Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Kimando714    15/02/2023    0 recensioni
La vita da ventenni è tutt’altro che semplice, parola di sei amici che nei venti ormai ci sguazzano da un po’.
Giulia, che ha fin troppi sogni nel cassetto ma che se vuole realizzarli deve fare un passo alla volta (per prima cosa laurearsi)
Filippo, che deve tenere a freno Giulia, ma è una complicazione che è più che disposto a sopportare
Caterina, e gli inghippi che la vita ti mette davanti quando meno te lo aspetti
Nicola, che deve imparare a non ripetere gli stessi errori del passato
Alessio, e la scelta tra una grande carriera e le persone che gli stanno accanto
Pietro, che ormai ha imparato a nascondere i suoi tormenti sotto una corazza di ironia
Tra qualche imprevisto di troppo e molte emozioni diverse, a volte però si può anche imparare qualcosa. D’altro canto, è questo che vuol dire crescere, no?
“È molto meglio sentirsi un uccello libero di volare, di raggiungere i propri sogni con le proprie forze, piuttosto che rinchiudersi in una gabbia che, per quanto sicura, sarà sempre troppo stretta.
Ricordati che ne sarà sempre valsa la pena.”
[Sequel di "Walk of Life - Youth"]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Universitario
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO 39 - HIGH HOPES


 

Cercò di asciugarsi il sudore dalla fronte con una mano, ben conscia che, in ogni caso, la calura di fine luglio non sarebbe comunque finita nel giro di un secondo.
Giulia si lasciò cadere a peso morto sul materasso, convinta di addormentarsi subito nonostante il caldo che si respirava dentro la stanza da letto. Non aveva mai sopportato troppo le temperature alte dell’estate, ma non pensava nemmeno che quell’estate sarebbe potuta andare così estremamente male. La stanchezza non l’aiutava per niente, e dubitava la situazione sarebbe migliorata prima dell’arrivo dell’autunno.
Si sistemò alla bell’e meglio, scostando il lenzuolo per poter rimanere il più possibile con il corpo scoperto, in cerca di un refrigerio che, però, non trovò.
Cercò di rimanere ferma immobile come meglio poteva, ben consapevole che più si sarebbe girata, più il suo corpo avrebbe poi sudato; rimase ferma anche per ascoltare il rumore dei passi di Filippo, sempre più vicini e sempre più nitidi. Pochi secondi dopo fece capolino sulla soglia, l’aria stanca e le occhiaie scure a farlo sembrare un po’ più vecchio di quel che era.
-Si sono addormentate?- gli chiese Giulia, pur immaginando già la risposta: di sicuro Filippo non se ne sarebbe andato dalla camera delle gemelle, se non dopo aver controllato che stessero dormendo.
-Sì, poco fa- le rispose lui, in un sospiro – Beatrice sembra stare un po’ meglio-.
-Meno male-.
Giulia chiuse gli occhi, mentre ascoltava gli ultimi passi di Filippo prima che raggiungesse il letto. Sentì il materasso abbassarsi, segno che lui l’aveva appena raggiunta e che le si era sdraiato di fianco.
Negli ultimi mesi le cose, pur rimanendo le stesse, erano anche cambiate. Forse era perché, alla fine, si erano abituati ai loro nuovi orari veloci e flessibili, o forse era stata più la rassegnazione al fatto che, volenti o nolenti, le cose non sarebbero mai state semplici come prima.
Filippo sembrava essersi messo l’anima in pace, e a poco a poco aveva imparato a sostenere gli stessi ritmi di Giulia: forse non si alzava così spesso quanto lei la notte, ma aveva iniziato a farlo comunque. Poi le bambine avevano iniziato a dormire sempre di più, a piangere meno e ad essere meno vulnerabili; Giulia aveva potuto tirare un sospiro di sollievo la prima notte in cui nessuna delle due aveva iniziato a piangere.
Le sembrava che tutto stesse migliorando sempre di più, fino a quando non era andata a sbattere con tutte le sue forze contro il muro rappresentato dalle coliche di cui soffriva Beatrice da quasi una settimana.
Era iniziato tutto piuttosto improvvisamente, con i pianti disperati ed insistenti durante un pomeriggio, mentre Giulia era impegnata ad allattare Caterina, ed era continuato così per ore.
Si era ritrovata a preoccuparsi non solo per la figlia, ma anche per l’esaurimento che Filippo avrebbe avuto quasi sicuramente. Stentava a credere che non sarebbe arrivato di nuovo il momento in cui lo avrebbe sentito lamentarsi: aveva smesso di illudersi quando nel giro di una settimana era tornato di umore pessimo esattamente come nelle prime settimane di vita delle bambine. Era solo questione di tempo prima che la situazione precipitasse di nuovo.
-Dovremmo provare a dormire anche noi- mormorò Filippo, sistemandosi meglio il lenzuolo addosso, come se temesse il freddo nonostante la calura mortale dell’estate.
-Spegni pure la luce-.
Il buio che calò, non appena Filippo ebbe spento l’abat-jour sul suo comodino, non donò più relax a Giulia. Era inevitabile che anche lei risentisse dello stress: non ricordava un altro momento della sua vita in cui aveva avuto la testa così piena di problemi e pensieri, nemmeno poco prima del matrimonio o quando aveva scoperto di essere incinta. Semplicemente, in certe giornate, si meravigliava di come non fosse ancora impazzita.
Non sapeva nemmeno quanto tempo fosse passato da quando la luce era stata spenta a quando venne risvegliata dal pianto di Beatrice. Giulia si stropicciò gli occhi con un movimento stanco, lanciando uno sguardo allo schermo luminoso della sveglia: era piena notte, le tre appena passate. Doveva aver comunque dormito qualche ora.
-Non di nuovo, cazzo-.
La voce di Filippo le giunse impastata ed irritata, le parole dette a mezza voce ma ben udibili nel silenzio della loro camera.
-Vai tu?- Giulia glielo chiese senza nemmeno troppa convinzione. La notte Filippo aveva sempre odiato alzarsi: erano sempre rare le volte in cui andava a controllarle, anche se erano comunque aumentate rispetto ai primi tempi.
Non si stupì affatto quando lo sentì sbuffare seccato:
-Ma ci sono andato anche prima-.
Giulia non perse nemmeno tempo a replicare: si alzò di scatto, guidata dalla rabbia, camminando veloce verso la camera delle gemelle.
Per quanto il sonno potesse ancora ottenebrarle i pensieri e renderli meno lucidi, riuscì a decidere comunque che l’indomani niente avrebbe potuto fermarla dal parlare chiaramente con Filippo.
Aveva rimandato quella discussione per troppo tempo.


 
L’odore del caffè le riempì le narici, senza darle però quella minima gioia che provava ogni giorno nell’annusarne l’aroma. Giulia era consapevole che tenere la tazza tra le mani a lungo, senza bere, non avrebbe fatto altro che raffreddare il caffè appena fatto. Forse in fondo non le importava molto.
La mattina, da un po’ di settimane, era uno dei pochi e rari momenti davvero calmi nell’arco della giornata. Anche per quel giorno era così: c’era un silenzio quasi irreale nell’appartamento, segno che le gemelle ancora dormivano – e soprattutto che Beatrice forse stava migliorando davvero-, e che per lei si sarebbe potuta prospettare una colazione fatta in santa pace. Sarebbe potuto esserlo davvero, se non fosse stato per il senso d’attesa che si sentiva addosso premerle alla bocca dello stomaco, dandole un senso di nausea.
Si era seduta al tavolo da qualche minuto ad aspettare l’arrivo di Filippo, e non dovette attendere ancora a lungo: lo vide fermarsi sulla soglia a stropicciarsi gli occhi assonnati, prima di fare qualche passo in più verso di lei e il tavolo della cucina.
-Buongiorno- mormorò con la voce ancora impastata, passandole dietro e lasciandole una leggera e veloce carezza su una spalla – Sei sveglia da tanto?-.
Giulia alzò le spalle, con fare indifferente:
-Una mezz’ora circa-.
Senza voltarsi ascoltò Filippo compiere le solite azioni di ogni mattina: versarsi a sua volta un po’ di caffè nella sua tazza e recuperare un sacchetto di biscotti dalla credenza.
Quando si sedette a sua volta, di fronte a lei, Giulia non attese oltre: si sentiva già abbastanza tesa così, senza aggiungere altri minuti d’attesa alla conversazione dolorosa che li aspettava.
-Credo che dobbiamo parlare-.
Filippo continuò a girare il cucchiaio nella tazza, anche se Giulia aveva colto i primi segnali di sorpresa: lo vide irrigidire le spalle e aggrottare lievemente la fronte.
-Di cosa?- chiese, con una tranquillità che a Giulia parve piuttosto falsa. Prese un sospiro, decidendosi a lasciare la propria tazza di caffè ormai freddo ancora piena sul tavolo; congiunse le mani, mentre cercava di riportare alla mente il discorso che si era costruita durante la notte, quando dopo aver calmato Beatrice era tornata a letto, con il sonno ormai lontano.
-Di quel che ti sta succedendo- formulò, a mezza voce – E di quel che sta succedendo a noi-.
Filippo alzò gli occhi verso di lei:
-Che intendi?- domandò ancora, sulla difensiva.
Giulia era sicura che avesse capito, ma a quanto pareva voleva sentirglielo dire chiaro e tondo:
-Intendo che negli ultimi mesi non sembri nemmeno tu- sospirò di nuovo, sentendo tutto il peso che quelle parole le stavano portando – Pensi che io non sia stanca ogni giorno, che non sia una fatica dietro l’altra dalla mattina alla sera come per te?-.
Forse era la stanchezza e la fatica accumulati in mesi e mesi, forse il nervoso e l’ansia che l’avevano accompagnata per tutto il tempo in cui aveva atteso che Filippo arrivasse lì in cucina, o forse ancora erano le ore mancate di sonno che cominciavano a farsi sentire, ma Giulia si rese conto che gli occhi cominciavano a pizzicarle e a bruciarle non solo per il fatto di non aver dormito per tutta la notte.
-Non credevo sarebbe mai successo di sentirti così distante, eppure è quello che sta accadendo- continuò, sperando che le lacrime non scendessero proprio in quel momento – Non ho mai pensato che i primi mesi con le gemelle sarebbero stati facili, ma non pensavo nemmeno sarebbero stati così terribili-.
Filippo tacque per un po’, senza risponderle. Aveva abbassato il capo, rinunciando anche lui a bere il caffè che, ormai, doveva essere diventato tiepido.
Giulia attese, domandandosi se doveva forse essere ancora più chiara di così. Non aveva voglia di litigare, sapeva che nonostante tutto avrebbe cercato di evitarlo fino all’ultimo, ma non poteva nemmeno permettersi di apparire troppo morbida. Era da troppo tempo che sopportava e che cercava di convincersi che il giorno dopo sarebbe andata meglio.
-Non lo faccio apposta- Filippo sospirò a fondo, appoggiando una mano sulla fronte – Non  è semplice lavorare ogni giorno e poi tornare a casa senza mai un attimo di tranquillità-.
-Sapevamo più o meno a cosa andassimo incontro- mormorò Giulia, quasi sussurrando.
-Forse non me lo aspettavo davvero così-.
Giulia ricacciò le lacrime indietro, guardando duramente colui che era suo marito.
-E quindi?- si rese conto di aver parlato più ad alta voce di quanto avrebbe voluto, ma non fece nulla per cercare di calmarsi – Rimaniamo così, a incazzarci ogni minuto e a prenderci male ogni volta che Caterina o Beatrice si mette a piangere?-.
Si costrinse a non abbassare lo sguardo, continuando però ad incontrare solo il viso chino di Filippo, senza incrociarne gli occhi. Avrebbe voluto tanto cercare di capire che gli passava per la testa in quel momento, studiarne l’espressione che aveva per poterlo intuire: Filippo non le diede quella possibilità, come incantato a guardare la sua tazza di caffè ormai freddo sul tavolo della cucina.
-Non ce la faccio da sola, non posso stare dietro a tutto contando solo su di me, non così. Mi devi dare una mano- Giulia si passò una mano sugli occhi prima che qualche lacrima potesse cadere e rigarle le guance in maniera inequivocabile – Ho bisogno di te, in questo momento più degli altri-.
Lasciò scivolare la stessa mano con la quale si era asciugata le lacrime sulla superfice liscia e fredda del tavolo, abbandonata ed inerte. Un po’ come si sentiva lei in quel momento di vulnerabilità.
Non aveva mai nascosto i suoi momenti di debolezza a Filippo: lui era sempre stato uno dei pochi ad averla sempre vista in un qualsiasi stato d’anima – felice, impaurita, abbattuta o allegra che fosse-, ma c’era qualcosa che stonava in quel frangente. Aveva voluto evitare il più possibile di mostrarsi così davanti a lui – così debole e così stanca-, ma non ci era riuscita.
Sentiva l’amarezza attanagliarla forte, facendola sentire stupida e a disagio. Era una sensazione a cui non era per niente abituata, non con Filippo.
-Scusami-.
Giulia alzò appena gli occhi, quando si accorse del tocco dei polpastrelli delle dita di Filippo sul dorso della sua mano. Era una carezza talmente leggera che dovette osservare le sue dita muoversi sulla sua pelle per convincersi che fosse reale.
-Sul serio, mi dispiace- Filippo tirò un lungo sospiro, la voce affranta – Forse non mi sono mai reso conto nemmeno io del male che ti facevo-.
Giulia lo tenne osservato per alcuni secondi: riusciva a leggergli del rammarico nello sguardo, ed anche qualcos’altro che non riuscì ad identificare. Era come un’ombra leggera, che poteva anche solo essersi immaginata, qualcosa a malapena tangibile.
-Non mi bastano delle scuse- disse, duramente.
Filippo sembrò comprendere il messaggio: non le bastavano solo parole vuote al vento, non di nuovo. Le strinse maggiormente la mano nella sua, continuando a ricambiare lo sguardo di Giulia:
-Cercherò di essere più presente, di metterci più impegno-.
-Lo prometti?- Giulia ricambiò la stretta, cercando di convincersi che di Filippo poteva fidarsi – E bada di non promettere cose per cui non manterrai la parola-.
Si ritrovò a pensare, per la seconda volta in meno di un minuto, che l’espressione di Filippo celasse anche altro, oltre al pentimento. Cercò di allontanare quel pensiero: come poteva pensare di volere il suo aiuto, se non si fidava di lui? Non poteva permettersi di dubitare di lui in un momento simile. Doveva cercare di mantenere perlomeno la speranza che quella conversazione non fosse avvenuta invano.
In fondo, anche se negli ultimi mesi era cambiato, era pur sempre Filippo, sempre suo marito.
-Lo prometto. Lo farò, te lo assicuro-.
 
*
 
I remember it now, it takes me back to when it all first started
But I only got myself to blame for it and I accept it now
It's time to let it go, go out and start again
It's not that easy
 
La luce del sole entrava con i suoi raggi dalla finestra aperta del salotto. Era primo pomeriggio, e non girava un filo d’aria nemmeno a pagarlo. Pietro si stava godendo appieno la sensazione di frescura che il ventilatore gli stava donando, in quell’attimo di pace fugace.
Nelle ultime settimane aveva imparato in fretta ad approfittare di ogni momento libero per recuperare le forze. Non significava per forza dormire: bastava anche solo stendersi sul divano per un po’, distendere i muscoli e le gambe, lasciarsi andare per poco tempo senza pensare a niente. Era una cosa che anche Giada aveva iniziato a fare a sua volta, soprattutto da quando le ore di sonno mancato avevano cominciato ad accumularsi sempre di più.
Pietro si rigirò sul divano, tendendo l’udito per capire se i passi che aveva sentito fossero reali o meno. Richiuse il giornale che stava sfogliando, comprato quella mattina stessa nell’edicola vicino casa, quando era uscito per fare un po’ di spesa. Almeno in quei momenti di calma poteva permettersi qualche svago come quello. In quello stesso preciso istante Giada, con passi lenti e sbadigliando rumorosamente, fece il suo ingresso nel salotto. Doveva essersi risvegliata da poco, i capelli lunghi ancora disordinati e le occhiaie scure sotto gli occhi. Pietro non ci fece quasi caso: ormai quello era l’aspetto più gettonato per entrambi da quando Giacomo era nato. Le occhiaie continuavano ad essere sempre più scure ed evidente sui loro visi.
-Ti sei riposata?- Pietro si mise a sedere, lanciando un’occhiata a Giada. Si era fermata accanto al divano, senza però sedervisi.
-Abbastanza- rispose, con la voce ancora roca per il risveglio recente – Giacomo dorme ancora?-.
-Credo di sì- rispose Pietro, alzando le spalle: non aveva sentito Giacomo mettersi a piangere, segno che molto probabilmente stava ancora dormendo sul serio. Fortuna o meno, si era reso conto che, a solo dieci giorni d’età, suo figlio amava molto più dormire rispetto a qualunque altra attività. Il solo problema era che amava farlo soprattutto di giorno, e non di notte.
-Quando si sveglia gli faccio il bagnetto- sospirò Giada, passandosi una mano tra i capelli e sedendosi sul bracciolo del divano – Avrei già dovuto farlo-.
Pietro la guardò per qualche secondo in silenzio, prima di proporle ciò che gli stava passando per la mente in quel momento:
-Lo faccio io. Tu riposati ancora un po’-.
Era sabato pomeriggio, e almeno per una volta poteva permettersi di godersi suo figlio appieno senza dover tener conto delle ore di lavoro che gli toccavano durante la settimana.
Giada lo guardò confusa per un attimo, poi quasi speranzosa:
-Sicuro?-.
Pietro le sorrise, mentre si alzava per avvicinarsi a lei. Le accarezzò appena i capelli biondi ancora disordinati, in un gesto che gli parve più fraterno che quello tipico di un fidanzato:
-Sì, non c’è problema-.
Osservò Giada sorridergli di rimando, annuendo all’indirizzo di Pietro:
-Allora poi ricordati la crema per i rossori, dopo averlo lavato. Non vorrei peggiorasse- disse infine, alzandosi a sua volta, probabilmente pronta a tornare in camera e riposare ancora un po’.
-Tutto chiaro. Vai tranquilla- Pietro la precedette, avviandosi verso la camera di Giacomo – quella che un tempo, un tempo che gli pareva distante almeno un decennio, era stata la stanza di Alessio. Gli sembrò quasi buffo ritrovarsi a pensare a quel dettaglio: le cose erano cambiate talmente tanto, nel giro di due anni, che stentava a credervi sul serio. Era come aver voltato pagina una volta per tutte, ma essersene reso conto solo in quell’istante.
-Ah, probabilmente stasera uscirò un paio d’ore- disse, prima che Giada tornasse in camera. Lei lo guardò confusa, ma si limitò ad annuire, senza nemmeno chiedergli ulteriori spiegazioni. Doveva essere troppo stanca persino per quello.
Pietro lo prese come un segno del destino. Arrivò in camera di Giacomo con il cellulare tra le mani, scrivendo velocemente un messaggio a Fernando, chiedendogli se potessero vedersi quella sera. Sperava che la risposta  fosse positiva.
 
It’s time to let it go, go out and start again
But it’s not that easy
 
*
 
But I’ve got high hopes
It takes me back to when we started
High hopes
When you let it go, go out and start again
High hopes
When it all comes to an end
But the world keeps spinning around
 
Pietro cercò di fare più silenzio possibile, mentre riponeva il phon nel cassettone della camera di Giacomo. Non aveva idea se Giada si era riaddormentata sul serio o meno, ma nel dubbio preferiva fare attenzione a non provocare troppi rumori con i suoi movimenti.
Si girò verso suo figlio, steso sul fasciatoio, prendendolo di nuovo in braccio delicatamente. Giacomo non si addormentava mai subito dopo il bagnetto: ci voleva almeno un’ora prima che le sue palpebre cominciassero a calare e il sonno tornasse. Pietro si divertiva spesso ad osservare i suoi sforzi per non addormentarsi, nell’ultimo tentativo di non chiudere gli occhi: era una delle immagini più tenere di suo figlio, uno tra i tanti momenti in cui Pietro si ritrovava a pensare, senza alcuno sforzo, di voler imprimersi ogni singolo istante di Giacomo nella memoria.
Lo cullò per tutto il tragitto dalla stanza al salotto, nella luce azzurra e piena del sole estivo pomeridiano che inondava lo spazio attraverso i vetri aperti della finestra.
Pietro raggiunse il divano in pochi ampi passi, sedendovisi e lasciando che la schiena si appoggiasse completamente allo schienale. In un gesto d’istintiva tenerezza portò una mano ad accarezzare una guancia rosea di Giacomo, prima di lasciargliene un’altra anche su una delle mani minuscole.
Le dita di Giacomo gli si strinsero attorno al mignolo, in un gesto che Pietro non sapeva quanto fosse legato all’istinto o all’impulso di rispondere alle sue carezze.
Era sicuro di non aver mai toccato una pelle più morbida e delicata di quella di Giacomo, talmente setosa da sembrare quasi irreale.
Lo cullò ancora un po’, facendolo oscillare appena stretto al sicuro tra le sue braccia. Osservò con un sorriso divertito come le forze di Giacomo per combattere il sonno stessero avendo la peggio: le palpebre gli erano finalmente calate sulle iridi castane. Solo le sue dita rimasero aggrappate ancora al dito di Pietro, come a volergli dire di non andarsene, di non lasciarlo.
“Questo non succederà mai” pensò Pietro, con la consapevolezza di poter affermare con una certa sicurezza quelle parole.
“Te lo prometto”.
A dispetto delle sue aspettative, quei primi dieci giorni con Giacomo erano state belli. Faticosi, stressanti e a tratti allucinanti, ma comunque belli. Era quel bello distante dalla perfezione, che però a Pietro aveva portato una tranquillità che non si sarebbe mai aspettato, non a quel punto della sua vita.
Persino il suo rapporto con Giada sembrava essere migliorato, inaspettatamente: era ben lontano dall’essere idilliaco, ormai fermo ad essere solo una pallida copia della complicità che, nonostante tutto, potevano aver vantato nei primi tempi insieme.
Ora c’era la voglia di aiutarsi a vicenda, di fare del loro meglio per Giacomo. Non litigavano da quando era nato, in un clima nettamente migliorato. Pietro ancora stentava a crederci. Gli piaceva pensare che il collante tra di loro fosse proprio Giacomo, la voglia di non dividersi per non separarsi a loro volta da lui. In quel momento, osservandone il volto addormentato e calmo, Pietro non credeva nemmeno possibile l’idea di poter allontanarsi da lui volontariamente.
Giacomo rappresentava il punto da cui ripartire, da cui ricostruire qualcosa per cui valesse la pena andare avanti. Era anche l’unica ragione per cui riusciva a trovare ogni sacrificio un po’ meno pesante da sopportare.
Tra le sue braccia suo figlio sembrava ancor più piccolo di quel che era, più indifeso, avvolto nella sua innocenza da bambino che ancora per un po’ – Pietro sperava il più a lungo possibile- lo avrebbe accompagnato.
Forse un giorno, quando anche l’ingenuità dell’infanzia e dell’adolescenza se ne sarebbe andata, gli avrebbe raccontato come erano andate veramente le cose, prima della sua nascita. Forse gli avrebbe raccontato quanto il mondo gli fosse crollato addosso, alla notizia di aver un figlio in arrivo, di quanto tutto in quei giorni gli era sembrato inutile e superfluo, tutto perduto in un attimo.
Però poi – Pietro se ne rese conto sul serio solo in quel momento- avrebbe potuto anche dirgli quanto guardarlo, lì addormentato tra le sue braccia, e tenerlo stretto a sé per avere la prova tangibile della sua presenza, bastasse a rimettere le cose a posto. Almeno quelle che ancora potevano essere recuperate: i sogni che un tempo – solo nove mesi prima, ma che ora a Pietro sembravano così lontani che gli parvero anni- lo avevano reso speranzoso, gli amori a cui una volta si era aggrappato con tutte le sue speranze, quelli no. Quelli non sarebbero mai più tornati, o almeno non sarebbero mai più stati gli stessi.
Più guardava suo figlio dormire e più se ne accorgeva, più ne aveva la consapevolezza: doveva lasciare andare il passato. Continuare a pensarci non avrebbe fatto altro che trascinarlo sempre più giù, a picco, inevitabilmente. Giacomo non si meritava un padre infelice. Doveva perlomeno provare a trovare il lato positivo in quella situazione per lui, se non per se stesso.
Pietro accarezzò con il pollice la guancia fresca di suo figlio, cercando di ricacciare indietro le lacrime che gli rendevano gli occhi lucidi e la vista offuscata. Non voleva mettersi a piangere proprio in quel momento di serenità, e lasciarsi andare ancora una volta al dolore.
Per quanto male potessero fare i ricordi, doveva cercare di mettercela tutta ed andare avanti. Nulla li avrebbe cancellati, di quello era conscio: poteva però rinchiuderli in un angolo remoto di se stesso, soffocati dall’amore per suo figlio e dalla volontà di proteggerlo.
Si chiese, in un attimo di incertezza, se un giorno sarebbe toccato anche a Giacomo un’esperienza simile. Si sarebbe mai trovato a provare sentimenti che avrebbe poi dovuto reprimere? Si sarebbe mai ritrovato a dover scegliere qualcosa che non voleva per il bene di qualcun altro?
Pietro inclinò la testa indietro, fino a raggiungere lo schienale del divano con la nuca, chiudendo gli occhi per qualche attimo.
Forse un giorno avrebbe detto a Giacomo di non aver mai paura di essere se stesso, di non rinunciare mai a qualcosa che voleva per paura degli altri. Gli avrebbe anche detto che per qualsiasi cosa lui sarebbe stato sempre accanto a lui, ad incoraggiarlo, ad aiutarlo.
Riaprì gli occhi, ancora un po’ lucidi, puntandoli verso il soffitto bianco del salotto. Sentiva che, nonostante tutto, la speranza per il futuro non si era mai sopita davvero: forse ora, con Giacomo nella sua vita, c’era ancora qualcosa per cui valeva la pena guardare avanti.
C’erano cose che aveva desiderato a lungo e che non avrebbe avuto mai; per la prima volta si rese conto che ce ne erano anche tante altre che, purtroppo o per fortuna, avrebbe invece potuto avere.
 
Yeah, but the world keeps spinning
Yeah, the world keeps spinning
How this world keeps spinning around?*
 
*
 
-Non mi aspettavo mi chiedessi di uscire-.
Fernando lo disse tra un sorso di spritz e un altro, ciocche di capelli castani che gli ricadevano in morbide onde sulla fronte.
-Pensavo fossi piuttosto indaffarato a casa-.
Pietro alzò le spalle:
-Diciamo che ho colto l’occasione al volo- disse, e in fin dei conti era esattamente per quel motivo che si era limitato a chiedere a Fernando se era libero quella sera solo poche ore prima – E comunque Giacomo è piuttosto tranquillo-.
A quelle parole Fernando rise piano:
-Ha proprio preso dal padre-.
Pietro lo guardò con finto astio:
-Sei ironico, per caso?-.
-Non oserei mai-.
Sebbene il leggero sarcasmo fosse decisamente identificabile nella voce dell’altro, Pietro si unì comunque alla sua risata.
-Non ne sono ancora molto convinto- insistette ancora, ma il suo sguardo si era già definitivamente ammorbidito – Come stai?-.
Era da un po’ di tempo che lui e Fernando non si vedevano. Troppi impegni per entrambi – e forse ancora troppo rimorso per certe occasioni perse. Pietro era perfettamente consapevole che, per quanto Fernando potesse sembrare sinceramente felice di vederlo, quella gioia era comunque accompagnata anche dal dolore. Detestava l’idea di essere lui stesso la fonte di quel sentimento.
Sperava di non essere in parte la ragione dell’aria stanca che aveva Fernando, il viso tirato come se stesse attraversando un momento della sua vita che gli prosciugava ogni energia.
-Non c’è male- rispose Fernando, gli occhi abbassati sul bicchiere che si stava rigirando tra le mani – Sto diventando letteralmente viola a forza di stare in spiaggia, però-.
-Lo vedo- Pietro sorrise appena, gli occhi che vagavano già sulla pelle lasciata scoperta dalla maglietta di Fernando, resa più dorata del solito dal sole estivo. Quando gli aveva scritto per chiedergli di vedersi aveva sperato di aver azzeccato uno dei suoi giorni liberi, e per una volta la fortuna era stata dalla sua parte.
E, a parte quello, non era stato sicuro che Fernando si sarebbe presentato fino a quando, all’ora prevista per il loro ritrovo, non l’aveva visto camminare nella direzione del bar dove ora si trovavano. Aveva temuto fino all’ultimo un suo cambio d’idea, e se lo avesse fatto non sarebbe riuscito nemmeno a dargli torto.
Sospirò a fondo, i suoi occhi scuri ora puntati sulla sua tazzina da caffè già vuota.
-Senti … - iniziò a dire, un po’ impacciato – Ti ho chiesto di vederci anche per un altro motivo-.
Aveva chiesto a Fernando di vedersi perché la sua compagnia gli mancava, e poi perché lui stesso gli aveva chiesto di raccontargli il prima possibile di Giacomo e di com’era andato il parto, ma c’era anche altro.
Fernando aggrottò la fronte:
-Cioè?-.
Pietro si prese ancora qualche secondo, prima di proseguire:
-Volevo parlarti di una cosa- disse, a mezza voce – Prima sul giornale ho letto un articolo che mi ha sconvolto abbastanza-.
-Ok- fece Fernando, se possibile ancor più confuso – E cosa dovrebbe avere a che fare con me?-.
-Hai sentito qualcuno parlare di aggressioni fatte nei dintorni di qualche locale LGBT ultimamente?-.
Fernando sembrò pensarci su per un po’, prima di scuotere il capo:
-No, non mi pare. Ma devo ammettere che negli ultimi mesi non sono andato molto in giro per locali in generale-.
Aveva ancora la fronte aggrottata, ma ora sembrava anche in parte preoccupato.
-Di che si tratta?-.
A quella domanda, Pietro preferì recuperare il proprio cellulare poggiato sul tavolino:
-Te lo leggo-.
Scorse nel sito del quotidiano sulle cui pagine, alcune ore prima, aveva letto quello stesso articolo, solo in formato cartaceo. Gli ci erano voluti alcuni minuti per calmarsi, ma fortunatamente, quando era stato interrotto da Giada, il suo personale momento di crisi era già passato.
-“Ha confessato di essere lui l’uomo, sulla cinquantina e arrestato ieri, identificato come il presunto aggressore che da mesi, ormai, terrorizzava la comunità LGBT veneta”- iniziò a leggere, tenendo gli occhi incollati sullo schermo – “Negli ultimi sei mesi erano state denunciate diverse aggressioni in diverse città del Veneto – tra tutte Verona e Padova, ma con casi anche nelle altre province-, che dalla somiglianza del modus operandi avevano cominciato a far presupporre agli inquirenti l’esistenza di un unico uomo dietro tutti gli attacchi”-.
Azzardò uno sguardo nella direzione di Fernando, e non poté dirsi stupito nel vederlo piuttosto rabbuiato in viso. Ascoltava in silenzio, gli occhi castani puntati nel vuoto davanti a sé.
-“Le aggressioni erano perpetrate dall’indagato, che, avvicinatosi alla vittima inizialmente senza indicare alcuno scopo malevolo, passava successivamente a violenze fisiche come calci e morsi, con lo scopo preciso di ferire le vittime. Si sospettano intenzioni a sfondo omofobico”- proseguì Pietro – “In attesa del processo, le autorità hanno diramato la comunicazione, diretta a tutte le vittime che ancora non dovessero aver denunciato e a coloro che già l’hanno fatto, di recarsi presso le aziende ospedaliere per effettuare un test MST”-.
Per i primi secondi, dopo aver finito di leggere, nessuno di loro disse nulla. Pietro avvertì lo stesso disagio che aveva provato la prima volta che aveva letto l’articolo, alcune ore prima, il solo pensiero che l’odio potesse portare qualcuno ad agire in modi così meschini che lo faceva soffrire incredibilmente.
“Se le cose fossero andate diversamente, forse ora mi toccherebbe ancor più da vicino”.
-Wow- fu infine il primo commento di Fernando, sottovoce.
-Avevi sentito qualcosa in giro?- gli chiese Pietro.
-No, non mi pare-.
Fu solo una sensazione fugace, durata meno di un secondo, ma Pietro ebbe l’impressione che Fernando non fosse stato del tutto sincero.
-Sicuro?-.
Fernando annuì di nuovo:
-Sì, certo. Credo che mi ricorderei di una cosa del genere-.
Teneva gli occhi abbassati come a voler evitare lo sguardo di Pietro, ma evidentemente doveva essere solo per lo sconvolgimento di quella notizia, e poteva comprendere appieno quella sensazione: si era sentito allo stesso modo anche lui, quando l’aveva letto per la prima volta.
-Almeno l’hanno arrestato- mormorò Pietro, mordendosi il labbro, in preda all’esitazione – Secondo te perché l’ha fatto? Perché proprio così?-.
Si era posto quella domanda innumerevoli volte, senza riuscire a trovare una risposta che potesse anche solo giustificare in parte le azioni di quell’uomo. E forse il succo della questione stava proprio lì: come poteva dare una ragione logica ad un gesto d’odio?
“È per persone del genere che ho troppa paura”.
Fernando alzò le spalle:
-Non lo so. Difficile entrare nella mente di uno squilibrato omofobo-.
-Se hanno consigliato alle persone aggredite di testarsi … - Pietro non riuscì nemmeno a finire la frase.
-Può essere solo una precauzione- tagliò corto Fernando, ma era come impallidito in viso. E sì, Pietro poteva anche essere d’accordo con lui, ma un avvertimento del genere in un articolo pubblico non era poi una prassi così comune.
Scosse debolmente il capo, pensando di essere troppo fatalista. Doveva smetterla di farsi trasportare troppo da quegli eventi, pensare solo al lato positivo – in fin dei conti, era una storia già chiusa.
-Può darsi. Fa attenzione lo stesso, ok?-.
Fu tentato di allungare una mano verso Fernando, racchiuderla tra le sue dita, ma si bloccò. Sarebbe stato l’ennesimo gesto di cui poi si sarebbe pentito, soprattutto pensando all’effetto che avrebbe potuto avere sull’altro.
-Sta tranquillo, so badare a me stesso- Fernando gli sorrise, seppure debolmente. Bevette un sorso generoso del suo spritz, prima di tornare a parlare:
-Allora … - iniziò a dire – Devi ancora finire di raccontarmi di Giacomo-.
Pietro rise appena:
-Cos’altro vuoi sapere?-.
Fernando sembrò pensarci su qualche secondo, prima di avere una risposta:
-A chi assomiglia di più?-.
E Pietro stavolta rise davvero, il cuore un po’ più leggero rispetto a pochi minuti prima.







*il copyright della canzone (Kodaline - "High Hopes") appartiene esclusivamente alla band e ai suoi autori.
 
NOTE DELLE AUTRICI
L'estate del 2019 è di certo ben diversa da quelle che l'hanno preceduta, almeno per Giulia e Filippo. A quanto pare le cose tra loro ancora non si sono sistemate del tutto, con una Giulia al limite della disperazione, e che continua a sentirsi abbandonata dal marito. Con la fine del suo sfogo arrivano le scuse di Filippo, ma riuscirà a mantenere la parola data?
Nel frattempo i primi giorni di Pietro con il piccolo Giacomo stanno andando meglio del previsto! Infatti, in barba a tutte le previsioni più negative, il clima in casa appare tranquillo. E poi, con questo aggiornamento, anche l'ultimo tassello del puzzle rappresentato dal prologo è andato al suo posto: il flash forward che riguardava Pietro, infatti, riguarda questo capitolo. Concludiamo con l’ultima scena: Pietro si è effettivamente incontrato con Fernando, dopo diverso tempo passato nel silenzio tra loro, e con notizie non buonissime... Anche se, dal finale, sembra che la loro serata proseguirà su una nota più serena. 
Siamo ormai agli sgoccioli di Growing, e quindi non ci rimane altro che darvi appuntamento a mercoledì 1°marzo per il penultimo capitolo!
Kiara & Greyjoy

 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Kimando714