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Autore: Losiliel    17/02/2023    0 recensioni
Morifinwë Carnistir Fëanárion, giovane nipote del re dei Noldor, vive in un meraviglioso palazzo nella splendente città di Tirion, in una terra benedetta da ogni ricchezza, circondato da una famiglia unita e numerosa. La sua vita sembra perfetta sotto ogni aspetto.
Peccato che lui non la pensi affatto così.
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[ Caranthir-centrico | coming of age | vita dei Noldor in Aman | Anni degli Alberi ]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caranthir, Fëanor, Figli di Fëanor, Nerdanel, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Los Tales'
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9

La gara di canoa

(o quando vorresti riavvolgere il tempo per poter rimediare ai tuoi errori)

 

 

Morifinwë piantò il ginocchio destro sul fondo della canoa e cominciò a remare.

La visibilità era perfetta. Dopo diversi giorni di piogge e di cielo coperto, quel mattino era limpido e tiepido, come se Manwë avesse spazzato via le nubi come favore personale a Tulkas nella giornata dedicata a lui e alle sue gare.

Morifinwë si concentrò sul primo ostacolo, lo vedeva avvicinarsi dritto davanti a sé: al limite del lago il bacino si restringeva e spuntavano rocce da una parte e dall’altra, con al centro una strettoia nel quale poteva passare solo una canoa alla volta.

Da lì in poi sarebbero cominciate le rapide, e nel torrente stretto e tortuoso che avrebbero dovuto affrontare, sorpassare un altro concorrente sarebbe stato impossibile, anche ammesso di essere abbastanza folli da provarci. La priorità, in quel tratto, sarebbe stata quella di non incagliarsi in qualche ansa o di non schiantarsi sulle rocce. Insomma, quella di restare vivi. Ma chi fosse riuscito ad arrivare integro in pianura e a sbucare per primo dal bosco, avrebbe avuto un notevole vantaggio nella gara di velocità conclusiva.

Puntare a raggiungere l’imbocco delle rapide per primi, però, non sempre era la strategia vincente, si rischiava di scontrarsi con altri concorrenti che miravano allo stesso obiettivo ed essere sbalzati sulle rocce che chiudevano il bacino. Un modo perfetto per finire la gara ancora prima di cominciarla.

Morifinwë si ricordò delle parole di Tyelkormo e lasciò che Angaráto lo precedesse. Sulla scia dell’Arafinwion si inserì un ragazzo alto e magro, con una canoa arancione. Lui si mise in coda. Una rapida occhiata alle sue spalle gli rivelò che gli altri concorrenti erano più distanziati.

Si concentrò sul gesto atletico: i muscoli rispondevano bene, il ginocchio era saldamente piantato a terra e il piede sinistro fisso nell’apposito scanso. L’interno della canoa era ancora asciutto e, per il momento, i punti di appoggio non rischiavano di perdere aderenza.

Vide lo smilzo che accelerava per cercare di raggiungere l’imboccatura prima di Angaráto; i due rimasero appaiati per qualche istante, ostacolandosi l’un l’altro. La loro corsa ne fu rallentata e Morifinwë guadagnò terreno, portandosi a ridosso dei primi.

Angaráto diede una spinta laterale che sbilanciò la canoa arancione e oltrepassò per primo la strettoia. Morifinwë l’aveva previsto e approfittò dello sbandamento del secondo per infilarsi subito dietro al cugino.

Il torrente, gonfio d’acqua a causa delle piogge dei giorni precedenti, si separava in diversi percorsi che si inoltravano nel bosco all’apparenza tutti ugualmente pericolosi. Morifinwë cercò di individuare a colpo d’occhio quello più favorevole: se ne vedevano solo due adatti alla navigazione. Angaráto prese quello di sinistra e lui si fiondò in quello di destra. Una macchia arancione nell’angolo della visuale gli disse che il ragazzo alle sue spalle aveva fatto la sua stessa scelta. Non perse tempo a guardare a che punto fossero gli altri partecipanti.

Alternando i colpi di pagaia da una parte e dall’altra Morifinwë si destreggiò tra le prime rocce, poi le rapide si fecero più scoscese, la canoa cominciò a procedere a salti e lui – riposto il remo ai suoi piedi – ne afferrò i bordi e la guidò bilanciando gli atterraggi col peso del proprio corpo.

Gli spruzzi d’acqua che gli arrivavano in faccia lo costringevano a sbattere di continuo le palpebre, e i lampi di luce che bucavano improvvisi la volta di fronde del bosco facevano il resto per ostacolargli la visuale.

Il percorso era più difficile di quanto si fosse aspettato ma, passati i primi istanti di paura, Morifinwë sentì crescere l’eccitazione e fu percorso in egual misura dalla gioia della sfida e dal brivido del pericolo incalzante.

Gli alberi si infittirono sempre più e il corso d’acqua si ridusse a un nastro lucido ribollente di schiuma largo quanto la sua canoa. Persino i giudici di gara e i pochi spettatori che correvano lungo le rive del torrente sembravano avere qualche difficoltà a procedere.

Lo smilzo non mollava, gli era dietro, lo riuscì a vedere bene quando il corso d’acqua fece una brusca curva a gomito, ma dalla sua espressione – tendini tesi sul collo, solchi verticali sulla fronte – Morifinwë capì che stava dando il massimo e che non avrebbe retto a lungo.

Davanti a lui il bosco si aprì quanto bastava per mostrargli il punto dove i due tratti del torrente tornavano a riunirsi in un unico corso. Vide Angaráto venirgli incontro da sinistra: la canoa del cugino non dava segni di cedimento.

Morifinwë imprecò per la tensione. Ma ancora di più per il sollievo.

Si sentiva imbattibile e voleva vincere la gara ad armi pari. Voleva che il suo sabotaggio non funzionasse. Voleva far finta che tutta quella storia non fosse mai accaduta.

E soprattutto, voleva arrivare per primo all’incrocio dei corsi d’acqua.

Angaráto lo vide, e Morifinwë lesse sul suo volto teso lo stesso bruciante desiderio. Nessuno dei due avrebbe ceduto, nessuno avrebbe lasciato il passo all’avversario, anche a costo di scontrarsi e buttar via l’intera gara.

Morifinwë diede un colpo di pagaia a destra, l’altro fece lo stesso dalla parte opposta.

Angaráto arrivava più veloce, ma lui proveniva da una posizione più elevata e aveva ancora un salto da sfruttare: se lo avesse eseguito al meglio sarebbe piombato proprio sull’incrocio e avrebbe imboccato il tratto finale del torrente per primo.

Il cugino capì cosa stava per accadere e accelerò. Nello stesso istante Morifinwë approfittò dell’ultimo dislivello e saltò. Lo fece con una precisione tale da stupire persino sé stesso, ancora prima di staccarsi del tutto dal pelo dell’acqua capì che non avrebbe fallito.

Il tempo si fermò, come volesse dargli la possibilità di godere appieno del suo trionfo, e lui riuscì a guardarsi indietro mentre era in volo.

Ciò che vide lo raggelò: Angaráto, distratto da qualcosa ai suoi piedi all’interno della barca, che distoglieva per un attimo l’attenzione dal fiume, e la canoa arancione del ragazzo che li seguiva che arrivava a tutta velocità a incrociare la traiettoria del cugino.

Morifinwë colpì la superficie dell’acqua e dovette tornare a guardare avanti per non perdere l’equilibrio e mantenersi al centro del torrente. Sentì uno schianto alle sue spalle e ancor prima di girarsi si figurò il terribile scontro tra le due imbarcazioni.

Invece no. Angaráto era riuscito a evitare l’impatto con la canoa arancione, ma aveva deviato troppo, e la spinta l’aveva sbalzato contro una roccia.

Lo smilzo, incolume, stava recuperando il controllo per partire all’inseguimento.

Morifinwë cercò di non pensare a nulla, se non a terminare bene la gara; l’altro ragazzo era un avversario di tutto rispetto e lui doveva rimanere concentrato. Arrivò al tratto pianeggiante senza forzare l’andatura, poi si riappropriò della pagaia e si lanciò a massima velocità. I muscoli cominciavano a bruciare e il ginocchio a terra lanciava fitte di dolore ogni volta che lui si piegava in avanti per dare un colpo di remo, ma sapeva di avere ancora forza sufficiente per mantenere lo stesso ritmo fino all’arrivo.

Sapeva di aver già vinto, e la cosa non gli dava alcuna gioia.

Intravedeva il festone rosso che tagliava il fiume e le rive macchiate dai colori della folla che attendeva il vincitore.

Osò un’occhiata alle sue spalle: aveva distanziato la canoa arancione e gli altri concorrenti erano un gruppo informe che si contendeva il terzo posto.

Oltrepassò il traguardo senza gioire, senza alzare le braccia al cielo o agitare il remo in aria. Sentiva gli applausi e le grida del pubblico che lo inneggiavano e non riuscì a esserne felice. Forse erano applausi che avrebbe potuto meritare, forse avrebbe potuto vincere anche senza barare. Ma la realtà era che non avrebbe mai potuto esserne certo.

Scorse tra la folla la rossa capigliatura di sua madre, e spostò lo sguardo sul padre che le era a fianco. Fëanáro sorrideva. Applaudiva.

Lasciò che la corrente lo conducesse più a valle, oltre la folla urlante che ora festeggiava il secondo arrivato, e poi il terzo, e via via tutti i concorrenti che giungevano alla meta. Dei dieci che erano partiti ne arrivarono solo sei; Angaráto non era tra loro. Una squadra si stava già muovendo per andare a recuperare i dispersi, Morifinwë riconobbe tra loro l’inconfondibile chioma biondo cenere di Tyelkormo.

Accostò a riva, saltò giù dalla canoa e la trascinò sulla sponda ghiaiosa. Si accorse che qualcuno lo stava aiutando, sollevò la testa e si trovò di fianco suo padre.

Sul viso di Fëanáro c’era un sorriso sincero che faceva male al cuore.

– Complimenti figliolo – esclamò, – mi hanno detto che hai fatto faville lassù: un salto come non se n’erano mai visti in questa categoria! Si sta già spargendo la voce.

Morifinwë si sentì raggelare, anche se i suoi muscoli bruciavano ancora per lo sforzo appena compiuto.

Cercò di scaldarsi al tono fiero del padre. Cercò di convincersi che avrebbe vinto ugualmente, che la sua malefatta non aveva influito sull’andamento della gara. Giurò a sé stesso che non l’avrebbe fatto mai più, che da quel momento in poi avrebbe sempre combattuto ad armi pari, se solo avesse potuto godere di quella vittoria e assaporare la sensazione di essere al centro dell’attenzione del padre.

Non ci riuscì.

O, comunque, non ci riuscì del tutto. Le parole di elogio colpivano troppo in profondità per non risultare, almeno un pochino, piacevoli da ascoltare.

– Ho avuto fortuna – borbottò, dimenticandosi che Fëanáro insegnava ai suoi figli a mostrare orgoglio per i traguardi raggiunti.

– Faremo tardi per vedere Nelyo – si inserì la mamma, appoggiando una mano sul braccio di Fëanáro. E poi, rivolta a lui: – Tu vieni con noi, Carnistir?

Morifinwë non volle guardarla in faccia per paura che gli leggesse in viso la verità. Qualcosa doveva già averla intuita, a giudicare dal suo comportamento insolitamente distaccato.

– Voglio rimanere a vedere se stanno tutti bene – disse, accennando col capo alla montagna.

– Allora a dopo – lo salutò il padre, afferrandogli le spalle un’ultima volta, – sono fiero di te!

Appena i suoi genitori si furono allontanati, Morifinwë si lasciò scivolare al suolo e si sedette sul terreno bagnato con la schiena contro la canoa. Non riusciva a guardare suo padre nemmeno di spalle, così girò la testa di lato. Si trovò con gli occhi proprio a livello dello stemma di Fëanáro impresso sulla chiglia. Affondò il viso tra le mani e imprecò sommessamente.

Basta fare il bambino, Carnistir! si disse. Quello che è fatto, è fatto. Impara la lezione, ma ora goditi il successo e l’apprezzamento di tuo padre. Non te lo sei forse meritato?

Per tutti i Valar, certo che se l’era meritato! Era tutta la vita che vedeva elogiati i suoi fratelli maggiori – perfino quel pazzo di Tyelkormo – e adesso che era diventato grande abbastanza da rendere fiero suo padre, che era il suo turno di ricevere elogi, ecco che compariva quel piccolo genio-replica che gli soffiava il posto! Aveva tutto il diritto di godere di quei fugaci momenti.

Eppure le sue mani non la smettevano di tremare, mentre cercava di ricacciare indietro stupide, infantili, lacrime di rabbia.

Rimase seduto a lungo, finché tutti gli spettatori e i concorrenti non si furono allontanati per andare ad assistere ad altre competizioni. Nessuno venne a disturbarlo, né a chiedergli il motivo per cui il vincitore della gara se ne stava tutto solo a ghiacciarsi le natiche invece che farsi portare in trionfo fino a Valmar. La sua fama di ragazzino introverso e scorbutico, in quel caso, giocò a suo favore.

Quando reputò di aver racimolato giustificazioni a sufficienza per placare il suo senso di colpa e poter affrontare di nuovo il padre, Morifinwë si alzò, ma fatti pochi passi la sua strada venne sbarrata da Tyelkormo.

Il fratello, col suo fisico massiccio e l’aria di chi non teme nessuno, incuteva soggezione anche quando era di buon umore. Quando era infuriato, si ricordò Morifinwë in quel momento, era qualcosa di terrorizzante.

– Sono stato a recuperare i ragazzi che non ce l’hanno fatta – disse.

Morifinwë deglutì a vuoto.

– Ti farà piacere sapere che Angaráto è incolume – continuò il fratello.

– Certo che mi fa… – cominciò lui.

Tyelkormo non lo fece finire: – Ho visto la sua barca, Moryo!

Morifinwë tentò di distogliere lo sguardo, ma i suoi occhi sembravano incatenati a quelli d’acciaio del fratello, che lo sovrastava di tutta una testa.

– Ha uno squarcio sul lato sinistro, dove ha colpito la roccia… e questo l’hanno visto tutti. Ma c’è qualcosa che è sfuggito persino ai giudici: un piccolo taglio sul fondo, vicino all’intelaiatura.

– Non capisco cosa… – iniziò Morifinwë.

Tyelkormo alzò la voce: – Dove sei stato stanotte?

– Mi hai visto, ero in cucina… – balbettò lui.

– Sono venuto a cercarti in camera tua, più tardi, per vedere se eri riuscito ad addormentarti, ma non c’eri.

– Ho fatto un giro in giardino…

– Non puoi mentirmi! – esclamò il fratello.

Morifinwë sentì una presenza al limite della sua percezione, come un leggero prurito tra la nuca e l’attaccatura del collo. D’istinto si affrettò a chiudere la mente e scoprì che era già sigillata al massimo delle sue possibilità.

Tyelkormo scoppiò in una risata fasulla. – Non sai schermarti abbastanza bene, piccolino. Sei un nodo di nervi incapace di mascherare le tue bugie! Mostrami quel coltellino che tieni sempre in tasca.

Morifinwë riuscì a staccare gli occhi dal viso del fratello e si guardò attorno, come un animale braccato che cerca l’ultima disperata via di fuga.

Almeno non c’era nessuno in vista, nessuno che stava ascoltando. Forse aveva ancora una speranza. Forse poteva far leva sulla compassione del fratello.

– Non lo dirai a papà, vero? – mormorò, con la voce che gli tremava.

– No, non lo dirò a papà – disse Tyelkormo, e Morifinwë non fece in tempo a tirare un sospiro di sollievo che l’altro concluse: – Perché glielo dirai tu.

Il fratello gli puntò l’indice sul petto: – Stasera non rovinare i festeggiamenti di tutti, ma domani, appena torni dalle tue lezioni alla fattoria, andrai a raccontargli cosa hai combinato.

Morifinwë chinò il capo. Per un attimo pensò di implorare il fratello, pensò di gettarsi ai suoi piedi e promettergli qualunque cosa, purché non lo costringesse a quello. Sentiva già le ginocchia che cedevano.

Ciò che lo fermò non fu un impeto di amor proprio, ma la consapevolezza che niente poteva smuovere Tyelkormo quando era di quell’umore.

–  Mi sono spiegato? – lo incalzò il fratello.

Lui annuì, e così facendo la sua testa scese ancora più in basso. Non la rialzò finché non sentì i passi di Tyelkormo che facevano scricchiolare la ghiaia mentre si allontanavano.


 

 


NOTE

Grazie a chi ha letto!

Nomi canonici, conversione Quenya - Sindarin
Morifinwë, Moryo, Carnistir = Caranthir
Tyelkormo (qui chiamato anche Tyelko) = Celegorm
Angaráto = Angrod
Arafinwion = figlio di Arafinwë, cioè di Fingolfin
Fëanáro = Fëanor
Nelyo = Maedhros

 

  
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