davvero viva, priva di quelle briglie che fino ad allora l’avevano tenuta inchiodata alla realtà.
Quella era la realtà. Faceva male, ma un male piacevole, come i suoi canini che si chiudevano intorno al labbro con forza mista a desiderio. Le sue mani sparirono tra quei capelli neri striati leggermente di grigio ed umidicci, le dita li strinsero con forza mentre con le labbra tentava di sormontare quelle di lui in un disperato desiderio di dimostrargli quanto anche lei avesse desiderato esser baciata così da lui.
I palmi delle mani di Angelo si schiacciarono tra i suoi capelli per tenerla più vicina, sciogliendo così l’acconciatura nel quale erano rimasti stretti tutto il giorno. Le dita di Lolita corsero frenetiche liberando il suo corpo dall’impedimento della camicia, posando pieni palmi sul suo petto per sentire il calore della sua pelle.
Anche la sua camicia raggiunse il pavimento, e con uno scatto si ritrovò tra le sue braccia, le gambe strette intorno al suo bacino per non cadere rovinosamente in terra.
Ma lui non l’avrebbe fatta cadere. Non l’aveva mai fatta cadere.
 
Il tragitto fino alla camera da letto fu breve, quasi quanto il tempo che ci mise la sua cintura a sciogliersi ed i pantaloni a finire in terra insieme a quelli di lui.
Quando si distese ed i loro corpi entrarono in contatto, Lolita riuscì a sentire quel cuore battere con forza, ancora vivo e pronto a dimostrarlo... proprio come il suo.
Quelle mani tornarono quelle di due giovani ragazzi che per la prima volta incontrano la passione; si esploravano con lente e ingenue carezze, e con una tenerezza quasi bambinesca.
Lolita rideva come non aveva mai riso prima d’allora; rideva per imbarazzo, o forse semplicemente per la pura gioia di tornare a provare un sentimento.
 
Lolita ci ripensò sorridendo, più tardi, distesa sul suo letto e ancora in compagnia di Angelo.
Avevano trascorso minuti in completo silenzio, l’aria scandita solo dai loro respiri ancora accelerati, e dal frusciare delle lenzuola sotto alle quali si erano rifugiati nudi ed inermi.
Angelo le stringeva la mano con forza e la teneva stretta a sé, forse temendo che potesse da un istante all’altro sfuggirgli... come era già successo. Come un fulgido déjà-vu.
Era rimasta inchiodata sotto quel corpo maturo che per anni si era ritrovata a ricordare con sincera nostalgia; si era lasciata amare senza riserva, mischiando il sudore col suo mentre quel fiato caldo ricopriva ogni centimetro della sua pelle insieme all’umido contatto delle sue labbra.
E aveva gridato il suo nome, Lolita... aveva tentato di trattenerlo in ogni modo, ma a differenza dei suoi sospettati le era sfuggito.
 
«Dobbiamo ringraziare Domenico Modugno...»
 
«...hm...» mugugnò lei fingendo disapprovazione. «...se fosse ancora vivo lo arresterei, quel delinquente!» si finse seria, arricciando le labbra, anche se il forte accento barese che le sfuggì la fece somigliare più ad una strana caricatura.
Angelo rise contro la sua spalla cogliendone il lato ironico mentre lei si ritraeva quasi debolmente, solleticata dal piacevole pizzicare della barba contro la pelle.
 
«Di solito odio San Valentino...»
 
«... a chi lo disc...»
 
«Di solito, ho detto. Quest’anno un po’ di meno!»
Lolita ruotò il capo, quasi colpita da quelle parole che intravide stranamente sincere; ritrovò il suo sguardo, e con le dita giocò con i suoi capelli corvini.
Lui non sciolse la stretta, non mostrò neppur la minima intenzione a volerlo fare; chinò il capo quel tanto che gli permise di rubarle un leggero bacio a fior di labbra, e Lolita ritrovò l’ossigeno, ancora una volta.
 
«Beh, mo’ dormiamo però... domani mattina vado in questura, mica stiamo a Natale...» lo esortò, buttandola sul gioco per dover superare l’imbarazzo di quel momento.
Tornò a dargli le spalle accoccolandosi contro la sua schiena bruna e sentì nuovamente il suo fiato caldo contro il collo.
Casa, pensò mentre socchiudeva gli occhi, chiedendosi se anche lui stesse facendo la stessa cosa.
 
«Possiamo dormire insieme pure domani? Anche se non è San Valentino?»
Lolita sorrise, arricciando le labbra.
 
«Può darsi, mo’ vediamo!» rispose fingendosi disinteressata, ma quel sorriso si aprì maggiormente sul suo volto fin quasi a donarle un’espressione dolcemente inebetita.
 
«Buonanotte, mazza di scò» lo sentì sussurrare, ed in quel momento non si arrabbiò per quel soprannome perché di arrabbiarsi con lui non aveva il minimo desiderio.
Forse era un’idiota, una completa idiota, ma preferiva quella tregua tra loro al consueto combattere per prevalere sull’altro.
Sì, forse era idiota, ma voleva concedersi anche lei quell’intontita stupidità che il San Valentino sembrava scatenare negli individui; per pochi istanti e nulla più, non si oppose al sentimento e si lasciò cadere in quel sonno profondo fatto di promesse ed antichi fuochi.


 
__


NOTE DELL'AUTRICE: Ciao a tutti, devo ammettere che ultimamente San Valentino sta avendo su di me uno strano impatto, sarà il non riuscire a vivere questa festività come vorrei... insomma, sento tanto amore ma quando lo vedo riflesso sugli altri. 
Per chi segue Lolita Lobosco... io mi sono innamorata del personaggio di Lolita, e Luisa Ranieri la interpreta magistralmente. Io ovviamente sono team Angelo, e so già che mi darà delle delusioni e mi farà soffrire, ma sono emotivamente preparata a questo. 
PS: all'interno della storia sono inseriti chiari riferimenti a brani di Domenico Modugno, in particolare uno cioè Giovane Amore (un verso è anche il titolo della one shot). 
PPS: in alcuni punti può sembrare ci siano errori di grammatica, ma ho cercato di imitare quanto più fedelmente possibile alcuni modi di dire in barese o comunque espressioni dialettali. Se non vi tornano, segnalatemelo tranquillamente.

Vi abbraccio,
LC
   
 
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