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Autore: A_Typing_Heart    11/02/2023    0 recensioni
Due morti accidentali identiche. Dubbi, sospetti e insabbiamenti. Una chiesa che cela gelosamente i suoi segreti e i suoi tesori. E una richiesta silenziosa che Mikaela, sopravvissuto a una pericolosa setta, non può lasciare inascoltata.
* segue Il Vampiro di West End *
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Crowley Eusford, Ferid Bathory, Krul Tepes, Mikaela Hyakuya, Yūichirō Hyakuya
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La spada di Dio'
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Mika lanciò un’occhiata ai campi grandi quando passò davanti alla finestra. Non aveva più visto Ferid da quando era uscito dalla camera quella mattina annunciando che “andava a combattere contro l’ostinazione della terra a non voler nutrire l’uomo” – frase che l’aveva fatto ridere a crepapelle. Non vide alcun riflesso argento sulle teste dei lavoratori del campo, impegnati a raccogliere qualcosa di maturo o a rivoltare la terra a mano con una vanga.

Col caldo che faceva, era molto felice di essere impegnato tra cucina e coro. Lasciò la finestra mentre un pensiero gli increspò le sopracciglia sottili.

Spero non si sia sentito male e sia in infermeria… un piccolo lord come lui si può anche far male sotto il sole con degli attrezzi in mano. Forse dovrei parlare a Nereus e dirgli che è un lettore accanito, che potrebbe essere utile per organizzare la biblioteca…

La porta dell’ufficio di Nereus era aperta e lo sentì parlare dal corridoio. Si avvicinò con cautela, ma non colse altre voci: doveva essere al telefono. Dalle sue rispose e dal tono stressato, qualcuno gli dava brutte notizie. Dopo un silenzio denso sospirò affranto.

«Sì, ho capito… ho capito. Verificherò che cosa posso ricavare e ti faccio sapere… ma noi non stiamo spendendo in frivolezze, padre Maim potrebbe essere un po’ più comprensivo…»

Non udì risposta, ma doveva essere stata tassativa.

«Sì, ho capito. Ti richiamo la prossima settimana.»

Rimise a posto la cornetta con più energia del necessario ed emise un ringhio a denti stretti.

«Il coro di Ashby non ha bisogno di tuniche nuove a ogni stagione concertistica, che diamine! Sono cinquanta membri, oltretutto, che spreco di risorse…»

Sospirò e la sua sedia cigolò.

«Signore, perdona la mia facile collera. Dovrei darmi da fare a risolvere il problema invece di fare i conti in tasca alla chiesa di padre Maim.»

Mika si stampò un sorriso in faccia mostrandosi sulla soglia e bussò sull’architrave, ma l’uomo lo aveva già visto. Si teneva un dito sulla tempia come se premesse sul foro da cui spillava il suo malcontento.

«Buongiorno, Mikael… ti prego, dimmi che non ti occorre un altro quaderno.»

«Stia tranquillo, Padre, mi basterà per molto tempo… mi chiedevo se avesse un momento per parlare.»

Nereus lanciò un’occhiata all’orologio da polso e si alzò dalla sedia.

«Devo prendere una cosa dal mio alloggio e parlare con Lebanah di certe spese, ma se è una questione breve possiamo scambiare due chiacchiere camminando.»

«Certo. È sempre molto impegnato ultimamente… va tutto bene?»

«Sì, certo. Ci sono delle questioni… revisioni, ecco» spiegò vago lui, rifuggendo lo sguardo. «In questo periodo dell’anno padre Maim richiede a tutte le comunità dell’Acqua di presentare un resoconto spese e introiti, è tutto qua… niente di cui vi dobbiate impensierire.»

Mente… qualcosa nei conti della comunità non torna. Forse lui o qualcun altro fa sparire del denaro? Potrebbe esserci sotto un crimine finanziario. Bisognerebbe dare un’occhiata a quei conti…

«Sorella Lebanah è quella che tiene i conti?»

«Io e lei, sì… insomma, lei si preoccupa di verificare che quello che compriamo abbia prezzi in linea con quello che possiamo spendere e segna ogni ricevuta, e io faccio una verifica periodica… quindi possiamo dire che è lei che lo fa, io non avrei tempo di insegnare né di essere pastore se dovessi fare i conti per una tenuta così grande da solo.»

«Nessuno aiuta Lebanah? Sembra tanto lavoro per una persona soltanto…»

«Si accorda con i singoli responsabili… per esempio, Maddalena fa la spesa e tiene l’inventario alimentare, Abel segna le spese per i novizi… credo si faccia dare delle liste parziali e poi faccia i suoi conti. Sa quello che fa, prima di arrivare qui teneva i conti di uno studio associato…»

L’ex fiamma di Ferid fa la ragioniera. Se non stesse con Crowley oserei dire che erano la coppia perfetta di nerd, un libraio e una ragioniera…

Tuttavia l’insidioso posizionamento di quella regina bloccava una strategia che sarebbe stata molto valida: piazzare Ferid, con la sua piccola esperienza di gestione del negozio, nell’ufficio contabilità. Sarebbe stata una mossa eccellente… se solo non fosse capitata lì, tra tutti i conventi e monasteri del mondo, proprio una donna che era stata a scuola con Ferid.

Stessa scuola… e purtroppo Ferid non è uno che passa inosservato, con un accento britannico che all’epoca doveva essere inconfondibile e dei capelli color argento. Bisognerebbe essere stati strafatti per tutto il tempo per non ricordare anche solo vagamente un compagno così particolare in una scuola cattolica.

Erano appena scesi nell’atrio quando il fracasso di un grosso motore turbò la quiete rurale di Bluefields. Ebbero appena il tempo di scambiarsi un’occhiata perplessa che un coro di esultanza si levò da qualche parte in direzione del campo grande. Senza parlare i due allungarono il passo giù per le scale e uscirono dall’uscita posteriore, la più vicina ai rumori.

Un trattore con imponenti ruote – di colore verde brillante intaccato da uno sprazzo di ruggine su un lato ma inequivocabilmente funzionante – marciava lungo il sentiero verso il gruppo di lavoratori assegnati al campo grande. Quando il frastuono del motore e la corsa del veicolo si arrestarono lo sportello fumé venne aperto e saltò giù dalla cabina di guida l’ultima persona al mondo che Mika si sarebbe aspettata di veder guidare un automezzo agricolo.

Ferid sorrise, appoggiò il gomito contro la gomma e si sfilò un paio di frusti guanti da lavoro. Nereus restò a bocca aperta e Mika non riuscì a non sorridere.

E dice a me di tenere un basso profilo!

«Allora… chi di voi sa usare questo bambino?»

Nel gruppetto un paio di ragazzi alzarono la mano timidamente, altri due levarono il braccio in aria con più convinzione.

«Io, ho fatto il bracciante in una fattoria in Kentucky.»

«Anch’io, i miei hanno una fattoria qui nel West Virginia, vicino Welch.»

«Nel capanno dietro l’infermeria è pieno zeppo di strani aggeggi per gente tosta come voi» disse loro Ferid, e diede una pacca alla gomma del trattore. «Mi intendo di motori, non di attrezzi. Andate a vedere se abbiamo qualcosa che assomigli a un aratro che si possa usare?»

La notizia entusiasmò parecchi dei presenti e i due con più esperienza salirono sul trattore per tornare al capanno. Altri cinque o sei si misero in marcia sul sentiero principale nella loro scia, eccitati dalla speranza di meccanizzare almeno una fase del loro lavoro.

Ferid venne verso di loro. Teneva gli occhi sul padre spirituale anche mentre rispondeva a qualcuno dei novizi che si congratulavano per la sua impresa e gli allungavano una pacca al merito. Nereus riuscì a fatica a chiudere la bocca; era troppo chiedergli di non sgranare gli occhi così tanto.

Ormai balla nel palmo della tua mano… come poliziotto sei pessimo, ma a sedurre maschi non c’è gara.

«Lo so, dovevo essere qui a zappare la terra sotto il sole… ma nella mia opinione il mio amico lassù mi ha dato un cervello perché lo usassi, se no sarei una scimmia che adora brandire le zappe, non trovi?»

Secondo Mika Nereus aveva in testa fin troppe idee, ma di sicuro il rimproverarlo per la sua indisciplina non era tra quelle. Stando alla sua attenta analisi del linguaggio del corpo i suoi problemi più imminenti sembravano riguardare l’outfit di Ferid, che pur consistendo in una t-shirt, dei pantaloni da lavoro color verde militare e un paio di vecchie scarpe dalla suola spessa incontrava il suo gusto in modi che faticava a controllare. O forse – si accorse solo dopo di una fugace occhiata – a infiammarlo era la sottilissima striscia di pelle chiara che emergeva tra la cinta consumata e la maglietta annodata di lato.

«Cosa… dove… come…?»

«Qualche aggiunta sarebbe gradita, o potrei andare fuori contesto nelle mie risposte.»

Gioca meglio al gatto col topo che a scacchi, devo dire.

Ma anche se avesse voluto fargli qualche segnale di non esagerare Ferid non lo guardava; era come se non ci fosse nessun altro tranne lui e Nereus. Il fatto che non staccasse gli occhi da lui surriscaldava il cervello di quel povero pastore di anime in modo allarmante.

«Io… intendevo… da dove sono arrivati questi? Sono tuoi?»

«Ah, i vestiti? No, no. Li ho presi dalla lavanderia.»

Tirò l’orlo della maglietta abbastanza perché gli si vedesse l’ombelico per qualche secondo. Mika si accorse per la prima volta che aveva l’ombelico chiuso; non lo aveva mai notato, se mai gli era capitato di vederlo prima. Una rapida occhiata bastò ad appurare che anche Nereus l’aveva guardato e stava stringendo il crocifisso così forte che le nocche gli stavano sbiancando.

«Ieri prima di colazione ho gironzolato un po’ e ho guardato dentro il capanno… la catena è arrugginita e si è rotta, quindi era aperto. Quando ho visto il trattore ho pensato che forse potevo sistemarlo e facilitare il lavoro a tutti, e sono andato a cercare qualcosa da mettermi che potessi anche rovinare. Una sorella molto gentile con i capelli raccolti mi ha dato questi, ha detto che ne hanno un po’ in un armadietto in lavanderia.»

«Hai… aggiustato tu il trattore?»

«Beh, direi di sì, sembra che funzioni bene» fece lui, e si voltò a guardare il bestione verde in lontananza. «Per fortuna non serviva nessun ricambio speciale, solo una ripulita e una stretta qui o là… se i ragazzi trovano almeno un paio di attrezzi in buono stato possiamo seminare tutti i campi grandi e magari raccogliere in pochi giorni… potrebbe farci scorta per la comunità o potremmo rivenderlo, se i prezzi sono buoni.»

Ferid tornò a guardare Nereus e gli sorrise.

«Hai dei progetti per cui servono dei soldi, no? Potrei prendere quei ragazzi e tutti quelli che sanno qualcosa di lavori agricoli e controllare tutte le attrezzature nei capanni… dopotutto questa era una piantagione. Se riuscissimo a rimettere in piedi il trattore e i suoi accessori… in fondo, noi lavoriamo per la comunità, possiamo dire che la manodopera è a costo zero. Puntare sul terreno potrebbe essere vantaggioso.»

«Ah… io… non saprei. Purtroppo non so niente di fattorie, io stesso sono pessimo nel curare le piante.»

«Hai tante persone qui con te, Nereus, non ostinarti a fare tutto da solo» lo rimproverò Ferid. «Così fallirai.»

Nereus si rabbuiò e abbassò gli occhi. Mika non ne capiva il motivo ma leggeva chiaramente la vergogna nei suoi tratti. Ferid non gli lasciò lo spazio per sentire qualcosa che non fosse lui, e gli sollevò il mento per incrociare lo sguardo di nuovo.

«Senti, Nereus, può non piacerti l’idea, ma Bluefields è un’impresa» insistette con un tono più morbido. «Come credi che faccia padre Maim a farla fruttare tanto, la sua chiesa? La monetizza come un’impresa qualunque. Ha trovato quello che aveva che nessun altro ha: il suo carisma, un eccellente coro, e punta su quelli per guadagnare. Ora, che cosa ha Bluefields che non ha né Ashby, né Saint Barthelemy né Bay Plaza?»

Mika aveva finalmente capito dove stesse andando a parare. Aveva capito il suo piano, che era molto più raffinato di una seduzione carnale e in definitiva molto più efficace. A quel punto sapeva come dargli man forte, quindi alzò lo sguardo verso il campo grande.

«Il terreno» replicò quando Nereus esitò. «Ashby è una cittadina turistica di interesse storico… San Francisco e Nashville sono grandi città, ma Bluefields è una comunità in una zona rurale distante da grandi centri abitati. Essendo stata una piantagione ha un enorme appezzamento di terreno agricolo.»

Ferid annuì.

«Per prima cosa dobbiamo ridurre l’importazione il più vicino possibile allo zero. Dobbiamo arrivare al punto in cui la produzione di Bluefields copra del tutto il fabbisogno dei membri della comunità, per via diretta e con la vendita dell’eccesso.»

«Che cosa… Connor, ti prego, non essere assurdo.»

«Non lo sono affatto» replicò lui secco. «Ti sto presentando un business plan a grandi linee. Il terreno è la risorsa di Bluefields, e abbiamo un trattore che funziona. Se riusciamo a trovare gli attrezzi che venivano usati con quello possiamo coltivare i terreni su tutta l’estensione con la spesa d’investimento di fertilizzante e semi.»

«Non sappiamo se questi attrezzi esistono» ribatté il pastore, cocciuto. «Non credi che sia prematuro?»

«Quei capanni sono pieni di aggeggi che servivano quando quest’area era ancora coltivata!»

Ferid emise uno strano sibilo spazientito e afferrò Nereus per il braccio, trascinandolo diversi passi lungo il sentiero prima che riuscisse a fare resistenza.

«Ehi!»

«Vieni con me a vedere quei capannoni, Nereus! Guarda con i tuoi occhi, usa tutti gli occhi di questa comunità, usa ogni competenza di ognuno di noi, e solo dopo parla di assurdità, se ancora crederai che sia impossibile!»

«Tu… tu non capisci!»

Ferid smise di tirarlo. Gli lanciò un’occhiata che fece credere a Mika che si fosse accorto anche da solo che Nereus aveva qualcosa che non andava. Qualsiasi cosa nascondesse sotto quella revisione dei conti doveva preoccuparlo molto.

«No, non capisco… quindi vieni con me. Andiamo a vedere l’altro capannone prima del borgo» gli disse più dolcemente, e la stretta scese dal gomito fino alla mano. «E parliamo di quello che ti fa paura… dove non ci sentirà nessuno a parte Dio.»

L’argomento fece breccia, perché anche se Nereus non rispose seguì Ferid verso i campi. Mika rimase dov’era, a chiedersi di quanta manipolazione fosse capace un uomo che quando l’aveva conosciuto era fragile come una barchetta di carta nell’oceano.

 

***

 

Crowley si rendeva davvero conto di come si cambiasse durante la carriera da poliziotti quando, appena lasciato l’ufficio del coroner, si fermava a comprare da mangiare: agli inizi nella squadra omicidi era già difficile che riuscisse a mangiare qualcosa lo stesso giorno di una visita all’obitorio.

Salì in macchina, valutando che avrebbe avuto tutto il tempo di pranzare prima di presenziare all’interrogatorio del caso Loneport. Gabriel aveva istruzione di telefonare subito se l’avvocato fosse arrivato in anticipo, ma non aveva ricevuto neanche un sms pubblicitario nelle ultime due ore. Una mattinata tutto sommato tranquilla.

«Che hai preso?»

Sussultò appena e un momento dopo la sua pistola era quasi incollata alla faccia di Ismael sul sedile accanto al suo. Sospirò, esasperato.

«Ma che cazzo fai, Ismael? Ti potevo sparare!»

«Dovrei essere io a chiederti che cazzo fai, ti sembra? Mi potevi sparare!»

Crowley roteò gli occhi, inserì la sicura e rinfoderò la pistola sotto la giacca. Fu allora che con la coda dell’occhio notò che la mano di Ismael scivolava a fare lo stesso con una pistola di piccole dimensioni – quella che nei film gialli di vecchia data era chiamata “pistola da borsetta” – sotto la sua stilosa casacca che sembrava un kimono blu scuro.

«Sali armato nella mia macchina di servizio, sei matto?»

«Avanti, lo sai per chi lavoro, quindi posso anche girare armato… so che eri dal coroner, ma a me non piacciono i cadaveri nudi su tavoli di metallo, quindi ho pensato di aspettarti fuori.»

«E di spararmi per rubarmi il pranzo?»

«Mh. Mi hai dato un’idea» ironizzò lui, e come un procione goloso scartocciò il sacchetto. «Ma prima ho un messaggio per te. Da Pepper.»

Crowley, che stava per mettere in moto, schiacciò male la frizione e la macchina ebbe un fiacco sussulto prima di spegnersi.

«Che cosa c’è, così presto? È successo qualcosa?»

«Mi ha detto di dirti che ha rimesso in moto un trattore più vecchio della tua carretta, e che persino quello che ammuffiva in un capannone era messo meglio del tuo cesso.»

«Ehi!»

«Non prendertela con me, ha detto lui di usare la parola cesso» protestò Ismael, appropriandosi di uno dei panini. «Io sono rimasto sconvolto dal fatto che abbia sistemato un trattore, piuttosto!»

«Beh… io no. È un bravo meccanico, questo lo sapevo…» fece, mettendo finalmente in moto senza esitazioni. «Ma un sacco pieno di sé.»

Ismael ghignava quando affondò i denti nel panino, ma pochi istanti dopo fece una smorfia e sollevò il pane come se si aspettasse di trovarci dentro una rana morta o un groviglio di larve.

«Ma che è questa merda?» bofonchiò, senza osare inghiottire.

«Il mio pranzo. Crema di avocado e hamburger di patate e verdure con pane al farro.»

«Oh mio Dio» mugugnò, ricacciandolo nel sacchetto. «Ci vuole del disincrostante per wc per ingoiare questa roba, che cazzo…»

«Morirai giovane, Ismael, se continui con queste sceneggiate. O perché ti collasserà il corpo o perché qualcuno ti sparerà veramente.»

Come Crowley si aspettava emise un verso strozzato quando, dopo aver attinto al suo bicchiere, ingoiò il tutto.

«Ma che cos’è, in nome di tutto ciò che è sacro in India?!»

«Succo di aloe vera.»

«Succo di che cosa?!» fece lui, con una buffa voce stridula. «Se vuoi ammazzarmi sparami come stavi per fare prima, lo preferisco!»

Non riuscì a trattenere del tutto l’ilarità.

«Che drama queen

«Pensi che valga veramente la pena di vivere qualche anno in più, se devi ingoiare questa roba per farlo?»

«Sì, certo» rispose Crowley, sorridendo. «Finché avrò Ferid varrà la pena di fare qualsiasi cosa per vivere anche un solo minuto in più.»

A conferma del suo titolo di drama queen Ismael roteò vistosamente gli occhi enfatizzando con il movimento della testa, poi sbatté la fronte più volte contro il finestrino.

«Come fate voi due ad avere sempre una smanceria di calibro 500 Magnum da sparare quando vi si fa una domanda sull’altro? Come? Come, mi chiedo! Non vi si sopporta, mi fate venire voglia di piangere!»

Crowley tentò persino di mordersi la lingua, ma non riuscì a non ridere, e più rideva più Ismael infieriva con i suoi commenti esasperati in un tremendo circolo vizioso. Dopo due isolati Crowley fu costretto ad asciugarsi gli occhi quando si fermò al semaforo; non riusciva più a vedere chiaramente la strada.

«Sme-smettila, Ismael… non vedo dove vado se mi fai ridere così…»

«Vai in paradiso, bastardo salutista, ecco dove!»

Crowley strinse la mano sinistra sul volante e il pugno destro davanti alla bocca nel tentativo di dissimulare, ma si accorse lo stesso che stava ancora ridendo. Tentò invano di schivare un pizzicotto in un punto insidioso che gli fece fare uno scatto involontario così brusco da fargli piantare il gomito sul clacson. Lo sguardo di due dozzine di persone tra passanti e automobilisti si puntò su di loro e il tenente fece del suo meglio per sorridere e fare un gesto rassicurante.

«Basta scemenze, Ismael, siamo sull’auto di pattuglia e tu non dovresti nemmeno salirci… non attiriamo l’attenzione più dell’inevitabile.»

«Sì, sì» borbottò lui, improvvisamente annoiato, come spento. «Accosta a sinistra, dopo l’edicola.»

«Per fare cosa?»

«Devo prendere qualcosa di unto e cancerogeno da mangiare… e darti la lista delle richieste di Pepper.»

Qualche minuto dopo Crowley mangiava il suo panino vegano seduto a un tavolino, scorrendo accigliato un foglietto al di là del quale Ismael si stava ingozzando di enchiladas e di inquietanti peperoncini ripieni, facendo finire salsa al formaggio ovunque come un bambino di sei anni.

«Cioè… Ferid vuole davvero sapere se si guadagna di più dalla vendita dell’orzo o del mais?»

«Mh-mh.»

«Ma perché vuole sapere cose del genere?»

La lista includeva una richiesta della stima dei costi di alcuni attrezzi agricoli e di prezzi di mercato di diversi cereali; anche se Crowley era cresciuto in fattoria non era in grado di rispondere se non con una dose di approssimazione che poteva rasentare l’errore grossolano. Sugli usi delle macchine o sui tempi di maturazione di certe colture era preparato, ma per conoscere i valori di mercato ci voleva qualcuno che facesse di mestiere il contadino, come suo cugino Nathaniel.

«Uhm… beh, Bluefields era una piantagione, tempo fa, quindi ha molto terreno… credo che Pepper stia cercando un modo di sfruttarlo per far guadagnare la chiesa.»

«Credevo dovesse indagare sulla droga o altri crimini, o il riciclaggio agricolo è nella vostra lista?»

«Ohi, noi non abbiamo nessuna lista, sono i federali che vogliono metterci il naso.»

«Sai cosa intendo» tagliò corto Crowley. «Ti avrà detto qualcosa, oltre a insultare la mia macchina!»

«Quello che ho detto: mi ha detto che ci sono ottime potenzialità e che conta di rendere autosufficiente Bluefields con il raccolto estivo.»

«E tu non hai pensato di domandargli perché pensasse di doverlo fare?»

«No, perché io ho capito da solo che cosa sta cercando di fare.»

Gli lanciò uno sguardo affilato, ma preferì mantenere la calma.

«È troppo disturbo per due geni come voi spiegare qualcosa a un povero tenente di polizia?»

Ismael buttò giù un enorme boccone con abbondante cola ghiacciata e dopo essersi guardato intorno emise un rutto soffocato con la mano.

«Quello che Pepper sta facendo è mettere tutta Bluefields in debito con lui. Si sta mettendo in una posizione dalla quale esercitare un enorme potere… a livello psicologico, perché gli devono molto in termini di gratitudine, e a livello economico perché se si mette al centro dello sviluppo di questo progetto e lo coordina diventerà una figura indispensabile.»

Crowley guardò il foglietto, profondamente colpito.

«Ferid è davvero intelligente… ecco perché gioca a scacchi con Mikaela. Io vedo solo ciò che è stato da quello che ho davanti, ma lui è capace di vedere cosa succede dopo. Non avrei mai potuto fare niente di utile per lui, anche se fossi corso là.»

«Certo che no. Limitati a essere di supporto e non fare l’eroe» ribatté Ismael. «Fornisci le informazioni e tieni buono quell’Ichinose. Pepper ha tutto sotto controllo. L’hai sentita Betsy, no?»

Crowley si accigliò.

«Chi è Betsy?»

«Krul Bosley.»

«E perché accidenti la chiami Betsy?»

Ismael sembrò riluttante a rispondere, ma poi scrollò le spalle.

«Per il grembiule… mi ha ricordato una fornaia, nostra vicina di casa quando ero bambino… si chiamava Betsy Klupper, e aveva un grembiule come quello. Anche lei era bassa di statura… ma pesava, credo, cinque volte Krul Bosley.»

Crowley rise brevemente e guardò ancora la lista. Non aveva tempo per occuparsene con quattro agenti vacanti al dipartimento, ma se a Ferid servivano quelle informazioni gliele avrebbe trovate a ogni costo.

«Ismael, devi telefonare a Florence, su a Eanverness.»

«Io… che?»

«Mi spiace, ma devo tornare al volo in ufficio e sono occupato fino a questa sera, visto che mancano agenti. Li conosci anche tu: chiama a casa e parla con Florence, è lei che si occupa della parte contabile della fattoria. Dille che ho bisogno di questi riferimenti per verificare la storia di un indiziato, lei sa che non posso raccontare i dettagli e non te li chiederà. Così sono certo che li troverà subito e sarai pronto quanto Ferid ti richiama.»

«Puoi sempre chiedere tu domani, e se ha da fare? Insomma, mi ha visto una volta sola.»

«Per tre mesi» gli fece notare il tenente, accartocciando il sacchetto vuoto. «Sei stato seduto in cucina con nonna Susan e Flo a parlare di sceneggiati tv e a fare l’uncinetto per tutto il tempo, non fare la lagna.»

«La fai sembrare un’attività intima.»

«Sei tu che ogni volta che cercavo di portarti via dicevi che stavi facendo family building. Dai, Ismael, non sei il tipo che si imbarazza di telefonare a sconosciuti. Ti ho visto portartene uno dentro il bagno di un pub e limonartelo!»

«Sono calunnie, chi te lo ha raccontato?»

«L’hai fatto con me, cretino» commentò secco Crowley. «Sei il referente, no? Devi essere pronto quando Ferid richiama. È al timone e deve avere tutto quello che serve per mantenere la sua rotta.»

«Ah, ora ti fidi ciecamente?»

«Mi fido sempre di lui… è della gente che ha intorno che spesso non mi fido. Ma questa volta sono molto lontano da lui e, come quando era in Inghilterra, devo contare che sappia difendersi da solo… e che Mikaela lo difenda dai pericoli che non riesce a vedere.»

Crowley lanciò la carta appallottolata nel bidone e si alzò.

«Quando li senti di nuovo, digli che prego per il loro ritorno… perché mi mancano.»

Ismael sospirò.

«Devo dirgli davvero questa sdolcinatezza?»

«Sì, perché a te fa ribrezzo, ma a loro no.»

Lui alzò le spalle e si attaccò alla cannuccia della cola, Crowley salutò con la mano e risalì in auto per tornare al lavoro. Mise in moto e accese la freccia per segnalare che intendeva immettersi sulla carreggiata, ma mentre aspettava via libera gli passò accanto un giovanotto su una bicicletta elettrica con un cestino stracolmo di tulipani colorati.

Gli balenò in mente la freddezza con cui Ferid aveva accolto il suo ultimo omaggio, quello a cui pensava non avrebbe resistito. Per un attimo si chiese se anche le sue preghiere sarebbero state accolte con diffidenza… ma durò soltanto qualche minuto, il tempo che ci mise a tornare alla sua scrivania per prendere la cartella Loneport.

La foto nella nuova cornice nell’angolo della sua scrivania ritraeva quattro sorrisi allegri, appartenenti a quattro persone intorno a un tavolo di formica carico di bibite e cibo da fast food come non ne vedeva da parecchio. La figura che riconosceva come un vecchio se stesso con un assurdo costume peloso era circondata da uno spadaccino con i capelli argentati, un ragazzo biondo con buffe antenne e uno moro vestito da diavoletto femmina, immortalati poco dopo una terrificante abbuffata di grasso e colesterolo.

Con un sorriso più sicuro prese la cartellina che gli serviva e uscì dall’ufficio, a fare l’eroe nel modo in cui gli competeva farlo, per le persone che davvero avevano bisogno che fosse lui a proteggerle e servirle. Le persone nella foto erano tutte capaci di salvarsi da sole e salvare anche altri, come avevano fatto con lui.

 

***

 

Ferid sentì i rintocchi della campana e seppe che era più tardi di quanto pensasse. Si accigliò e continuò a mormorare mentre sfogliava veloce le pagine del volume aperto sul tavolo, diventando più nervoso via via che passavano i secondi senza trovare il capitolo che stava cercando, e batteva un tempo sempre più rapido con la punta della matita.

«Eccoti.»

Aprì per bene la pagina, lesse quelle facciate e le due successive in poco meno di un minuto e si appuntò numeri, date e qualche parola chiave su un foglio già zeppo di appunti sconclusionati. Chiuse il libro e lo infilò nello spazio rimasto vuoto sullo scaffale, infilò il foglio volante dentro il suo quaderno e marciò fuori dalla biblioteca senza che l’anziano che la presidiava alzasse neanche gli occhi da una frusta copia della Bibbia.

Non riuscì a stare in pace per più di due secondi; infatti aprì il quaderno e riportò i numeri in una tabella accurata e ordinata che occupava varie pagine. Non si accorse di essere raggiunto da due ragazzi finché uno di loro non gli batté sul braccio.

«Ehi!»

Dopo averli guardati in faccia Ferid tornò dalla sua dimensione di calcoli matematici.

«Oh, eccovi qua.»

«Ci hanno detto che ci stavi cercando!»

«Sì, infatti. Facciamola breve: voi due siete i miei uomini. Siete il mio consiglio di amministrazione agricolo, mi sono spiegato? Come vi chiamate?»

«Io sono John.»

«Anche io sono John.»

Ferid si fermò in mezzo al corridoio e si girò lentamente a guardare in faccia prima uno e poi l’altro. Entrambi avevano un sorriso un po’ incerto e uno di loro si grattò la testa di corti capelli castano rossicci in imbarazzo.

«Mi state prendendo in giro, voi due?»

«No… io sono Jonathan, ma siamo quattro cugini con lo stesso nome, quindi Joe, Johnny, Nate e John, che sono io.»

«E tu, sei il quinto cugino?»

«Ahahah… no, ma mi chiamo Jonathan anche io, quindi…»

Ferid sospirò, poi puntò la matita verso il John con i capelli rossicci e l’ombra di lentiggini.

«Tu sei quello che ha la fattoria a Welch?»

«No, è lui.»

«Bene, quindi tu sei Welch» fece, indicando l’altro. «E tu sarai… Lucky.»

Il ragazzo si grattò di nuovo i capelli, perplesso, ma entrambi ripresero a seguire Ferid quando continuò a camminare nel corridoio.

«Ehm, perché Lucky…?»

«Fa rima con Kentucky, così ti associo al posto giusto. Voi due mi potete chiamare Pepper.»

«Pepper?»

«Avevo capito che ti chiamassi Connor…»

«I miei amici mi chiamano tutti Pepper. Anche mio fratello, quindi va bene così.»

Mentre i suoi nuovi amici acconsentivano, Ferid sospirò silenziosamente.

Quando Ismael mi ha chiamato così al primo incontro non avevo idea che mi sarebbe rimasto appiccicato addosso…

«Avevo un cane che si chiamava Pepper!» fece Lucky, allegro. «Era un cane così vivace… ma è morto quando ero adolescente, di vecchiaia, e lo abbiamo seppellito vicino al—»

«Lucky, ti prego, sta diventando una conversazione inquietante e soprattutto inutile ai fini della prosperità di Bluefields» l’interruppe Ferid. «Forse non è gentile da dire, ma non vi ho chiamato per diventare amici. Le vostre competenze servono a padre Nereus per far diventare Bluefields una comunità fiorente, una che paga le spese da sé. Non dobbiamo dipendere dalle casse di Ashby, è chiaro?»

«Ah… sì, ma… possiamo farcela?»

«Possiamo di certo, solo dobbiamo capire cosa sfruttare. Per prima cosa dobbiamo capire quanto possiamo essere in grado di guadagnare dal terreno che attualmente è pronto per la coltivazione e se è conveniente rimettere in sesto la tenuta come piantagione.»

«I campi grandi sono molto estesi, solo che ne usiamo una piccola parte» osservò Welch. «Qui abbiamo sempre coltivato a mano… più come lavoro manuale per lo spirito che per il guadagno, e quello che abbiamo raccolto lo abbiamo consumato noi.»

«Ma ora abbiamo un trattore che funziona, un aratro, un erpice, anche una seminatrice… è vecchia ma in buone condizioni, quindi se riuscissimo ad avere il fertilizzante per tutto l’appezzamento e i semi…»

«Il carburante» aggiunse Welch, pensieroso.

«E il carburante per il trattore potremmo farcela. Va seminato entro, diciamo, metà ottobre al massimo.»

«Che cosa possiamo coltivare in questa zona?» fece Ferid, prendendo un rapido appunto.

«In questo periodo dell’anno… orzo per distillazione…»

«Ortaggi autunnali…»

«Richiedono troppa diversificazione» lo contraddisse Lucky. «Siamo pochi con meno del minimo necessario, serve qualcosa che possiamo raccogliere con la mietitrebbia. L’orzo si vende bene se ne otteniamo uno di buona qualità per il malto.»

Ferid rimase lì un paio di minuti a sentirli discutere di semina, depositi, accestimento e umidità capendo più o meno la metà di quello che dicevano, poi il rintocco della mezz’ora gli diede una buona scusa per interromperli.

«Ho un compito per voi, ed è molto importante, quindi statemi a sentire un minuto. Devo andare a lezione fra poco…»

I diversi punti di vista dei due coltivatori avevano inasprito i loro caratteri e fu con una sfumatura accusatoria che Welch gli si rivolse.

«Scusa, ma a te chi ha dato l’autorità di assegnare compiti? Sei l’ultimo arrivato e a quanto si dice vieni da una setta di adoratori del diavolo. Noi abbiamo già dei compiti e il fatto che ti sia riuscito di resuscitare un trattore non fa di te il figlio prediletto.»

Ferid si accigliò appena.

«Non mi è riuscito di aggiustare un trattore, non gli ho dato un calcio per farlo ripartire. Sono un bravo meccanico che ha visto un veicolo che sembrava poter servire ancora a qualcosa e l’ho sistemato. Portami rispetto, io non vengo da te a dire che ti è riuscito di seminare un campo e raccoglierne qualcosa, come se questo fosse un caso fortunato.»

Welch aggrottò le sopracciglia scure ma non replicò.

«E già che ne parliamo: sono l’ultimo arrivato ma ho notato subito che qui c’è un enorme potenziale lasciato alle ortiche come quel trattore, e se conosco il modo di farlo funzionare lo aggiusterò. Voi due potete aiutarmi per il bene della comunità di cui fate parte da più tempo di me o andarvene a pregare che Dio faccia crescere lo zafferano nei campi mentre siamo impegnati a fare il bucato e a dire messe.»

Welch sembrava combattuto sulla posizione da prendere, ma Lucky era più bendisposto a partecipare.

«Io sono con te. Che cosa posso fare?»

«La prima cosa da fare è radunare tutti i membri che abbiano conoscenza di agricoltura. Che siano cresciuti in fattoria, che abbiano lavorato lì, con qualsiasi mansione, o chi è capace di tenere un orto. Chiedete a tutti di partecipare e radunatevi in biblioteca alle… beh, quando potete esserci tutti o quasi tutti, non so che impegni avete. Fatemi sapere quando vi incontrate.»

«Per fare cosa? Voglio dire… a queste persone, sempre che ci siano, che cosa dobbiamo dire?»

«Che sono chiamate da Nostro Signore a offrire la loro competenza alla loro chiesa» replicò Ferid calmo. «Hanno tutti ricevuto molto da Bluefields, finora… accoglienza. Conforto. Perdono. È il tempo di ricambiare.»

Lucky annuì e Welch, seppur riluttante, dismise l’espressione bellicosa: aveva fatto breccia con quell’argomento.

«Ah, dimenticavo… appena avete tempo buttate giù una lista di quello che ritenete sia lo stretto necessario per riaprire Bluefields come piantagione, compreso quello che abbiamo… che so, in due colori diversi o qualcosa del genere, ma serve sapere che cosa possediamo già.»

«Posso farlo stamattina, pare che pioverà. Non andremo nei campi.»

«Ottimo, allora ci vediamo a pranzo. Devo correre a lezione, a dopo!»

Ferid infilò la scalinata per scendere. Aveva la bizzarra sensazione di essere tornato al liceo, questa volta con un ruolo attivo nell’organizzazione studentesca: lezioni da seguire, coprifuoco, un cellulare segreto e un piano accademico molto ambizioso a cui lavorare… in definitiva non quello con cui, da adolescente, aveva sognato di occupare il suo tempo alle soglie dei trentacinque anni.

Per il bene superiore… è per il bene superiore, Ferid. Più diligentemente ti applicherai, più veloci ed eccellenti saranno i risultati, ma te l’ha detto anche lei che ci vuole tempo…

Inchiodò così bruscamente che le sue scarpe stridettero sul pavimento come scarpe da ginnastica su un campo da basket; a causa di ciò Nereus si voltò verso di lui senza che dovesse chiamarlo. Qualcosa nel modo in cui lo guardò fece capire a Ferid che non aveva superato del tutto l’imbarazzo di quello che si erano detti nel magazzino vicino al borgo.

«Buongiorno, Nereus… stai meglio, oggi?»

«Suppongo si possa dire così» replicò lui, cauto. «Scusami per ieri, Connor…»

Ferid tese un sorriso a fatica e fece qualche passo verso di lui. Il suo sguardo era sfuggente, come se il giorno prima l’avesse preso a insulti e urli, mentre la sola cosa di cui si vergognava era di non essere all’altezza del suo ruolo di guida di Bluefields.

«Te l’ho detto ieri… non c’è niente di cui vergognarsi. Il fatto che tu sia il nostro leader non significa che devi fare tutto da solo e non barcollare mai.»

Il Padre non replicò; era ancora inquieto.

«A questo proposito, ho chiesto ai ragazzi di farmi delle liste e delle direttive per vedere se è fattibile per noi iniziare il progetto da soli… insomma, quanti soldi ci vorranno. Non si sa mai che non si riesca senza bisogno di contattare il nostro così venerabile padre Maim, non ti piacerebbe?»

«Connor… tu…»

Nereus sospirò nella maniera più plateale che Ferid avesse mai sentito, abbassò testa e spalle, e quando si raddrizzò sorrideva di nuovo, con l’ombra della frustrazione più pallida di prima.

«Che ho fatto per meritarmi te, mh?»

«Probabilmente hai pregato, Nereus~»

«Quando ho chiesto aiuto al Signore avevo in mente più un robusto bastone per pascolare il mio gregge, ma sembra che mi abbia mandato qualcosa che assomiglia di più a una spada» osservò divertito. «Spero non mi manderà in guerra come un crociato.»

Il sorriso di Ferid si indebolì un po’ a quel paragone.

«Non devi conquistare… Bluefields è già tua. Devi solo edificare… hai tutte le qualità che servono per guidarci. Molto presto il borgo sarà pronto per le prime famiglie.»

«Mi hai mentito, vero?» buttò lì il pastore, dandogli un buffetto. «Tu sei troppo gentile con gli altri per essere mai stato coinvolto con qualcosa di violento come un culto satanico.»

Ferid gli trattenne la mano e vi appoggiò la guancia. Si guardarono a lungo, fermi in quella posizione, tanto a lungo che si convinse di aver vinto la sua resistenza. Fu l’arrivo di un manipolo di Rinati armati di spartiti – parte del coro di fratello Davide – a fare tornare Nereus nel suo ruolo.

Ritrasse bruscamente la mano, anche se nessuno del gruppetto guardò verso di loro.

«Ti imbarazza farti vedere a consolare la tua pecorella nera, Nereus?»

«Puoi non chiamarmi così? Siamo fin troppo intimi, se capisci cosa voglio dire. Non vorrei che qualcuno fraintendesse o pensi che tu sia troppo poco… formale coi tuoi superiori.»

«Oh, ma certo. Se mi dici come ti chiami davvero ti chiamerò così.»

«Nereus è il mio nome, e lo sarà fino a che non verrò destituito. È la vita che ho scelto, e che amo moltissimo… se mi rispetti non me lo chiedere più. Quel nome e quel ragazzo non ci sono più.»

Ferid fece un mezzo passo avanti, ma lui non arretrò per mantenere la distanza.

«Quando arriverò al Battesimo cancellerete quello che sono stato?»

«Cancellerai i peccati che hai commesso e prometterai a te stesso una nuova vita in Cristo. Forse vorrai rinascere del tutto, ma questa è una scelta tua… e io la rispetterò.»

Un’argomentazione come quella avrebbe forse fatto breccia in un Ferid più giovane e confuso, uno che non aveva ancora incontrato Crowley. Quello adulto invece ci vide un buon presentimento di vittoria.

Non osò toccarlo per paura di spingersi troppo oltre, e si limitò a sfiorare il suo crocifisso azzurro con il dito in una voluta esitazione.

«Sceglierai tu il mio nome, quando sarà il momento?»

«Darò un nome alla mia pecorella più indisciplinata» confermò lui, sul rintocco della campana. «Ora vai. Sei già in ritardo a lezione.»

Gli diede un altro buffetto al mento e si allontanò. Ferid girò le spalle al pastore per andare nell’altra direzione e salì di corsa le scale, con il sorriso che sfumava di più a ogni gradino. Nereus – o comunque si chiamasse davvero – era una brava persona, un uomo profondo, intelligente e simpatico, un uomo piacevole. Se si fossero incontrati in un altro posto, in un altro momento e in un altro contesto sarebbero diventati amici, ne era sicuro… o addirittura qualcosa di più.

Forse dovrei pensare meglio… forse dovrei solo raccogliere informazioni, e lasciare che il Bureau…

Scosse la testa appena prima di entrare nell’aula. Passare la palla ai federali era il modo più certo di distruggere Bluefields e con essa anche ogni singola brava persona che poteva esservi dentro; lo stesso Nereus sarebbe rimasto inevitabilmente imprigionato dalla tagliola della squadra di Guren.

Passò la lezione sui Sacramenti a ripensare al suo piano, a rivedere le sue strategie, ma alla fine si convinse che cambiare qualcosa per mettere Nereus fuori tiro avrebbe rischiato di pregiudicare un risultato dal quale poteva dipendere la felicità di una persona assai più importante.

   
 
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